GPII 1991 Insegnamenti - La preghiera mariana in piazza san Pietro - Città del Vaticano (Roma)

La preghiera mariana in piazza san Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La pace sociale è contro la lotta di classe e la conflittualità sistematica e permanente

Carissimi fratelli e sorelle!


1. La solennità dell'Epifania riporta ancora una volta la nostra attenzione sull'universale chiamata degli uomini al regno di Cristo. L'odierna ordinazione di 13 nuovi Vescovi, provenienti da ogni parte del mondo, costituisce una conferma dell'universalismo del messaggio cristiano. Mentre porgiamo ai neo-consacrati le nostre felicitazioni e i nostri auguri, ci prostriamo con i Magi davanti al Bambino che giace nel presepe. Egli è il Re universale venuto sulla terra per redimere l'uomo. Al di là delle differenze etniche, culturali e sociali, Cristo cerca l'uomo nella sua natura, nella sua capacità di vero e di bene, nella sua condizione di creatura bisognosa di perdono e di salvezza. Egli cerca l'uomo che, come dice il Concilio Vaticano II, è l'unico essere che Dio abbia voluto per se stesso. Incarnandosi, il Figlio di Dio "svela pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione".


2. Alla luce di questa vocazione e redenzione universale si spiega e va letto il costante insegnamento della Chiesa, che fin da principio rifiuta il particolarismo religioso e s'impegna nella evangelizzazione di tutte le genti, gettando così le basi di una concezione universalistica e unitaria sul piano sia religioso che culturale e sociale. Anche la solidarietà tra gli uomini del mondo del lavoro, insegnata da Leone XIII nell'enciclica "Rerum Novarum", deriva da quel messaggio cristiano delle origini. Ciò non significa che Papa Leone ignori la complessa articolazione di quel mondo e i problemi con cui esso deve misurarsi. Tuttavia, pur considerando le ingiuste sperequazioni e disparità, che connotano la realtà operaia, egli afferma che, alla luce del Vangelo, non è giusto "supporre l'una classe sociale nemica naturalmente all'altra, quasi che i ricchi e i proletari li abbia fatti natura a lottare con duello implacabile fra loro". Invece, analogamente a ciò che avviene tra le diverse membra del corpo umano, "volle la natura che nel civile consorzio armonizzassero tra loro quelle due classi, e ne risultasse l'equilibrio... L'una ha bisogno assoluto dell'altra". Da parte sua, la Chiesa "mira... a riavvicinare il più possibile le due classi e a farle amiche".


3. A distanza di cento anni possiamo renderci conto della saggezza con cui Leone XIII insegnava la pace sociale contro le teorie della lotta di classe e della conflittualità sistematica e permanente. Dopo tante sofferenze dei singoli e dei popoli, si delinea un generale orientamento verso forme nuove di collaborazione e di solidarietà. E' in tale linea che può essere cercata la piena giustizia sociale nel contesto di una autentica fraternità umana. Auguriamoci, oggi, giorno dell'Epifania, che, per intercessione della Vergine, questo sentimento di universale fraternità s'affermi tra gli uomini e produca frutti confortanti di operosa concordia. Ai partecipantialla tradizionale manifestazione religiosa e folkloristica "Viva la Befana".

Saluto i partecipanti alla simpatica manifestazione "Viva la Befana", giunta ormai alla sesta edizione. Vi do il benvenuto a questo incontro dell'Angelus e vi esprimo il mio apprezzamento per codesta vostra iniziativa, con la quale intendete attirare l'attenzione sugli aspetti religiosi e sulle tradizioni folkloristiche, connessi con la festa dell'Epifania. La rievocazione del Bambino Gesù, verso cui convergono, a cominciare dai Magi, tutti i popoli, sia per ognuno di noi stimolo a saper comprendere ed accogliere i nostri fratelli, a qualunque razza, lingua e cultura essi appartengano. Vi ringrazio di cuore per la vostra significativa presenza e vi auguro ogni bene.

Data: 1991-01-06
Domenica 6 Gennaio 1991


Ai Superiori generali di ordini che operano in America Latina - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Generosa docilità, piena sintonia e filiale sottomissione ai Vescovi e al Papa

Eminenza, Carissimi fratelli e sorelle, Sono particolarmente lieto di potermi oggi incontrare con Lei e con una qualificata rappresentanza di Superiori e Superiore Maggiori di Congregazioni Religiose che hanno molti membri dediti al lavoro apostolico in America Latina.

Nello spirito di questo affetto per la Chiesa che accomuna volontà e sentimenti, sento il dovere, come successore del Capo del Collegio Apostolico a cui Gesù ha affidato l'unità e la guida del suo gregge, di mettervi a parte dei sentimenti di gioia e di qualche preoccupazione circa la presenza e l'attività dei Religiosi in quel continente. In primo luogo, la vostra presenza, come responsabili di famiglie religiose molto diffuse in America Latina, mi fa rivivere momenti toccanti e indimenticabili, vissuti negli incontri con le vostre comunità in occasione dei miei viaggi apostolici. In voi vedo oggi i rappresentanti di numerose schiere di uomini e donne che, nella fedeltà al carisma della propria Congregazione, si sono consacrati a Cristo ed hanno, poi, anche contribuito grandemente all'opera dell'evangelizzazione dell'America Latina.

Essi sono diventati così pionieri di una nuova civiltà originata dalla parola del Signore e dal sacrificio della Croce, e nella quale la legge suprema è quella dell'amore. Essi hanno contribuito efficacemente a seminare il germe, poi cresciuto in albero rigoglioso, delle Chiese particolari che oggi si presentano dinanzi a noi nella loro giovanile vitalità. In voi io vedo e saluto oggi le decine di migliaia di Religiosi e Religiose che, dopo aver lasciato terreni, casa, padre, madre, fratelli e sorelle, con generoso impegno ed abnegazione annunciano con la parola e con la loro vita la Buona Novella del Regno di Dio, strumenti che traducono in opere l'amore di Dio e la sollecitudine della Chiesa verso l'uomo latino-americano, come ho scritto a tutti i Religiosi e Religiose dell'America Latina nella Lettera Apostolica del 29 giugno scorso.

Ho ben presente il loro lavoro umile e nascosto, al servizio di una umanità povera, spesso dimenticata ed abbandonata. E' questa una presenza benedetta, preziosa agli occhi del Signore. Essi, fedeli e validi collaboratori delle Chiese particolari, seguono gli orientamenti dei loro Pastori, cui compete come successori degli Apostoli di governare la porzione del popolo di Dio loro affidata, sia in modo diretto sia in forma congiunta (desidero ricordare ora in particolare le Assemblee Episcopali di Medellin e di Puebla) e si sforzano di tradurre in gesti concreti e in azione pastorale l'amore preferenziale che la Chiesa, seguendo l'insegnamento del Maestro Divino, nutre verso i più poveri ed i più bisognosi. In questo incontro che ci presenta nuovi orizzonti per la vita della Chiesa in America Latina e offre al mio animo motivi di vero conforto, non posso non rendervi partecipi della mia viva preoccupazione per alcuni aspetti meno rassicuranti, che incidono profondamente nella vita dei Religiosi e causano negative ripercussioni anche in seno a tutta la comunità ecclesiale.

