GPII 1991 Insegnamenti - L'incontro ecumenico di preghiera nella cattedrale ortodossa di Bialystok (Polonia)

L'incontro ecumenico di preghiera nella cattedrale ortodossa di Bialystok (Polonia)

Titolo: Il dialogo nella verità, nella sincerità e nella carità, unica via per tendere alla piena unità

Eccellenze, Reverendissimo Mons. Arcivescovo Sawa.

Veneratissimi Vescovi Szymon, Jeremiasz, Adam e Abel, Venerati Sacerdoti e Diaconi, Padri, fratelli e sorelle religiosi, Amati nel Signore fratelli e sorelle! "Questo è il giorno fatto dal Signore: / rallegriamoci ed esultiamo in esso" (Ps 117/118,24).

Al Signore dei secoli e Signore della Chiesa - a Gesù Cristo, Salvatore nostro, rendiamo profondissime grazie per il dono di questo incontro odierno.

Siamo radunati nel suo nome e crediamo, che conformemente alla promessa che abbiamo ricevuto, egli è presente in mezzo a noi. Per questo dal profondo del cuore possiamo qui, in questo sacro luogo, ripetere il versetto dell'Ufficio delle Letture di Pasqua: "Sjéj dién, jegoze sotwori Hospod'".


1. Wozlublennii o Hospodie Bratia i Siéstry! Il nostro incontro cade poco dopo la Pentecoste. Il vivere profondamente il mistero della Discesa dello Spirito Santo ci ha preparato ad esso spiritualmente. Sono lieto che esso abbia luogo in questa città, ove da secoli, si incontrano le due tradizioni cristiane - quella dell'Oriente e dell'Occidente - e che ci incontriamo nella cattedrale dedicata a San Nicola, il quale era vescovo nella Chiesa ancora indivisa ed è venerato sia nell'Oriente che nell'Occidente cristiani. La comune venerazione presente nelle nostre Chiese è anche una delle fonti di nostalgia della piena unità.

Lo Spirito Santo è l'artefice della santità nella Chiesa. Come proclama uno degli inni dell'ufficio bizantino per la festa di Pentecoste, "ogni grazia proviene dallo Spirito Santo"; è lui "a mantenere tutta la Chiesa nell'unità". Lo stesso Spirito Santo ci permette di scoprire la fratellanza spirituale esistente tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa.

Come abbiamo constatato insieme a Sua Santità il Patriarca Ecumenico Dimitrios I, nella Dichiarazione di quasi quattro anni fa: "Questa fraternità... continua a crescere e portare frutto per la gloria di Dio. Ancora una volta sentiamo la felicità di essere insieme come fratelli" (Dichiarazione di Roma del 7-12-1987).

Il dialogo teologico, che ormai da molto tempo si svolge tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse, mostro le profonde e sacramentali radici di questa fratellanza.

Leggiamo nel Documento comune di Monaco di Baviera: "I credenti sono battezzati nello Spirito, nel nome della Santa Trinità per formare un solo Corpo (cfr. 1Co 12,13). Quando la Chiesa celebra l'Eucaristia, essa realizza "ciò che essa è", il Corpo di Cristo (1Co 10,17).

...Comunicando al Corpo e al Sangue di Cristo i fedeli crescono in questa deificazione misteriosa, che realizza la loro dimora nel Figlio e nel Padre, mediante lo Spirito" (Documento di Monaco di Baviera 1982, I 4 b).

Il Documento di Nuova Valamo in Finlandia, che è frutto del comune dialogo, ci ricorda che: "(così) l'Eucaristia realizza l'unità della comunità cristiana. Essa manifesta anche l'unità di tutte le Chiese che la celebrano nella verità e, più ancora, l'unità attraverso i secoli di tutte le Chiese con la comunità apostolica, dalle origini fino ad oggi. Nello Spirito di essa si ricollega, al di là della storia, alla grande assemblea degli Apostoli, dei Martiri, dei testimoni di tutti i tempi radunati attorno all'Agnello" (Documento di Valamo, 1988, n. 36).

L'Eucaristia tendenza verso la piena unità per mezzo di Cristo presente deve diventare Eucaristia segno di piena unità in Cristo accolto con fede nel suo pieno significato.

Oggi vediamo più chiaramente e meglio comprendiamo il fatto che le nostre Chiese sono Chiese sorelle. Il dire "Chiese-Sorelle", non è soltanto una frase di circostanza, ma una fondamentale categoria ecumenica di ecclesiologia. Su di essa dovrebbero basarsi le reciproche relazioni tra tutte le Chiese e qui anche tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa in Polonia.


2. Diletti fratelli e sorelle Ortodossi! Stando davanti al Signore durante questa solenne e sublime preghiera, in cui più volte è risuonata l'invocazione: "Hospodi, pomiluj Signore, abbi pietà di noi", non possiamo non ammettere con umiltà che nella relazione tra le nostre Chiese in passato non sempre regnava lo spirito di fraternità evangelica. Le dolorose esperienze continuano a vivere nella memoria di tutti. In essa affondano anche le proprie radici della mancanza di fiducia, non ancora e non del tutto superata. Tutti portiamo il giogo delle storiche colpe, tutti commettiamo errori.

