GPII 1991 Insegnamenti - Alle suore Francescane Missionarie di Susa - Valsusa

Alle suore Francescane Missionarie di Susa - Valsusa

Titolo: Nella via della "santa avventura"

Carissime sorelle!


1. E' quasi come un pellegrinaggio quello che voglio compiere insieme con voi a questa, per così dire, "Porziuncola" della vostra benemerita Famiglia Religiosa.

Tra queste mura, infatti, sotto lo sguardo sorridente dell'Immacolata Madre di Dio, Monsignor Rosaz diede inizio l'8 dicembre 1874 alla sue Terziarie di San Francesco, con la vestizione religiosa di Alfonsa Pasquinelli.

Noi siamo qui oggi per ricordare e per ascoltare. Si, per ascoltare il vostro amato Padre Fondatore che ancora oggi parla alle sue Figlie, ripetendo loro quelle parole antiche e sempre attuali che le incoraggiano e sostengono nella via della "santa avventura" che hanno intrapreso, rispondendo all'invito del Signore: "E' certo che se la grazia della vocazione religiosa è una grazia straordinaria, sublime, che unisce l'anima nel modo più intimo con Dio, - è pure grazia che esige maggiore corrispondenza... La Religiosa, con i Voti, fa a Dio l'offerta la più preziosa, perfetta ed intera che possa fare: ella deve vivere unicamente di Dio...

La religiosa che vuole essere figlia di Dio, deve essere nell'amore del prossimo perfetta, come è perfetto il suo Padre che è nei cieli" (Istruzioni alle Religiose, Intr.; 51.97). E' questa la "grazia delle radici", da cui dovete continuamente attingere nel silenzio e nella riflessione: non vi stancate di prestare l'orecchio alla voce di Monsignor Rosaz; continuate a scandagliare le profondità del suo cuore per carpire il segreto della sua vita di dedizione e di amore; come lui, siate coraggiose nell'ascolto della Chiesa e degli uomini per poter rispondere ai loro appelli con quella caratteristica di disponibilità e gioia, di accoglienza e di misericordia che costituiscono la vostra divisa francescana: sarete così l'esempio più eloquente e luminoso di quel "Vangelo della carità" che ha animato tutta l'esistenza del vostro Beato Fondatore. Sul suo esempio, amate la Chiesa, amatela di un amore appassionato, forte, generoso e fedele; consapevoli, come siete, che anch'essa vi ama e vi chiede una testimonianza entusiasta e gratuita, un servizio disinteressato e fedele. E' ancora il vostro Fondatore che vi suggerisce il segreto della riuscita: "Sia la preghiera, o spose di Gesù, il vostro pane quotidiano, la vostra consolazione, il vostro conforto. Con la preghiera parteciperete alla divina onnipotenza... perché la preghiera è la scala di Giacobbe, per cui la terra si unisce al cielo, e mette l'uomo in diretta comunicazione col trono di Dio" (Istruzioni alle Religiose, 123).


2. "Quello che si fa a Torino si può fare anche a Susa". Queste parole furono all'inizio delle opere istituite dal Canonico Rosaz in questa città, dove fiorirono con l'aiuto della Provvidenza divina, iniziative mirabili di catechesi, evangelizzazione, promozione umana e carità. Da qui, il vostro Istituto ha mosso i primi passi che lo hanno condotto sulle strade del mondo per testimoniare la carità del Cuore di Cristo: penso alla vostra presenza in Italia nell'assistenza agli anziani e nell'educazione dei fanciulli e dei giovani, in Francia e in Svizzera accanto agli emigrati, in Libia e in Brasile al servizio degli infermi e dei poveri. E voglio qui con voi raccogliere idealmente tutte le Figlie di Monsignor Rosaz sparse per il mondo, per salutarle e benedirle; per ringraziarle, a nome della Chiesa, della loro dedizione e del loro servizio. Saluto in particolare la Superiora Generale e il suo Consiglio, e la ringrazio per le parole di benvenuto che mi ha voluto rivolgere, mentre dirigo uno speciale pensiero alle Novizie ed alle Suore anziane ed inferme qui presenti, che richiamano a tutti noi la testimonianza di una vita interamente spesa, con cuore indiviso, alla sequela del Maestro Gesù.

Tutte vi affido alla protezione materna della Vergine Immacolata, Nostra Signora del Rocciamelone, Madre e Regina dell'Istituto. Imploro su di voi il dono della consolazione e della benedizione del Signore.