Ai legittimi responsabili del governo delle Chiese particolari tutto il gregge deve docilità e fedeltà come insegna la fede cattolica, ma è soprattutto dovere dei Religiosi di circondare i Pastori "con spirito filiale di riverenza e di affetto", come leggiamo nel Decreto Conciliare "Perfectae Caritatis". Ivi pure vi è il pressante appello ai Religiosi: "Sempre più intensamente vivano e sentano con la Chiesa e si mettano a completo servizio della sua missione". Purtroppo ci sono fondati motivi per affermare che non soltanto alcuni gruppi di Religiosi non sono solleciti nel ricercare e fomentare questa comunione ecclesiale, che il Signore ha voluto affidare alla guida degli Apostoli e dei loro successori, ma non di rado promuovono iniziative parallele, quando a volte non apertamente contrarie alle direttive del Magistero Ecclesiastico.

Le Federazioni Nazionali dei Religiosi e delle Religiose e la stessa CLAR (Confederazione Latino Americana dei Religiosi) sono organismi molto utili per promuovere una più efficace collaborazione per il bene della Chiesa. Pero le direttive date per il loro retto funzionamento non sono state sempre accolte con generosa docilità. E ciò, ovviamente, è stata causa di preoccupazione e di dolore.

In un momento così significativo per la vita della Chiesa, mentre ci prepariamo a celebrare il V Centenario della evangelizzazione del Nuovo Mondo, mi sta particolarmente a cuore condividere con voi e, per mezzo vostro, con tutti i Religiosi impegnati nella costruzione del regno di Dio in America Latina, la sollecitudine per il bene della Chiesa in quel continente, a noi tutti caro. La comunione ecclesiale è un bene che va difeso e promosso da tutti, nel rispetto della missione propria di ogni membro del Corpo Mistico di Cristo. Rivolgo pertanto un vibrante appello perché tutte le Famiglie Religiose presenti in America Latina, in piena sintonia e filiale sottomissione ai Vescovi ed al Papa, si impegnino "per la nuova evangelizzazione" di quel continente.

La Vergine di Nazareth ci insegni con i suoi esempi di umiltà e docilità a donarci senza alcuna riserva alla causa del suo Divin Figlio e della Sua Santa Chiesa! Al termine del discorso, il Papa aggiunge le seguenti parole.

Sono molto grato per questa visita come anche per questa riunione di due giorni. Sapendo, soprattutto grazie ai Vescovi che vengono per le visite "ad limina", delle difficoltà che incontrano e dato che, negli ultimi anni, erano soprattutto Vescovi dell'America Latina, si è pensato di cercare rimedi nel contesto della comunione ecclesiale e si è visto subito che il modo più opportuno era quello di coinvolgere in questa nostra preoccupazione i Superiori religiosi: in un certo senso tutti i Superiori religiosi, ma soprattutto quelli che sono più rappresentati in America Latina, cioè le comunità più presenti in quel continente.

Ciò significa anche agire insieme, operare insieme, riflettere insieme e prevedere insieme i mezzi da adottare.

Il problema è importante: si tratta, infatti, della "optio pro pauperibus", dell'opzione preferenziale per i poveri. Io penso che il Papa e tutti i Vescovi hanno lo stesso spirito e che, nello stesso spirito, si siano sempre pronunciati e anche comportati. Ma si tratta di mantenere, di rendere manifesta la buona volontà di noi tutti, di noi Pastori, e di fare di tutto per mantenere la coesione del corpo ecclesiale, per non staccarsi, per non creare un modo di agire parallelo. Questo è un problema che ci preoccupa da tempo e che si può risolvere con la buona volontà, che certamente non manca, con la grazia di Dio, con l'opera dello Spirito Santo, e riferendosi anche alla stessa natura della vocazione religiosa, della vita consacrata. Spero che come in questi giorni, in cui i carissimi Superiori e le carissime Superiore Maggiori ci hanno assistito in questa riflessione comune, così anche in futuro potremo contare sulla vostra collaborazione, perché si tratta di una realtà nostra: "Res nostra agitur", non ci sono diverse "res", separate, ma è una "res" nostra, cioè il Vangelo, la Chiesa e la sua missione.

Ciò vale soprattutto in questo momento così importante per l'America Latina che si avvicina al V centenario dell'evangelizzazione, un momento esaltante, ma anche difficile, perché sappiamo bene che questo centenario incontra critiche da parte di alcuni ambienti, i quali non vedono gli aspetti positivi ma solo quelli negativi. Speriamo che questo primo passo, che era necessario, risulti anche utile.

Data: 1991-01-10
Giovedi 10 Gennaio 1991

Ai partecipanti ad un convegno promosso dall'Unione Giuristi Cattolici - Roma

Titolo: Il compito dei giuristi

Signor Presidente, Signore, Signori,


1. Sono felice di accogliervi in occasione del colloquio che vi vede riuniti a Roma, dietro invito dell'Unione dei Giuristi cattolici italiani e sotto il patrocinio dell'Unione internazionale dei Giuristi Cattolici, con la partecipazione di numerose personalità della Curia romana.

Avete scelto per argomento un tema fondamentale: "Diritto naturale e diritti dell'uomo all'alba del XXI secolo". Sono lieto di vedere specialisti cattolici altamente qualificati dedicare del tempo per chiarire insieme nozioni di primaria importanza, che riguardano direttamente la concezione cristiana dell'uomo e dei suoi diritti, oggi come ieri.

Nel quadro di un'udienza necessariamente breve, mi limitero a qualche osservazione ispirata dallo stesso programma dei vostri lavori. Si osserva subito che avete unito in modo adeguato le vostre ricerche sul diritto naturale come fondamento universale in tutti i campi del diritto con un esame dei valori e dei principi che ispirano la regolamentazione secondo il diritto della vita sociale a livello statale e di comunità internazionale.


2. Nella nostra epoca, è evidente per tutti che la "famiglia umana" soffre a causa di numerose violazioni del diritto, di continui attentati alla dignità della persona; di una ingiusta ripartizione delle risorse di ogni tipo, di conflitti che dilania molti popoli. E allo stesso tempo, la coscienza di formare una vasta comunità, fondata sull'uguale dignità delle persone, la sete di giustizia e di pace per l'umanità intera, fanno progredire in modo limitato ma reale verso una riconciliazione e un'unità che possiamo considerare accessibili e non più come delle utopie.

In una parola, si tratta di costruire, e su delle solide basi un'unità armoniosa. Si pensa subito al riconoscimento "universale" dei diritti dell'uomo.

Ma, per assicurarne la crescita è fondamentale che si metta in luce il diritto naturale, che si potrebbe definire come la verità del diritto.

