GPII 1990 Insegnamenti - Agli "Amici di Ponte di Legno" - Città del Vaticano (Roma)

Agli "Amici di Ponte di Legno" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: A Natale il creato partecipa alla grande festa dell'umanità

Cari fratelli e sorelle.


1. Con gioia vi porgo il mio cordiale saluto. Siete venuti a Roma per offrire in dono l'albero di Natale, che sarà collocato accanto al presepio in Piazza San Pietro. Ringrazio l'Associazione "Amici di Ponte di Legno" ed estendo il mio apprezzamento all'intera popolazione della Valle Camonica. Il vostro gesto mi riporta col pensiero alle vostre stupende montagne, che potei ammirare nella loro austera bellezza quando salii sull'Adamello.

So che avete voluto offrire l'albero natalizio nel ricordo del vostro concittadino e grande Papa Paolo VI. Aver dato alla Chiesa un simile Pontefice è per voi un onore, ma è al tempo stesso un impegno. Colgo volentieri quest'occasione per esortarvi a tener alte le tradizioni religiose della vostra terra: è un patrimonio che avete ricevuto dai vostri avi e che dovete trasmettere alle nuove generazioni, affinché restino ancorate a quei valori di fede e di onestà che hanno dato coesione alle famiglie e alle popolazioni della vostra vallata. Nell'abitudine al lavoro e al sacrificio si forgia il carattere generoso e forte della gente di montagna e si pongono le premesse di una vita serena e solidale.


2. L'albero che avete donato è un simbolo che racchiude tante cose: ricorda a tutti l'approssimarsi delle feste natalizie creando un clima di gioia e di festa.

L'albero innalzato accanto al presepio è un invito a volgere in alto lo sguardo, alla bontà misericordiosa del nostro Dio "per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre... e dirigere i nostri passi sulla via della pace" (Lc 1,78-79). L'albero accanto al presepio esprime anche la partecipazione del creato alla grande festa dell'umanità. Voi che vivete nelle valli siete i gelosi custodi di quell'immenso patrimonio che sta nei prati e nei boschi, nei fiumi e nei ruscelli. E' un patrimonio che la natura vi ha affidato. A voi spetta di aiutare l'umanità a rispettarlo e a preservarlo. Oggi che il patrimonio boschivo è diminuito e le acque appaiono sempre più inquinate si profilano all'orizzonte dell'umanità minacciosi rischi ecologici. Occorre impegnarsi in un'opera di salvaguardia cominciando dall'educazione al rispetto della natura, espressione mirabile della grandezza di Dio.

A voi questa viva esortazione: amate la vostra terra benedetta, sappiate farla amare da quanti trovano nelle vostre montagne momenti di serenità e di svago e con la vostra vita insegnate il rispetto della natura, vista come manifestazione dell'opera stupenda della creazione.


3. Vorrei rivolgere una speciale parola agli esponenti del Rotary Club di Lovere-Boario-Breno, che saluto con viva cordialità.

Il vostro motto "servire" è tutto un programma, cari Rotariani. Esso richiama alla mente un requisito fondamentale di ogni ordinata convivenza: la famiglia, la città, la nazione non si reggono se i rispettivi componenti non sono disposti a impegnarsi generosamente nel servizio che a ciascuno compete. Anche la vita della Chiesa pone una simile esigenza: ciascuno ha in essa un proprio ruolo da svolgere. Al Papa, in particolare, come "Servo dei servi", è riservato il ruolo di "presiedere alla carità universale" e di aiutare l'uomo nell'incontro con Dio salvatore. Ma ogni cristiano è chiamato a servire, perché il servizio è il cuore del Vangelo stesso. Gesù è venuto per servire, non per essere servito (cfr. Mc 10,45).

Conosco i meriti della vostra Associazione: essa ha una lunga tradizione di servizio e di carità. Onorando il vostro passato, sappiate sempre farvi carico dei molteplici problemi dell'uomo, a cominciare da quelli materiali che molte volte sono determinanti per la serenità e la pace familiare.

Aiutare l'uomo significa vivere l'essenza del Vangelo e capire meglio quanto grande è stato l'amore di Gesù, che si è fatto nostro fratello.

Voi avete ogni giorno l'occasione di entrare in contatto con le povertà di oggi: sappiate trovare soluzioni giuste nel rispetto della dignità dell'uomo.

L'avvicinarsi del Natale sia motivo per intensificare il vostro impegno.

A tutti i presenti, alle vostre famiglie e a tutti i vostri cari porgo i miei auguri per il Santo Natale, accompagnandoli con la mia benedizione.

Data: 1990-12-15

Sabato 15 Dicembre 1990

All'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: In Cristo si ritrovano in pienezza le ragioni della dignità

Carissimi fratelli e sorelle!


1. L'odierna liturgia ci presenta Giovanni Battista che, sulle rive del Giordano, addita in Gesù il Messia annunciato dai profeti e apre la strada al suo ministero, parlando del nuovo battesimo che egli conferirà "in Spirito Santo e fuoco" (Lc 3,16).

In effetti, Cristo è venuto nel mondo come l'icona vivente del mistero trinitario - Padre e Figlio e Spirito Santo -, eterna realtà dell'Essere che è Verità e Amore, aperto sul mondo nella creazione, e comunicato all'uomo nella redenzione. Egli è, al tempo stesso, l'icona vivente dell'uomo, della sua redenzione ed elevazione e quindi della sua vera grandezza, nonostante il dramma personale e sociale, scoperto, enunciato e sperimentato nei giorni della caduta dei progenitori. In lui ogni essere umano, giovane o vecchio, dotto o ignorante, ricco o povero, datore di lavoro o prestatore d'opera, ritrova in pienezza le ragioni della sua dignità di persona, chiamata a un trascendente destino di gloria.


2. Proprio questa dignità il Papa Leone XIII, nell'enciclica "Rerum Novarum", rivendicava per gli operai, sottolineando il loro diritto a provvedere responsabilmente a se stessi per il presente e per il futuro, in modo da soddisfare ai ricorrenti bisogni con l'aiuto della società e dello Stato, ma senza soggiacere, come esseri inconsapevoli e incapaci di autogestirsi, a un unico immane e opprimente dominio sociale. perciò Papa Leone ammoniva i "padroni e datori di lavoro" sui loro doveri, ricordando che questi cominciano dal "rispettare negli operai la dignità della persona umana" e dall'evitare di "trattarli come degli schiavi", giacché sarebbe "veramente indegno abusare di un uomo come di una cosa a scopo di guadagno e non stimarlo più di quello che valgono i suoi nervi e le sue forze".

