GPII 1991 Insegnamenti - All'Unione cristiana dei Dirigenti d'Impresa - Città del Vaticano (Roma)

All'Unione cristiana dei Dirigenti d'Impresa - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rinnovate la vostra adesione a Cristo

Signor Presidente, Cari amici,


1. Mentre è in corso quest'anno particolarmente consacrato alla Dottrina Sociale della Chiesa, la vostra Unione internazionale cristiana dei Dirigenti d'Impresa (l'UNIAPAC) compie un pellegrinaggio di lavoro e riflessione a Roma. In quest'occasione, avete desiderato incontrare il Vescovo di Roma per rinnovare al suo cospetto i vostri impegni personali di dirigenti cristiani delle vostre imprese e riaffermare l'identità cristiana del vostro movimento. Apprezzo il vostro operato e vi ringrazio per i sentimenti di attaccamento alla Chiesa che ha espresso il vostro Presidente a nome di tutti voi. Siate dunque benvenuti in questa casa!


2. La vostra commemorazione del grande punto di partenza moderno della dottrina sociale della Chiesa che è l'enciclica "Rerum Novarum" è consistita nel consacrare queste giornate ad una riflessione esigente sui diversi aspetti della "responsabilità economica e sociale del dirigente d'impresa cristiano in un mondo in cambiamento ed in via di globalizzazione". Mi è gradito sottolineare l'interesse che questa maniera di onorare l'insegnamento rinnovatore di Leone XIII presenta: lo fate trovando il tempo di venire a meditare, da tutti i continenti, a partire dal Vangelo sul senso della storia che vivete e sulla portata dell'azione e delle molteplici forme della solidarietà umana in cui siete coinvolti.

Una delle guide del vostro lavoro è il volume preparato dal vostro gruppo francese che raccoglie riflessioni e documenti ecclesiastici che hanno scandito cent'anni di pensiero sociale intorno all'impresa. Potete in questo modo ricostruire il cammino percorso da "Rerum Novarum" e meglio orientarvi nei vostri compiti attuali.


3. Voi non cercate le cose facili nel portare una visione cristiana sulle vostre funzioni di dirigenti d'impresa. Dovete conciliare delle esigenze che molti stimerebbero quasi contraddittorie: quelle che nascono dalle regole e dagli obblighi della vita economica, dure e persino implacabili, quelle che derivano dallo sviluppo tecnologico sempre più costoso ed evolutivo e, dall'altra parte, quelle proclamate dalla coscienza umana e cristiana, quelle delle regole morali essenziali per la nostra dignità di creature fatte ad immagine stessa di Dio. Vi trovate nel punto di convergenza di molteplici serie di leggi, naturali, tecniche, civili e infine morali ed evangeliche.

Non mi addentrero qui nell'analisi. Desidero semplicemente incoraggiarvi nella vostra ricerca comune che vi aiuterà a rispondere meglio a quel che posso definire la vostra vocazione. Dovete cercare di agire con la migliore competenza professionale, di sviluppare i migliori rapporti fra tutti i membri del personale delle vostre imprese, con gli utenti della vostra produzione o dei vostri servizi, con i diversi agenti sociali e con le autorità responsabili del bene comune, tutto questo senza allontanarvi mai dall'obbiettivo primario che è l'edificazione di una società giusta in cui l'insieme delle persone possa espandersi in un vero equilibrio sociale. E vorrei notare che l'impresa costituisce uno dei corpi intermediari chiamati a consentire a tutti coloro che partecipano alla sua attività non soltanto di guadagnare la loro vita e quella della propria famiglia, ma di sviluppare una gran parte delle loro capacità.

