GPII 1991 Insegnamenti - Il congedo dal Paese all'aeroporto militare di Lisbona - Portogallo


1. Al termine della mia permanenza in Portogallo, desidero ringraziare tutti per l'affetto con cui mi avete accolto. In questi giorni ho potuto conoscere il dinamismo spirituale delle vostre comunità, ho apprezzato il calore umano e cristiano della vostra accoglienza, ho verificato l'impegno delle autorità nei confronti del popolo sulla via del progresso solidale e umano, ho potuto conoscere nuovi aspetti della vostra geografia e della vostra storia. Quanto vi stimo! Voglio bene a tutti voi che avete aperto il cuore per ricevere il Papa! Con la mia parola, la mia presenza e la mia preghiera ho voluto confermarvi nella fede, illustrando gli insegnamenti che ci vengono dal Vangelo, predicando la dottrina cristiana, con tutte le sue conseguenze per la vita di ognuno e dell'intera società. Ho voluto confermarvi nella speranza, la vera speranza che ci viene da Gesù Cristo; non cercatela all'interno di vite o progetti che lo lascino da parte, poiché, pur sembrando grandiosi, sono pieni di morte e di amara delusione. Credete nella vita! Credete in Dio! Cercatelo con tutte le vostre forze. Cristo Redentore dell'uomo cammina con voi: regolate i vostri passi con i suoi per costruire, come suoi alleati, un mondo dal volto umano, una società fondata sul rispetto di Dio e del prossimo.


2. Proprio questo ho chiesto, per il Portogallo e per il mondo intero, ai piedi di Nostra Signora di Fatima, nell'indimenticabile pellegrinaggio di oggi al suo Santuario, da cui si irradiano verso tutti i continenti gli splendori della grazia, gli appelli e i moniti profetici della Madre di Dio e degli uomini.

E' quello che ho sentito da poco passando per le Azzorre e per Madeira, frammenti di Portogallo dove la devozione a Fatima si è radicata e rapidamente diffusa, essendo particolarmente propizio l'ambiente mariano che è loro proprio fin dall'epoca in cui le isole dell'Atlantico furono toccate dal primo soffio cristiano: ad esempio, l'arcipelago delle Azzorre è entrato nella storia sotto la protezione di Nostra Signora, come dimostra ancora oggi il nome della prima isola - "Santa Maria" - scoperta esattamente in occasione della festa di "Santa Maria de Agosto", come veniva chiamato allora il giorno 15 di questo mese. Per non parlare dell'azione benedetta di Fatima su tutte le regioni portoghesi del continente, le prime ad aver avuto la gioia di conoscere le strade che portano le moltitudini alla privilegiata Cova da Iria.

Fatima è sempre nuova per chi ripercorre la salita alla Serra de Aire e cerca di penetrare, sempre più profondamente, nei misteri del Messaggio di Nostra Signora, "Colei tutta vestita di bianco", nelle Apparizioni del 1917 ai tre pastorelli, che furono oggetto e portavoce della sua materna benevolenza.

Proclamiamo la nostra gratitudine per il dono di Gesù Cristo che l'umanità di questo secolo ha ritrovato ormai quasi alla soglia del terzo Millennio! Crediamo che la sollecitudine vigorosa di Maria ci ha permesso di raggiungerlo e si è manifestata li con questo disegno. Come ha detto il vostro compianto cardinale Cerejeira, "non è stata la Chiesa ad imporre Fatima, ma Fatima ad imporsi alla Chiesa". Si è imposta alla Chiesa e agli uomini di buona volontà che, al di là dei meravigliosi progressi della scienza moderna, aderiscono ai grandi valori dello Spirito, al di fuori dei quali non esiste una spiegazione ai supremi problemi della vita.


3. Quando, nel messaggio del 31 ottobre del 1942, Papa Pio XII, di gloriosa memoria, consacro il mondo al Cuore di Maria, Regina della Pace, non tralascio di segnalare l'eroica impresa del Portogallo, come popolo credente e missionario, che traccio con la sua scienza nautica e l'"audacia cristiana", nuove rotte oceaniche fino ai confini della terra, entrando così per sempre nella storia della civiltà.

Porto con me, tornando a Roma, il più vivo ricordo di ciò che il Portogallo ha fatto a beneficio della cristianità e della farniglia umana.

Portogallo, Dio ti renda felice nel proseguimento delle tue imprese eroiche e cristiane!


4. Nel congedarmi, con sentimenti profondamente intensi, desidero dire a tutti: molte grazie! Esprimo la mia profonda gratitudine a quanti hanno reso possibile la organizzazione fin nei minimi dettagli e la realizzazione di questa visita pastorale! Desidero ringraziare, in particolare, per la cordialità dell'accoglienza rivoltami dall'illustre Presidente della Repubblica, che con molta cortesia mi ha accompagnato durante le varie tappe di questo viaggio, dal Signor Primo Ministro, dai restanti membri del Governo, dalle autorità civili e militari, che in ogni momento del mio viaggio mi hanno manifestato stima e cortesia. Rivolgo la mia fraterna riconoscenza a tutto il venerando Episcopato, che apprezzo molto per la sua fedeltà e dedizione pastorale. Un cordiale ringraziamento alla radio, alla televisione e ai mass-media per la copertura offerta. Ringrazio infine, commosso, per le manifestazioni di affetto riservatemi dal buon popolo della terra di Santa Maria, con particolare riferimento agli abitanti delle Azzorre e di Madeira. Carissimi fratelli e sorelle del Portogallo, il Papa se ne va e vi porta nel suo cuore! Su tutti i portoghesi di ogni condizione sociale, dai rappresentanti della cultura ai contadini, agli operai e operatori del terziario, dagli anziani agli ammalati negli ospedali e a casa e ai bambini delle scuole, dagli sposi nelle diverse tappe della vita, ai giovani che sognano la vita e l'amore, su tutti discenda la protezione del Cielo. Le vostre case e le vostre vite, radicate in Cristo, siano benedette dalla pace e dall'amore! così formulo i miei auguri del grande amore che vi porto, in pegno del quale vi imparto la mia Benedizione Apostolica, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Arrivederci.