Riprenderemo più volte questo discorso sulla dignità dell'uomo che occorre rispettare in tutti gli uomini, secondo l'applicazione che ne ha fatto Leone XIII ai rapporti sociali nel mondo moderno. Qui mi preme sottolineare che questo discorso prende ispirazione e sostanza di contenuto dall'Evento decisivo della storia: l'incarnazione del Verbo, l'Avvento di Colui che con la sua Parola, e con il fatto stesso della sua Vita in mezzo a noi, ha insegnato che tra uomo e uomo non si possono dare rapporti non illuminati dalla luce di quell'Icona del Bene, dell'Amore, della Verità, che è Cristo, "splendore riflesso della gloria del Padre, impronta della sua sostanza, che tutto sostiene con la sua potente parola...", come si legge nel prologo della Lettera agli Ebrei.


3. E' questa la rivelazione cristiana del vero volto dell'essere umano: ogni uomo, ogni donna, alla luce di Cristo assume un significato, un valore che è il principio di soluzione del dramma - interiore ed esterno - dell'esistenza appesantita dall'eredità di Adamo e di Eva, e la chiave di volta della perenne ricostruzione personale e sociale.

In Maria santissima, carissimi fratelli e sorelle, sta dinanzi a noi il punto d'arrivo di tale ricostruzione. In lei, novella Eva, rifulge in tutta la sua bellezza il progetto che Dio va sviluppando nella storia in vista del suo perfetto compimento nell'ultimo giorno. Alla Vergine santa chiediamo di saper collaborare responsabilmente a questa esaltante impresa.

(Omissis: saluti a vari gruppi)

Data: 1990-12-16

Domenica 16 Dicembre 1990

Alla parrocchia S. Bernardetta Soubirous - Tiburtino Sud (Roma)

Titolo: Il Battista ci insegna che la via privilegiata per un rinnovato annuncio è la testimonianza umile e forte da rendere a Cristo

(Agli abitanti del Quartiere:) Saluto cordialmente la parrocchia di Santa Bernardetta e il quartiere.

Ringrazio il vostro parroco per le parole di benvenuto rivoltemi all'inizio. Oggi la liturgia domenicale ci invita alla gioia: "Rallegratevi perché il Signore è vicino". Io vorrei congratularmi con voi, con la vostra comunità civile e la vostra comunità cristiana, parrocchiale, per tutto quello che avete realizzato durante questi ultimi 15 anni. Congratularmi vuol dire esprimere la mia gioia perché il Signore è vicino. E' appunto con questa vicinanza del Signore che avete costruito questa realtà parrocchiale, questa chiesa, quest'ambiente e soprattutto questa comunità, perché il Signore vuole essere circondato dai suoi amici, dai suoi fratelli: viene tra noi come uno di noi, nasce a Betlemme. Ci diciamo già oggi Buon Natale aspettando la notte di Betlemme. Il Signore viene tra noi per elevarci a una nuova dignità, dignità che è più che umana, perché è la dignità dei figli di Dio.

Trovandomi qui davanti alla vostra Chiesa, tra voi riuniti in così grande numero, vorrei augurare a tutti questa vicinanza del Signore: a ciascuno di voi, alle persone, alle famiglie, ai vostri ambienti, a tutta la vostra comunità parrocchiale. E auguro Buon Natale con questo significato profondo della presenza del Figlio di Dio tra voi, tra noi tutti. Saluto questa parte della Chiesa di Roma come vescovo, ringraziando il cardinale vicario e il vescovo ausiliare di questo vostro settore per tutto quello che hanno fatto nel mio nome, insieme con il vostro parroco e il suo collaboratore. Ringrazio voi tutti e auguro una buona continuazione. Con il Natale si guarda sempre verso l'anno nuovo. Allora, vi auguro questa buona continuazione dell'anno che viene nel nome del Signore, e nel nome del Signore benedico tutti voi qui presenti e tutti i componenti di questa comunità parrocchiale.

(Ai bambini:) Carissimi bambini, ragazzi e ragazze, quando sono entrato in quest'ambiente, vedendovi così seduti, ho pensato: sono seduti a terra come i pastori a Betlemme. Qui fa certamente un po' più caldo; quella notte a Betlemme faceva più freddo. I pastori erano seduti intorno al fuoco: qui tra voi ci sono gli "scouts" che sanno come ci si siede intorno al fuoco, anche nella sera, nella notte. Questi pastori non pensavano che cosa sarebbe arrivato, non pensavano che quella notte avrebbe portato loro un tale annuncio. A un certo momento sono stati illuminati con la luce e anche con le parole rivolte loro, parole angeliche, parole dal cielo. Queste parole annunciavano la nascita del Salvatore in Betlemme.

E i pastori si sono sentiti subito invitati ad andare, a camminare verso la grotta di Betlemme, dove avrebbero trovato il bambino neonato, Dio fattosi uomo, incarnato: il Verbo che si fece carne.

Allora, perché ho pensato così: Perché mi è venuta in mente quella tipica raffigurazione che ritrae i pastori seduti, sdraiati, illuminati. Anche voi siete in attesa di quell'annuncio angelico, dell'annuncio che ci viene attraverso la Chiesa, attraverso la vostra parrocchia, attraverso la catechesi. Questo annuncio che è stato dato la prima volta ai pastori di Betlemme, viene sempre ripetuto, viene proclamato di nuovo, a nuove generazioni di cristiani e anche di non cristiani. Questo grande annuncio, questa grande verità è che Dio si è fatto uomo per salvare l'uomo, è nato come salvatore del mondo. Questo annuncio ci viene dato per credere, per accettare, per vedere con gli occhi della fede la realtà divina che è una realtà di salvezza, una realtà di grazia, di vita eterna, che ci indica il cammino da intraprendere e da continuare in questa vita.

Io faccio questo paragone tra i pastori e la vostra parrocchia dove l'annuncio del bene, l'annuncio della nascita di Dio fattosi uomo, fattosi carne, fattosi uno di noi, è continuamente trasmesso alle nuove generazioni. Come era stato trasmesso ai vostri genitori, adesso viene trasmesso a voi tramite i genitori e tramite la parrocchia, i vostri sacerdoti, i vostri maestri, insegnanti, catechisti, soprattutto, suore: tutti quelli che vi insegnano la buona novella di Gesù Cristo.