Data: 1991-07-14
Domenica 14 Luglio 1991

Visita alla "Sacra di San Michele" - Valsusa

Titolo: Il nostro mondo ha bisogno di luoghi come questo

Cari fratelli e sorelle!


1. Il mio pellegrinaggio alla Chiesa che è in Susa non poteva escludere questo imponente e suggestivo Santuario che la fede dei vostri padri ha edificato a gloria di Dio ed in onore dell'Arcangelo San Michele, proprio alle porte della diocesi segusina. Sono venuto quassù per venerare il Principe delle Milizie celesti ed implorare ancora una volta la sua protezione su tutta la Chiesa.

Intendo così inserirmi nella scia secolare dei tanti pellegrini, umili e illustri, che ormai da più di mille anni salgono su questo monte, da quando cioè San Giovanni Vincenzo, Vescovo ed eremita, volle incastonare la chiesetta - quasi nido d'aquila - sulla cima più elevata, facendosi erede della devozione all'Arcangelo, qui portata dai monaci persiani nel VI secolo e poi continuata dai Bizantini e dai Longobardi. Saluto le Autorità civili ed i Rappresentanti degli Enti pubblici e delle Soprintendenze, nonché gli appartenenti all'Associazione degli "Amici della Sacra", che in questi ultimi tempi hanno promosso ed appoggiato i lavori di restauro e consolidamento di questo monumento di fede e di arte. Ma il mio pensiero si rivolge in modo speciale ai benemeriti Padri Rosminiani, chiamati a custodire la "Sacra" dal mio Predecessore, papa Gregorio XVI, nel 1836; il mio pensiero va al Preposito Generale dell'Istituto della Carità, Don Giovanni Battista Zantedeschi; a Mons. Antonio Riboldi, Vescovo di Acerra, e a Mons.

Clemente Riva, Ausiliare di Roma. Ad essi e a tutti i membri dell'Istiuto vada la mia gratitudine per l'animazione cristiana ed il clima spirituale che assicurano a quanti vengono qui per ritemprare il proprio spirito.


2. Il suggestivo pellegrinaggio a questo luogo sacro è un richiamo al primato assoluto di Dio, Signore della Storia. Il nostro mondo inquieto, preso spesso dalla fretta e frastornato dai rumori, ha bisogno di luoghi privilegiati come questo, capace di far riscoprire il senso profondo della vita e di far ritrovare il proprio volto nella contemplazione del volto del Figlio dell'Uomo, che qui si è manifestato a generazioni di Monaci benedettini e continua a rivelarsi come dono di grazia a quanti lo cercano con cuore sincero. Il silenzio, la solitudine, l'ascolto e la preghiera, qui favoriti da una incomparabile cornice naturale, artistica e storica, non possono non suscitare pensieri elevati ed alimentare il cuore dell'uomo, sempre assetato di verità, che è Dio stesso. Certamente richiamano al suo spirito le parole del Vangelo, là dove il Signore afferma: "Chiunque ascolta le mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia" (Mt 7,24-25). Questa è forse anche la lezione che apprese, nei numerosi momenti di raccoglimento e di contemplazione vissuti tra queste mura, il Vescovo Edoardo Giuseppe Rosaz, che questa mattina, a Susa, ho avuto la gioia di ascrivere all'albo dei Beati.


3. L'Arcangelo San Michele, qui rappresentato nell'atto tradizionale di schiacciare la testa del drago, simbolo del Male, è uno dei Principi del Cielo posto da Dio a custodia del Popolo di Dio (cfr. Da 12,1). A giusto titolo, dunque, esso, lo considera e lo invoca protettore e sostegno nella lotta contro il male e nell'opera della diffusione del Regno del Signore sulla terra.

Con questi sentimenti, mentre vi affido alla protezione dell'Arcangelo San Michele, di cuore imparto a tutti la mia Benedizione, con particolare pensiero verso i piccoli, i malati e quanti vivono nella emarginazione e nell'abbandono.

Data: 1991-07-14
Domenica 14 Luglio 1991

Messa nella Cappella della Conca di Breuil - Val D'Aosta

Titolo: Il Signore è presente in mezzo a noi




1. "Saliamo sul monte del Signore, perché ci indichi i suoi sentieri" (Is 2,3).