(Traduzione dal portoghese)

Data: 1991-05-13
Lunedi 13 Maggio 1991

Ripercorsi durante l'udienza generale i momenti del pellegrinaggio in Portogallo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Gli avvenimenti di questo decennio in Europa costringono a pensare in modo particolare a Fatima




1. Desidero esprimere la mia gratitudine alla misericordiosa Provvidenza divina, perché nel giorno del 13 maggio mi è stato dato di stare con l'immensa moltitudine dei pellegrini nel Santuario della Madre di Dio, a Fatima. Questa grande assemblea annuale di pellegrini è in relazione alle apparizioni che sono avvenute in quel luogo nel 1917. Il pellegrinaggio di quest'anno ha avuto uno scopo particolare: ringraziare per la salvezza della vita del Papa, il 13 maggio 1981, esattamente, quindi, dieci anni fa. Tutto questo decennio lo considero come dono gratuito fatto a me in modo speciale dalla Divina Provvidenza; per questo mi è stato dato particolarmente come compito, affinché io possa servire ancora la Chiesa, esercitando il ministero di Pietro. "Misericordiae Domini, quia non sumus consumpti". Il messaggio di Maria da Fatima si può sintetizzare in queste prime e chiare parole di Cristo: "Il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo". Gli avvenimenti che si sono compiuti durante questo decennio sul nostro Continente europeo, particolarmente nell'Europa Centrale ed Orientale, permettono di dare nuova attualità a questa chiamata evangelica alle soglie del Terzo Millennio. Questi avvenimenti costringono anche a pensare in modo particolare a Fatima. Il cuore della Madre di Dio è il cuore della Madre che si prende cura non soltanto degli uomini, ma anche di interi popoli e di nazioni. Questo cuore è totalmente dedicato alla missione salvifica del Figlio: del Cristo Redentore del mondo, Redentore dell'uomo.


2. Desidero esprimere una cordiale gratitudine per l'invito a visitare il Portogallo proprio in questi giorni. Questa mia gratitudine la rivolgo ai miei fratelli nell'Episcopato portoghese con il Cardinale-Patriarca di Lisbona. La rivolgo, al tempo stesso, al Signor Presidente della Repubblica ed a tutte le Autorità statali e locali. Ringrazio per la così cordiale ospitalità, che ho sperimentato dappertutto sul cammino del mio pellegrinaggio. Ringrazio per la preparazione delle Cerimonie liturgiche e per la partecipazione, piena di fede, nel servizio sacramentale, per la Parola di Dio accolta con apertura di intelletto e di cuore. Mi riferisco con questo ai Sacerdoti e alle Famiglie religiose maschili e femminili. Mi riferisco a tutte le generazioni, dagli uomini più anziani ai bambini (proprio a dei bambini è stato affidato il messaggio di Fatima nel 1917). Mi riferisco, inoltre, ai malati ed ai sani, ai coniugi, alle famiglie ed alla gioventù. Che Dio vi ricompensi! Il Portogallo, situato sul limite occidentale del Continente europeo, ha una lunga e ricca storia. 500 anni fa i portoghesi furono tra i primi pionieri delle scoperte geografiche, che hanno cambiato il corso della storia sulla terra. Insieme con questo si sono aperti anche nuovi campi per l'evangelizzazione. Si è scoperta "molta messe" e si sono trovati "gli operai" che "il padrone manda nella sua messe". Se non è possibile menzionare tutto, bisogna, per lo meno, ricordare la prima evangelizzazione dell'Angola, nell'Africa, ed anche del Brasile, nel Sud America proprio cinque secoli fa.


3. Per questa ragione, quindi, il mio pellegrinaggio è cominciato col Sacrificio della Santa Messa, celebrata a Lisbona, nella capitale, come ringraziamento per i 500 anni della partecipazione del Portogallo alla missione evangelizzatrice della Chiesa. Questo ringraziamento è, nello stesso tempo, chiamata e preghiera ardente per la nuova evangelizzazione. Quella, cioè, che i nostri tempi aspettano. Quella di cui parla, in modo così convincente, la recente Enciclica "Redemptoris Missio".

In relazione a questo, il cammino da Lisbona mi ha condotto verso le Isole portoghesi: esse costituivano come un primo scalo di quella epopea missionaria che cinquecento anni fa è nata sul suolo della Chiesa nell'antica Lusitania: prima l'Arcipelago delle Azzorre e, poi, Madeira - in mezzo all'Oceano Atlantico. In entrambi i luoghi la Chiesa vive radicata da secoli, unita attorno ai suoi Vescovi: la diocesi di Angra, nelle Azzorre, e la diocesi di Funchal di Madeira.