Vi auguro di comportarvi come questi pastori, che hanno accettato con il cuore questo annuncio e si sono messi subito in cammino verso la luce. Vi auguro di fare lo stesso, di ascoltare questo annuncio, questa buona novella, ascoltarla non solamente con le orecchie ma con il cuore, e di mettervi in cammino verso questa luce. Vi auguro di camminare con questa luce attraverso i vostri anni.

Adesso siete bambini, ancora piccoli; poi diverrete ragazzi e ragazze, quindi giovani, adulti. Camminate nella luce di questo annuncio negli anni della vostra vita, perché questo annuncio angelico di Betlemme ci apre la strada verso la felicità in Dio, verso la vita eterna. Vi ringrazio per la buona accoglienza e per la canzone che avete cantato. Ringrazio tutti i vostri insegnanti, catechisti, per il lavoro che svolgono impegnandosi nell'insegnamento della religione, nella catechesi, nella preparazione ai sacramenti e mostrandovi così la strada di Betlemme, la strada alla vita eterna. La mia benedizione va a tutti i presenti, ai vostri genitori, agli adulti. Buon Natale.

(L'omelia alla celebrazione eucaristica:) "Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui" (Jn 1,6-8).


1. "Carissimi fratelli e sorelle della parrocchia di Santa Bernardetta Soubirous, nel cammino di fede dell'Avvento, la Chiesa offre al suo popolo, pellegrino verso il regno, testimoni e maestri di vita, a cui ispirarsi nella preparazione alla venuta del Salvatore. In questa terza domenica, come del resto in quella precedente, domina come modello la figura di Giovanni Battista. Soffermiamoci sulla sua testimonianza che certamente ci aiuterà a comprendere e approfondire ciò che l'uomo deve compiere per disporsi ad accogliere il Signore e per annunciarlo a tutti.


2. Giovanni inizia la sua missione nella regione della Giudea. Annuncia con coraggio la venuta del regno di Dio, nella persona di Cristo. Domanda a tutti un cambiamento radicale di mentalità e di stile di vita. Di fronte alla sua persona e alle sue parole, molti rimangono perplessi e sconcertati; la maggior parte, anche tra le autorità di Gerusalemme, gli pone l'interrogativo: "Chi sei tu?... Cosa dici di te stesso?". Giovanni, non volendo sottrarsi alla provocazione, risponde: "Io non sono il Cristo... Non sono Elia o il profeta!". Dissipa gli equivoci insinuatisi tra la gente, confessando la sua identità: non è la Luce, ma un Testimone della luce. La luce vera è Cristo, egli distrugge le tenebre del peccato e della morte e offre un orientamento di vita a tutti gli uomini che, in lui e per lui, scoprono la loro origine divina, la loro piena dignità e altissima vocazione, il loro destino trascendente.


3. Il Battista rivela la persona e il compito del Messia con le parole del profeta Isaia, ascoltate nella prima lettura: "Io sono la voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore" (Is 40,3). Come non è lui la Luce, così egli non è la Parola, il Verbo di Dio, ma soltanto una voce, un tramite cioè, attraverso il quale la piena e definitiva rivelazione di Dio può raggiungere ogni uomo.

Ascoltiamo, al riguardo, il commento di sant'Agostino: "Giovanni è la voce che passa. Cristo è il Verbo eterno che era in principio. Se alla voce togli la parola che cosa resta?... La voce senza la parola colpisce l'udito, ma non edifica il cuore" ("Sermo 293", 3).

Si, la voce è solo uno strumento che dà espressione e consistenza concreta alla Parola vivente; uno strumento tuttavia indispensabile affinché questa Parola risuoni su tutta la terra e instauri un dialogo salvifico tra Dio e l'umanità. Ogni messaggio, e soprattutto quello della salvezza, passa sempre attraverso la testimonianza di vita e attraverso la parola umana annunciata con coerenza e con coraggio. Ciò è ancor più necessario là dove l'ambiente, a cui la parola si rivolge, è un deserto arido, nel quale non è facile aprire un varco e tracciare una strada al Signore che viene.


4. Per voi, cari fedeli di questa parrocchia, e per tutta la Chiesa di Roma, che è incamminata verso la celebrazione del Sinodo pastorale diocesano, la testimonianza e la parola di Giovanni Battista costituiscono uno stimolo particolare per ravvivare l'impegno missionario; per riscoprirsi sempre più come popolo che "si fa Sinodo", che cammina insieme verso la piena e definitiva comunione con il Signore; e per associare a questo cammino di salvezza tutti coloro che hanno perduto la strada che conduce a lui; quelli che sono tentati di imboccare altre vie più facili, con la pretesa di "realizzarsi" come uomini o come gruppi sociali; quelli, in fine, che vivono nel "deserto" dell'indifferenza, della solitudine, della povertà spirituale e materiale.

Per questo se volete vivere e realizzare il Sinodo, dovete impegnarvi ad evangelizzare, ad indicare Cristo come Redentore dell'uomo, come Colui che è venuto, che viene e che verrà per liberare gli uomini da ogni forma di male, prima fra tutte il peccato. Giovanni Battista vi ricorda pure che la strada privilegiata per un rinnovato annuncio è la testimonianza umile e forte da rendere a Cristo. A colui che, come Via, conduce all'incontro con Dio, che libera e fa alleanza; come Verità, rivela l'amore del Padre e dà pienezza di significato all'esistenza umana e alla storia; come Vita, riempie di gioia e di pace.

Ma la vostra missione risulterà tanto più efficace e conforme a quella di Cristo se, alla testimonianza, si accompagneranno i segni messianici della venuta del regno già predetti dai profeti, e cioè: la cura delle piaghe dei cuori spezzati, la liberazione degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri. Questa grande opera avrà come frutto la gioia, la gioia che sboccia dalla venuta del Signore e dall'incontro con lui. Solo così potrà inaugurarsi "l'anno di misericordia del Signore", un tempo "nuovo" anche per la Chiesa di Roma; un evento di riconciliazione e di pace per tutti.