Il diritto naturale, lo sapete meglio di chiunque, non offre al legislatore norme specifiche, poiché esse vanno perfezionate incessantemente. Esso non pretende di costituire di per sé un codice di comportamento sociale eterno e slegato da ogni rapporto con la storia. Ma esige che, nei diversi campi dell'esistenza, sia garantita la libertà umana. Piuttosto che esercitare un controllo sul diritto positivo, il diritto naturale tende a esprimersi concretamente in esso e a vivificarlo. Ed è per questo che resta valido, anche dove le più gravi violazioni colpiscono l'uomo, come testimoniano il coraggio e la grandezza di tanti eroi che i peggiori tiranni non hanno mai potuto schiacciare.


3. I drammi vissuti dalle ultime generazioni hanno comportato, per una sana reazione, un maggiore riconoscimento dei diritti umani. Questi entrano nella coscienza di ciascuno; sono meglio percepiti come universali, naturali, inviolabili, insomma, come il bene comune dell'umanità. A questo proposito, il compito dei giuristi di oggi non consiste solamente nel cooperare per la promozione e la difesa di tali diritti, ma piuttosto nel renderne ragione in modo convincente e nello stabilirne le basi. Spetta ai giuristi, soprattutto, smascherare le tentazioni, che possono ancora manifestarsi, di non vedere nei diritti dell'uomo che delle opzioni, senza altra garanzia che un consenso filantropico abbastanza vago o una volontà politica aleatoria.

La riflessione sul diritto naturale si avvicina sempre più al suo fine quando giunge a riconoscere nell'uomo la sua qualità di persona. Su questo punto, la fede ci dà una luce decisiva, poiché ci insegna che l'uomo viene chiamato ed elevato da Dio, suo Creatore, alla condizione di figlio. La Buona Novella annunciata da Cristo significa la fine di una prigionia: i legami che incatenano l'uomo nel suo rifiuto di amare e di comunicare sono spezzati. Attraverso l'atto supremo dell'amore, che Dio ha compiuto nel suo Figlio, l'uomo è ristabilito nella sua dignità e nella sua capacità di amare e di comunicare. Aperti a questa importante prospettiva sul destino ultimo della persona umana, voi saprete meglio riconoscere e definire, sul cammino, le linee generali che pone il diritto.


4. Signore e Signori, è con questo spirito che vorrei incoraggiarvi nel vostro lavoro di questi giorni come nelle vostre molteplici attività giuridiche. Sarete guidati nelle vostre riflessioni dallo Spirito del Dio di giustizia. "Giustizia e pace si baceranno", dice il Salmista (Ps 84,11). Al termine del secondo millennio auguro a voi, giuristi cattolici, di aiutare la famiglia umana ad avvicinarsi a questo obbiettivo, diventando più solidale e prendendo più viva coscienza della propria vocazione.

Di tutto cuore vi imparto la mia Benedizione Apostolica e prego il Signore di proteggervi lungo il cammino con la grandezza della sua giustizia, la dolcezza della sua misericordia e la forza del suo amore.

(Traduzione dal francese)

Data: 1991-01-11
Venerdi 11 Gennaio 1991

All'Ambasciatore di Danimarca - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La pace: una delle preoccupazioni essenziali della Santa Sede

Signor Ambasciatore,


1. Dopo il felice ripristino delle relazioni diplomatiche tra la Danimarca e la Santa Sede, voi siete la terza personalità scelta da Sua Maestà la Regina Margherita II per rappresentare qui il Governo e il popolo danese. Mi è gradito accogliere Vostra Eccellenza e ricevere le sue lettere di accreditamento.

Nella vostra relazione piena di rispettosa cortesia, avete giustamente sottolineato il carattere fiducioso dei buoni rapporti che esistono tra il vostro Paese e la Sede Apostolica. Posso assicurarvi, signor Ambasciatore, che la mia visita effettuata in Danimarca nei primi giorni di giugno 1989 ha rafforzato in me questo sentimento. Come potrei dimenticare l'amabilissima accoglienza di Sua Maestà la Regina Margherita II nel Palazzo di Fredensborg? Sarei grato a Vostra Eccellenza di presentare a Sua Maestà l'espressione della mia deferente considerazione e dei miei rinnovati auguri per il felice adempimento della sua alta carica.


2. Mi piace, inoltre, ricordare la celebrazione eucaristica nel parco delle Benedettine a Copenaghen, il servizio di preghiera nella magnifica Cattedrale di Roskilde, seguita da un incontro fraterno con i vescovi luterani nella residenza del Reverendo Ole Bertelsen, l'assemblea ecumenica al Palazzo Moltke, la riunione diplomatica alla nunziatura. Tutti questi sentiti momenti del mio soggiorno in Danimarca hanno favorito una nuova e reciproca apertura de gli spiriti e dei cuori, dei quali io continuo a rendere grazie a Dio.

Ho potuto constatare con soddisfazione che la Chiesa cattolica, presente in Danimarca come comunità modesta ma fortemente viva, trova agevolmente posto nella nazione. E posso assicurarvi che in effetti il desiderio dei cattolici è di portare, nella misura delle loro possibilità, il loro contributo al pieno sviluppo sociale e spirituale dei loro compatrioti.


3. Voi avete d'altro canto ricordato, Eccellenza, l'impegno e gli sforzi della Santa Sede per la pace nel mondo. E' proprio questa una delle preoccupazioni essenziali che anima i nostri dialoghi e la nostra azione nella vita internazionale. Il messaggio che ci ispira è un messaggio di pace, di una pace fondata su ciò che vi è di meglio nell'uomo, di una pace che non può essere consolidata che attraverso il rispetto reciproco e il mutuo soccorso di tutti i popoli della terra, con l'esplicito riconoscimento dei diritti trascendenti della persona umana.

La Santa Sede si rallegra che la Danimarca persegua obbiettivi umanità, particolarmente con un impegno generoso in favore dei popoli più poveri del mondo.

La vostra nazione si mostra inoltre fedele alla sua tradizione cristiana. E' per me motivo di soddisfazione sapere che, a più riprese, i rappresentanti della Danimarca nelle istanze internazionali hanno espresso vedute vicine a quelle dei delegati della Santa Sede, contribuendo attivamente a favorire un clima di riconciliazione e di cooperazione costruttiva per il bene comune.

E' importante oggi che tutti i Paesi, qualunque sia la loro potenza, uniscano i loro sforzi, non soltanto per appianare le differenze che possono sorgere, ma anche per assicurare alla maggior parte degli uomini una qualità di vita coerente con i principi etici di un umanesimo plenario che, ai nostri occhi, corrisponde al disegno di Dio sul mondo.


4. Al termine di questo colloquio, vorrei ancora assicurarvi, signor Ambasciatore, che apprezzo vivamente le generose disposizioni che vi animano all'inizio dell'alta missione che state per adempiere in nome di Sua Maestà la Regina di Danimarca e del Governo danese. Alla Santa Sede troverete sempre un'accoglienza benevola e cordiale presso i miei vicini collaboratori, ogni volta che voi desidererete incontrarli.

Esprimendo i migliori voti per il pieno successo della vostra missione, come per la felicità e la prosperità del vostro caro Paese, invoco sulla vostra persona, signor Ambasciatore, e su coloro che vi sono particolarmente cari, oltre che su tutta la nazione che voi rappresentate, le Benedizioni divine.