"Se diciamo anche che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi" (1Jn 1,8). Ovunque è esistito il torto, indipendentemente da quale parte, esso va superato mediante il riconoscimento della propria colpa davanti al Signore e mediante il perdono. Con profondo e sincero dolore lo ammettiamo oggi davanti a Dio, chiedendogli di perdonarci: "Hospodi, pomiluj i prosti!".

Memori delle parole della preghiera del Signore "e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori", in spirito di reciproca riconciliazione, ci perdoniamo a vicenda i torti subiti nel passato per formare, in un modo nuovo, autenticamente evangelico, i nostri rapporti reciproci e costruire il futuro migliore delle Chiese riconciliate. Che questi rapporti manifestino al mondo la verità sul profondo legame spirituale che difatti esiste tra noi. Cristo prega: "perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me" (Jn 17,23).


3. Il dialogo nella verità, nella sincerità e nella carità è l'unica via per tendere alla piena unità. E' il dono dello Spirito di Dio, l'insostituibile mezzo sulla via della riconciliazione. Esso va portato avanti nonostante le difficoltà che appaiono. Il Comitato di Coordinamento della Commissione Internazionale del Dialogo tra poco terrà i suoi lavori ad Ariccia, in Italia, sul problema molto difficile dell'unionismo. Speriamo, che il paziente e perseverante dialogo arrivi, con l'aiuto di Dio, all'eliminazione degli ostacoli che frenano il cammino verso l'unità. Desidero citare una volta ancora le parole della Dichiarazione sottoscritta a Roma insieme al Patriarca Dimitrios: "Davanti a Dio, rinnoviamo il nostro comune impegno di promuovere in ogni possibile modo, il dialogo della carità, sull'esempio di Cristo che nutre e cura la sua Chiesa (cfr. Ep 5,29). In questo spirito rigettiamo ogni forma di proselitismo, ogni atteggiamento che potrebbe essere interpretato come una mancanza di rispetto" (Dichiarazione di Roma del 7-12-1987). A Dio appartengono i tempi e i secoli. E' lui il Signore della storia umana, il Dio del definitivo futuro. Quel futuro è l'umanità unita nel Dio Trino e Uno, riconciliata, trasformata. Nel nome di questo futuro dobbiamo formare il nuovo oggi e il nuovo domani del cristianesimo più riconciliato. Il dialogo ci obbliga tutti. Occorre prima di tutto educare i giovani in uno spirito nuovo, nello spirito che tende alla piena unità, all'unità che è Cristo stesso, per la quale egli pregava e alla quale ci ha impegnati. Che dunque tutti i nostri sforzi miranti alla soluzione delle difficoltà che si manifestano nelle reciproche relazioni siano segnati da una grande benevolenza e dall'amore disinteressato, di cui Cristo nel suo abbassamento e nella morte di croce ci ha dato esempio.

Fratelli e sorelle, uniamo i nostri sforzi e le aspirazioni della gerarchia e dell'intero Popolo di Dio, per formare, nello spirito del Vangelo di Gesù Cristo, la collaborazione cristiana e la cooperazione anche nella nostra Patria, mantenendo e sviluppando la ricchezza della propria tradizione spirituale, liturgica, nazionale. Che questo spirito pervada profondamente la vita quotidiana delle due comunità e diventi uno stile nuovo di convivenza, nella riconciliazione e nella carità.


4. Fratelli e sorelle! Amati in Cristo! In questo luogo desidero esprimere oggi la mia profondissima compassione a motivo delle dolorose prove subite ultimamente dalla Chiesa ortodossa in Polonia. Penso con dolore all'incendio doloso che ha distrutto il venerato santuario ortodosso della Trasfigurazione del Signore sul santo Monte Grabarka, come al furto nel monastero di Sant'Onofrio a Jableczna. Questi atti sacrileghi provocano profondo dolore nel mio cuore e in quello dei cattolici. Tutto quello che turba una buona, fraterna convivenza dei cristiani, di diverse tradizioni, proviene dal maligno.

Dalla nostra comune preghiera odierna, nasca in noi nuovamente il desiderio di Cristo che "tutti siano una cosa sola".

Che egli, il Signore della Chiesa e il Signore della storia, "l'Alfa e l'Omega... Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente" (Ap 1,8), benedica i nostri sforzi ecumenici perché superiamo infine il peccato della divisione e arriviamo alla piena unità.

Che il Signore benedica i Veneratissimi Gerarchi della Chiesa Ortodossa in Polonia e tutti i fedeli: "Ad multos annos - Is polla eti!".

"I da budut milosti wielikago Boga i Spasa naszego lisusa Christà so wsjémi wami. Amin".