5. Anche a voi, cari fedeli della parrocchia di Santa Bernardetta, auguro che possiate vivere questa "nuova" stagione spirituale, alla luce del mistero del Natale, che reca ai nostri cuori gioia e salvezza. Insieme al card. vicario, Ugo Poletti, e al vescovo ausiliare del Settore Nord, mons. Salvatore Boccaccio, saluto tutti voi qui presenti e i vostri familiari, specialmente i bambini, gli anziani e i malati. Saluto, in particolare, il vostro zelante parroco, don Carlo Lombardi, e i sacerdoti che lo aiutano nella cura pastorale di questo popoloso quartiere del Tiburtino Sud. Saluto i religiosi e le religiose che operano nell'ambito di questa circoscrizione e che portano il loro contributo alle iniziative promosse dalla parrocchia. Ringrazio soprattutto le suore Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, che si rendono utili con l'insegnamento della catechesi in parrocchia e della religione nelle scuole elementari. Ringrazio pure tutti i gruppi parrocchiali che si dedicano alle opere di misericordia e che lavorano in favore di coloro che si trovano in situazioni difficili.

Tutti esorto a far si che la parrocchia sia veramente un "camminare insieme", un fare Sinodo, nella consapevolezza che così si vive in pienezza la comunione ecclesiale. A questo fine cercate di favorire sempre più la corresponsabilità da parte di tutti, affinché ciascuno si senta interpellato e coinvolto secondo le proprie capacità personali e le possibilità.

Invoco su di voi la materna assistenza della Beata Vergine, per intercessione di santa Bernardetta Soubirous, vostra celeste patrona, perché ciascuno si ponga sulla via del Signore che viene: ne imiti l'esempio, ne custodisca gli insegnamenti e ne accolga l'invito alla santità.


6. Si, accolga l'invito alla perfezione, perché, come esorta san Paolo: "questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione" (1Th 4,3). Il Papa oggi è venuto tra voi per ricordarvi questo impegno che si traduce in testimonianza gioiosa e fervida, come si addice ai veri seguaci di Cristo. Vi raccomando, perciò, con le parole dello stesso apostolo Paolo: "siate sempre lieti, pregate incessantemente... Non spegnete lo Spirito... Astenetevi da ogni specie di male.

Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile fino alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Colui che è fedele farà tutto questo!" (1Th 5,23). Amen! (Agli anziani:) Vi definite anziani, ma io sono un vostro coetaneo... Secondo gli anni siete anziani, ma nello spirito siete ancora giovani. Vi auguro di mantenere questo spirito giovanile, gioioso, come ho notato subito entrando in questo ambiente, dove ho trovato la gioia. Vi auguro di mantenere uno spirito gioioso, e ve lo auguro specialmente nelle vicinanze del Natale che per tutti noi, anche per i più anziani, è la festa della giovinezza, della nostra fanciullezza: tutti ci ritroviamo bambini davanti al Dio-Bambino, al Dio-Uomo. Ecco, vi auguro buon Natale, vi auguro anche che possano compiersi i vostri sogni, i vostri desideri, di cui ha parlato il vostro presidente. Il card. vicario conosce bene le situazioni concrete della diocesi e anche della città di Roma. Grazie per questa buona accoglienza. Mi sento tanto contento e tanto soddisfatto di essere venuto a trovare i miei coetanei.

(Al Consiglio pastorale:) Già mercoledi scorso, incontrando il parroco, sono potuto entrare, spiritualmente e intellettualmente, nella realtà della parrocchia di S.

Bernardetta Soubirous, la vostra parrocchia. E oggi ho potuto vedere con i miei occhi e ascoltare con le mie orecchie ciò che è questa parrocchia. Soprattutto una cosa mi ha detto il parroco, ed è una cosa straordinaria, direi stupenda: tutto quello che avete fatto in un tempo piuttosto breve, quasi da zero, ha accresciuto il quartiere e ha accresciuto la parrocchia allo stesso tempo. E per questo vorrei congratularmi con voi, specialmente con questo Consiglio pastorale, perché esso esprime in modo sintetico quello che è un po' il segreto della vostra riuscita.

Questo segreto consiste nel fatto che voi avete incarnato la realtà della Chiesa.

La Chiesa forse, in tempi passati, si vedeva un po' come la gerarchia, come i Pastori, i sacerdoti, le loro responsabilità. I laici erano visti piuttosto come una Chiesa passiva, una Chiesa che ascolta. Invece il Concilio ci ha lasciato una visione della Chiesa che non è così divisa. La Chiesa siamo "noi". Penso che il segreto della nascita della parrocchia consista nel fatto che avete capito questo: "noi" siamo la Chiesa, "noi" siamo questa comunità, "noi" siamo questa parte della Chiesa di Roma. Questo è molto importante perché porta in sé tutta la teologia della Chiesa, anzi tutta la teologia dell'incarnazione. Gesù Figlio di Dio è venuto nel mondo per creare un nuovo "noi" tra se stesso, Figlio di Dio fattosi uomo per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria, e tutta l'umanità, l'umanità intera, insieme con tutti quelli che lo riceveranno, che lo ascolteranno, che realizzeranno volentieri questo "noi" che è la Chiesa, insieme con lui.

La profondità della festa natalizia che si avvicina spiega il mistero della Chiesa, ma spiega anche la realtà, il successo della vostra parrocchia. Essa ha capito il suo insieme, il suo "noi" con Gesù Cristo, cercando di andare avanti e autorealizzarsi come comunità cristiana e umana, per il bene di tutti, di tutto il quartiere, di tutta la vostra carissima città di Roma. Vi ringrazio per questa opera, insieme con il vostro parroco, i sacerdoti e la vostra parrocchia e ancora una volta mi congratulo con voi. Buon Natale a tutti, alle vostre famiglie, alle persone care.

(Ai giovani:) Molte volte incontro i giovani visitando le parrocchie di Roma, ma anche visitando le altre città d'Italia e quelle di diversi Paesi e Continenti. Incontro sempre i giovani, questo è un momento fisso di ogni visita. E che cosa ho osservato? Ho osservato che i giovani, almeno nella maggioranza dei casi, non aspettano solamente di ascoltare quello che il Papa dirà, ma vogliono essere ascoltati, vogliono esprimersi. Questo è accaduto anche stasera nella vostra parrocchia dedicata a Santa Bernardetta Soubirous. Sono molto grato a voi perché è molto più facile parlare dopo aver ascoltato una testimonianza. Questa vostra testimonianza era soprattutto sull'amore, una testimonianza certamente fondamentale nel contesto di ogni persona umana e specialmente di ogni giovane. Il problema centrale della vita umana è l'amore. Il problema centrale anche del rapporto tra l'uomo e Dio è l'amore. Noi sappiamo che l'amore, la carità è il principale precetto che racchiude tutti gli altri. Sant'Agostino ha detto: "Ama e fa' ciò che vuoi". Allora, si deve veramente sottolineare questa centralità dell'amore nella vita umana e nel Vangelo.