Non mancano ostacoli sul vostro cammino. La nostra epoca sembra moltiplicarli a suo modo. Nel mondo, le disparità di trattamento dei lavoratori sono più evidenti di prima, da una regione all'altra, da un campo all'altro, e questo pesa sulle stesse condizioni della produzione e del mercato. Ci si trova dinanzi a certe attività, lucrative, ma che bisogna risanare o cui bisogna rinunciare: penso a tutto quanto attenta alla vita dell'uomo e alla natura, dalle degradazioni dell'ambiente, fino allo sviluppo delle armi di concezione inaudita o al commercio, anch'esso portatore di morte, della droga; penso alle deviazioni e agli eccessi di numerose forme di manipolazione finanziaria. Per preservare la moralità dell'attività economica, avete bisogno di un lucido pensiero e della coraggiosa volontà di restare fedeli alle esigenze chiarificatrici della Parola di Dio e dell'insegnamento della Chiesa. So che il vostro movimento lavora in questo senso e vi esorto a rinnovare incessantemente la vostra adesione a Cristo nella fede, a vivere alla sua sequela l'amore per l'uomo e a porlo in pratica effettivamente in tutte le vostre attività.


4. Voi stessi sottolineate che, cent'anni dopo le "cose nuove" che avevano provocato la riflessione di Leone XIII, la nostra epoca è, a sua volta, ricca di "cose nuove", di mutazioni politiche e sociali, economiche e tecniche.

Una notevole porzione del mondo si libera dagli obblighi ideologici di un collettivismo che aveva gravemente ostacolato popoli interi, ridotto la loro creatività, impedito il loro sano sviluppo sociale ed economico. Avete misurato l'importanza di questi cambiamenti. Sapete, grazie alle vostre proprie competenze, che il passaggio a nuove forme di economia di mercato non può compiersi, nell'Europa centrale in particolare, senza la costosa ricostruzione di intere economie, con un prezzo umano talvolta ai limiti della sopportazione.

Non avete tardato a prendere l'iniziativa di incontrare i vostri omologhi dei paesi che devono affrontare questi mutamenti, e non avete tardato a condividere con loro i frutti delle vostre esperienze, a offrir loro un appoggio perché si organizzino e si aiutino mutuamente nell'ambito della riflessione cristiana sulla vita economica, in una valutazione chiara delle implicazioni poste dall'accostarsi dei loro paesi a forme d'impresa e a sistemi di scambio tanto nuovi per essi. A questo riguardo, spero che gli importanti incontri che avete avuto con loro a Praga lo scorso ottobre abbiano fruttuosi sviluppi.

Quest'allusione ad una nuova situazione che riguarda più direttamente l'Europa non mi fa dimenticare le altre regioni del mondo. L'UNIAPAC pone tutta una parte della sua attività in un quadro regionale o continentale. Questo corrisponde, mi pare, a dei bisogni reali che ho potuto constatare spesso durante i miei viaggi. Nello stesso momento in cui si parla della mondializzazione dell'economia, non si potranno affrontare le sue esigenze né diminuire le sue manchevolezze e le sue ingiustizie, senza aprire dei dialoghi nella fiducia tra controparti che pratichino una costruttiva solidarietà nella loro regione propria.

I cristiani devono lavorare seriamente, tra di loro e con tutte le loro controparti, affinché un giorno si possa superare questa partizione del mondo che pone gli uni in un primo, altri in un secondo, un terzo e persino un quarto mondo! Possiamo accettare forse che le denominazioni di "Nord" e "Sud" significhino che si possano godere, di più e meglio, dei beni della terra qui, e che se ne sia privati là? Al vostro livello, non smettete di reagire a queste divisioni indegne della famiglia umana, estranee alla volontà del Creatore e che, lo sappiamo bene, costituiscono altrettanti ostacoli alla pace sociale e internazionale.

Formulo i miei voti migliori per voi stessi, per l'azione dei vostri amici dell'UNIAPAC, affinché vi sia dato di affrontare le vostre responsabilità nello spirito di servizio che vi chiede Cristo, Salvatore di tutti gli uomini. Che Dio vi accordi il sostegno delle sue benedizioni! (Traduzione dal francese)

Data: 1991-03-09
Sabato 9 Marzo 1991

Lettera ai sacerdoti per il Giovedi Santo 1991

Venerati e cari fratelli nel sacerdozio ministeriale di Cristo! "Lo Spirito del Signore è sopra di me".