Sono stato ospite dei Pastori e delle Comunità ecclesiali piene di vita, nel periodo della preparazione alla Pentecoste, quando la missione degli Apostoli e la vitalità, che la Chiesa riceve continuamente dalla venuta del Consolatore - lo Spirito di Verità -, rinasce in modo speciale. E' difficile ricordare tutti i particolari. Si è iscritta profondamente nel mio cuore la celebrazione della Parola in onore dell'"Ecce Homo" (Santo Cristo) a Ponta Delgada nelle Azzorre. Poi l'Isola di Madeira, con la splendida configurazione del terreno e il clima mite, è il luogo che ospita numerosi visitatori dell'Europa del Nord, specialmente anziani. La chiesa cattedrale, in stile gotico, costruita tra la fine del secolo XV e l'inizio del XVI, dà la testimonianza del grande passato missionario di questa sede vescovile, che divenne la madre di diverse Chiese del Nuovo Mondo (in particolare in terra brasiliana).


4. Tornando ancora una volta a Fatima, che costituiva l'ultima fase della visita in terra portoghese, è difficile resistere all'eloquenza della fede e all'affidamento di quella folla di un milione di persone che si è riunita la sera per la veglia, e, il giorno seguente, 13 maggio, ha riempito, ancor più, la spianata del Santuario durante la concelebrazione eucaristica. Oltre ai Pastori della Chiesa del Portogallo, era presente quasi tutto l'Episcopato dell'Angola, ed anche tanti altri Cardinali e Vescovi, che sono venuti da diversi Paesi dell'Europa e da diversi Continenti. In mezzo a questa grande comunità in preghiera abbiamo sentito in modo particolare "le grandi opere di Dio", che la Provvidenza iscrive nella storia dell'uomo, servendosi dell'umile "Serva del Signore". Ella, tuttavia, affida il suo messaggio evangelico e, al tempo stesso, materno molto volentieri alle anime semplici e pure: a tre poveri bambini. Ciò ha avuto luogo proprio a Fatima. Cosa che, prima, era accaduta a Lourdes: "perché di questi è il regno dei Cieli", secondo le parole del Signore. Come non rimanere stupiti?Quest'anno l'esperienza di Fatima, iniziando dal ringraziamento, ha assunto, contemporaneamente, la forma della supplica ardente. Perché le lancette, che sull'orologio dei secoli si spostano verso l'anno duemila, mostrano non soltanto i provvidenziali mutamenti nella storia di intere nazioni, ma anche le nuove e vecchie minacce. Basti ricordare quello che alcune settimane fa è stato trattato nel Concistoro Straordinario dei Cardinali a Roma. Nella Liturgia di Fatima il libro dell'Apocalisse ci mostra non soltanto "una donna vestita di sole", ma, in pari tempo, la stessa "donna", la quale condivide tutte le minacce mortali contro i suoi figli, che essa partorisce nel dolore. Perché la Madre di Dio è, come ha ricordato l'ultimo Concilio, il tipo della Chiesa-Madre.


5. Madre della Chiesa, il tuo servo sulla sede di Pietro Ti ringrazia per ogni bene che, nonostante tante minacce, trasforma la faccia della terra. Ti ringrazia anche per tutti questi anni del "Ministerium Petrinum", durante i quali hai voluto essere di aiuto con la tua intercessione presso Cristo, l'unico ed eterno Pastore della storia dell'uomo. A Lui la gloria nei secoli!

Data: 1991-05-13
Lunedi 13 Maggio 1991

Alla conclusione della seduta per la celebrazione del I° centenario della "Rerum Novarum"

Titolo: Urge una conversione dall'egoismo incontrollato ad una cultura di autentica solidarietà

Eminenze, Cari fratelli nell'episcopato, Cari fratelli e care sorelle,


1. In questi giorni, migliaia di pellegrini di vari continenti vengono a Roma per celebrare con sentimenti di gratitudine il centenario della pubblicazione dell'enciclica "Rerum Novarum". Numerose iniziative vengono prese ovunque nel mondo per celebrare questa data storica. La Santa Sede, consapevole del suo debito nei riguardi di Papa Leone XIII, la celebra con questa seduta solenne che voi onorate della vostra presenza e che io ho la gioia di presiedere. Essa fa seguito al seminario estremamente attuale sulla "destinazione universale dei beni", i cui partecipanti sono tuttora qui e che io tengo a salutare in maniera particolare.

Per queste iniziative assai opportune, vorrei ringraziare l'intero Pontificio Consiglio Giustizia e Pace nella persona del suo presidente, il Cardinale Roger Etchegaray e del suo vice presidente Monsignor Jorge Mejia. Questi studi, aperti agli specialisti delle diverse discipline, seguono una antica tradizione di cui già aveva beneficiato Papa Leone XIII per la preparazione della sua enciclica.

Attualmente, nel contesto di questo centenario della "Rerum Novarum" e in rapporto con la "Centesimus Annus", vorrei proporvi alcune riflessioni proprio riguardo al pensiero sociale della Chiesa sulla destinazione universale dei beni.


