GPII 1991 Insegnamenti - Discorso durante la celebrazione ecumenica nella chiesa calvinista - Debrecen

Discorso durante la celebrazione ecumenica nella chiesa calvinista - Debrecen

Titolo: La Chiesa cattolica è impegnata nel movimento ecumenico con una decisione irrevocabile

Cari fratelli e sorelle,


1. Rendo grazie a Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo per avermi fatto venire a Debrecen per incontrare i rappresentanti della Tradizione Riformata.

Grazie per il cordiale benvenuto che mi avete dato, e per l'opportunità di parlare a voi e, tramite voi, a tutti i Cristiani ungheresi che non vivono una piena comunione con la Chiesa cattolica. Nell'amore del Signore Gesù Cristo saluto anche i rappresentanti delle Chiese Ortodosse, alle quali la Chiesa Cattolica si sente strettamente legata "dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale" (UR 14). Desidero rivolgere un caloroso saluto a Laszlo Tökés, Vescovo Calvinista della Transilvania, e ai fratelli e alle sorelle cristiani d'Ungheria provenienti dalla Transilvania e da altre Nazioni.

Negli ultimi decenni molti dei vostri fedeli hanno reso testimonianza della loro fedeltà a Cristo con gravi sofferenze. Oggi voi e i vostri compatrioti ungheresi vi incontrate e vi unite in preghiera con il Papa ringraziando il Signore per i benefici che avete ricevuto. Possa Dio Benedirvi e assicurarvi una pace durevole.

Considero questo incontro ecumenico non un atto di cortesia formale, bensi un momento di grande importanza nel cammino che il Signore stesso ha indicato ai suoi discepoli quando pregava che potessero essere una sola cosa come Lui e il Padre sono una sola cosa (cfr. Jn 17,21-23). Una delle ragioni dei molti viaggi pastorali che ho compiuto nel corso del mio pontificato è quella di ribadire che la Chiesa cattolica è impegnata nel movimento ecumenico con una decisione irrevocabile, e che desidera contribuire ad esso con tutte le sue possibilità. Un aspetto fondamentale della mia missione come Vescovo di Roma è di essere al servizio dell'unità. E' quindi mia fervida speranza che questa visita in Ungheria possa promuovere ed incoraggiare i rapporti ecumenici tra Cristiani.


2. Sono conscio del fatto che questo incontro non sarebbe stato possibile in altri tempi. Un Papa in visita in Ungheria non sarebbe venuto a Debrecen. I cittadini di Debrecen non avrebbero gradito la sua presenza. I cambiamenti che si sono verificati possono essere attribuiti a diversi fattori, che hanno un significato profondo per la vita cristiana e per la sua testimonianza. Il Concilio Vaticano Secondo parla del dovere di scrutare "i segni dei tempi" (cfr. GS 4), in particolare quegli eventi che ci parlano della presenza e del piano di Dio, che è il Signore della storia. Alla luce di tali segni, il Concilio ha chiaramente affermato che il movimento per il ristabilimento dell'unità tra i Cristiani è promosso "per impulso della grazia dello Spirito santo" (UR 1). Tra i "segni dei tempi" che dovremmo cogliere vi è la stima reciproca che esiste tra i Cristiani, anche se appartengono a comunità che sono tuttora divise.

Nel loro approccio gli uni verso gli altri nel passato, i Cristiani divisi tendevano ad accentuare le idee o le pratiche dell'altro che consideravano contrarie alla volontà di Cristo. Questa tendenza, e le controversie che ne sorgevano, forse non è stata del tutto superata. Ma oggi, per mezzo del dialogo ecumenico, abbiamo scoperto un terreno comune e una convergenza su molti punti importanti. Vi sono inoltre aspetti della vita dell'altro che riconosciamo con gioia come il frutto degli speciali doni di Dio. Vorrei ripetere ciò che ho detto in una occasione simile: "non è conquista da poco per il movimento ecumenico il fatto che, dopo secoli di diffidenza, riconosciamo umilmente e sinceramente nelle altre comunità la presenza e la fecondità dei doni di Cristo all'opera. Per questa azione divina nelle vite di tutti noi rendiamo grazie a Dio" (Discorso ai rappresentanti delle altre comunità cristiane, Columbia, South Carolina, USA, 11 settembre 1987).