Ci avviciniamo al Natale. Cosa vorrei augurarvi, carissimi giovani, in questo momento, durante questa visita? Vorrei augurarvi soprattutto d'incontrare quello Sposo che deve nascere come piccolo bambino, uomo, e nello stesso tempo Figlio di Dio. E' Lui il principale portatore di questo dono dell'amore per tutti noi. Vi auguro di incontrare questo Sposo come lo hanno incontrato le vergini sagge di cui parla la parabola evangelica. Vi auguro di incontrare questo Sposo, di imparare da lui cosa è l'amore, qual è la sua dimensione vera, qual è il suo significato autentico, qual è la sua profondità, e quali responsabilità porta con sé. Imparare l'amore: imparando l'amore s'impara quasi tutto. Chi sa amare con un amore autentico, profondo, vero, responsabile, sa tutto. Sa il Vangelo e conosce il segreto del destino umano, della vocazione umana. Sa molto su Dio stesso, forse non tutto, perché Dio è insondabile. Dio è amore. Questa breve risposta è il ringraziamento per le vostre suggestive parole e poi è l'augurio per le feste natalizie, per il nuovo anno, a tutti voi e ai vostri amici, coetanei, a tutte le vostre famiglie e a tutta questa parrocchia dedicata a una giovane. Bernardetta era giovane, era una ragazza nel momento in cui ha incontrato la Vergine a Lourdes.

Data: 1990-12-16

Domenica 16 Dicembre 1990

La visita al "Centro interparrocchiale Sacro Cuore" - Roma

Titolo: Il vostro lavoro aiuta le comunità a realizzare quel "di più" che completa e matura la loro vita

Durante questa presentazione, molto accorata e illuminante, ho cercato la parola-chiave per esprimere il significato di questo Centro. E' una parola sempre ricorrente. Questa parola è "cuore": Sacro Cuore, Ancelle del Sacro Cuore, Centro del Sacro Cuore. Certo, il cuore è il centro della nostra vitalità, del corpo umano, ma lo stesso si può dire anche del corpo spirituale, mistico, del corpo di Cristo. Sappiamo bene come si è sviluppata la devozione al Sacro Cuore, qual è il segreto, il mistero della sua personalità e anche della sua irradiazione mistica nella Chiesa.

Poi mi è venuta in mente un'altra parola, forse più astratta, una parola che si usa molto nella dottrina sociale della Chiesa: "sussidiarietà". E penso che il Centro ha appunto questa caratteristica per le diverse parrocchie che si sforzano di portare avanti la vita autentica, la vita cristiana dei parrocchiani, e che con i loro sforzi non sempre riescono a fare tutto, non sempre riescono a utilizzare tutte le energie presenti nella parrocchia, tutte le domande, tutte le richieste e le aperture che vi sono nelle persone, tutte le ricchezze. Per la prima volta incontro un tale Centro, pur avendo già visitato quasi 180 parrocchie di Roma. Per la prima volta incontro un Centro interparrocchiale; ed è un'iniziativa molto ben pensata, molto adeguata, perché serve, per le cinque comunità - qui rappresentate dai parroci - a fare quello che la parrocchia non è forse in grado di fare da sola, nel suo ambiente, con le sue forze. Questo Centro aiuta queste cinque parrocchie a fare quel "di più" che appartiene alla vita cristiana, per renderla più completa, più perfetta, più impegnata, più adeguata a ciò che essa dovrebbe essere non solamente a livello personale, ma anche comunitario.

Allora, vi sarei grato se questa parola che ho usato potesse servire anche alla vostra autodefinizione. Ma penso che non sia tanto importante la parola, quanto la realtà. Voi tutti fate un'esperienza vissuta in questo Centro.

Voi tutti, sacerdoti e laici, e soprattutto le suore che sono qui al Centro, sapete come esso vi serve, come vi è utile. Siete già consapevoli, convinti che sarebbe difficile vivere senza questo Centro, sarebbe difficile vivere una vita cristiana con il progetto che è proprio di ciascuno di voi, delle vostre famiglie, dei diversi ambienti dei parrocchiani di queste cinque comunità. Questo lavoro, questo apostolato del Centro ritorna poi nelle parrocchie, non si chiude qui in se stesso ma è orientato, come dice sempre il Concilio alla "sussidiarietà". Come il cuore, la cui attività ritorna ai diversi organi, così il lavoro del Centro ritorna alle diverse parrocchie per dare una vita più completa, più matura a queste comunità della diocesi di Roma.

Grazie per questo incontro, vi auguro una buona continuazione e vi auguro anche una partecipazione profonda alle feste natalizie, questo grande mistero che racchiude anche una nascita del cuore, il cuore umano del Verbo Eterno, del Figlio di Dio. Raccomando a questo Cuore Santissimo le sorelle, che sono già dedicate ad esso per la loro propria denominazione come comunità religiosa, tutti quelli che fanno parte di questo Centro e le vostre famiglie.

Data: 1990-12-16

Domenica 16 Dicembre 1990



Alla Famiglia Pontificia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dal Concilio Vaticano II al Sinodo: 25 anni di crescita

Signori cardinali, venerati fratelli della Curia Romana!


1. Mentre il periodo di Avvento dell'anno di grazia 1990 sta volgendo al termine, avvertiamo prossima ormai nella celebrazione liturgica della Chiesa l'apparizione della benignità e dell'amore per gli uomini di Dio, salvatore nostro (cfr. Tt 3,4).

Il Natale è vicino con i suoi doni di luce e di gioia e noi ci disponiamo a riviverlo in atteggiamento di grata esultanza. In esso celebriamo il mistero della salvezza: il mistero, cioè, di Dio che ha voluto farsi incontro all'uomo per colmarlo della sua misericordia e bontà.

Dalla notte santa si diffonde sull'intera umanità il chiarore di una luce nuova, che dà senso pieno alla sua stessa esistenza contrassegnandola con prove di condiscendenza ineffabile. Il cammino degli uomini porta i segni di questa costante, amorevole presenza. Il nostro pensiero va, in particolare, a un avvenimento che ci tocca più da vicino per il significato che ha avuto e ha per la Chiesa del nostro tempo. 25 anni or sono, proprio in questi giorni si concludeva il Concilio Vaticano II.