(Traduzione dal francese)

Data: 1991-01-11
Venerdi 11 Gennaio 1991

Telegramma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Preoccupazione per la situazione in Lituania

Il Santo Padre, nella sua viva preoccupazione per la situazione in Lituania, rinnova il suo pressante appello al dialogo in un telegramma inviato all'Em.mo Cardinale Vincentas Sladkevicaius, Arcivescovo di Kaunas e Presidente della Conferenza Episcopale Lituana. Questo il testo del telegramma.

In questo momento in cui mi giungono echi di nuove difficoltà desidero manifestare a Vostra Eminenza la mia rinnovata solidarietà con la sofferenza e le apprensioni del diletto popolo lituano. Esprimo il fervido auspicio che l'esperienza del passato ispiri tutti a ricercare con paziente tenacia, in un dialogo rispettoso e comprensivo, la giusta soluzione alle presenti tensioni.

Affido alla Madre della Misericordia questo vivo desiderio che scaturisce dal profondo del mio cuore trepidante mentre invoco su tutta la nobile Nazione lituana e sui suoi Pastori la Benedizione di Dio Onnipotente.

Data: 1991-01-11
Venerdi 11 Gennaio 1991

Messaggio al Segretario generale dell'ONU, Perez De Cuellar

Titolo: Che siano evitate scelte dalle conseguenze disastrose

In queste ore decisive in cui l'umanità guarda con angoscia verso il Golfo Persico e non può rassegnarsi alla guerra, il mio pensiero vi raggiunge, ora che Vostra Eccellenza si prepara a compiere una missione di buona volontà a Bagdad.

Invoco con tutto il cuore sulla vostra persona le benedizioni del Dio della Pace affinché vi guidi e faccia in modo che i vostri sforzi trovino un'eco favorevole. Mi auguro ardentemente che l'autorità morale che voi rappresentate contribuisca a far prevalere alla fine il dialogo, la ragione e il diritto, e che siano inoltre evitate delle scelte dalle conseguenze disastrose e imprevedibili.

Che trionfi il bene supremo della pace tanto desiderata da tutti i popoli della terra! (Traduzione dal francese)

Data: 1991-01-11
Venerdi 11 Gennaio 1991

Discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Si, la pace è ancora possibile

Eccellenze, Signore, Signori,


1. Il tradizionale scambio di auguri, all'alba del nuovo anno mi offre la piacevole occasione di rincontrarvi e di rafforzare così i legami fra il Papa ed i rappresentanti delle nazioni che desiderano intrattenere rapporti diplomatici o ufficiali con la Santa Sede.

Le parole del vostro Decano, l'Ambasciatore Joseph Amichia mi hanno toccato vivamente. Vi ringrazio per questi auguri espressi delicatamente, così come della vostra amichevole comprensione per l'azione condotta dalla Santa Sede in favore di rapporti internazionali sempre più ispirati dai supremi valori del bene, della verità e della giustizia.

Viva soddisfazione per la presenza di ambasciatori di Paesi che hanno ritrovato la libertà


2. Quest'anno, abbiamo la gioia di avere fra noi gli ambasciatori di paesi che hanno recentemente ritrovato la libertà, dopo un lungo "inverno", e i cui popoli scoprono o ritrovano le regole della vita democratica e del pluralismo. Mi è particolarmente grato porgere il benvenuto agli ambasciatori della Polonia, dell'Ungheria e della Repubblica federale ceca e slovacca, aspettando di accogliere presto il rappresentante della Romania, così come quello della Bulgaria, paese che, per la prima volta nella sua storia, ha desiderato intrattenere rapporti diplomatici con la Santa Sede.

Allo stesso modo provo una viva soddisfazione a salutare qui il rappresentante dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche il cui Governo ha voluto stabilire rapporti ufficiali con la Sede Apostolica. Desidero inoltre menzionare la presenza del rappresentante personale del Presidente degli Stati Uniti Messicani e porgere cordialmente il benvenuto ai capi delle missioni ed ai loro collaboratori recentemente accreditati. Con le vostre famiglie, formate tutti una vera "comunità" che riflette la ricca diversità dei popoli della terra in mezzo ai quali la Chiesa si sforza di portare la sua testimonianza di fede, di speranza e di carità.

Poiché Cristo, dal giorno di Natale, si è unito ad ogni uomo, la Chiesa a sua volta condivide la sua sollecitudine per ciascuno. Ecco perché il Papa, che presiede la comunione ecclesiale, deve essere al servizio degli uomini, chiunque essi siano, quali che siano le loro convinzioni, e non può restare indifferente alle loro gioie né alle minacce che gravano su di essi.

Un'Europa riconciliata può dare un messaggio di speranza al mondo


3. Come tanto giustamente ricordava il vostro decano, il mondo ha vissuto un anno particolarmente fertile di avvenimenti singolari. L'Europa intera ha sentito spirare il vento rigeneratore della libertà, una libertà conquistata, al prezzo di duri sacrifici, da popoli che valutano oggi fino a che punto l'ideale incarnato dallo Stato di diritto sia esigente.

Il vertice dei capi di Stato o di governo di trentaquattro paesi partecipanti alla Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE), tenutosi recentemente a Parigi, ha fornito l'immagine eloquente di un'Europa riconciliata con se stessa. Le elezioni hanno permesso ai popoli dell'Europa centrale e orientale di esprimersi. La Germania ha ritrovato la propria unità territoriale e politica. I negoziati sul disarmo sono stati accelerati. Nella maggior parte delle istanze europee si sente la necessità di "strutturare" le forme di collaborazione già esistenti. In breve, vediamo nascere sotto i nostri occhi un'"Europa rinnovata", come testimoniano le dichiarazioni dei partecipanti all'incontro di Parigi che ho appena menzionato: "L'epoca del confronto e della divisione in Europa è passata. Dichiariamo che i nostri rapporti saranno fondati, ormai, sul rispetto e la cooperazione. Spetta a noi oggi realizzare le speranze e le aspettative che i nostri popoli hanno nutrito per decenni: un impegno indefettibile in favore della democrazia fondata sui diritti dell'uomo e le libertà fondamentali; la prosperità attraverso la libertà economica e la giustizia sociale; ed una sicurezza uguale per tutti" (Carta di Parigi).

Dobbiamo ringraziare i cittadini e i dirigenti che, grazie alla loro fede nell'uomo e alla loro perseveranza, sono giunti a tali risultati nel filo diretto delle grandi tradizioni europee. Ma permettetemi eccellenze, signore, signori, di elevare davanti a tutti la mia azione di ringraziamento verso il "maestro della Storia" - in Lui infatti "viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (Ac 17,28) - che ha voluto, forse per la prima volta, una trasformazione profonda dell'Europa che non fosse il risultato di una guerra.