Con le parole dell'introito di questa Messa in onore di Maria, saluto tutti voi, fratelli e sorelle, che siete saliti fin quassù per questa liturgia di lode e di ringraziamento al Signore. Il monte del Signore indica nell'Antico Testamento il luogo dell'alleanza, il momento in cui Dio, rendendosi presente nel suo popolo, comunico ai suoi servi la Sapienza della sua legge. Anche noi siamo saliti a questo monte per raggiungere la meta che qui ci raccoglie. Tale itinerario ha per noi valore di simbolo ed i sentieri percorsi ci richiamano quelli che Cristo ha tracciato per le nostre ascensioni spirituali. Egli è per tutti noi "Via, Verità e Vita". Saliamo al monte del Signore con l'animo di chi sa contemplare le opere di Dio; per vedere in esse il segno della potenza, della bellezza, della intelligenza del Creatore. Cerchiamo di riconoscerlo in questo stupendo scenario di cime e di valli, in questa visione del Cervino, che si erge a coronamento dell'intero paesaggio. La bellezza, che si rivela nel creato, non può non suscitare in noi pensieri di riconoscenza e ringraziamento.


2. Il Signore è presente in mezzo a noi: "Ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te" (Za 2,14). La sua presenza tra gli uomini è vera, e si è compiuta anzitutto in Maria, Figlia di Sion, erede della promessa annunciata per tutto l'Israele. Per il suo "si", abita nel suo grembo il Verbo fatto carne. così si attua la promessa: "egli dimorerà in mezzo a te" (Za 2,15). Dimorerà nel grembo della figlia di Sion e nel grembo di tutta l'umanità di cui Ella si fa interprete. Verrà ad abitare come in un tempio nuovo, "Gerusalemme sarà di nuovo prescelta", e la sua dimora sarà accanto al cuore dell'Immacolata, sposa dello Spirito Santo. Nel mistero della maternità di Maria Dio dice anche a noi, a ciascuno di noi: "Io vengo ad abitare in mezzo a te", nel cuore dell'umanità nuova, salvata dal sangue del Figlio di Dio. In mezzo, cioè nel cuore dell'uomo peccatore, dell'uomo umiliato e abbattuto; ma redento dalla grazia dell'alleanza nuova ed eterna. L'eco di tale promessa ("verro ad abitare") la sentiamo nella parola di Cristo, nel suo testamento: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Jn 14,23). E' nel cuore di ogni uomo salvato e credente, nel cuore della Chiesa che Dio "abita in mezzo" a noi. La prospettiva messianica del Profeta è già estesa a tutti i popoli, perché nei nostri cuori lo Spirito del Figlio di Dio grida: Abbà, Padre (cfr. Ga 4,6).


3. Cristo vive in noi, dal momento in cui a Maria fu detto "ecco tuo figlio". Il vangelo ci ha presentato oggi il dialogo del Crocifisso con Maria e Giovanni: "Donna, ecco tuo figlio... Ecco tua madre". Apparentemente così semplice, l'episodio contiene un senso teologico profondo! Esso esprime il significato della maternità spirituale di Maria. La Madre ed il Discepolo prediletto rappresentano un gruppo ben più ampio: tutti coloro che accolgono l'eredità di Israele e che impersonano la nuova umanità, chiamata a condividere l'opera di Cristo. Noi accogliamo ai piedi della Croce l'amore di Maria come Madre: Madre del Cristo, il primogenito di ogni creatura e Redentore del mondo, madre nostra. Il suo amore per il Figlio si riversa su di noi. Ella "segue sempre l'opera del suo Figlio e va verso tutti coloro, che Cristo ha abbracciato ed abbraccia continuamente nel suo inesauribile amore... Amore materno, che la Madre di Dio immette nel mistero della Redenzione e nella vita della Chiesa" (RH 22).


4. Al termine della mia permanenza in questa bella e suggestiva Valle d'Aosta, rendo grazie oltre che a Dio, datore di ogni bene, anche a tutti coloro che hanno favorito il mio soggiorno estivo. La mia gratitudine va al Vescovo di Aosta, Monsignor Ovidio Lari, che per il terzo anno consecutivo mi ha amorevolmente accolto nella sua diocesi. La vista dei vostri monti, maestosi e svettanti, il profondo silenzio che li avvolge e l'aria purissima che da essi spira, non solo mi hanno liberato dal peso delle fatiche quotidiane, ma mi hanno fatto sentire uno di voi, che quotidianamente vivete in questo naturale tempio di Dio, o che ritemprate, come turisti, le forze spirituali con quelle fisiche. "Ad montes ut alta spectentur", bisogna salire, si, per abbracciare, negli spazi sconfinati, le mirabili opere di Dio. Bisogna salire, per cogliere i reconditi inviti a fare della propria vita una continua ascesa verso le sublimi vette delle virtù umane e cristiane. Saluto i Confratelli nell'episcopato e i numerosi Sacerdoti qui presenti. A voi, cari fratelli nel sacerdozio, vorrei dire: coraggio, non perdete lo slancio generoso di essere sempre guide entusiaste, illuminate, prudenti e coraggiose, come le numerose guide alpine di cui si gloria la Valle d'Aosta. Le altezze sublimi della vita cristiana esigono che i Sacerdoti, primi fra tutti, posseggano l'arte dell'ascesi verso la santa montagna, che è Cristo. A voi ripeto quanto Dio disse al profeta Elia sul monte Oreb: "Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore" (1R 19,11). Con il clero della diocesi ricordo anche tutti i Religiosi e le Religiose: tutti e tutte ringrazio per il loro ministero evangelico.