(Prima di lasciare la cattedrale ortodossa di Bialystok, Giovanni Paolo II ha rivolto ai presenti le seguenti parole:) A tutte le vostre comunità ortodosse della diocesi di Bialystok e Danzica e di tutta la Polonia, a tutte le parrocchie, a tutti i pastori, a questa comunità con la quale abbiamo pregato insieme e a questo coro che in questa preghiera ci ha dato un bellissimo aiuto, dico: Dio vi ricompensi. Sia lodato Gesù Cristo.

(Traduzione dal polacco)

Data: 1991-06-05
Mercoledi 5 Giugno 1991

La visita all'Ospedale pediatrico di Olsztyn (Polonia)

Titolo: Per voi e per tutti gli uomini chiedo il dono della salute e della fede

Cari bambini!


1. Sono molto lieto di poter essere oggi in mezzo a voi. Sono sempre lieto di incontrare i bambini. Anche il Signore Gesù trovava la gioia in questo! "Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio" (Mc 10,14).

Il Signore Gesù diceva: "lasciate", "non impedite", quando gli apostoli, a motivo della stanchezza del loro Maestro, impedivano alle mamme l'accesso a Lui.

Ed egli era davvero affaticato. Quando dunque disse agli apostoli: "non glielo impedite", fece capire con ciò che la vicinanza dei bambini, il contatto con loro, il colloquio, erano per lui piuttosto un riposo che una fatica. E piuttosto una gioia che una stanchezza.

E veramente era così. Il Signore Gesù quando era circondato dai bambini aveva particolari motivi di gioia. Ricordate che disse: "A chi è come loro appartiene il regno di Dio". Ed altrove lo ha espresso in un altro modo ancora: "i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli" (Mt 18,10).

Il volto del Padre, che noi non vediamo qui in terra, è la gioia del regno dei cieli, è quella felicità definitiva, alla quale tendiamo mediante la fede in tutto il pellegrinaggio terreno. Anche voi camminate su questa via. Il regno di Dio è in voi per mezzo della grazia del Santo Battesimo. Appartiene a voi, se non permetterete che sia distrutto dentro di voi a causa del peccato.

Mediante il peccato grave, mortale. I bambini difficilmente commettono tali peccati. Per questo il regno dei cieli è in loro. Ed anche per questo il Signore Gesù trova una speciale gioia e un particolare riposo nei contatti con i bambini.

E i bambini - da parte loro - anche essi cercano il contatto con il Signore Gesù. Sia quando egli stesso è ancora Bambino, come anche più tardi, mentre lo vedono agonizzante sulla croce per i peccati del mondo. E dopo, risorto.


2. Sono dunque lieto di poter essere oggi per un attimo con voi. Quest'incontro ha luogo nell'ospedale. Certamente avrei preferito averlo, per esempio, durante una gita o in un piazzale di giochi. Pero c'è bisogno anche di questo luogo. Ne hanno bisogno gli adulti ma a volte ne hanno bisogno i bambini. Sapete bene che all'ospedale si viene per la salute: per riacquistare la salute, per liberarsi da diverse malattie.

Sentiamo oggi nel Vangelo il grido dell'uomo cieco: "Rabbuni (cioè: Maestro), che io riabbia la vista" (Mc 10,51). così quel malato risponde alla domanda di Cristo: "Che vuoi che io faccia?" (Mc 10,51). "Che io riabbia la vista". Anche voi dite in simile modo al Signore Gesù: "che io riabbia la salute", perché possa tornare a casa, a scuola, a giocare.

Nello stesso modo del resto chiedete per i vostri cari: "Dio, dà la salute alla mia mamma e al mio babbo... e a diverse altre persone care".


3. Il Signore Gesù esaudisce la domanda del cieco. Pronuncia delle parole significative in quella circostanza: "la tua fede ti ha salvato" (Mc 10,52). Il cieco sa che a guarirlo è stato Cristo con la sua divina potenza. E tuttavia lo stesso Cristo dice: "la tua fede ti ha salvato". Ciò vuol dire: la fede in un certo modo ha permesso la manifestazione della potenza che era nel Signore Gesù.

Egli adoperava quella sua potenza soprannaturale sempre per destare la fede nell'onnipotenza divina e nell'amore divino. I miracoli di Cristo sono segni del regno di Dio.


4. Il regno di Dio è in voi mediante la fede. E anche se la fede "fa miracoli" - tuttavia esso stesso, il regno di Dio è un "miracolo" maggiore di tutte le guarigioni miracolose operate da Cristo e dai suoi apostoli - e di quelli che ancora oggi avvengono in diversi luoghi della terra.

Così dunque, amati bambini, molto cordialmente insieme a voi prego la salute per ognuno - specialmente per coloro che sono malati più gravemente - pero ancora di più chiedo il dono della fede. Chiedo questo dono per ognuno di voi ora e per tutta la vita. E chiedo questo dono - insieme a voi - per i vostri cari. Lo chiedo per tutti gli uomini. Chiedetelo anche voi. Il Signore Gesù ascolta in modo particolare le vostre preghiere.