1. "Mentre siamo raccolti nelle cattedrali delle nostre diocesi in torno al Vescovo per la liturgia della Messa crismale, ascoltiamo queste parole pronunciate da Cristo nella sinagoga di Nazareth. Presentandosi per la prima volta dinanzi alla comunità del suo paese di origine, Gesù legge dal Libro del profeta Isaia le parole dell'annuncio messianico: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato". Nel loro significato immediato queste parole indicano la missione profetica del Signore quale annunciatore del Vangelo. Ma possiamo applicarle alla multiforme grazia che Egli ci comunica. Il rinnovamento delle promesse sacerdotali del Giovedi Santo è unito al rito della benedizione degli Oli santi, i quali, in alcuni sacramenti della Chiesa, esprimono quell'unzione dello Spirito Santo che deriva dalla pienezza che è in Cristo.

L'unzione dello Spirito Santo attua prima il dono soprannaturale della grazia santificante, mediante il quale l'uomo diventa in Cristo partecipe della natura divina e della vita della Santissima Trinità.

Tale donazione è in ciascuno di noi la fonte interiore della vocazione cristiana e di ogni vocazione nella comunità della Chiesa, quale Popolo di Dio della Nuova Alleanza. In questo giorno, dunque, noi guardiamo il Cristo, che è la pienezza, la fonte ed il modello di tutte le vocazioni e, in particolare, della vocazione al servizio sacerdotale quale partecipazione peculiare, mediante il carattere sacerdotale dell'Ordine, al suo sacerdozio. In lui solo c'è la pienezza dell'unzione, la pienezza del dono, la quale è per tutti e per ciascuno: essa è inesauribile. All'inizio del triduum sacrum, mentre la Chiesa intera, mediante la liturgia, penetra in modo singolare nel mistero pasquale di Cristo, noi leggiamo la profondità della nostra vocazione, che è ministeriale, la quale deve essere vissuta sull'esempio del Maestro che prima dell'ultima Cena lava i piedi agli Apostoli. Durante questa stessa Cena, dalla pienezza del dono del Padre che è in lui e che, per mezzo suo, viene elargito all'uomo, Cristo istituirà il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue sotto le specie del pane e del vino e lo affiderà - il sacramento dell'Eucaristia - nelle mani degli Apostoli e, per il loro tramite, nelle mani della Chiesa, per tutti i tempi fino alla sua definitiva venuta nella gloria.

Nella potenza dello Spirito Santo, operante nella Chiesa dal giorno di Pentecoste, questo sacramento, attraverso la lunga serie delle generazioni sacerdotali è stato affidato anche a noi nel presente momento della storia dell'uomo e del mondo, la quale in Cristo è diventata definitivamente storia della salvezza. Ciascuno di noi, cari fratelli, ripercorre oggi con la mente e col cuore la propria via al sacerdozio e, in seguito, la propria via nel sacerdozio, che è via della vita e del servizio e che a noi è derivata dal Cenacolo. Tutti ricordiamo il giorno e l'ora allorché, dopo aver recitato insieme le Litanie dei Santi, prostrati sul pavimento del tempio, il Vescovo impose su ciascuno di noi le sue mani, in profondo silenzio. Sin dai tempi apostolici, l'imposizione delle mani è il segno della trasmissione dello Spirito Santo, che è, egli stesso, il supremo artefice della santa potestà sacerdotale: autorità sacramentale e ministeriale.

Tutta la liturgia del triduum sacrum ci avvicina al Mistero pasquale, da cui tale autorità ha il suo inizio per essere servizio e missione: a questo possiamo applicare le parole del Libro di Isaia, pronunciate da Gesù nella sinagoga di Nazareth: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato".


2. Venerati e cari fratelli, scrivendovi per il Giovedi Santo dello scorso anno, cercai di orientare la vostra attenzione verso l'assemblea del Sinodo dei Vescovi che sarebbe stata dedicata al tema della formazione sacerdotale. L'assemblea si svolse nell'ottobre scorso, ed al presente, insieme al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo, stiamo preparando la pubblicazione del relativo Documento. Ma prima che tale testo sia pubblicato, desidero dirvi già oggi che il Sinodo stesso è stato una grande grazia. Ogni Sinodo è sempre per la Chiesa una grazia di speciale attuazione della collegialità dell'episcopato di tutta la Chiesa. Questa volta l'esperienza è stata arricchita in modo singolare; infatti, nell'assemblea sinodale hanno preso la parola i Vescovi di Paesi in cui la Chiesa da poco tempo appena è uscita fuori, per così dire, dalle catacombe. Altra grazia del Sinodo è stata una nuova maturità nella visione del servizio sacerdotale nella Chiesa: maturità a misura dei tempi in cui si esplica la nostra missione.