Il Concilio: evento di portata storica


2. Evento di portata storica, l'Assise conciliare ha certamente segnato una singolare e provvidenziale tappa nel cammino della Comunità cristiana. La Chiesa, mossa dallo Spirito Santo, è andata incontro con coraggio all'uomo del nostro tempo; lo ha quasi preso per mano per condurlo verso una più piena comprensione e attuazione del messaggio evangelico. Essa ha sentito il bisogno di parlare all'umanità di oggi con un linguaggio più facilmente comprensibile, senza tuttavia venire meno alle esigenze della verità.

La Chiesa ha avvertito, soprattutto, l'urgenza di un profondo rinnovamento, perché sul suo volto risplendesse sempre più chiaramente la luce di Cristo. E questo incessante sforzo di rinnovamento, nel senso soprattutto del richiamo al Vangelo e alla conversione costante, continua ancor oggi a guidare i suoi passi non senza difficoltà e fatica: ma si tratta, ne sono certo, della fatica della crescita. In questi anni, infatti, la Chiesa è cresciuta sia nella sua coscienza missionaria che nel suo impegno di conversione e di rinnovamento.

Mentre ringrazio con voi il Signore per aver voluto segnare con così grande abbondanza di doni spirituali il nostro secolo e in particolare quest'ultima sua parte, ricordo con venerazione i miei predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, che del Concilio furono ispiratori e principali artefici.

Il XXI Concilio Ecumenico - osservava Giovanni XXIII nel discorso di apertura, l'11 ottobre 1962 - mira a "trasmettere integra, senza attenuazioni o travisamenti, la dottrina cattolica che, nonostante difficoltà e contrasti, è divenuta patrimonio comune degli uomini... Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell'antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell'opera che la nostra età esige, proseguendo così il cammino che la Chiesa compie da quasi venti secoli".

Ritorno oggi volentieri su queste parole, perché esprimono significativamente lo spirito del Concilio e del periodo postconciliare, guidato dalla lungimirante prudenza del Papa Paolo VI. Egli, nel discorso d'apertura della quarta e ultima Sessione, diceva: "Il Concilio offre alla Chiesa, a noi specialmente, la visione panoramica del mondo... Mentre altre correnti di pensiero e di azione proclamano ben diversi principi per costruire le civiltà degli uomini, la potenza, la ricchezza, la scienza, la lotta, l'interesse, o altro, la Chiesa proclama l'amore. Il Concilio è un atto solenne di amore per l'umanità".

La Chiesa non ha cessato di proseguire il suo itinerario di salvezza fra gli uomini: essa si sente chiamata - quale popolo di Dio - a crescere nella comunione per servire gli uomini e portarli così alla perfetta unità nel Cristo loro Redentore.

La comunione: nozione-chiave nell'ecclesiologia del Vaticano II


3. Comunione: è, questa, certamente una nozione-chiave nell'ecclesiologia del Vaticano II e oggi, a 25 anni dalla sua conclusione, sembra doveroso far convergere ancora su di essa la nostra attenzione. La "koinonia" è una dimensione che investe la costituzione stessa della Chiesa e riveste ogni sua espressione: dalla confessione della fede alla testimonianza della prassi, dalla trasmissione della dottrina all'articolazione delle strutture.

A ragione, perciò, su di essa insiste l'insegnamento del Concilio Vaticano II, facendone l'idea ispiratrice e l'asse portante dei suoi documenti. Si tratta di una comunione teologale e trinitaria di ogni fedele con il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, che si riversa effusivamente nella comunione dei credenti tra di loro, raccogliendoli in un popolo: "de unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti plebs adunata" (S. Cypriani, "De Orat. Dom.", 23: PL 4, 553), con un'essenziale dimensione visibile e sociale.

La Chiesa appare così come l'universale comunione della carità (cfr. LG 23), fondata nella fede, nei sacramenti e nell'ordine gerarchico, nella quale pastori e fedeli si alimentano personalmente e comunitariamente alle sorgenti della grazia, obbedendo allo Spirito del Signore, che è Spirito di verità e di amore.

Il Sinodo: validissimo strumento di comunione


4. Una istituzione che, all'interno della Chiesa si dimostra validissimo strumento di comunione, è senza dubbio quella dei Sinodi. In essi, infatti, come il nome stesso significa, si raccolgono nell'unità di un comune cammino le energie e i passi, la fede e la speranza di tutti grazie al vincolo della carità.

Dai Sinodi promanano segni concreti di partecipazione alle aspirazioni e alle difficoltà di ciascuno, attraverso la comunicazione e lo scambio, nella reciproca fiducia di essere ascoltati e accolti in vista del bene della Chiesa, che è bene di tutti.

I Sinodi si propongono così come segni di comunione ecclesiale, poiché mentre radunano i vari membri della Chiesa, dirigono le loro attenzioni e le premure alle esigenze e alle mete generali e particolari dell'evangelizzazione e della carità.

L'istituzione sinodale segno manifestativo di una stagione fertile


5. Nel riandare col pensiero all'evento conciliare di 25 anni or sono, non possiamo non ricordare con commossa gratitudine verso il Signore della Chiesa un'istituzione, sorta nel clima della celebrazione conciliare, che si dimostro immediatamente come speciale espressione e strumento di ecclesiale comunione.

Intendo alludere al Sinodo dei vescovi.

Quando il 15 settembre 1965 il mio predecessore di v.m., il Papa Paolo VI, lo istitui col motu proprio "Apostolica Sollicitudo", il Concilio Vaticano II non era ancora terminato. Alla prima sorpresa per la novità subentro ben presto la consapevolezza di un avvenimento straordinariamente importante per il rafforzamento di relazioni di rinnovata e acuita sensibilità ecclesiale. La nuova istituzione apparve come un segno manifestativo e contemporaneamente premonitore, specialmente per i pastori della Chiesa, di una stagione fertile di frutti di condivisione e di amore, a reciproco sostegno nel portare i pesi gli uni degli altri (cfr. Ga 6,2).

E' ciò che traspare, del resto, dalle parole stesse del Papa Paolo VI, che vedeva nella "cum sacris pastoribus coniunctio" lo strumento principale per ottenere i migliori frutti del Sinodo, da lui descritti come "praesentiae solacium, prudentiae ac rerum usus auxilium, consilii munimentum, auctoritatis suffragium", a opera dei medesimi pastori.