5. Spero che gli adulti qui presenti - gli altri Ammalati, i Medici, le Infermiere e tutti gli altri Operatori della Sanità - non se la prendano con me per il fatto che durante il nostro incontro ho privilegiato i bambini. La Parola di Dio che annunziamo ai bambini non è diversa da quella che viene rivolta agli adulti. E' il gioioso messaggio che Dio ama l'uomo e che lo rende capace di un amore che raggiunge Lui stesso, il nostro Creatore. Ognuno di voi - anche se contasse ormai molti anni - ha bisogno di una fiducia infantile, per aprirsi a questo dono dall'altro, così che l'amore di Dio diventi la luce e la gioia della nostra vita.

In questo momento penso a tutti gli ammalati, dovunque stanno. La sofferenza è un mistero impenetrabile e perciò quanto spesso difficile da comprendere, da accettare da parte dell'uomo. L'uomo affetto da una malattia, o da un'altra qualsiasi sofferenza, sovente si domanda - perché io debbo sopportare il dolore? - e quasi immediatamente si pone un altro interrogativo: perché, qual è il senso della sofferenza che mi è toccata? E non trovando una risposta spesso si abbatte, perché la sofferenza diventa più forte di lui. La sofferenza non è una punizione per i peccati, né la risposta di Dio al male dell'uomo. può essere compresa solo ed esclusivamente alla luce dell'amore di Dio, che è il senso definitivo di tutto ciò che esiste in questo mondo. La sofferenza "è stata legata all'amore - così ho scritto nella Lettera Apostolica Salvifici Doloris - a quell'amore del quale Cristo parlava a Nicodemo, a quell'amore che crea il bene ricavandolo anche dal male, ricavandolo per mezzo della sofferenza, così come il bene supremo della redenzione del mondo è stato tratto dalla Croce di Cristo, e da essa costantemente prende il suo avvio... In essa dobbiamo anche riproporre l'interrogativo sul senso della sofferenza, e leggervi sino alla fine la risposta a questo interrogativo" (n. 18). Nella malattia, o in un'altra sofferenza bisogna dunque abbandonarsi all'amore di Dio, come un bambino che affida tutto ciò che ha di più caro a coloro che l'amano, specialmente ai propri genitori. Abbiamo dunque bisogno di quella capacità che hanno i bambini per affidarci a Colui che è amore (cfr. 1Jn 4,8). Quale valore e senso profondo acquistano in questo contesto le parole di San Paolo "Tutto posso in colui che mi dà la forza" (Ph 4,13).


6. Una persona sofferente e malata ha bisogno anche di un concreto aiuto professionale. Ha bisogno di una presenza presso di sé e con sé, e di una appropriata cura medica. Per questo mi rivolgo a voi, miei cari, che lavorate in questo ospedale, compiendo varie mansioni dipendentemente dalla preparazione e dalla professione. Penso ai medici, alle infermiere e a tutto il personale dell'ospedale, ed anche a tutti coloro che compiono questo servizio samaritano nella nostra Patria. Il vostro lavoro è un lavoro difficile pieno di responsabilità: si tratta infatti della vita dell'uomo. Pero quanto esso è bello e quanto evangelico! In ognuno di voi, in ognuno di noi la sofferenza deve richiamare l'amore e la solidarietà umana.

Vi presento le espressioni di gratitudine e di un profondo riconoscimento perché con la vostra scienza e con le vostre capacità servite i bambini malati.

Vi sono grato perché prestate aiuto all'uomo nella sofferenza. Le stesse parole di riconoscimento rivolgo a tutti i medici, alle infermiere e al servizio sanitario in Polonia. Tutta la società dovrebbe apprezzare la vostra fatica e il vostro sforzo e circondare di rispetto coloro che compiono questo servizio con spirito di sacrificio.


7. Cari partecipi delle sofferenze di Cristo! Ogni domenica e ogni festa vi viene rivolta una parola nella Santa Messa tramite la radio, specialmente a coloro che non possono recarsi nelle loro chiese. So che a questa Messa partecipa la maggioranza delle persone malate. In questo modo la sofferenza di migliaia dei nostri fratelli ricoverati negli ospedali, negli ospizi, nelle case di cura e dovunque siano i malati, si unisce come in un'unica partecipazione alla Croce di Cristo, alla Eucaristia di Cristo. Vi prego di accogliere la parola che vi indirizzo, che accogliate ugualmente la benedizione, che vi offro. Ogni giorno in modo particolare prego per voi tutti, chiamati "a completare - con le vostre sofferenze - quello che manca alle sofferenze di Cristo" (cfr. Col 1,24). Vorrei aggiungere che lo faccio ogni giorno nel momento più toccante della Santa Messa, quando si avvicina il momento della Comunione. Penso che proprio allora bisogna che tutti i malati siano vicini a Gesù in modo particolare e che Gesù sia particolarmente vicino a tutti i malati e i sofferenti, affinché siano abbracciati in modo particolare da questa comunione salvifica che è l'Eucaristia.