Questa maturità si esprime come un'approfondita lettura dell'essenza stessa del sacerdozio sacramentale e, dunque, anche della vita personale di ogni sacerdote, cioè della sua partecipazione al mistero salvifico di Cristo: "Sacerdos alter Christus". E' un'espressione, questa, che indica quanto sia necessario partire da Cristo per leggere la realtà sacerdotale. Soltanto così possiamo corrispondere pienamente alla verità sul sacerdote, il quale "scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio".

La dimensione umana del servizio sacerdotale, per essere del tutto autentica, deve essere radicata in Dio. Infatti, attraverso tutto ciò che in esso è "per il bene degli uomini", tale servizio "riguarda Dio": serve la molteplice ricchezza di questo rapporto. Senza uno sforzo per corrispondere pienamente a quell'"unzione con lo Spirito del Signore", che lo costituisce nel sacerdozio ministeriale, il sacerdote non può soddisfare a quelle attese che gli uomini - la Chiesa e il mondo - giustamente collegano ad esso.

Tutto ciò è strettamente connesso con la questione dell'identità sacerdotale. E' difficile dire per quali ragioni nel periodo postconciliare la consapevolezza di questa identità in alcuni ambienti sia diventata incerta. Ciò poteva dipendere da una lettura impropria del Magistero conciliare della Chiesa nel contesto di certe premesse ideologiche estranee alla Chiesa e di certi "trends" che provengono dall'ambiente culturale. Sembra che negli ultimi tempi - anche se le stesse premesse e gli stessi "trends" continuano ad operare - stia avvenendo una significativa trasformazione nelle Comunità ecclesiali stesse. I laici vedono l'indispensabile necessità dei sacerdoti come condizione della loro autentica vita e del loro stesso apostolato. A sua volta, questa esigenza si fa notare, anzi diventa impellente in molte situazioni, in base alla mancanza o all'insufficiente numero di ministri dei misteri di Dio. Ciò riguarda anche, sotto un altro aspetto, le terre della prima evangelizzazione, come dimostra la recente Enciclica sulle missioni. Questa necessità di sacerdoti - fenomeno variamente crescente - dovrà aiutare a superare la crisi dell'identità sacerdotale.

L'esperienza degli ultimi decenni dimostra sempre più chiaramente quanto ci sia bisogno del sacerdote nella Chiesa e nel mondo -, e questo non in una qualche forma "laicizzata", ma in quella che si attinge dal Vangelo e dalla ricca Tradizione della Chiesa. Il Magistero del Concilio Vaticano II è l'espressione e la conferma di questa Tradizione nel senso di un opportuno aggiornamento ("accommodata renovatio"); ed in questa stessa direzione si sono orientati gli interventi dei partecipanti all'ultimo Sinodo, nonché quelli dei rappresentanti dei sacerdoti, invitati da varie parti del mondo. Il processo di rinascita delle vocazioni sacerdotali soddisfa solo parzialmente la carenza di sacerdoti. Anche se tale processo su scala globale è positivo, si determinano tuttavia sproporzioni tra le diverse parti della comunità della Chiesa in tutto il mondo. Il quadro è molto diversificato. In occasione del Sinodo questo quadro è stato sottoposto alle analisi più dettagliate non soltanto a fini statistici, ma anche in rapporto ad un possibile "scambio dei doni", cioè al reciproco aiuto.

L'opportunità di un tale aiuto si impone da sola essendo noto che ci sono dei luoghi dove risulta un solo sacerdote per alcune centinaia di fedeli, e ce ne sono dove c'è un sacerdote per diecimila fedeli e persino per un numero ancora maggiore. Vorrei richiamare al riguardo alcune espressioni del Decreto del Concilio Vaticano II su "il ministero e la vita sacerdotale": "Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'Ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensi a una vastissima e universale missione di salvezza, "fino agli ultimi confini della terra"... Ricordino quindi i presbiteri che a loro incombe la sollecitudine di tutte le Chiese". L'angosciosa carenza di sacerdoti in alcune Regioni rende oggi attuali più che mai queste parole del Concilio. Mi auguro che, particolarmente nelle diocesi più ricche di clero, esse siano seriamente meditate e attuate nel modo più generoso possibile.