Un pensiero riconoscente va alle Autorità civili e militari: al Presidente della Giunta Regionale, al Sindaco di Valtournanche, agli Amministratori e a tutti coloro che mi hanno assicurato, con competenza e discrezione, un sereno e tranquillo soggiorno. Desidero ricordare poi, con uno speciale pensiero, gli ammalati, i giovani e i cari Alpini: quelli in servizio e quelli che qui ritornano per rivivere tanti ricordi della loro vita. So che proprio questa cappella votiva è stata costruita sulle prime balze della strada che conduce al Cervino in ricordo degli Alpini del Battaglione Sciatori, che porta il nome di questa montagna. Tutti desidero tener presenti nella preghiera, invocando dal Signore suffragio per i defunti e protezione per i reduci. Un grazie, a nome mio e di tutti gli appassionati della montagna, rivolgo alle Guide alpine italiane e svizzere, che operano qui e compiono spesso ardue imprese di soccorso e di salvataggio. Un grazie anche ai numerosi maestri di sci, che educano i giovani all'esercizio di una pratica sportiva che, lungi dalla pura competizione, deve armoniosamente formare il corpo e lo spirito. Un ringraziamento, infine, a tutta la cara popolazione valdostana. Devo dire che mi sono trovato molto bene con voi; che ho apprezzato la vostra cordialità e la vostra delicata ospitalità; che ho trascorso giornate serene nella meditazione e nella preghiera per voi e per tutte le necessità della Chiesa; che ho goduto dei paesaggi stupendi, donati a voi dal Creatore. Voglio dire, ancora, che ho trovato dappertutto i segni dell'antica fede e delle tradizioni religiose dei vostri Padri. Dal passo del Colle del Teodulo, qui di fronte a noi, percorso da pellegrini e da Vescovi, alle cappelle disseminate qua e là, alle croci ed alle memorie della Vergine e dei Santi, tutta la vostra terra esprime la fede cristiana, il desiderio di Dio, il gusto della preghiera. Auspico che così sia ancor oggi per tutti voi, mentre faccio voti che mai possiate cadere nella noncuranza della vostra fede o nell'indifferenza religiosa. I Villeggianti, che numerosi convengono in questa stupenda Valle del Cervino alla ricerca di un benefico ristoro, possano ancora scoprire in voi una popolazione alpina che sappia, come nel passato, mettere sempre al primo posto i valori primari dello spirito.


5. "Benedetta sei tu, Maria!" (Salmo Resp.). Benedetta perché in Te si è fatto uomo il Figlio di Dio, in Te Dio ha preso dimora tra noi. Benedetta sei Tu "fra tutte le donne", perché in Te, figlia di Sion, siamo stati consegnati al Padre come Figli, ed ai piedi della Croce Tu ci hai accolti come figli nel Figlio che a Te è stato dato, nel sangue della nuova generazione e delle nuova alleanza, che Tu per prima hai accolto. Noi ti diciamo Benedetta, perché sempre ricorderemo la potenza del Signore, che ci ha salvato e ci salva. Benedetta perché tu, Madre del Redentore, ai piedi della croce hai esposto la vita per sollevare il tuo popolo.

Noi Ti chiediamo ancora, con fiducia e con affetto, o Madre di Dio, di salvarci dall'umiliazione e dall'abbattimento, affinché possiamo camminare per i sentieri di Dio con gioia, con la pace nel cuore, con la forza della fede. Tutto quello che chiediamo da te, auguriamo a noi e a tutti i presenti.

Amen!