Vorrei aggiungere inoltre che è molto bello qui. Tutta questa terra è molto bella. La conosco da molti anni, la conosco soprattutto per le sue acque.

Ieri l'ho vista dall'elicottero: acque e boschi. Bellissima terra. E questo posto ne fa parte. Ma esiste anche un'altra bellezza. Questa bellezza siete voi, bambini. Il bambino è la bellezza dell'umana esistenza. Proprio così. Il Signore Gesù lo ha confermato con i suoi atti; ne ho parlato all'inizio. Bellezza di un bambino! Noi adulti dobbiamo avere sempre lo sguardo fisso sulla bellezza del bambino. Non ci ha detto forse Gesù: "Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli"? Noi abbiamo bisogno dei bambini perché ci guidano verso Dio, verso il Regno celeste. Vediamo qui la bellezza di tanti bambini, e per giunta bambini malati che sono particolarmente belli. Ho potuto constatarlo mentre ero da loro. Abbiamo qui anche una terza dimensione della bellezza, dimensione invisibile: è la bellezza dell'amore, amore di buon samaritano, se vogliamo usare il linguaggio evangelico, e dell'amore che si esprime nella cura dei malati, di un bambino malato. Questa è la bellezza immediata, continua. Essa riempie tutta la vita di coloro che lo esercitano, che lo danno. Ma in questa bellezza esiste ancora un'altra dimensione, dimensione più grande, dimensione ultima: alla fine, infatti, Cristo dice: "Ero malato, e mi avete curato, siete venuti a trovarmi.

Qualsiasi cosa avete fatto a uno di questi piccoli l'avete fatto a me". - Proprio come se parlasse di un ospedale infantile - l'avete fatto a me. Auguro a voi tutti che possiate sempre partecipare a queste tre dimensioni della bellezza che saltano con tanta evidenza agli occhi e al cuore, e che esse siano sempre un'ispirazione non solo per voi, ma anche per tutti quelli che vengono qui da tutta la Polonia e dall'estero.

Dio vi ricompensi per questo incontro. I bambini polacchi della Lituania hanno eseguito dei bellissimi canti. Vi ringrazio dei canti e della vostra presenza qui con noi. Che Dio ricompensi i bambini polacchi della Lituania, che Dio ricompensi tutti per tutto. Accogliete la mia benedizione.

(Dopo la consegna di un dono per l'ospedale il Santo Padre ha così proseguito:) Devo aggiungere ancora che non è che il Papa sia così ricco; sono dei benefattori che danno al Papa perché lui possa donare. Bisogna ricordarsi, dunque, di tutti questi benefattori che forse non vogliono neanche farsi notare. Se preferiscono rimanere nascosti, lo facciano. Ciò è molto nobile: "che la tua sinistra non sappia quel che fa la tua destra". Ma bisogna ringraziarli nella dimensione nota solo a Dio.

(Traduzione dal polacco)

Data: 1991-06-06
Giovedi 6 Giugno 1991

L'omelia della messa per i fedeli della diocesi di Warmianello, Stadio "Stomil" di Olsztyn (Polonia)

Titolo: La libertà fuori della verità è solo apparenza e schiavitù




1. "lo sono la via, la verità e la vita" (Jn 14,6).

Cristo dice queste parole nel cenacolo il giorno prima della sua passione e morte in croce. Le rivolge agli apostoli che allora erano insieme a lui. Per mezzo degli apostoli le dice a tutti; gli apostoli infatti e la Chiesa dovevano portarle a tutti gli uomini e popoli... fino agli estremi confini della terra.

Cristo dunque parla a noi qui riuniti e a tutti coloro, che in questa terra di Warmia e di Mazuria vivevano un tempo prima di noi, e a coloro che verranno dopo di noi nel prossimo millennio.

"Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Jn 14,6).

Era giunto proprio il tempo perché Cristo dicesse questa verità: il tempo maturo. L'indomani sarà abbracciato dalla passione e dalla morte di croce, e dopo avverrà la risurrezione. Ed egli stesso, il Figlio eterno, andrà al Padre.

Bisogna che tutti vengano a sapere che andando via, egli ci apre la via, affinché, seguendolo, arriviamo al Padre. Nessuno viene al Padre, se non per mezzo di lui. E' lui la nostra via. Non vi è un'altra via, non vi è un altro Mediatore tra Dio e gli uomini, soltanto lui: Gesù Cristo.


2. E' la via e la vita. Mentre lo dice agli apostoli sa, che li attende una mortale angoscia. Essa li afferrerà tra non molto, quando saranno testimoni del suo arresto, dei tormenti, dell'agonia sul Golgota e infine della stessa morte ignominiosa. E' per questo recede il loro timore: "Non sia turbato il vostro cuore" (Jn 14,1). Ecco infatti sta iniziando il definitivo passaggio: il passaggio redentivo del Figlio al Padre. Questo passaggio - cioè Pasqua - va dunque attraverso il sacrificio della croce, pero: "Non sia turbato il vostro cuore... quando saro andato e vi avro preparato un posto, ritornero" (Jn 14,3). Questo passaggio - la Pasqua del Redentore del mondo - attraverso la morte va verso una nuova rivelazione di vita nel giorno della risurrezione. "Ritornero" - ritornero, dando la testimonianza della vita che è in me - della vita che supera e vince la morte, della vita che infligge la morte alla morte umana. Tale vita è da Dio: solo Dio è la vita. Questa vita è in me. Io sono questa vita. Questa vita in me è per voi...