In ogni caso, dappertutto, per ogni luogo è indispensabile la preghiera, perché "il Padrone della messe mandi operai nella sua messe". E' questa la preghiera per le vocazioni ed è la preghiera, altresi, perché ogni sacerdote raggiunga una maturità sempre maggiore nella sua vocazione: nella vita e nel servizio. Tale maturità contribuisce in modo speciale all'aumento delle vocazioni.

Occorre semplicemente amare il proprio sacerdozio, metterci tutto se stesso affinché la verità sul sacerdozio ministeriale diventi in tal modo attraente per gli altri. Nella vita di ciascuno di noi deve essere leggibile il mistero di Cristo, da cui prende inizio il sacerdos come alter Christus.


3. Congedandosi dagli Apostoli nel Cenacolo, Cristo promise loro il Paraclito, un altro Consolatore, lo Spirito Santo, "che procede dal Padre e dal Figlio". Disse infatti: "E' bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne saro andato, ve lo mandero". Queste parole mettono in particolare rilievo il rapporto tra l'ultima Cena e la Pentecoste. A prezzo della sua "dipartita" mediante il sacrificio della croce sul Calvario (ancor prima che avvenga la sua "dipartita" verso il Padre il 40 giorno dopo la Risurrezione), Cristo rimane nella Chiesa: rimane nella potenza del Paraclito, dello Spirito Santo, che "dà la vita". E' lo Spirito Santo a "dare" questa vita divina: vita che si è rivelata nel mistero pasquale di Cristo come più potente della morte, vita che è iniziata con la Risurrezione di Cristo nella storia dell'uomo. Il sacerdozio è tutto al servizio di questa vita: le rende testimonianza mediante il servizio della Parola, la genera, la rigenera e moltiplica mediante il servizio dei sacramenti.

Il sacerdote stesso prima di tutto vive di questa vita, la quale è la più profonda fonte della sua maturità ed è anche la garanzia della fecondità spirituale di tutto il suo servizio! Il sacramento dell'Ordine imprime nell'anima del sacerdote un carattere particolare che, una volta ricevuto, permane in lui come fonte della grazia sacramentale, di tutti quei doni e carismi che corrispondono alla vocazione al servizio sacerdotale nella Chiesa. La liturgia del Giovedi Santo è uno speciale momento dell'anno, in cui possiamo e dobbiamo rinnovare e ravvivare in noi la grazia sacramentale del sacerdozio. Ciò facciamo in unione col Vescovo e con l'intero Presbiterio, avendo dinanzi agli occhi la realtà misteriosa del Cenacolo: sia quella del Giovedi Santo, sia quella del giorno di Pentecoste. Entrando nella divina profondità del sacrificio di Cristo, noi ci apriamo al tempo stesso verso lo Spirito Santo Paraclito, il cui dono è la nostra speciale partecipazione all'unico sacerdozio di Cristo, l'eterno sacerdote.

E' per opera dello Spirito Santo che noi possiamo operare "in persona Christi", celebrando l'Eucaristia e svolgendo tutto il servizio sacramentale per la salvezza degli altri. La nostra testimonianza a Cristo sovente è molto imperfetta e difettosa. Quale conforto rimane per noi l'assicurazione che è lui prima di tutto, lo Spirito di verità, a rendere testimonianza a Cristo. Che la nostra testimonianza umana si apra soprattutto alla sua testimonianza! Infatti, egli stesso "scruta le profondità di Dio", ed egli soltanto può avvicinare queste "profondità", queste "grandi opere di Dio" alle menti e ai cuori degli uomini, ai quali noi siamo mandati come servitori del Vangelo della salvezza. Quanto più sentiamo che la nostra missione ci sovrasta, tanto più dobbiamo aprirci all'azione dello Spirito Santo. Specialmente quando la resistenza delle menti e dei cuori, la resistenza di una civiltà generata sotto l'influsso dello "spirito del mondo", diventa particolarmente percepibile e forte. "Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza..., intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili".