Data: 1991-07-19
Venerdi 19 Luglio 1991

Catechesi all'udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Chiesa: nuova comunità degli uomini istituita da Cristo




1. Nella presente catechesi, sempre in fase introduttiva all'ecclesiologia, vogliamo fare una breve analisi del nome della Chiesa, quale ci proviene dal Vangelo, e anzi dalla parola stessa di Cristo. Seguiamo così un metodo classico di studio delle cose, nel quale il primo passo è l'esplorazione del significato dei termini impiegati per designarle. Per una istituzione grande ed antica come la Chiesa, che qui ci interessa, è importante sapere come la chiamo il fondatore: perché già quel nome dice il suo pensiero, il suo progetto, la sua concezione creativa. Ora ci risulta dal Vangelo di Matteo che quando Gesù, in risposta alla confessione di fede di Pietro, annuncio l'istituzione della "sua Chiesa" ("Su questa pietra edifichero la mia Chiesa": Mt 16,18), si servi di un termine, del quale l'uso comune del tempo e la stessa presenza in vari passi dell'Antico Testamento ci permettono di scoprire il valore semantico. Bisogna dire che il testo greco del Vangelo di Matteo adopera qui l'espressione "mou ten ekklesian".

Questo vocabolo - ekklesia - è stato usato dai Settanta, ossia nella versione greca della Bibbia nel II secolo prima di Cristo, per tradurre il qahàl ebraico e il suo corrispondente aramaico qahalà, verosimilmente usato da Gesù nella sua risposta a Simon Pietro. E già questo fatto è il punto di partenza per la nostra analisi lessicale dell'annuncio di Gesù.


2. Sia il termine ebraico qahal sia quello greco ekklesia significano "raduno, assemblea". Ekklesia ha un rapporto etimologico col verbo greco kalein, che significa "chiamare". Nel linguaggio semitico la parola aveva praticamente il significato di "assemblea" (convocata), e nell'Antico Testamento veniva usata per designare la "comunità" del popolo eletto, specialmente nel deserto (cfr. Dt 4,10 Ac 7,38). Ai tempi di Gesù la parola rimaneva in uso. Si può notare in particolare che in uno scritto della setta di Qumran, che riguarda la guerra dei figli delle tenebre, l'espressione qehal 'El, "assemblea di Dio", viene adoperata, tra altre simili, sulle insegne militari (1QM 5,10). Anche Gesù usa quel termine per parlare della "sua" comunità messianica, quella nuova assemblea convocata per l'alleanza nel suo sangue, alleanza annunciata nel Cenacolo (cfr. Mt 26,28).


3. Sia nel linguaggio semitico sia in quello greco, l'assemblea si caratterizzava in base alla volontà di colui che la convocava, e allo scopo per cui la convocava.

Infatti sia in Israele, sia nelle antiche città-stato dei Greci (poleis), si riunivano adunanze di vario tipo, anche di carattere profano (politiche, militari o professionali), accanto a quelle religiose e liturgiche. Anche l'Antico Testamento fa menzione di adunanze di diverso tipo. Ma quando parla della comunità del popolo eletto sottolinea il significato religioso, e anzi teocratico, del popolo eletto e convocato proclamando esplicitamente la sua appartenenza all'unico Dio. perciò considera e chiama tutto il popolo d'Israele come qahal di Jahwé, proprio perché esso è una particolare "proprietà di Jahwé tra tutti i popoli" (Ex 19,5). E' un'appartenenza e una relazione tutta particolare con Dio, fondata sull'Alleanza stretta con lui e sull'accettazione dei comandamenti consegnati mediante gli intermediari tra Dio e il popolo, al momento della sua chiamata che la Sacra Scrittura chiama appunto "il giorno dell'assemblea" ("jom haqqahàl": Dt 9,10 Dt 10,4). Il sentimento di questa appartenenza attraversa tutta la storia d'Israele e perdura nonostante i ripetuti tradimenti e le ricorrenti crisi e sconfitte. Si tratta di una verità teologica contenuta nella storia, alla quale possono fare appello i profeti nei momenti di desolazione, come Isaia (deutero), che dice a Israele, a nome di Dio, verso la fine dell'esilio: "Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni" (Is 43,1). Come ad annunciare che in forza dell'Antica Alleanza interverrà presto per liberare il suo popolo.