Essendo giunti questi "tempi nuovi", ogni paese d'Europa è chiamato a mettere in atto ciò che l'evoluzione politica ha permesso: un impegno deciso a favore della democrazia, il rispetto effettivo dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la prosperità attraverso la libertà economica e la giustizia sociale, una sicurezza uguale per ogni nazione.

Nell'Europa occidentale, questi scopi sono stati già più o meno raggiunti ma i cittadini di questa parte del continente sembrano caratterizzati da una certa mancanza di ideali. Nel diciannovesimo secolo, molti europei hanno riposto la loro fiducia nella ragione, nella scienza e nel denaro. All'inizio del nostro secolo, un'ideologia ha cercato di dimostrare che lo stato di per sé incarnava la verità scientifica della storia e poteva quindi imporre i valori in cui credere. In questi ultimi decenni, si è creduto che l'industrializzazione e la produzione elevando il livello di vita contribuissero ad assicurare definitivamente la felicità. Oggi, le giovani generazioni si rendono conto che "Non di solo pane vivrà l'uomo" (Lc 4,4). Esse sono alla ricerca di un "senso": i responsabili delle società hanno l'oneroso dovere non solo di ascoltare la loro voce, ma anche di rispondere alle loro aspirazioni. Troppo spesso le società occidentali si abbandonano alle mode e all'effimero e, in un certo senso, si disumanizzano. Bisogna che gli uomini e le donne delle società nascenti, si mettano di fronte alle sfide del mondo di domani; esse devono porre solide fondamenta per le loro costruzioni. Che imparino di nuovo a stare in silenzio a meditare e a pregare! E' così, voi lo intuite che i credenti, e i cristiani in particolare, hanno da dire qualcosa di specifico. Essi dovrebbero farsi comprendere sempre meglio, far comprendere la loro diversità, per portare ai progetti delle società di cui fanno parte il "contributo spirituale" che molti cercano avidamente, a volte senza averne una chiara consapevolezza.

I paesi dell'Europa centrale e orientale sono, a modo loro, in preda alle stesse difficoltà. Non basta rifiutare il monopolio di un partito, bisogna anche avere delle ragioni di vita e di lavoro per costruire qualcosa. Alcune elezioni hanno avuto luogo in questi paesi, ma a volte i programmi dei candidati non erano forse abbastanza espliciti sulle azioni da realizzare per prime. In questi paesi, il cui tessuto morale e sociale è stato profondamente lacerato, bisogna che la famiglia e la scuola tornino ad essere i luoghi di formazione delle coscienze; bisogna restituire il piacere del lavoro ben fatto perché serva al bene comune.

Di fronte a tutti questi compiti, un dovere si impone: la solidarietà europea. Nulla sarà più dannoso per l'equilibrio dell'Europa - si dovrebbe addirittura dire per la preservazione della pace nel continente - che una nuova dualità: l'Europa dei ricchi contrapposta all'Europa dei poveri; le regioni moderne contrapposte alle regioni arretrate. La cooperazione tecnica e culturale deve andare di pari passo con i progetti economici comuni. Ciò presuppone che i paesi europei, abituati a pensare e a produrre liberamente, abbiano una certa comprensione riguardo a partner che, purtroppo, sono stati costretti per più di mezzo secolo a subire le costrizioni di sistemi in cui la creatività e l'iniziativa erano state considerate come sovversive.

Seguiamo con preoccupazione in questi giorni l'evoluzione politica di alcuni paesi dell'Europa centrale e orientale, senza dimenticare l'Albania. Vi è in tutte queste società un fermento e delle aspettative che si affermano con vigore. Penso ai paesi baltici, e in particolare alla cara Lituania. Nel momento in cui il continente europeo si impegna a ritrovare la propria dimensione, è di primaria importanza che, con la solidarietà di tutti, queste nazioni siano aiutate a rimanere fedeli alle loro tradizioni e al loro patrimonio e che, nel dialogo e nel negoziato, si giunga a delle soluzioni nuove che aprano porte e abbattano i pregiudizi.

Se il 1990 è stato l'anno della libertà, il 1991 dovrà essere l'anno della solidarietà! Ma l'Europa non può occuparsi solo di se stessa. Essa deve volgersi con decisione verso il resto del mondo, in particolare verso i paesi più carenti e più provati. L'Europa del 1990 ha dimostrato che era possibile cambiare la fisionomia delle società senza colpo ferire. Una Europa riconciliata è in grado di dare oggi un messaggio di speranza.

America Latina: il futuro è nella famiglia


4. Il mio pensiero si rivolge adesso all'America Latina. Questo vasto continente presenta una certa unità che, allo stesso tempo, mal dissimula profonde disparità tra i grandi insiemi che la compongono. Molte sono le popolazioni che conoscono la povertà; le sue prodigiose ricchezze naturali sono ancora ben lontane dall'essere giudiziosamente sfruttate ed equamente ripartite.

Inoltre, non si possono non condannare le devastazioni che ogni sorta di violenza e il commercio della droga operano in alcune società, fino a scuoterne le stesse fondamenta. Penso, in particolare, agli assassinii, ai rapimenti o alle sparizioni di persone innocenti. E' necessario trovare con urgenza delle soluzioni ai gravi problemi sociali ed economici che causano l'emarginazione di una grande parte della popolazione di questi paesi. Tutto deve iniziare con la ricostruzione o la salvaguardia dei valori della famiglia anima di ogni società degna di questo nome. La Chiesa cattolica, voi lo sapete, ne è vivamente preoccupata e si sforza di mettersi al servizio di tutte le famiglie.

In particolare, ho in mente quei paesi dell'America Centrale in cui il processo di democratizzazione e di pacificazione procede molto lentamente, malgrado lodevoli sforzi. La dinamica degli Accordi di Esquipulas, l'iniziativa di un parlamento centro-americano e la dichiarazione di Antigua, che hanno creato una comunità economica regionale, sono dei validi esempi di questa cooperazione tra nazioni vicine della quale ho parlato nell'enciclica "Sollicitudo Rei Socialis" (SRS 45).

Tentativi di dialogo tra i governi e i guerriglieri esistono, in particolare in Guatemala e in Salvador, ma come purtroppo confermato dai tristi, recenti avvenimenti, gli innocenti rimangono ancora le principali vittime di queste lotte fraticide. Certamente non mancano altri ostacoli, perché oligarchie di ogni tipo intralciano il cammino della normalizzazione. Ma è giunto il momento in cui tutti debbono prendersi per mano e, insieme, costruire nazioni nelle quali i "piccoli" vengano ascoltati e rispettati nelle loro legittime aspirazioni. La vita politica non ha altra ragione d'essere che il bene dei cittadini: essi hanno dei diritti che vanno rispettati senza eccezioni.

Non lontano da questa regione, un popolo già duramente provato, vive da qualche giorno una situazione drammatica: parlo della nazione haitiana. Disordini, delitti, vendette e violenze di ogni genere hanno compiuto la loro opera di morte.