Nonostante la resistenza delle menti, dei cuori e della civiltà pervasa dallo "spirito del mondo", perdura tuttavia in tutta la creazione l'"attesa", della quale l'Apostolo scrive nella Lettera ai Romani: "Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto", "per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio". Che questa visione paolina non abbandoni la nostra consapevolezza sacerdotale, e ci sia di sostegno per la vita e per il servizio! Allora comprenderemo meglio perché il sacerdote è necessario al mondo ed agli uomini.


4. "Lo Spirito del Signore è sopra di me". Prima che giunga alle nostre mani il testo dell'Esortazione post-sinodale sul tema della formazione sacerdotale, vogliate accogliere, venerati e cari fratelli nel sacerdozio ministeriale, questa Lettera per il Giovedi Santo. Sia essa il segno e l'espressione di quella comunione che ci unisce tutti - Vescovi, Sacerdoti ed anche Diaconi - con un legame sacramentale. Possa essa aiutarci a seguire, nella potenza dello Spirito Santo, Gesù Cristo, "l'autore e perfezionatore della fede". Con la mia Benedizione Apostolica.

Data: 1991-03-10
Domenica 10 Marzo 1991

Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La solidarietà: atteggiamento morale di fondo per affrontare e risolvere i nuovi ed urgenti problemi della società internazionale




1. Non si riuscirebbe a capire il valore dell'enciclica "Rerum No varum", se non si tenesse conto dei principii etici che nel secolo scorso spinsero la Chiesa a prender posizione nei confronti delle teorie economiche allora elaborate con diretto influsso in campo sociale. Leone XIII respingeva con fermezza la dottrina e la prassi storica del liberalismo classico, che, sottraendo l'interesse individuale ai limiti derivanti dalla finalità sociale dei beni, aveva portato alla formazione di una minoranza di straricchi ed imposto "alla infinita moltitudine di proletari un gioco poco meno che servile". D'altra parte, egli rifiutava con altrettanto vigore la soluzione della questione operaia sostenuta da quanti, sull'opposto versante, "attizzando nei poveri l'odio per i ricchi", propugnavano l'abolizione della proprietà privata e la collettivizzazione dei beni, facendo dello Stato l'unico e incontrastato padrone.


2. A distanza di un secolo possiamo misurare la sapienza dell'insegnamento di Leone XIII. Ma già prima di lui, nel 1848, (l'anno del Manifesto di Marx) la dottrina cattolica sui rapporti economici era stata puntualizzata dall'insigne vescovo di Magonza, Monsignor Wilhelm E. von Ketteler, il quale poi, nel 1867, (anno del Capitale) aveva proposto di trattare la questione nel futuro Concilio Vaticano I, osservando che "la brama e l'abuso delle ricchezze, lo stato di abbandono in cui versavano gli operai e la durezza inumana con la quale erano trattati, violando apertamente il quinto e il settimo comandamento, favorivano immensamente gli errori e l'azione del socialismo". Auspicando un'economia più rispettosa dell'uomo - del datore di lavoro come del prestatore d'opera - il Pontefice sosteneva il rispetto della libera iniziativa specialmente nella produzione, ma nel quadro di leggi e istituzioni amministrative volte a ottenere "la pubblica e la privata prosperità" e sempre ispirate alla più rigorosa giustizia distributiva.


3. Quella di Leone XIII non era, certo, una nuova teoria economica, ma l'individuazione della linea etica da seguire alla luce della sana ragione e della divina rivelazione. In conformità con tale magistero si colloca il concetto di "solidarietà", che nell'enciclica "Sollicitudo Rei Socialis" ho indicato e raccomandato quale atteggiamento morale di fondo per affrontare e risolvere i nuovi ed urgenti problemi della società internazionale. Preghiamo la Vergine Santissima, perché instilli il sentimento della solidarietà nel cuore degli uomini di oggi e li induca a porre le loro energie a servizio dello sviluppo e della pace.