4. Questa Alleanza con Dio, dovuta ad una sua elezione, dà un carattere religioso a tutto il popolo di Israele e una finalità trascendente a tutta la sua storia, che pure si svolge tra vicende terrene ora felici, ora funeste, sicché si spiega il linguaggio della Bibbia quando chiama Israele "comunità di Dio" ("qehal Elohim": cfr. Ne 13,1 più spesso "qehal Jahweh": cfr. Dt 23,2-4 Dt 23,9). E' la coscienza permanente di una appartenenza fondata sull'elezione di Israele fatta da Dio in prima persona: "Voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli... Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa" (Ex 19,5-6). Qui è appena necessario ricordare, sempre in sede di analisi del linguaggio, che nel popolo dell'Antico Testamento, a motivo del grande rispetto per il nome proprio di Dio, "qehal Jahweh" veniva letto come "qehal Adonai", ossia l'"assemblea del Signore".


perciò anche nella versione greca dei Settanta si trova tradotta: "ekklesia Kyriou"; noi diremmo "la Chiesa del Signore".


5. E' pure da notare che gli scrittori del testo greco del Nuovo Testamento seguivano la versione dei Settanta, e questo fatto serve a spiegarci perché essi chiamano "ekklesia" il nuovo Popolo di Dio (il nuovo Israele), come pure il loro riferimento della Chiesa a Dio. San Paolo parla spesso della "Chiesa di Dio" (cfr. 1Co 1,2 1Co 10,32 1Co 15,9 2Co 1,1 Ga 1,13) oppure delle "Chiese di Dio" (cfr. 1Co 11,16 1Th 2,14 2Th 1,4). Sottolineando per ciò stesso la continuità dell'Antico e del Nuovo Testamento, e questo fino al punto di chiamare la Chiesa di Cristo "l'Israele di Dio" (Ga 6,16). Ben presto, pero, avviene in San Paolo il passaggio a una formulazione delle realtà della Chiesa fondata da Cristo: come quando parla della Chiesa "in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo" (1Th 1,1), oppure della "Chiesa di Dio in Gesù Cristo" (1Th 2,14). Nella Lettera ai Romani l'Apostolo parla addirittura delle "Chiese di Cristo" (16,16), al plurale, avendo in mente - e sotto gli occhi - le chiese locali cristiane, sorte in Palestina, Asia Minore e Grecia.


6. Questo progressivo sviluppo del linguaggio ci attesta che nelle prime comunità cristiane si chiarisce gradualmente la novità inclusa nelle parole di Cristo: "Su questa pietra edifichero la mia Chiesa" (Mt 16,18). A questa Chiesa si applicano ora in senso nuovo e con maggior profondità le parole della profezia di Isaia: "Non temere, perché ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni" (Is 43,1). La "convocazione divina" è opera di Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato; Egli fonda ed edifica la "sua" Chiesa, come "convocazione di tutti gli uomini nella nuova Alleanza". Di questa Chiesa egli sceglie il fondamento visibile e gli affida il mandato di reggerla. Questa Chiesa appartiene dunque a Lui e rimarrà sempre sua. Questa è la convinzione delle prime comunità cristiane, questa è la loro fede nella Chiesa di Cristo.


7. Come si vede, già dall'analisi terminologica e concettuale che si può condurre sui testi del Nuovo Testamento derivano alcuni risultati sul significato della Chiesa. Possiamo sintetizzarli fin d'ora nell'asserzione seguente: la Chiesa è la nuova comunità degli uomini, istituita da Cristo come una "convocazione" di tutti i chiamati a far parte del nuovo Israele per vivere la vita divina, secondo le grazie e le esigenze dell'Alleanza stabilita nel sacrificio della Croce. La convocazione si traduce per tutti e per ciascuno in una chiamata, che esige una risposta di fede e di cooperazione per il fine della nuova comunità, indicato da colui che chiama: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto..." (Jn 15,16). Di qui deriva il dinamismo connaturale alla Chiesa, che ha un campo d'azione immenso, perché è una convocazione ad aderire a Colui che vuole "ricapitolare in Cristo tutte le cose" (Ep 1,10).


8. Lo scopo della convocazione è l'essere introdotti nella comunione divina (cfr.


1Jn 1,3). Per raggiungere questo scopo il primo mezzo consiste nell'ascolto della Parola di Dio, che la Chiesa riceve, legge e vive nella luce che le viene dall'alto, come dono dello Spirito Santo, secondo la promessa di Cristo agli Apostoli: "Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" (Jn 14,26). La Chiesa è chiamata e mandata per portare a tutti la parola di Cristo e il dono dello Spirito: a tutto il popolo che sarà il "nuovo Israele", a cominciare dai bambini, dei quali Gesù disse: "Lasciate che vengano a me" (Mt 19,14). Ma tutti sono chiamati, piccoli e grandi; e tra i grandi, persone di ogni condizione: come dice San Paolo, "non c'è più né Giudeo né Greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Ga 3,28).