Non posso astenermi dal ricordare, in questa sede, la distruzione della sede della Nunziatura apostolica di Port-au-Prince e soprattutto il trattamento riservato al mio rappresentante, offeso nella sua dignità, e al suo collaboratore, gravemente ferito. Si tratta di violenze che, in ogni caso, non favoriscono la stabilità politica e sociale auspicata dalla popolazione. L'attacco subito dall'antica cattedrale e dalla sede della Conferenza episcopale colpisce non soltanto i cattolici ma tutti gli uomini di buona volontà.

Asia: l'intolleranza religiosa è una minaccia per la pace


5. Se rivolgiamo il nostro sguardo all'Asia, dobbiamo deplorare che anche quest'anno vi sono dei problemi rimasti insoluti. Mi limitero a citarne soltanto qualcuno.

Cambogia. I negoziati proseguono, è vero, ma tra alti e bassi. Bisogna sperare che la volontà di cercare il bene di questo popolo, oppresso da tanti anni di prove crudeli, prevalga sugli interessi di partito o sull'aspirazione al potere. Come non ricordare che la forza non risolve mai definitivamente una controversia? La Santa Sede auspica quindi che si trovi una soluzione onorevole e rispettosa delle esigenze del popolo cambogiano, con l'aiuto della comunità internazionale, e se possibile anche, come suggeriscono alcuni, grazie alla cooperazione diretta dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.

La situazione in Afghanistan resta precaria. Le popolazioni, che in gran parte hanno dovuto abbandonare le loro case, soffrono e vivono nell'incertezza del domani. Invito nuovamente le grandi potenze, che tradizionalmente si sono interessate alla sorte di questo paese, a fare di tutto, affinché i negoziati non si arenino e, soprattutto affinché le soluzioni pacifiche abbiano la priorità sul ricorso alla forza.

Anche il Vietnam occupa un posto speciale nelle mie preoccupazioni. Una delegazione ufficiale della Santa Sede si è recata, per la prima volta dopo molti anni, in questo paese, per affrontare con le autorità governative alcuni problemi riguardanti la vita della Chiesa locale e delle questioni di interesse comune. Il clima positivo degli scambi è senza dubbio una prova della volontà del governo di assicurare ai cittadini di questo nobile paese la libertà religiosa alla quale essi aspirano, e di occupare nuovamente nello scenario internazionale il posto che gli spetta.

Spero che non gli venga meno il sostegno di tutti coloro, che nel mondo, ammirano il coraggio e la tenacia di un popolo che si sforza di ricostruire la sua patria al prezzo di sacrifici immensi.

Desidero inoltre augurare la riconciliazione e la pace nello Sri Lanka, dove la guerra civile continua a mietere numerose vittime. Le differenze etniche e comunitarie non dovrebbero mai costituire un fattore di opposizione, ma piuttosto una ricchezza da condividere! A tutte le difficoltà di ordine politico o economico che affliggono le popolazioni di queste regioni, si aggiunge un problema del quale non posso tacere: i poco favorevoli trattamenti talvolta riservati alle comunità cristiane.

Spesso oggetto di ostracismo da parte degli adepti delle grandi religioni tradizionali, i cristiani debbono altresi subire la diffidenza e le costrizioni delle autorità. Penso ad alcune particolari chiese, alle quali viene impedito di professare pienamente la loro fede alla luce del giorno, e di comunicare regolarmente con il Papa e con la Sede Apostolica, come nel caso dei cattolici della Cina continentale. Penso a questi fedeli, oggetto di discriminazioni nel loro lavoro o nella società, perché non appartengono alla religione dominante; alle difficoltà che si incontrano quando è necessario ricorrere ai missionari per soddisfare le esigenze spirituali dei fedeli. Vengono commesse delle violazioni, spesso sottili, ma molto reali, dei diritti umani fondamentali e, in primo luogo, quello di professare la propria fede, da soli o insieme agli altri, secondo le regole della propria famiglia religiosa.

Eccellenze, signore, signori, voglio sperare che sappiate comprendere le mie preoccupazioni a questo riguardo.

Come ho sottolineato nel mio recente messaggio per la celebrazione della Giornata mondiale della Pace, l'intolleranza rappresenta una minaccia per la pace.

Non possono esservi concordia e cooperazione tra i popoli, se gli uomini non sono liberi di pensare e di credere nella fedeltà alle loro coscienze, e, chiaramente, nel rispetto delle regole del diritto che garantiscono in ogni società il bene comune e l'armonia sociale.

Africa: l'imperioso dovere della solidarietà


6. La nostra attenzione deve anche soffermarsi sul continente africano. Oltre che delle numerose situazioni economiche drammatiche che affliggono la quasi totalità delle sue popolazioni, esso è preda della violenza: come potremmo dimenticare che oltre una decina di conflitti ancora oggi lo dilaniano? In Etiopia, la guerra assorbe gran parte delle risorse finanziarie nazionali e causa l'esodo di un gran numero di rifugiati. La carestia minaccia le regioni del nord, in particolare l'Eritrea e il Tigré, sconvolte dai combattimenti e interdette alle organizzazioni di aiuto umanitarie dai fronti di liberazione. La recente apertura del porto di Massaua va accolta con speranza, nella misura in cui permetterà l'invio dei soccorsi di prima necessità alle popolazioni al limite della sopravvivenza. Dopo trent'anni di guerra, è giunto il momento di instaurare una tregua per favorire il dialogo e perché sia possibile trovare una formula di convivenza pacifica tra le diverse componenti della società etiope.

Il Sudan non è meglio ripartito.

Qui la popolazione, tuttora vittima di combattimenti, di crisi ecologiche e del crollo dell'economia, sembra essere l'ostaggio di un conflitto interno che è durato troppo a lungo. I cristiani di questo paese partecipano la loro angoscia alla Santa Sede. Vivendo nel timore del domani, desiderosi di vedersi accettati e riconosciuti nella loro specificità religiosa, essi chiedono che la loro voce sia ascoltata, che i loro missionari possano compiere normalmente il loro apostolato così stimato e così necessario alle comunità, e che i soccorsi e l'aiuto delle organizzazioni umanitarie giunga loro senza ostacoli.

Il Mozambico, che è spesso stato al centro delle nostre preoccupazioni, sembra aver preso la strada della pacificazione. Il Governo e l'opposizione armata sono giunti, con l'aiuto di paesi amici e organizzazioni disinteressate, a un primo accordo parziale. Dovrebbe giungere, ce lo auguriamo vivamente, al cessate il fuoco definitivo. così sarà possibile per questa giovane nazione ricostruirsi materialmente e spiritualmente, darsi una costituzione e istituzioni che permettano a tutti i cittadini di sentirsi rispettati nelle loro convinzioni e dunque di guardare al futuro con più fiducia.

Dobbiamo anche gioire per le trattative dirette che sembrano procedere tra le parti in conflitto in Angola. L'impegno di paesi come Stati Uniti e Unione Sovietica possono influenzare positivamente l'evoluzione politica di questo paese letteralmente distrutto da lotte che hanno diviso le famiglie, annientato le strutture economiche e inflitto prove crudeli alla Chiesa cattolica che continua a subirle.