2. La destinazione universale dei beni della terra.

Fin dall'inizio della sua enciclica, Papa Leone XIII ha sottolineato il fatto che, come conseguenza delle nuove tecniche, la produzione dei beni è aumentata rapidamente, e l'umanità si è trovata di fronte ad una ricchezza mai sperimentata nel passato. Egli non rifiutava questa res nova come tale; al contrario, egli vedeva in essa una nuova realizzazione della volontà di Dio di perfezionare l'opera della sua creazione grazie al lavoro dell'uomo e per il bene dell'uomo. Ma la preoccupazione del Papa era di vedere che questa nuova ricchezza, invece di essere accessibile a tutto il genere umano, rimaneva in realtà concentrata nelle mani di un piccolo gruppo di persone, mentre la massa dei proletari era esclusa dal suo godimento e diventava sempre più povera.

Questo risultato era in contraddizione diretta con la volontà di Dio, che ha donato la terra a tutto il genere umano perché ne facesse uso e potesse disporne. Ecco perché il Papa si sforzo volutamente, in particolare con la sua enciclica, di mostrare le vie e i mezzi per realizzare questa volontà di Dio anche nella società industriale. Non si poteva certo pensare realisticamente di conseguire questo risultato abolendo la proprietà privata; perciò il Papa chiedeva l'assegnazione di un salario equo, la possibilità reale di accedere alla proprietà, e anche l'intervento dello Stato e una organizzazione giusta del lavoro.

Il Papa non aveva allora - e non può sorprendere - la possibilità di conoscere o di prevedere tutti i mezzi e tutti i metodi di cui disponiamo oggi, come la formazione professionale, la partecipazione al capitale produttivo, la previdenza a spese dello Stato, le diverse forme di ridistribuzione del profitto e altre cose ancora. Pertanto, nella sua enciclica, Leone XIII cominciava con lo stabilire il fondamento e l'orientamento su cui si sono modellate le encicliche seguenti, sia per denunciare delle situazioni ingiuste, sia per aprire nuove possibilità per l'attuazione della destinazione universale dei beni.

Da parte mia, nell'enciclica Centesimus Annus, ho messo l'accento soprattutto su tre problemi attuali. Il primo riguarda la ripartizione ingiusta dei beni tra i paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo. La Chiesa si rende conto che non è facile colmare questo "abisso" dall'oggi all'indomani.

Quando si auspica e si chiede una politica di sviluppo, non bisogna essere utopisti, ma, di fronte all'aggravarsi della miseria da una parte e le possibilità economiche e le tecniche avanzate dall'altra, la Chiesa giudica necessario ribadire che, sia pure gradualmente, bisogna urgentemente prendere delle iniziative più radicali, più efficaci, a favore e con la collaborazione dei paesi poveri.


3. Il secondo problema riguarda l'ingiusta distribuzione dei beni all'interno di ogni Paese; questo è un problema che tocca sia i Paesi in via di sviluppo sia i Paesi industrializzati. Nel corso dei miei viaggi pastorali nei Paesi del Terzo Mondo, ho spesso ripetuto che l'ingiusta distribuzione dei beni della terra, lo sfruttamento del lavoro e lo stile di vita lussuoso di certuni costituiscono delle violazioni scandalose della distribuzione universale dei beni.

Ma, bisogna ripeterlo, problemi dello stesso tipo si pongono nei Paesi industrializzati. Una parte consistente della popolazione dell'Europa dell'Ovest vive in condizioni di povertà che sono motivo di terribili sofferenze. Nei Paesi dell'Europa Centrale ed Orientale, il fenomeno è ancora più diffuso. E questa nuova povertà non tocca oggi una classe in particolare, ma riguarda gruppi diversi che si tende a dimenticare spesso se non sempre nella società del benessere.

Vorrei ancora insistere su un altro fatto che è legato alla destinazione universale dei beni. Sappiamo che il capitale produttivo nel vero senso della parola aumenta velocemente, soprattutto nei paesi industrializzati. Eppure, questo aumento non si realizza sempre a beneficio di un gran numero di persone, ma il capitale resta concentrato nelle mani di alcune persone. Ora, la dottrina sociale della Chiesa ha sempre sostenuto la partecipazione di un gran numero di persone al capitale produttivo, perché la proprietà è uno dei principali mezzi per proteggere la libertà e la responsabilità della persona e, di conseguenza, della società.


4. Il terzo problema di attualità riguardo alla destinazione dei beni si riferisce alle nostre responsabilità nei confronti della creazione e nei confronti delle generazioni future. Certuni ripongono tutte le loro speranze delle nuove tecnologie pensando che esse possano notevolmente ridurre tutte le minacce che pesano sull'equilibrio ecologico. A dire il vero, per la Chiesa, non si tratta solamente di un problema tecnico ma anche e soprattutto di un problema morale. Non è sufficiente evocare gli enormi danni causati all'ambiente naturale; bisogna anche insistere, e ancor di più, forse, sulle sofferenze quotidiane che vengono inflitte agli uomini con le diverse forme di inquinamento, con gli alimenti adulterati o nocivi, con il traffico caotico dei mezzi di trasporto che rende l'aria irrespirabile. E ancora, "oltre all'irrazionale distruzione dell'ambiente naturale, è qui da ricordare quella, ancor più grave, dell'ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la necessaria attenzione" (CA 38).