Nel parlare della istituzione del Sinodo dei vescovi, torna spontaneamente alla memoria la figura di colui che fu chiamato ad esserne il primo segretario generale, il card. Wladislaw Rubin, recentemente chiamato alla casa del Padre per godere della perfetta comunione con lui nella gioia del cielo. A noi resta il suo esempio di generosa e instancabile dedizione alla Chiesa nella "caritas pastoralis", e di ciò siamo a lui grati nel ricordo e nella preghiera.

Tipiche priorità sinodali


6. I vescovi radunati in Sinodo "cum Petro et sub Petro", rendono manifesta e operante quella "coniunctio", che costituisce la base teologica e la giustificazione ecclesiale e pastorale del riunirsi sinodalmente. In questo modo appare chiaro come il Sinodo dei vescovi sia un'espressione efficace dell'affetto collegiale, inteso come sollecitudine comune per la Chiesa universale, come comune servizio svolto nella "caritas pastoralis", conformemente alla manifesta volontà del Signore.

Certo, l'autorità e l'oggettiva configurazione del Sinodo differiscono sostanzialmente da quelle del Concilio per costituzione, per rappresentatività, per capacità potestativa, per qualità e ampiezza di magistero e quindi per efficacia esecutiva. Infatti la collegialità episcopale in senso proprio o stretto appartiene soltanto all'intero collegio episcopale, il quale come soggetto teologico è indivisibile. Tuttavia il Sinodo si afferma come un modo espressivo e operativo nell'esercizio pastorale della "sollicitudo omnium ecclesiarum" propria di ogni vescovo, e del corrispondente "affectus collegialis" dei vescovi tra loro.

La validità del Sinodo, dunque, non può derivare da presunte superiori prerogative, ma si basa sulle tipiche proprietà sinodali, che rispondono ai nomi di "collegialis affectus", "collegialis effectus", "pastoralis coniunctio", "caritas pastoralis".

Quando si parla di collegialità effettiva e collegialità affettiva, all'interno del Sinodo, non si intende certamente introdurre o sottintendere una giuridica contrapposizione di termini quanto piuttosto indicare, in modo coerente con la natura del Sinodo, quell'inconfondibile disposizione interiore, che consiste nel mantenere vivo lo spirito collegiale nell'esercizio concreto della "caritas pastoralis".

Il Sinodo espressione della collegialità dei vescovi col Papa


7. Prende forza così anche il vitale rapporto esistente tra la "sollicitudo omnium ecclesiarum" di ogni vescovo e il primato petrino, come già ebbi modo di dichiarare in passato: "Nel mistero della Chiesa tutti gli elementi trovano il loro posto e la loro funzione. E così la funzione del vescovo di Roma lo inserisce profondamente nel corpo dei vescovi, quale centro e cardine della comunione episcopale; il suo primato, che è un servizio per il bene di tutta la Chiesa, lo pone in rapporto di unione e collaborazione più intensa. Il Sinodo stesso fa risaltare il nesso intimo tra la collegialità e il primato: l'incarico del successore di Pietro è anche servizio alla collegialità dei vescovi e per converso la collegialità effettiva e affettiva dei vescovi è un importante aiuto al servizio primaziale petrino" (30 aprile 1983).

Il Sinodo, dunque, è un'espressione peculiare della collegialità dei vescovi col Papa. L'esperienza di questi 25 anni è servita a meglio precisarne le caratteristiche. Nel rapporto col successore di Pietro il Sinodo trova non soltanto la garanzia dell'unità sia all'origine che nello svolgimento del suo lavoro, ma anche il fondamento della sua autorevolezza.

Rapporto tra Sinodo e Curia Romana


8. Nella prospettiva di questa relazione del Sinodo con il vescovo di Roma, riceve il suo senso specifico anche il rapporto tra lo stesso Sinodo e la Curia Romana.

Com'è noto, la Curia costituisce lo strumento, per mezzo del quale il Papa svolge il suo ministero nella Chiesa, esercitando le prerogative sue proprie di pastore universale. Non ha quindi fondamento un'interpretazione della Curia che volesse presentarla come un soggetto antitetico rispetto al Sinodo. Né sarebbe legittimo ipotizzare un atteggiamento concorrenziale tra le due istanze ecclesiali. Il principio di comunione e di servizio, nel contesto della "caritas pastoralis", fornisce il criterio per un'impostazione corretta dei mutui rapporti dal punto di vista teologico, ecclesiale e pastorale. La "praesidentia caritatis", che appartiene al vescovo di Roma, rappresenta l'ambito vitale, nel quale si compongono in unità le sollecitudini dei Pastori uniti a Pietro.

La Chiesa particolare è "Chiesa" proprio perché è presenza particolare della Chiesa universale


9. Sul fondamento di comunione, che sostiene la Chiesa nella sua intima costituzione e nelle sue più varie espressioni concrete e storiche, si costruisce l'esuberante correlazione di mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiese particolari.

In forza di questa costitutiva relazione si stabiliscono tra le singole parti "vincoli di intima comunione circa le ricchezze spirituali", mentre la "varietà di Chiese locali fra loro concordi, dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa" (LG 13). Per questa unità la Chiesa universale può sentirsi arricchita dei tesori delle Chiese particolari e le Chiese particolari gloriarsi dell'appartenenza alla Chiesa universale, la quale, appunto, è veramente presente e agisce in esse (cfr. CD 11).

Tale reciprocità, mentre esprime e preserva le rispettive dignità, illustra adeguatamente la figura della Chiesa, una e universale, che nelle Chiese particolari trova insieme e la propria immagine e un suo luogo di espressione, essendo le Chiese particolari formate "ad immagine della Chiesa universale, e in esse e da esse è costituita l'una e l'unica Chiesa cattolica" (LG 23). Le Chiese particolari a loro volta sono "ex et in Ecclesia universali": da questa e in questa, infatti, hanno la loro ecclesialità. La Chiesa particolare è "Chiesa" proprio perché è presenza particolare della Chiesa universale. così, da una parte, la Chiesa universale trova la sua esistenza concreta in ogni Chiesa particolare in cui essa è presente e operante e, dall'altra, la Chiesa particolare non esaurisce la totalità del mistero della Chiesa, dato che alcuni suoi elementi costitutivi non sono deducibili dalla pura analisi della Chiesa particolare stessa. Tali elementi sono l'ufficio del successore di Pietro e lo stesso collegio episcopale.