Infine, il rinnovamento istituzionale in corso in Africa del Sud è promettente per la stabilità stessa di questa vasta regione del continente. La legalizzazione dei partiti di opposizione, la liberazione dei loro "capi" dopo troppo lunghi anni di reclusione; i molteplici incontri tra responsabili governativi e altri, costituiscono i germi della riconciliazione e della fraternità, forse ancora fragili ma che devono essere protetti e fatti crescere.

Non bisognerebbe soprattutto che episodi di violenza, come quelli che hanno seminato la morte ancora di recente, mettano in pericolo la speranza di quanti aspirano da tanti anni all'avvento di un paese finalmente riconciliato.

La Santa Sede ha coscienza inoltre che molti paesi dell'Africa sono ancora segnati da rivalità etniche. Penso in particolare al Rwanda e al Burundi, i cui vescovi, in un recente comunicato comune, hanno opportunamente ricordato che le differenze etniche non devono solo isolare, ma anche arricchire, perché tutti gli uomini sono figli di uno stesso Padre.

Non possiamo dimenticare la Somalia, in cui le popolazioni conoscono in questo periodo lotte sanguinose. Che Dio le ispiri affinché tutti si sforzino di far prevalere la riconciliazione sullo scontro armato.

Non possiamo dimenticare neppure la cara Liberia, le cui popolazioni conoscono sofferenze indicibili. E' tempo che i liberiani ritrovino la fiducia reciproca e che la comunità delle nazioni li aiuti a evitare ciò che sarebbe un vero e proprio naufragio per un paese una volta pacifico e tollerante.

Vorrei attirare la vostra attenzione, eccellenze, signore e signori, sull'avvenire del continente africano; ricco di risorse umane, ma che soffre di deficienze molto gravi: una carestia che minaccia di nuovo milioni di uomini, la disoccupazione, il gran numero di rifugiati, le malattie, di cui la più grave è senza dubbio l'AIDS. Come ho già detto nel settembre scorso, in occasione del mio incontro con il Corpo Diplomatico nel Burundi, molti paesi africani hanno la sensazione di essere poco stimati dalle nazioni che non li aiutano se non in funzione dei loro propri interessi. Credo che il dovere imperativo della solidarietà verso i più svantaggiati supponga che si intensifichi una cooperazione che sia prima di tutto un "incontro" tra i popoli, al di là del puro scambio di beni e dalla ricerca di profitti, anche legittimi.

Evidentemente, come ho ricordato in occasione di quello stesso viaggio apostolico in Africa, ogni cooperazione di questo tipo suppone la partecipazione libera, intelligente e responsabile dei beneficiati stessi, con l'appoggio efficace delle organizzazioni regionali che devono coordinare gli interessi complementari.

Popolo palestinese, Libano, Gerusalemme "Città della pace"


7. Infine, per completare il quadro internazionale, dobbiamo fermarci un po' su una regione più vicina a noi, il Medio Oriente, dove un giorno si è alzata la Stella della Pace.

Queste terre cariche di storia, culla di tre grandi religioni monoteiste, dovrebbero essere il luogo in cui il rispetto della dignità dell'uomo, creatura di Dio, la riconciliazione e la pace, si impongono come evidenze.

Purtroppo, il dialogo tra le famiglie spirituali lascia spesso a desiderare. Le minoranze cristiane, per esempio, sono in certi casi tutt'al più tollerate. A volte si proibisce loro di avere i propri luoghi di culto, cioè di riunirsi per le celebrazioni pubbliche. Anche il simbolo della Croce è proibito. Si tratta, qui, di flagranti violazioni dei diritti fondamentali dell'uomo e delle leggi internazionali. In un mondo come il nostro, in cui è raro che la popolazione di un paese appartenga a una sola etnia o a un'unica religione, è vitale per la pace interna e internazionale che il rispetto della coscienza di ciascuno sia un principio assoluto. La Santa Sede si attende l'impegno di tutta la comunità internazionale affinché cessino questi casi di discriminazione religiosa che feriscono tutta l'umanità e che sono in realtà un serio ostacolo alla continuazione del dialogo interreligioso, come anche alla collaborazione fraterna in vista di una società autenticamente umana, e dunque pacifica.

E che dire, sempre in questa stessa regione del Medio Oriente, della presenza di armi da guerra e di soldati in proporzioni così terrificanti? Perché, ai conflitti che da troppi anni gettano le popolazioni nella disperazione e nell'incertezza - penso a quelli della Terra Santa e del Libano - si è aggiunto qualche mese fa quella che si chiama "la crisi del Golfo".

In realtà ci troviamo di fronte a situazioni che esigono decisioni politiche rapide e la creazione di un clima di vera fiducia reciproca.

Da decenni, il popolo palestinese è gravemente provato e trattato ingiustamente: lo testimoniano le centinaia di migliaia di rifugiati dispersi nella regione e in altre parti del mondo, e anche la situazione degli abitanti della Cisgiordania e di Gaza. Si tratta di un popolo che chiede di essere ascoltato, anche se si deve riconoscere che certi gruppi palestinesi hanno scelto, per farsi ascoltare, metodi inaccettabili e condannabili. Ma, d'altra parte, occorre constatare che troppo spesso è stato risposto negativamente alle richieste provenienti da diverse istanze e che avrebbero potuto permettere almeno di instaurare un processo di dialogo allo scopo di garantire allo stesso tempo allo Stato di Israele le giuste condizioni per la sua sicurezza e al popolo palestinese i suoi diritti incontestabili.

Inoltre, in Terra Santa, si trova la città di Gerusalemme, che continua ad essere occasione di conflitto e di discordia tra i credenti. Gerusalemme, la "Santa", la "Città della Pace"...

Molto vicino, si trova il Libano. E' in agonia da anni sotto gli occhi di tutto il mondo, senza che si sia mai voluto aiutarlo a superare i suoi problemi interni e a liberarsi degli elementi e delle potenze esterne che volevano servirsi di esso per i loro propri fini. E' tempo che tutte le forze armate non libanesi si impegnino a evacuare il territorio nazionale e che i libanesi siano in grado di scegliere le forme del loro vivere insieme nella fedeltà alla loro storia e nella continuità con il loro patrimonio di pluralismo culturale e religioso.

La zona del Golfo infine, si trova dal mese di agosto in stato di assedio e si è visto che, quando un paese viola le regole più elementari del diritto internazionale, è tutta la coesistenza tra le nazioni che è rimessa in causa. Non si può accettare che la legge dei più forti sia brutalmente imposta ai più deboli. Uno dei grandi progressi dello sviluppo di questo diritto internazionale è stato, giustamente, di stabilire che tutti i paesi siano uguali in dignità e in diritto.

E' bello che l'Organizzazione delle Nazioni Unite sia stata l'istanza internazionale che si è rapidamente imposta per la gestione di questa grave crisi.