5. La "destinazione universale" del "servizio dell'autorità".

E' noto che Leone XIII nel suo documento esprimeva una seconda preoccupazione: egli osservava lucidamente che il nuovo sistema di produzione, derivante dal capitalismo, portava con sé la concentrazione di un tale potere economico e sociale nelle mani dei padroni del capitale, che gli operai, non disponendo di alcuna proprietà personale, potevano essere facilmente sfruttati e oppressi dal peso stesso del capitale. Ma questo pericolo non era il solo. Il Papa ne aveva previsto anche un altro: il pericolo che il capitale si "impadronisse", cioè conquistasse e usurpasse l'autorità stessa dello Stato, rafforzando così il suo monopolio economico e sociale. Di fronte a questa situazione critica, il Papa dichiarava in modo incisivo: "I proletari né più né meno dei ricchi sono di naturale diritto cittadini, membri veri e viventi onde si compone, mediante le famiglie, il corpo sociale... Ora, essendo assurdo provvedere ad una parte di cittadini e trasandare l'altra, è stretto dovere dello Stato prendersi la dovuta cura del benessere degli operai: non facendolo, si offende la giustizia che vuole reso a ciascuno il suo... Senonché (lo Stato) nel tutelare le ragioni dei privati vuolsi avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri... e pero agli operai, che sono nel numero dei deboli e dei bisognosi" (Rerum Novarum 27-29; cfr. Centesimus Annus, CA 8-10). A questo proposito si può stabilire un'analogia: come i beni della terra sono destinati a tutti, così i poteri pubblici sono destinati al bene di tutti, e non solamente al bene di un gruppo particolare. Insistendo su questo principio, il Papa non prendeva affatto la difesa dello Stato assistenziale e totalitario; al contrario, egli ribadiva esplicitamente che la responsabilità sociale non deve essere concentrata esclusivamente nelle mani dello Stato. In effetti, egli ripeteva che i diritti della famiglia vengono prima di quelli dello Stato, e che le associazioni libere hanno il diritto naturale di organizzarsi e di risolvere autonomamente i loro problemi sociali. Quindi, bisogna sostenere che la natura sociale dell'uomo non si esaurisce nello Stato, ma che la "personalità" della società deve sempre essere rispettata con la sua autonomia e le sue peculiari responsabilità (cfr. CA 13).

Lasciando da parte questa necessaria chiarificazione, l'insistenza di Papa Leone XIII, sulla "destinazione" dei pubblici poteri a beneficio di tutti rappresento un importante contributo non soltanto per appoggiare gli operai, ma anche nella prospettiva di superare la lotta di classe.

In questo campo, non vi è da meravigliarsi che il Papa non abbia avuto allora conoscenza di tutto ciò che implicava l'affermazione della "destinazione" dei poteri pubblici a beneficio di tutti. Ma qui ancora, la "Rerum Novarum" enunciava un principio di base sul quale le encicliche sociali seguenti si sono basate per approfondire il ruolo dello Stato per la promozione del bene comune in campo economico, come pure in campo sociale e culturale, insistendo sempre sia sulla sua presenza necessaria sia sul principio della sussidiarietà.


6. Il raggio d'azione dei poteri pubblici fa parte, ancora oggi, dei problemi più gravi dell'ordine sociale nei Paesi industrializzati così come nei Paesi in via di sviluppo. Anche se l'ideologia della lotta di classe non trova quasi più sostenitori dopo il crollo del "socialismo reale", lo Stato moderno si trova di fronte a due pericoli: ll primo consiste nella tendenza per lo Stato di diventare un ente di assistenza per tutti i cittadini, senza prendere in considerazione particolarmente le persone più bisognose. In queste condizioni, i bisogni di certi gruppi vengono ignorati o ricondotti a delle categorie generali. Si pensi per esempio ai bisogni specifici delle famiglie numerose, delle persone handicappate, degli anziani, dei rifugiati o degli immigrati. Quando Leone XIII parlava della responsabilità dei poteri pubblici nei riguardi di tutti, egli non sosteneva certo un generico egualitarismo; al contrario, egli attirava l'attenzione degli Stati sulla loro responsabilità in particolare nei riguardi di coloro che sono sprovvisti di mezzi per sopperire alle loro necessità vitali.

Il secondo pericolo consiste nel rischio che il peso dell'assistenza assicurata ai cittadini dallo Stato riduca e affievolisca quella che io chiamo la "personalità" della società. Ci troviamo oggigiorno di fronte ad una situazione molto difficile: la tendenza all'individualismo e all'atomizzazione della società è in aumento. Di conseguenza, vediamo svilupparsi la tendenza dello Stato a rimediare alle lacune che ci sono nella solidarietà sociale per mezzo di strutture coercitive e di meccanismi burocratici. In queste condizioni è essenziale che lo Stato moderno riesca a responsabilizzare la società e a motivarla nel senso di attività economiche, sociali e culturali. Per ottenere il bene comune in una maniera veramente degna dell'uomo, bisogna che ci sia un giusto equilibrio tra la corresponsabilità dei membri della società e l'impegno dello Stato, come ho ricordato io stesso nella Centesimus Annus (CA 48).

La portata di questo orientamento supera di molto la dimensione nazionale, essa tocca anche la costruzione dell'unità europea o gli sforzi analoghi fatti in altri continenti. Una Europa unita non può assorbire, nelle sue strutture uniformi, le specifiche iniziative economiche, sociali e culturali di ciascun Paese, ma può essere di grande aiuto per tutti se le organizzazioni continentali si associano e si consultano con le regioni, nel rispetto della loro autonomia.