Data: 1991-03-10
Domenica 10 Marzo 1991

Preghiera all'"Angelus" per la regione baltica - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Trovino giusta realizzazione le aspirazioni dei cittadini lituani"

Lunedi della scorsa settimana la Lituania ha celebrato con solennità la festa del suo patrono, San Casimiro. Tutta la Chiesa si è unita spiritualmente ai fratelli lituani in questa ricorrenza, pregando per questa carissima Nazione. Sono quotidianamente vicino col cuore e con la preghiera alla Lituania e la Santa Sede ha sempre seguito e segue con viva attenzione il difficile cammino e le sofferenze di tale Nazione, auspicando che le aspirazioni di tutti i cittadini lituani possano trovare una giusta realizzazione, in un'atmosfera di concordia sociale e di mutuo rispetto all'interno del territorio e nel contesto internazionale.

Data: 1991-03-10
Domenica 10 Marzo 1991

Ai degenti dell'Ospedale Oftalmico di Roma

Titolo: In un mondo segnato dalla brama insaziabile dell'avere, la "Parola della Croce" invita alla logica dell'amore

Sia lodato Gesù Cristo!


1. Ringrazio il Dottor Muzzi, Direttore Sanitario, per le gentili parole di accoglienza che mi ha rivolto. Ringrazio anche per l'indirizzo di benvenuto che a nome di tutti è stato pronunciato da uno dei degenti dell'Ospedale. Unitamente al Pro-Vicario, Arcivescovo Camillo Ruini, e al Vescovo Delegato per l'Assistenza Religiosa agli Ospedali, Monsignor Luca Brandolini, rivolgo un particolare saluto a voi qui presenti. La visita pastorale del Vescovo di Roma in questo Ospedale avviene nell'ultimo scorcio del tempo quaresimale, quando cioè siamo proiettati verso la Pasqua, verso il grande evento della morte e risurrezione di Cristo. E' un evento, questo, che conferisce un significato particolare al nostro incontro.

La liturgia di questi giorni, infatti, ripropone alla nostra fede e all'attenzione di tutti il mistero della Croce, che costituisce la piena e definitiva rivelazione dell'amore di Dio all'umanità e quindi il contenuto essenziale del messaggio cristiano. La Croce di Cristo è il segno supremo dell'amore di Dio, per cui ognuno può dire con San Paolo: "mi ha amato e ha dato se stesso per me"!Questa professione di fede sia per tutti motivo di consolazione e fiducia, ma specialmente per quanti Dio chiama a unirsi alla Croce del Figlio, attraverso le innumerevoli sofferenze che segnano la carne e lo spirito dell'uomo. E voi, malati, siete tra questi!


2. La Croce di Gesù non è solo un "mistero" da contemplare e da adorare, è anche parola da accogliere e alla quale affidarsi; è un messaggio da annunciare, perché diventi per tutti fonte di salvezza. L'ultima parola, infatti, che spiega la tremenda realtà del dolore, come pure ogni forma di ingiustizia e di violenza, di oppressione e di morte, è certamente quella della Croce!Essa ha due facce: se da una parte dichiara l'innegabile realtà della sofferenza e della morte, denuncia la malvagità e la miseria che caratterizzano l'esistenza personale e le vicende umane; dall'altra proclama la vittoria sul male e sulla morte e quindi l'amore di Dio che perdona, redime e ridà la vita. Qui, e non altrove, va cercata la risposta ai grandi interrogativi che l'uomo si pone riguardo al senso del vivere e del morire; del dolore e del destino ultimo del suo pellegrinaggio terreno; qui sono da ricercare gli sbocchi della speranza che non delude; come pure l'ultima ragione della vita, vissuta come dono d'amore a Dio e ai fratelli.


3. "La parola della Croce", per essere accolta nella fede e annunciata al mondo, comporta tuttavia una permanente conversione. Esige, cioè, da parte di chi l'accetta e ad essa si sottomette, che ci si volga a Colui che hanno trafitto e si creda all'amore di cui Egli ha dato prova suprema. Domanda ancora che, in un mondo segnato dall'egoismo, dalla superbia, dall'interesse e dalla brama insaziabile dell'avere, si entri nella "logica" di un amore capace di donarsi, interamente e gratuitamente, affinché tutti abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. Chiede, finalmente, da parte di coloro che attraverso il Vangelo della Croce si sono lasciati trasformare dallo Spirito, di conformare il proprio modo di vivere a quello di Cristo crocifisso e risorto, nella consapevolezza che dalla morte scaturisce la vita, dalla sofferenza offerta per amore può rinascere la speranza.