9. Lo scopo della convocazione, infine, è un destino escatologico, perché il nuovo popolo è tutto orientato verso la comunità celeste, come sapevano e sentivano i primi cristiani: "Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura" (He 13,14). "La nostra patria... è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo" (Ph 3,20).

A questo vertice ultraterreno e sovrannaturale ci ha condotti l'analisi del nome dato da Gesù alla sua Chiesa: il mistero di una nuova comunità del popolo di Dio che comprende, nel vincolo della comunione dei santi, oltre ai fedeli che sulla terra seguono Cristo sulla via del Vangelo, coloro che completano la loro purificazione nel purgatorio, e i santi del cielo. Su tutti questi punti dovremo riprendere il discorso nelle successive catechesi.

Data: 1991-07-20
Sabato 20 Luglio 1991

Santa Messa con i dipendenti delle Ville Pontificie - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'offerta del Figlio non si esaurisce mai

Dio ci ha parlato un tempo attraverso i Profeti del Vecchio Testamento.

Dio ci parla ancora oggi attraverso i Profeti. Abbiamo ascoltato la parola del Profeta. Poi ci ha parlato attraverso il suo Figlio Gesù. Ci ha parlato con le parole che abbiamo ascoltato nel Vangelo. Ci ha parlato attraverso il suo apostolo nella Lettera agli Efesini. La parola di Gesù è il culmine della parola che Dio ha indirizzato a noi, a tutto il suo popolo. Con questa parola del Dio vivente ogni volta che ci raduniamo, Dio ci costituisce come suo popolo.

Così si faceva dall'inizio, ai tempi dei Patriarchi, di Mosè e dei Profeti e, soprattutto, ai tempi di Gesù e degli Apostoli.

Così fà anche la Chiesa. Riflettere su questa parola di Dio che la Chiesa ci offre oggi in questa XVI Domenica del Tempo Ordinario dell'anno liturgico vuol dire ritornare a questi brani del Profeta, dell'Apostolo e di Gesù non per sorvolare solamente la Parola di Dio ma per aprirsi a questa Parola. Noi siamo come la terra che deve aprirsi alla Parola di Dio seminata da Lui stesso attraverso i Profeti, gli Apostoli e la Chiesa e, soprattutto, attraverso Gesù.

E' questa la prima parte della nostra partecipazione all'Eucaristia che dovrebbe prolungarsi. e soprattutto approfondirsi con la nostra riflessione, con la nostra attività di fede.

Ora, ci prepariamo alla parte essenziale dell'Eucaristia che è anche Parola di Dio ma, soprattutto, è quello che segue la Parola di Dio: il Verbo che si è fatto Figlio. Iddio ci ha parlato attraverso il suo Servo, attraverso il suo Figlio. Adesso questa Parola è Figlio. Il Figlio ci ha parlato con le sue parole.

I Vangeli hanno notato queste sue parole, gli Apostoli hanno commentato queste parole, ma Gesù ci ha parlato soprattutto con il suo Sacrificio. Ci ha parlato dando se stesso. Questa offerta, questo autodonarsi del Figlio non si esaurisce mai, è rimasta. Lui stesso ha voluto che rimanesse.

Noi tutti sappiamo bene che cosa ha detto ai Dodici durante l'Ultima Cena prima della sua morte in Croce, del suo sacrificio cruento. Noi, in questa assemblea liturgica, eucaristica stiamo per rinnovare, per rifare quello che Lui ha detto e quello che Lui ha fatto: il dono che Lui ha fatto di sé, della sua persona del suo corpo e del suo sangue. Noi dobbiamo rinnovare questo dono in modo sacramentale, nello stesso modo in cui Lui stesso ha previsto e deciso. E' una cosa tremenda per noi tutti. E' una cosa tremenda per ogni sacerdote quando deve pronunciare, ripetere le stesse parole di Cristo, parole della sua consacrazione, consacrazione nel Cenacolo ma anche consacrazione nella Croce.

Il Cenacolo è il luogo del Sacramento e la Croce è il luogo del Sacrificio che Lui ha compiuto una volta per sempre in modo irrevocabile. Un sacrificio che si può sacramentalmente ripetere perché dura, è permanente, ma si può ripetere solo secondo la sua volontà. Noi ci prepariamo a questo. Ci prepariamo entrando ciascuno di noi nel clima del dono, di una offerta che si esprime anche con i gesti liturgici portando il pane ed il vino che sono anche i segni di una nostra donazione umana. Portiamo infatti il frutto del nostro lavoro come preghiamo presentando al Padre il pane ed il vino dell'offerta. Portiamo anche tutto quello che costituisce ciascuno di noi come una offerta molto personale, intimamente personale. Vi chiedo questa intimità delle vostre offerte.