7. La "destinazione universale" dell'annuncio evangelico.

Leone XIII era convinto che la destinazione dei beni a tutta l'umanità e la "destinazione" dei poteri pubblici a tutti fossero dei principi fondamentali agli albori della civiltà industriale. Tuttavia è impressionante leggere, nella "Rerum Novarum", che "i beni di natura e di grazia sono patrimonio comune del genere umano" (21), e constatare come l'insieme del documento sia permeato dalla convinzione che le riforme economiche e politiche non siano sufficienti da sole a risolvere la questione sociale. Le riforme di struttura devono essere accompagnate e anzi precedute da una riforma morale ispirata al Vangelo e sostenuta dalla grazia. Su questo poggia l'appello costante del Papa alla coscienza dei dirigenti delle aziende e degli operai, la sua insistenza sul fatto che la religione debba essere considerata fondamentale nelle associazioni di operai e di dirigenti. Allo stesso modo va inteso l'appello allo Stato affinché protegga il diritto degli operai alla pratica religiosa.

Leone XIII era convinto che la Chiesa, accanto alla sua missione specifica di diffondere il Vangelo, avesse il dovere di insistere sulle conseguenze sociali che ne derivano. La sua più grande preoccupazione era di non vedere instaurarsi una sorta di processo di alienazione che separasse il Vangelo dalla società industriale, e per conseguenza facesse perdere al Vangelo ogni influenza nella soluzione dei problemi sociali. Egli diceva: "E' primieramente tutto l'insegnamento cristiano, di cui è interprete e custode la Chiesa, è potentissimo a conciliare e mettere in accordo fra loro i ricchi e i proletari, ricordando agli uni e agli altri i mutui doveri, incominciando da quelli che impone la giustizia" (16).

E non esitava ad aggiungere questa considerazione essenziale: "Le cose del tempo non è possibile intenderle e valutarle a dovere, se l'animo non si erge ad un'altra vita, ossia all'eterna: senza la quale la vera nozione del bene morale necessariamente dileguasi, anzi l'intera creazione diventa un mistero inesplicabile" (18). E ancora: "Non saran paghe di una semplice amicizia, vorranno darsi l'amplesso dell'amore fraterno. Poiché conosceranno e sentiranno che tutti gli uomini hanno origine da Dio, padre comune" (21).

Nella sua storia ormai centenaria, la dottrina sociale della Chiesa ha sempre sostenuto che la riforma delle strutture deve essere accompagnata da una riforma morale, poiché la radice profonda dei mali sociali è di natura morale, ossia "da una parte la brama esclusiva del profitto e dall'altra la sete del potere" (SRS 37). Essendo la radice dei mali sociali di tale ordine, ne consegue che essi possono essere superati soltanto a livello morale, cioè per mezzo di una "conversione", un passaggio da comportamenti ispirati ad un egoismo incontrollato ad una cultura di autentica solidarietà.

Questa affermazione conserva pienamente il suo senso per la società odierna e per quella di domani. Di fronte ai gravi problemi nazionali e internazionali attuali, è essenziale conservare la viva speranza che anche coloro che non professano esplicitamente alcuna fede religiosa siano convinti che i mali sociali "non sono soltanto di ordine economico, ma dipendono da atteggiamenti più profondi configurabili, per l'essere umano, in valori assoluti" (Ibidem, SRS 38). Ho fatto appello a tutte le Chiese e a tutte le comunità cristiane, oltre che alle altre religioni del mondo, perché collaborino per far condividere a tutti gli uomini la convinzione che questo fondamento morale e religioso sia necessario per risolvere i numerosi problemi economici, sociali e politici che rimangono aperti.


8. Cari fratelli e sorelle, il centesimo anniversario della "Rerum Novarum" ci invita ad avere uno sguardo "retrospettivo", uno sguardo "attuale" sulle "cose nuove" che ci circondano, e anche a posare il nostro sguardo "verso l'avvenire" (cfr. CA 3). Lo sguardo "retrospettivo" ci invita a rendere grazie a Dio che ha donato alla Chiesa un "ricco patrimonio" nel messaggio storico di Leone XIII. La nostra gratitudine va anche a tutti coloro che, nel corso di questi cento anni, si sono adoperati ad approfondire questo messaggio e a metterlo in pratica. Lo sguardo "attuale" ci invita a constatare e a valutare con molta attenzione i profondi cambiamenti economici, sociali e politici sopraggiunti in questi ultimi anni, al fine di contribuire alla soluzione dei problemi che suscitano. Lo sguardo "verso l'avvenire" ci invita, oggi più che mai, a rinnovare l'impegno che Leone XIII formulava così: "Che ciascuno faccia la parte che gli conviene; e non s'indugi, perché il ritardo potrebbe rendere più malagevole la cura di un male già tanto grave". E aggiungeva: "Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mancar mai e in modo nessuno l'opera sua" (Rerum Novarum, 45).

Mentre si avvicina l'inizio del terzo millennio cristiano, credo che la celebrazione più degna e fruttuosa della enciclica "Rerum Novarum" consista nel rinnovare questo impegno, nel confermare che il suo compimento generoso è un dovere. Noi osiamo sperare che il nuovo millennio sia un'era di giustizia e di pace per il mondo intero. Che la benedizione di Dio ci aiuti ad essere sempre più "assetati di giustizia" e "pacificatori" (Mt 5,6-9)! (Traduzione dal francese)

Data: 1991-05-15
Mercoledi 15 Maggio 1991

Alle Superiore generali di Istituti di vita consacrata - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Tutta l'opera di apostolato deve mirare a condurre l'uomo sul cammino della salvezza

Care sorelle,


1. Quest'incontro, che avviene nel corso dell'assemblea biennale promossa dall'Unione Internazionale Superiore Generali, mi offre l'occasione di dare il benevenuto alle Superiore Generali e alle Consigliere Generali di un gran numero di Congregazioni Religiose femminili. Provenite da 63 Paesi di cinque continenti.