4. Carissimi fratelli e sorelle degenti in questo Ospedale, a voi, innanzitutto, voglio rivolgermi; e, attraverso di voi, a tutti i malati della Chiesa che è in Roma. La "parola della Croce" è indirizzata particolarmente a voi, che siete chiamati a completare nella vostra carne ciò che manca alla passione di Cristo a favore del suo corpo, che è la Chiesa. Accoglietela nella fede e con speranza, testimoniatela con amore!Voi ben conoscete la sofferenza che comporta il non vedere bene, a cui è legato spesso un senso di solitudine e di smarrimento. perciò desiderate giustamente di riacquistare pienamente la vista e, con essa, la gioia di vivere e di sentirvi ancora utili alla famiglia e alla società. E quindi vi affidate alle premure e alla competenza di quanti vi curano. Questo momento è un banco di prova per voi; esso vi fa sperimentare la terribile realtà della sofferenza. Ma se saprete accettarla con fede, potrete diventare collaboratori dell'opera della salvezza, realizzata da Cristo Signore con il suo mistero di passione, morte e risurrezione. La Chiesa tutta, e in particolare quella che è in Roma, sollecitata con il Sinodo pastorale diocesano a rinnovarsi nella fede e a conformarsi sempre più a Cristo per annunciare a tutti il Vangelo della Croce, attende da coloro che soffrono nel corpo e nello spirito, il contributo della loro preghiera e dell'offerta sacrificale della vita, per realizzare un programma tanto impegnativo. Ci sono, infatti, tenebre da dissipare nel campo dello spirito ben più gravi di quelle legate alla mancanza della vista fisica. Sono le tenebre dell'incredulità e dell'indifferenza e quindi del rifiuto di Dio e del suo progetto d'amore. Chiunque fa il male è in queste tenebre e non viene alla luce.


5. Anche per voi, Operatori Sanitari, chiamati a curare e promuovere la salute integrale dell'uomo, la "parola della Croce" costituisce un messaggio esigente.

Sulla via che porta al Calvario e accanto al Crocifisso, il Vangelo ci fa incontrare alcune persone, prima fra tutte Maria, che sono solidali con Cristo, con parole e gesti di amore e di compassione. Accanto ai malati, nei quali si prolunga in certo modo la passione di Gesù, voi siete chiamati a compiere la stessa missione. La vostra professione di medici, di infermieri, di tecnici e di volontari diventa, in questa ottica, carica di significato e ricca di prospettive.

La vostra opera richiede non solo competenza professionale e tecnica, ma anche sensibilità umana, spirituale e morale; richiede generosa dedizione, anche per vincere le tentazioni dell'indifferenza, del disinteresse e dell'assenteismo e dare così testimonianza di un amore sempre pronto a farsi "dono". Tanto più se l'impegno trae ispirazione e sostegno dalla fede. Per assolvere compiti così urgenti e delicati nel mondo della malattia, accogliete le iniziative di formazione umana, cristiana ed etica che vi sono offerte. Cercate di realizzare un'azione concorde, superando le spinte al corporativismo e all'individualismo, che nuocciono al buon funzionamento dell'Istituto. A questo proposito, vi invito a vincere anche quelle forme di tensioni che possono nascere in una situazione di precarietà, non perdendo di vista la condizione dell'ammalato, che deve essere il destinatario principale del servizio sanitario. Siate buoni testimoni di Cristo in tutto ciò che dite e fate. Sarà più facile, così, trasformare l'Ospedale da casa di dolore a "luogo di speranza". Il Signore vi sostenga tutti e interceda per voi Maria, "salute degli infermi"!

Data: 1991-03-10
Domenica 10 Marzo 1991


GPII 1991 Insegnamenti - All'Unione cristiana dei Dirigenti d'Impresa - Città del Vaticano (Roma)