Per voi, i Dodici e per tutti coloro che per mezzo della vostra parola crederanno in me. Questa vita è il definitivo dono del Dio immortale per l'uomo mortale. "Ritornero e vi prendero con me, perché siate anche voi dove sono io" (Jn 14,3).

Dove? "Nella casa del Padre mio vi sono molti posti" (Jn 14,2). Non sia dunque turbato il vostro cuore. Non siate angosciati dalla necessità terrena della morte. "Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me" (Jn 14,1).


3. "lo sono la via, la verità e la vita". Nel contesto di queste parole impregnate di un profondissimo contenuto, parole in cui si esprime l'assoluto di Dio, nel contesto di queste parole, acquista una piena eloquenza l'istituzione dell'Eucaristia, il cui testo (il più antico) lo troviamo nella Prima Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi: "Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzo e disse: "Questo è il mio corpo, che è (dato) per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me"" (11,23-25).

L'Apostolo presenta la verità sulla istituzione dell'Eucaristia, così come essa era comunemente conosciuta e celebrata nella prima generazione dei discepoli di Cristo. In seguito aggiunge: "Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice; voi annunziate la morte del Signore finché egli venga" (1Co 11,26). Il Sacramento della morte e della risurrezione del Redentore. Il Sacramento del suo passaggio attraverso la croce al Padre. Il Sacramento della via e della vita per tutti coloro che vi partecipano. Questo Sacramento è l'apice e la pienezza della sacra liturgia della Chiesa. Ne è il memoriale, l'attuazione e l'annunzio.

In esso Cristo è la via, la verità e la vita per tutti coloro che vi partecipano... per tutti.


4. Quando nel cenacolo disse: "Io sono la verità", lo disse come Dio da Dio e Luce da Luce, perché solo Dio "è la verità". Allo stesso tempo lo disse come Uomo, che - uno solo - è "il testimone fedele" (cfr. Ap 1,5) di tutto il mistero di Dio: di tutta la verità che è in Dio. Ogni verità, alla quale arriva la mente creata, è soltanto una particella e la riflessione di quella verità che è in Dio.

Tale verità supera l'uomo. Ricordiamo il primo annunzio dell'Eucaristia, dopo la miracolosa moltiplicazione del pane nei pressi di Cafarnao. Ricordiamo, come quella volta i presenti erano disposti a proclamare Gesù re terreno, pero non potevano accettare questa verità. La verità dell'Eucaristia superava così grandemente la loro immaginazione, l'ambito della loro comprensione.

Ciò che avvenne all'indomani dell'istituzione dell'Eucaristia, anche quello superava l'ambito della comprensione umana: la crocifissione di Dio, la morte del Figlio di Dio sull'albero dell'ignominia.

E tuttavia dobbiamo annunziare proprio questa morte, proprio questa morte poiché per mezzo suo si è manifestata la vita invincibile. Suo tramite si è anche compiuta la verità sacramentale dell'Eucaristia, così inconcepibile per l'uomo.

Io sono la verità. Come verità sono via e sono vita.

Noi crediamo in questa vita. Il giorno della risurrezione, Cristo confermo definitivamente la veracità di tutta la missione messianica. Di tutto il messaggio evangelico. Questa testimonianza definitiva divenne la misura della verità di ogni cosa. E soltanto Dio può usare tale misura.


5. Il mio peregrinare attraverso la terra patria è unito quest'anno alla catechesi dei dieci comandamenti. L'ottavo comandamento del Decalogo in modo speciale si unisce alla verità, che obbliga l'uomo nei rapporti con gli altri e in tutta la vita sociale: "Non dire falsa testimonianza".

Tramite questo comandamento il Dio dell'Alleanza fa conoscere in modo speciale che l'uomo è creato a sua immagine e somiglianza. Proprio per questo tutto il comportamento umano è soggetto alle esigenze della verità. La verità è il bene, e la menzogna, la falsità, l'ipocrisia sono il male. Lo sperimentiamo in varie dimensioni e in varie situazioni.

Esaminiamo il significato della verità nella nostra vita sociale. Nella Polonia rinnovata non c'è più l'ufficio della censura; diverse posizioni ed opinioni possono essere presentate pubblicamente. E' stata restituita - come avrebbe detto Cipriano Norwid - "la libertà del parlare" ("Rzecz o wolnosci slowa,


1. Co znaczylaby Ludzkosc": "Trattato della libertà della parola, I. Che cosa significherebbe l'umanità", v.53).

La libertà di esprimere pubblicamente le proprie opinioni è un grande bene sociale, pero non garantisce la libertà della parola. A poco serve la libertà di parlare, se la parola detta non è libera. Se è imbrigliata dall'egocentrismo, dalla menzogna, dall'insidia, e forse anche dall'odio o dal disprezzo per gli altri, per coloro ad esempio che sono diversi per nazionalità, per religione o per opinioni. Non sarà grande il profitto del parlare e dello scrivere, se la parola sarà usata non per cercare la verità e condividerla, ma solo per vincere nelle discussioni e difendere la propria - magari errata - opinione.