Attraverso di voi invio i miei cordiali saluti ai membri delle vostre rispettive comunità sparse in tutto il mondo, e rendo grazie a Dio per tutto ciò che è stato raggiunto grazie alla testimonianza della vostra consacrazione religiosa e alla vostra generosa dedizione all'apostolato, per il bene della Sua Chiesa e la venuta del Suo Regno: "Non cesso di render grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere... per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi" (Ep 1,16-18).

Saluto il Cardinale Hamer, che condivide la mia responsabilità pastorale per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Ringrazio Suor Helen Mc Laughlin, Superiora Generale delle Religiose del Sacro Cuore di Gesù e Presidente della vostra Unione, per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome vostro. Soprattutto mi incoraggia il vostro esplicito impegno di continuare ad assolvere con sempre maggiore competenza e dedizione il ruolo unico e indispensabile che le religiose esercitano nella missione della Chiesa di evangelizzazione e di servizio.


2. Il tema del vostro incontro, "Le Religiose, compagne nell'Evangelizzazione", vi ha condotte a riflettere sul problema di come portare il mondo contemporaneo a contatto con il potere vivificante del Vangelo. Il Vangelo e il mondo: sono stati questi i due poli delle vostre giornate di studio, così come sono i punti di riferimento essenziali della vostra stessa consacrazione religiosa. Giacché la consacrazione religiosa nasce dal Vangelo, "sulle parole e sugli esempi del Signore" (LG 43), e costituisce un segno speciale del dominio di Dio sulla sua creazione, un segno speciale della presenza del Regno di Suo Figlio nel mondo.

Il Vangelo e il mondo: lo stesso Signore vi ha chiamate ad essere testimoni profetiche al Vangelo, "potenza di Dio per la salvezza" (Rm 1,16), e quindi a rendere il servizio più ampio possibile al mondo, per ricondurlo al suo Creatore e Redentore.

Anche se la vostra consacrazione religiosa si manifesta in un gran numero di carismi e di apostolati specifici, essa ha uno scopo essenziale: "il fervore della carità" e la "perfezione del culto divino" (LG 44).

Avendo sempre presente questo obbiettivo, potrete meglio assistere i membri delle vostre Congregazioni ad apprezzare più pienamente il legame speciale che le vincola al mistero di Cristo e al mistero della sua Chiesa, evitando una sterile riduzione della vita religiosa a livello di semplice impegno temporale o attività puramente umanitaria. Il mio pellegrinaggio di qualche giorno fa a Fatima è stato una professione di fede nella natura spirituale e trascendente della nostra vita cristiana. Per me, esso ha rappresentato l'occasione di ringraziare la Beata Vergine Maria per la sua protezione dieci anni fa. Mi ha inoltre infuso coraggio per proseguire il mio ministero secondo l'esempio di Maria, "il modello di quell'amore materno dal quale devono essere animati tutti quelli che nella missione apostolica della Chiesa, cooperano alla rigenerazione degli uomini" (RMi 92).


3. L'evangelizzazione è un'impresa complessa, e nessuna definizione parziale o frammentaria può renderle giustizia (cfr. EN 19-24). Essa consiste nel portare la Buona Novella ad ogni persona e a tutti i popoli, e attraverso il suo impatto, essa mira a far sorgere una "nuova umanità".

E' diretta "a quanti - sono milioni e milioni di uomini e donne - ancora non conoscono Cristo, redentore dell'uomo" (RMi 31).

L'evangelizzazione abbraccia culture diverse allo scopo di trarre da esse i mezzi con cui diffondere e predicare il messaggio di Cristo ad ogni nazione, comprenderlo meglio ed esprimerlo meglio nella liturgia e nella vita quotidiana dei fedeli cristiani. Nel suo avanzare, l'evangelizzazione riesce a "raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità, che sono in contrasto con la parola di Dio e col disegno della salvezza" (EN 19).

Nella mia recente Enciclica sulle Missioni, ho ricordato che il compito che Cristo redentore ha affidato alla Chiesa è ben lungi dall'essere compiuto, e che noi tutti dobbiamo dedicargli tutta la nostra attenzione e la nostra energia.

Desidero riaffermare il valore della vocazione dei missionari ad gentes. Essi, soprattutto negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica, costituiscono, per così dire, "il paradigma dell'impegno missionario della Chiesa, che ha sempre bisogno di donazioni radicali e totali, di impulsi nuovi e arditi" (RMi 66). La Chiesa infatti non sarebbe fedele alla sua natura essenzialmente missionaria se non continuasse a inviare uomini e donne la cui dedizione alla missione coinvolge tutta la loro persona e tutta la loro vita, tutte le loro energie e tutto il loro tempo.