E in questo ambito l'istituzione sinodale si pone come un importante luogo di incontro di tutta la pluriforme ricchezza dei doni e degli scambi, fino a quel vertice che è costituito dalla celebrazione delle assemblee ordinarie del Sinodo dei vescovi. In esse confluiscono nel modo più ampio possibile le istanze della Chiesa universale riflesse dalle diverse Chiese particolari.

I pastori di queste, con la loro personale responsabilità pastorale, si riuniscono nell'effettivo esercizio dell'affetto collegiale, in spirito di comune servizio per tutta la Chiesa e per tutte le Chiese ad essi affidate.

In questo dinamismo entrano, perciò, le Chiese particolari come efficaci soggetti di comunione.

In tal senso, nell'ambito del Sinodo, mediante la "coniunctio pastorum", anche fisicamente visibile e attiva, si manifesta e celebra la "communio ecclesiarum".

E' spontaneo qui ricordare la celebrazione del recente Sinodo sulla formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali: in esso la comunione delle Chiese ha conosciuto segni particolari di intensità e di unanimità, specialmente in riferimento al fatto del tutto nuovo della partecipazione dei vescovi dell'Europa centrale e orientale, sia di rito latino che di rito orientale. E' stato un avvenimento che ha suscitato nell'animo di tutti lode e ringraziamento al Signore della storia per le "grandi cose" che egli continua a operare nella sua Chiesa.

La testimonianza esemplare della Chiesa di Roma

10. Diverso si presenta il discorso, se ci si riferisce ad altre forme di attività sinodale, come sono le assemblee speciali del Sinodo dei vescovi o i Sinodi diocesani. In questo tempo si stanno compiendo alacremente i preparativi per ben due assemblee speciali del Sinodo dei vescovi, che, a Dio piacendo, celebreremo nel prossimo futuro.

Vicino è ormai il Sinodo per l'Europa, al quale prenderanno parte le Chiese del continente, portandovi, con le ricchezze della loro storia, prospettive, preoccupazioni, speranze, suscitate dai rivolgimenti storici verificatisi di recente. E' un evento importante, che ci si augura possa recare un efficace contributo all'opera di rievangelizzazione dell'Europa, assicurando l'afflusso di nuova linfa dalle antiche radici cristiane per un futuro di autentico progresso nel rispetto di ogni dimensione umana.

Il Sinodo speciale per l'Africa è anch'esso oggetto di attenta preparazione in vista dello sviluppo di quelle Chiese aperte al futuro della evangelizzazione e della testimonianza.

Né può dimenticarsi la speciale forma sinodale, avviata col Sinodo Particolare dei vescovi dei Paesi Bassi, il cui Consiglio è ancora operante, e che ha lo scopo di affrontare gli specifici problemi incontrati dalla Chiesa in quel territorio.

Nella tradizione della Chiesa acquistano, poi, un significato proprio i Sinodi delle Chiese Orientali, che sono sotto la direzione dei patriarchi o degli arcivescovi maggiori e possiedono speciali titoli di autorità pastorale ed ecclesiale.

Degni di attenzione sono, infine, i Sinodi diocesani, nei quali il vescovo, attuando una speciale forma di "communio" con i presbiteri, i religiosi e i fedeli laici, si rivolge alla Chiesa particolare per affrontare con la riflessione, la preghiera, la sollecitudine pastorale i problemi posti dalla proclamazione della fede e dalla testimonianza della carità nelle concrete situazioni del mondo d'oggi.

Così è del Sinodo di questa santa Chiesa di Roma, che "presiedendo" per volontà di Cristo "alla carità", è investita di una particolare responsabilità a motivo della testimonianza esemplare che deve offrire di fronte a tutto il popolo di Dio.

Alla Chiesa e all'umanità giustizia, concordia e pace

11. Venerati fratelli, anche l'istituzione sinodale, come ogni struttura ecclesiale, ha in definitiva la sola finalità di far echeggiare, in ogni angolo della terra e in ogni epoca della storia, la parola angelica risonata nella notte di Betlemme: "Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore che è il Cristo Signore" (Lc 2,10-11).

In prossimità ormai del grande evento, che ha cambiato la storia del mondo, noi ci raccogliamo in ascolto di quell'annuncio, per rivivere nella fede la "grande gioia" della nascita del Salvatore. Di quella gioia vogliono essere espressione anche gli auguri che fraternamente ci scambiamo per l'imminente Natale e per l'anno nuovo, che s'affaccia alle porte ricco di confortanti speranze, ma segnato anche da drammatiche incertezze.

Voglia il Signore allontanare dal mondo le nubi minacciose che ne ingombrano l'orizzonte e concedere alla Chiesa e all'umanità giustizia, concordia e pace. Voglia egli riversare in particolare su di voi, che partecipate da vicino alle sollecitudini del successore di Pietro, l'abbondanza delle sue consolazioni.

Sono grato al cardinale decano delle affettuose parole con cui ha interpretato i voti augurali del Collegio e di tutti i presenti. A lui, ai signori cardinali, e a voi, membri della Curia Romana, del Governatorato e del Vicariato di Roma, vada l'espressione della mia viva riconoscenza per la collaborazione che da ciascuno ricevo nell'adempimento del compito affidatomi.

Mi si consenta, in un momento di singolare comunione d'animi come questo, di rivolgere una speciale parola di gratitudine al card. Agostino Casaroli, che ha lasciato da poco l'ufficio di segretario di Stato dopo lunghi anni di totale dedizione al servizio della Sede apostolica. Desidero sottolineare di lui, accanto alle ben note qualità di diplomatico lungimirante e saggio, le spiccate doti umane e sacerdotali - la fedeltà, la lealtà, la bontà - che me ne hanno resa preziosa la collaborazione e mi hanno fatto riconoscere in lui un autentico "uomo di Chiesa".

Porgo il mio augurio al successore, il pro-segretario di Stato mons.

Angelo Sodano, come pure a quanti nel corso dell'anno che si chiude hanno assunto nuove responsabilità nella direzione di Dicasteri e Organismi della Santa Sede.

Con l'auspicio che il Natale del Signore, che ci apprestiamo a rivivere, accresca negli animi di tutti quella buona volontà che è la premessa della vera pace (cfr. Lc 2,14), a voi, ai vostri collaboratori e alle persone care imparto di cuore la mia benedizione.

Data: 1990-12-20

Giovedi 20 Dicembre 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Agli "Amici di Ponte di Legno" - Città del Vaticano (Roma)