Dovete portare dal profondo dei vostri cuori e delle nostre esistenze tutto questo; non c'è altro posto a cui indirizzare questa nostra esistenza. Solamente qui dove siamo possiamo e dobbiamo indirizzare la nostra esistenza. Solo Lui, Gesù Cristo può ricevere questo nostro dono esistenziale; solamente Lui, Dio Padre attraverso il suo Figlio. così con l'offertorio ci prepariamo al sacrificio, alla transustanziazione, ci prepariamo ad essere "partecipi" di quel Sacrificio unico che Gesù ha compiuto e che ci ha lasciato per sempre e per tutti. Con questo Sacrificio noi diventiamo pienamente Chiesa, assemblea del Popolo di Dio creato, battezzato, redento e santificato.

Così Gesù è nostro Pastore. Oggi le Letture liturgiche parlano del Pastore e dei pastori. Gesù è il nostro Pastore, il Pastore unico, insostituibile, ma nello stesso tempo Lui ci chiama ad essere pastori. Non chiama solamente i vescovi ad essere pastori della Chiesa gerarchica, successori degli Apostoli e i sacerdoti per essere i loro collaboratori; ci chiama tutti ad essere pastori: padri di famiglia, madri di famiglia, lavoratori, impiegati, intellettuali, tutti, perché la nostra professione è diversa, ma cristianamente è una. Questa nostra professione è cristiana. Dobbiamo sollecitare il bene, la grazia e la salvezza interiore di noi. stessi e degli altri, di noi stessi per gli altri.

Riflettiamo un po' su questi profondissimi temi della Liturgia domenicale di oggi.

Con la professione di fede entreremo nella profondità del Mistero che ci ha donato l'Eucaristia.

Data: 1991-07-21
Domenica 21 Luglio 1991

Recita dell'Angelus - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Servire Cristo, servire la Chiesa




1. Sta per concludersi l'Anno Ignaziano, celebrato per ricordare opportunamente il 500 anniversario della nascita dell'insigne Fondatore della Compagnia di Gesù.

Servire Cristo fu l'ideale supremo a cui Ignazio di Loyola, dopo la sua conversione, consacro tutta la vita. Condotto dalla divina Provvidenza a Roma, egli comprese che tale ideale poteva essere attuato appieno solo nel servire la Chiesa. Erano, quelli, gli anni nei quali in tante parti d'Europa si stava affermando e diffondendo la Riforma protestante. Ignazio reagi al dramma di tale lacerazione nel tessuto vivo della Chiesa ribadendo la sua fedeltà ad essa ed impiegando tutte le forze per suscitare al suo interno un nuovo spirito di santità e di apostolato. Convinto, in particolare, del ruolo essenziale che, per l'unità della Chiesa, è chiamato a svolgere il Successore di Pietro, egli volle per sé e per i suoi compagni un voto speciale di ubbidienza alle direttive del Papa, stabilendo: "Tutto ciò che l'attuale e gli altri Romani pontefici, suoi successori, ordineranno come spettante al bene delle anime e alla propagazione della fede..., noi immediatamente, senza tergiversazioni e senza scusarci in nessun modo, saremo obbligati ad eseguirlo, per quanto sta in noi".


2. Fu, questo, un atteggiamento molto coraggioso, che richiese allora, ed avrebbe richiesto poi sempre, dai membri del nuovo Ordine religioso una grande disponibilità interiore ed un forte spirito di fede. A distanza di secoli noi possiamo constatare con gioia quale ricchezza di frutti ne è derivata per le attività apostoliche della Compagnia di Gesù e per la vita dell'intera comunità cristiana. L'anniversario che si celebra quest'anno, mentre è per i Gesuiti richiamo a ricuperare in pienezza l'ispirazione originaria del Fondatore, costituisce per tutti un invito a riscoprire l'importanza dell'adesione sincera alla Sede di Pietro per una testimonianza cristiana autentica e perciò credibile.

La Vergine Maria, che chiamo se stessa serva del Signore, spinga non solo i figli di sant'Ignazio, ma anche tutti i fedeli cristiani ad un atteggiamento di coerente comunione ecclesiale, nell'unità di fede e di carità e nella fedeltà alla Sede di Pietro che di tale unità è principio e fondamento.

Data: 1991-07-21
Domenica 21 Luglio 1991


GPII 1991 Insegnamenti - Alle suore Francescane Missionarie di Susa - Valsusa