Le parole, a volte, possono esprimere la verità in un modo per essa umiliante. può capitare che l'uomo dica qualche verità per motivare la propria menzogna. L'uomo introduce nel nostro mondo umano un grande caos se cerca di utilizzare la verità al servizio della menzogna. A tanta gente riesce allora difficile riconoscere che questo mondo è di Dio.

La verità viene umiliata anche allorquando non vi è in essa l'amore per se stessa e per l'uomo.

In genere, non è possibile osservare l'ottavo comandamento - almeno nella dimensione sociale - se manca la benevolenza, la fiducia reciproca e il rispetto nei riguardi di tutte quelle diversità che arricchiscono la nostra vita sociale.

Ogni insidia verso un altro uomo, ogni tendenza ad usare come strumento la persona umana, ogni uso di parole per influenzare gli altri con il proprio smarrimento morale e disordine interiore, introduce un'atmosfera di menzogna nella vita sociale. Per molti anni abbiamo sperimentato, nella dimensione sociale che non si diceva la verità pubblicamente, e non era ammesso dirla.

Esiste dunque un grande bisogno di eliminare la menzogna dalla nostra vita nei diversi ambiti. Occorre restituire alla virtù di veridicità il posto che non può essere da nulla sostituito. Bisogna che essa formi la vita delle famiglie, degli ambienti sociali, dei mezzi di trasmissione, della cultura, della politica e dell'economia.

Torniamo di nuovo a questo comandamento nella sua versione del Sinai, nella sua versione evangelica.

"Non dire falsa testimonianza contro il tuo prossimo". Sembra che qui abbiamo a che fare con una situazione ben definita. E per esempio la situazione in cui si è trovato Cristo posto davanti al tribunale, quando ha detto: "Se ho parlato male dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene perché mi percuoti?".

L'uomo, il testimone, giudica.

"Non dire falsa testimonianza contro il tuo prossimo". Non dire falsa testimonianza contro il tuo prossimo che è Gesù di Nazareth. Non dire falsa testimonianza contro nessuno dei tuoi prossimi, contro nessun uomo. Nello stesso tempo questo comandamento afferma che la verità è per l'uomo un bene; è per lui un bene nei rapporti interpersonali; è per lui un bene nei contesti più ampi. E' un bene. L'altro ha il diritto alla verità. L'uomo ha il diritto alla verità. Ma qualche volta l'uomo non ha il diritto a certe verità ed è per questo che noi guardiamo con ammirazione quelli che di fronte alla violenza, per esempio durante la guerra, hanno saputo non parlare, non dire la verità alla quale non aveva diritto chi la voleva estorcere usando violenza.

Questo comandamento, inteso in questo modo, ha un'estensione maggiore.

Non si riferisce soltanto al caso di un accusato di fronte al tribunale, né di un testimone che testimonia il falso. Si riferisce a svariate situazioni in cui la parola dell'uomo dà la cattiva testimonianza. "Non dire falsa testimonianza contro il tuo prossimo". Sempre, in diverse dimensioni viene giudicata la parola dell'uomo, la parola pronunciata dall'uomo. Se questa parola non dice la verità, se dà falsa testimonianza, allora si compie il giudizio. Perché la gente ascolta non solo al tribunale. Tutta l'esistenza umana è, in un certo senso, un grande tribunale. La gente ascolta, sente, ma la verità qualche volta li raggiunge e qualche volta no. Soprattutto nella nostra società moderna in cui si sono sviluppati così tanto i modi del parlare, i metodi del parlare, tutti i cosiddetti mezzi per comunicare il pensiero. La parola dell'uomo è diventata molto più potente; e questa parola più potente o testimonia la verità o al contrario.

Noi del resto lo sappiamo per esperienza e per molti anni ci siamo abbastanza protetti in questo senso. Esiste, quindi, una responsabilità particolare per le parole che si pronunciano poiché esse hanno il potere della testimonianza: o testimoniano la verità e sono un bene per l'uomo, o non la testimoniano, anzi, la negano, e allora sono per l'uomo un male, anche se possono essere presentate ed elaborate in modo tale da sembrare che siano un bene. Questo si chiama manipolazione. E' quindi anche questo breve comandamento del Decalogo apre l'uomo, apre la società umana a una serie di diverse dimensioni esistenziali.

Perché il mondo in cui l'uomo esiste è in certo qual modo legato alla testimonianza che riceve e accoglie. Cristo è stato molto sensibile su questo punto. Cristo ci ha messo in guardia dicendo: "non giudicate, se non volete essere giudicati". Sono parole eloquenti che indicano quant'è delicato, quanta responsabilità richiede questo ambito della verità e del falso nella vita umana, e che prezzo può avere.