Non ci sarebbe da meravigliarsi se ci si ricorda che il Preambolo e l'articolo primo della Carta di San Francisco le assegnano come priorità la volontà di "preservare le generazioni future dal flagello della guerra" e di "reprimere tutti gli atti di aggressione". Ecco perché, fedeli a questo patrimonio e consapevoli dei rischi - diro anche della tragica avventura - che rappresenterebbe una guerra nel Golfo, i veri amici della pace sanno che l'ora è più che mai quella del dialogo, del negoziato, della preminenza della legge internazionale. Si, la pace è ancora possibile; la guerra sarebbe il declino dell'umanità intera.

Eccellenze, signore e signori, desidero che sappiate la mia profonda preoccupazione di fronte alla situazione che si è creata in questa zona del Medio Oriente. L'ho espressa a parecchie riprese e, ancora ieri, indirizzando un telegramma al Segretario Generale delle Nazioni Unite. Da una parte, si è assistito all'invasione armata di un paese e a una violazione brutale della legge internazionale, come è stata definita dall'ONU e dalla legge morale; sono fatti inaccettabili. D'altra parte, quando la concentrazione massiccia di uomini e di armi che ne è seguita aveva per scopo di porre un termine a quello che bisogna veramente qualificare come aggressione, non c'è alcun dubbio che, se essa dovesse sfociare in un'azione militare, anche limitata, le operazioni sarebbero particolarmente sanguinose, senza contare le conseguenze ecologiche, politiche, economiche e strategiche, di cui forse non misuriamo ancora tutta la gravità e la portata. Infine, lasciando intatte le cause profonde della violenza in questa parte del mondo, la pace ottenuta con le armi non porterebbe altro che alla preparazione di nuove violenze.

Il Diritto Internazionale garantisce i deboli dall'arbitrio dei forti


8. Esiste in effetti una correlazione tra la forza, il diritto e i valori di cui la società internazionale non può fare economia. Gli stati riscoprono oggi, in particolare grazie alle diverse strutture di cooperazione internazionale che li uniscono, che il diritto internazionale non costituisce una sorta di prolungamento della loro sovranità illimitata, né una protezione dei loro soli interessi o anche delle loro imprese egemoniche. E' in verità un codice di comportamento per la famiglia umana nel suo insieme.

Il diritto delle genti, antenato del diritto internazionale, ha preso forma durante i secoli elaborando e codificando principi universali che sono anteriori e superiori al diritto interno degli stati e che hanno raccolto il consenso degli attori della vita internazionale. La Santa Sede si compiace di vedere in questi principi un'espressione dell'ordine voluto dal Creatore. Citiamo, per ricordarlo, l'uguale dignità di tutti i popoli, il loro diritto all'esistenza culturale, la tutela giuridica della loro identità nazionale e religiosa, il rifiuto della guerra come mezzo normale di componimento dei conflitti, il dovere di contribuire al bene comune dell'umanità. così, gli stati sono giunti alla convinzione che è necessario, per la loro reciproca sicurezza e la salvaguardia del clima di fiducia, che la comunità delle nazioni si munisca di regole universali di convivenza applicabili in ogni circostanza. Queste regole costituiscono non soltanto un riferimento indispensabile a una attività internazionale armoniosa, ma anche un prezioso patrimonio da preservare e da sviluppare. Senza di questo è la legge della giungla che finirebbe per imporsi con conseguenze facilmente prevedibili.

Permettetemi, a questo proposito, eccellenze, signore e signori, di esprimere l'augurio che le regole del diritto internazionale siano sempre più efficacemente arricchite di disposizioni che hanno lo scopo specifico di garantirne l'applicazione. E, nel campo dell'applicazione delle leggi internazionali, il principio ispiratore deve essere quello della giustizia e dell'equità. Il ricorso alla forza per una giusta causa non sarebbe ammissibile che se questo ricorso fosse proporzionale al risultato che si vuole ottenere, e se si pesassero le conseguenze che azioni militari, rese sempre più devastatrici dalla tecnologia moderna, avrebbero per la sopravvivenza delle popolazioni e dello stesso pianeta. Le "esigenze di umanità" (Dichiarazione di St. Petersbourg, 1868; La Haye, 1907, Convenzione IV) ci chiedono oggi di andare risolutamente verso l'assoluta proscrizione della guerra e di coltivare la pace come bene supremo, al quale tutti i programmi e tutte le strategie devono essere subordinati. Come non far presente qui questa ammonizione del Concilio Vaticano II nella sua costituzione "Gaudium et Spes": "La potenza delle armi non rende legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto che una guerra è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto" (GS 79).

Il diritto internazionale è un mezzo privilegiato per la costruzione di un mondo più umano e più pacifico. E' esso che permette la protezione del debole contro l'arbitrarietà del forte. Il progresso della civiltà umana si misura spesso col progresso del diritto, grazie al quale si può realizzare la libera associazione delle grandi potenze e delle altre nell'impresa comune che è la cooperazione tra le nazioni.

Di fronte a Dio disarmato dobbiamo lasciar cadere tutte le nostre armi


9. Eccellenze, signore e signori, giunti al termine del nostro incontro, vorrei rinnovarvi i fervidi auguri che formulo per i popoli che rappresentate; per le autorità che vi hanno inviato, per le vostre famiglie e i vostri collaboratori.

Viviamo in un'epoca in cui i segni del progresso e della speranza non mancano. Essa è anche segnata dagli insuccessi e dai pericoli che interpellano tutti gli uomini di buona volontà.

Come non menzionare qui il fossato che continua a separare i popoli ricchi dai popoli poveri? Le differenze che si accentuano e la frustrazione di milioni di nostri fratelli senza prospettive per l'avvenire costituiscono non soltanto uno squilibrio, ma anche una minaccia per la pace. In questo contesto, l'insieme della comunità internazionale deve intraprendere trasformazioni economiche e sociali per impadronirsi in particolare dei problemi del debito estero dei paesi più poveri di fronte alle esigenze che ad essi si impongono. E' la ricerca del bene comune che deve guidare gli sforzi di tutti in uno spirito di solidarietà. Il denaro non saprebbe essere il criterio principale dei comportamenti. Che tutti si sforzino di ridare fiducia alle persone e alle nazioni più svantaggiate! Ciascuno al proprio posto, il posto che la Provvidenza di Dio ci ha assegnato, deve cambiare il mondo, secondo le sue possibilità, e raccogliere una delle sfide più antiche, quella della pace.

Qualche giorno fa, i cristiani hanno atteso e celebrato una luce. Essa è irradiata da una stalla in cui giaceva un bambino, la Luce del Mondo! Di fronte a questo Dio offerto all'uomo, di fronte a questo Dio disarmato, dobbiamo lasciar cadere le armi. Egli ci invita a metterci al servizio gli uni degli altri e a riscoprire che l'uomo non è mai così grande che quando permette all'altro - popolo o persona - di crescere.

Aprite, attraverso questa storia di cui siete a pieno titolo gli attori, la porta della speranza! Questo è il mio voto; questa la mia preghiera! Che il Dio della Pace vi accompagni durante l'anno che comincia.

(Traduzione dal francese)

Data: 1991-01-12
Sabato 12 Gennaio 1991


GPII 1991 Insegnamenti - La preghiera mariana in piazza san Pietro - Città del Vaticano (Roma)