In questo senso è impossibile pensare al compito universale dell'evangelizzazione senza il vitale e specifico contributo delle religiose. La testimonianza della vostra consacrazione religiosa è fonte di abbondante linfa nelle Chiese più giovani ed un antidoto necessario alla "secolarizzazione della salvezza" che troppo spesso si riscontra nelle società più avanzate (cfr. Ibidem, RMi 11). A questo compito urgente voi portate la profonda esperienza interiore di discepole di Cristo nell'amore sponsale e la vostra assoluta disponibilità a servire la famiglia umana attraverso "tutte le manifestazioni del "genio" femminile.... tutti i carismi che lo Spirito Santo elargisce alle donne... le vittorie che (la Chiesa) deve alla loro fede, speranza e carità" (MD 31).


4. La mia seconda Enciclica degli ultimi mesi, la Centesimus Annus, offre una riflessione sulla dottrina sociale della Chiesa, sul suo impegno nel mondo per la difesa della persona umana e la tutela dell'umana dignità (cfr. op. cit., CA 3). In questo senso essa rappresenta una meditazione sul mondo in tutta la sua perfettibilità e bisogno di redenzione, nella sua necessità del Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. A questo punto ho un pressante invito da rivolgere alle religiose: che nella vostra ricerca di giustizia e genuina liberazione non perdiate di vista la verità che ispira l'attività pastorale, sociale e caritativa della Chiesa, vale a dire la verità che il nostro destino è trascendente, la nostra identità è pienamente rivelata solo attraverso la fede, e di conseguenza tutte le opere di apostolato mirano in un modo o nell'altro a condurre l'uomo sul cammino della salvezza (cfr. Ibidem, CA 54). Mentre ci avviciniamo alla fine del ventesimo secolo e stiamo per entrare nel Terzo Millennio Cristiano, il mondo ha bisogno di una testimonianza religiosa e spirituale che sia chiara e che non si comprometta con le forze del male e la "superbia della vita" (1Jn 2,16). E' mia fervida speranza che le religiose del mondo, nel continuare in una vocazione a cui in passato hanno risposto spesso drammaticamente, ricordino costantemente alla Chiesa il primato della grazia e la priorità dell'amore nella causa dell'evangelizzazione, che è la fonte dell'autentica liberazione.


5. Religiose, compagne nell'evangelizzazione, lo siete in quanto donne. Lo siete come le donne che, insieme ai Dodici, seguivano Gesù e lo assistevano con i loro beni (cfr. Lc 8,1-3). Lo siete specialmente come Maria Maddalena, apostola apostolorum, manifestando come lei, nel vostro rapporto privilegiato con Gesù, la vostra accoglienza della sua Parola e la vostra fedeltà al suo Messaggio. Lo siete come la Samaritana, che porta, lei stessa, la Lieta Novella, dopo aver riconosciuto in Colui che parla l'atteso Messia.

Compagne nell'evangelizzazione, lo siete secondo queste "due dimensioni particolari nella realizzazione della personalità femminile", la verginità e la maternità (cfr. MD 17), due dimensioni che si spiegano e si completano reciprocamente nella vocazione della donna. Se "La maternità della donna in senso biofisico manifesta un'apparente passività... Nello stesso tempo, la maternità in senso personale etico esprime una creatività molto importante della donna" (Ibidem, MD 19). E' questa creatività che le religiose sono chiamate a sviluppare al servizio dell'evangelizzazione. La maternità, d'altronde, intesa alla luce del Vangelo "non è solo "della carne e del sangue": in essa si esprime il profondo "ascolto della parola del Dio vivo" e la disponibilità a custodire questa Parola, che è "parola di vita eterna"" (Ibidem MD 19).

Quanto alla verginità, che non si può comprendere correttamente senza fare ricorso all'amore sponsale, ossia ad un amore in cui la persona diventa dono per l'altro (cfr. Ibidem, MD 20), si apre all'esperienza di una maternità in un senso nuovo: la maternità "secondo lo Spirito" (cfr. Rm 8,4; MD 21). Non possiamo infatti dimenticare che lo stesso San Paolo sente il bisogno di ricorrere a quanto è per natura femminile per esprimere la verità del suo servizio apostolico, quando si rivolge ai Galati dicendo: "figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore" (Ga 4,19). Si potrebbero ricordare molti altri aspetti per porre in rilievo la dignità della donna e la sua vocazione, ma ho voluto semplicemente ricordare quelli che mi sembrano più strettamente collegati al servizio dell'evangelizzazione.


6. Vi incoraggio quindi, sorelle mie, a continuare nella speranza la missione che Dio vi ha affidato e di cui una parte essenziale è costituita dalla testimonianza della vostra vita consacrata. Invito quelle tra voi che sarebbero tentate di lasciarsi abbattere dalla scarsità di vocazioni e dall'invecchiamento delle loro sorelle a rammentare la parola di Gesù: "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno" (Lc 12,32).

Auspico, infine, che gli Istituti che accolgono numerose candidate preparino le formatrici che le accompagneranno, con competenza, pazienza ed efficacia durante tutta la loro formazione iniziale e permanente.

Prego il Signore Gesù, per l'intercessione della Vergine Maria, di sostenere i vostri sforzi, di nutrire la vostra speranza e di compiere in ognuna delle vostre famiglie religiose l'opera di grazia che ha iniziato dalla vostra fondazione, affinché gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica restino strumenti privilegiati al servizio dell'evangelizzazione.

E vi imparto di cuore la mia Benedizione apostolica.

(Traduzione dall'inglese e dal francese)

Data: 1991-05-16
Giovedi 16 Maggio 1991




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