Prendiamo per esempio un semplice e comune fatto del pettegolezzo. Anche se dice il vero può nuocere all'altra persona. Vediamo, quindi, che il comandamento dà indicazioni precise quando parla della testimonianza contro il prossimo. Esistono varie forme di disonorare un uomo che spaziano dalle notizie dette all'orecchio alla palese propaganda.

Esiste infine la calunnia che significa parlare male dell'altro e dire cose non vere. E' una forma particolare della distruzione della verità, un modo particolare di violare quel comandamento che ci impegna a dare la testimonianza.

Cristo ha lasciato ai discepoli il compito di testimoniare: "Mi sarete testimoni".

Sarete testimoni della verità. Questa testimonianza vi costerà molto, così com'è costata a me. Ricordiamo, infatti, che davanti a quel tribunale, ultimo e drammatico anche nel senso umano, Cristo chiesto da Pilato se era Re ha risposto: "Io sono nato e sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità".

Se leggiamo il Vangelo, se lo rileggiamo e ci riflettiamo continuamente, ci rendiamo conto che la questione della verità e della menzogna, della testimonianza della verità, è una questione in un certo senso originale e fondamentale. L'uomo è libero, anche di dire cose non vere. Ma non è veramente libero se non dice la verità. Cristo dà a questo punto una risposta molto chiara: "La verità vi renderà liberi". così la vita umana è anche l'aspirazione alla libertà attraverso la verità. E' una cosa molto importante nell'epoca in cui viviamo. Perché noi ci inebriamo della libertà, della libertà della parola e di altre libertà che sono ad essa legate. Ci inebriamo di questa libertà che prima ci veniva negata, così del resto come la libertà religiosa.

Quattro anni fa ho detto che ci aspettava il lavoro sul lavoro. Ci aspetta ora un grande lavoro sulla parola di cui ci serviamo. Un enorme lavoro. La nostra parola deve essere libera, deve esprimere la nostra libertà interiore. Non si possono usare violenze per imporre all'uomo delle tesi. Questa violenza può assumere anche oggi forme che conosciamo dal passato, ma nel mondo odierno anche i mezzi di comunicazione possono diventare mezzi di violenza se dietro nascondono qualche altra violenza, non necessariamente fisica. Un'altra violenza, un'altra potenza. La parola dell'uomo è e deve essere strumento della verità.

Ci attende un grande lavoro sulla parola di cui ci serviamo. La nostra parola deve essere libera, deve esprimere la nostra libertà interiore. Solo allora la parola umana è veramente uno strumento della verità.

"La verità vi farà liberi", disse Cristo (Jn 8,32). Si. Cerchiamo di ritrovare il vero significato e il valore della verità: la verità che libera, la libertà attraverso la verità. Mai al di fuori della verità. La libertà fuori della verità non è libertà. E' apparenza. E' addirittura schiavitù.


6. E da questa verità, fatta dall'uomo, con la quale egli cerca di formare la propria vita e la convivenza con gli altri, passa la via alla Verità che è Cristo.

Passa la via alla libertà, per la quale Cristo ci ha liberati.

E' questa la prospettiva dei nostri tempi. Tra la libertà alla quale Cristo ci ha liberati e continua a liberarci, e l'allontanamento da Cristo nel nome della libertà così spesso proclamata ad alta voce. La libertà alla quale Cristo ci ha liberati è una via. La seconda via è liberarsi di Cristo. Anche se spesso si usano termini apparenti, "clericalismo", "anticlericalismo", in fondo si tratta di una cosa sola: la libertà alla quale Cristo ci ha liberati o la libertà fuori di Cristo. Sono due vie che sta seguendo e sicuramente seguirà l'Europa.

L'Europa ha con Cristo dei legami particolari, qui è nata l'evangelizzazione, ma anche qui sono nate e continuano a nascere diversi modi di allontanarsi da Cristo, i programmi di allontanamento da Cristo. E anche davanti a noi si apre questa alternativa, questo bivio. La libertà alla quale Cristo ci libera, la libertà attraverso la verità. La verità ci rende liberi. Oppure liberarsi di Cristo.

Allo stesso tempo questa è la via del Vangelo e dell'Eucaristia. Non manchi mai l'una e l'altra nella vita del Popolo di Dio, il quale attraverso questa bella terra piena di boschi e di laghi, compie il pellegrinaggio verso gli eterni destini. Non manchi mai...

"Questa infatti è la volontà del Padre... / che chiunque vede il Figlio / e crede in lui / abbia la vita eterna / io lo risuscitero nell'ultimo giorno" (Jn 6,40).

(Traduzione dal polacco)

Data: 1991-06-06
Giovedi 6 Giugno 1991


GPII 1991 Insegnamenti - L'incontro ecumenico di preghiera nella cattedrale ortodossa di Bialystok (Polonia)