3. Queste aree comuni appartengono ad un retaggio che è fondamentale per tutti noi. Esse includono la fede in Gesù Cristo, unico Salvatore, l'amore e la venerazione per le Sacre Scritture, il grande rispetto per il Battesimo come l'inizio di una "nuova vita" nello Spirito Santo. Vi sono anche altre preoccupazioni, che nel passato non sono forse state apprezzate a sufficienza, ma che oggi si presentano sempre più come zone in cui le varie comunità possono collaborare in maniera feconda. Penso, per esempio, alla preghiera comune per i bisogni comuni, ad una preoccupazione comune per la giustizia e la pace nella società, all'azione comune per dimostrare la solidarietà e per creare condizioni e strutture per una più equa distribuzione delle risorse del mondo e per una maggiore responsabilità nel loro uso.


4. Vi è un ulteriore "segno dei tempi" per mezzo del quale Dio ci manifesta la sua volontà nei riguardi del movimento ecumenico. Esso consiste nel fatto che una maggiore unità tra le Chiese e le comunità ecclesiali riveste ancora più importanza oggi, alla luce delle sfide moderne alla fede cristiana. I nostri avi su questo continente, anche dopo la Riforma, condividevano la convinzione, spesso data per scontata, che la società e la cultura europea avessero la loro origine e ispirazione nei valori religiosi: la fede nel Dio Trino e in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, la visione della vita sulla terra come un pellegrinaggio verso la vita eterna, l'innato e inalienabile valore della persona umana dal suo concepimento fino alla morte.

Oggi la società tende ad ignorare e perfino a ripudiare gran parte di questo retaggio. Mentre vi sono quelli che ancora militano contro le convinzioni religiose, il recente crollo delle ideologie con le quali alcuni governi europei pensavano di sostituire il Vangelo ha creato un vuoto. Vi sono molte persone di buona volontà che non hanno mai ricevuto il dono della fede. Altri perseguono il progresso e la felicità in un benessere puramente economico e materiale. Non vi è tempo da perdere nella missione di rievangelizzazione; di qui l'urgenza di promuovere il lavoro dell'unità cristiana, e questo perché "il fatto che la buona novella della riconciliazione sia predicata dai cristiani tra loro divisi, ne indebolisce la testimonianza" (RMi 50). Com'è gioioso e incoraggiante pertanto, quando in una società che comprende molti che sono senza Dio e senza fede, incontriamo coloro con i quali, parafrasando San Paolo, "tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito" (cfr. 1Co 12,13).

Questa gioiosa generosità e stima gli uni per gli altri è in netto contrasto con l'antipatia che i membri delle varie comunità cristiane hanno talvolta dimostrato verso gli altri cristiani. Sono conscio della triste storia dei predicatori che furono condannati alla prigionia e ai lavori forzati sulle galere, e la cui sorte viene rievocata in questa Chiesa. Altri avvenimenti tragici vengono alla mente. Oggi tali cose sono impensabili. E' nostro compito adesso fare ancora più progressi nella stima reciproca e nell'amore fraterno.


5. Memori della storia e delle differenze teologiche tra di noi, siamo consci dell'enormità del compito che ci attende. Da una parte, vi è l'obiettiva difficoltà dello scopo verso il quale ci rivolgiamo. Il vero ecumenismo non promuove le idee di indifferenza religiosa e di relativismo le quali insinuano che tutte le religioni sono equivalenti e che pertanto è sufficiente che vengano praticate con buona volontà. No! La nostra ricerca è una ricerca per l'unità nell'unica fede apostolica che "fu trasmessa ai credenti una volta per tutte" (Jud 1,3). D'altra parte, vi è la difficoltà soggettiva sentita da alcuni che temono gli sforzi per raggiungere una maggiore unità perché pensano che questa imporrà una uniformità che non potranno accettare.

Anzitutto, c'è da dire che nel contesto dell'unica fede apostolica, che dovrebbe essere lo scopo dei nostri sforzi ecumenici, vi è una legittima diversità che non è in contrasto con l'unità voluta da Dio. La varietà dei doni dello Spirito può rendere veramente ricca la veste nuziale con la quale la Sposa di Cristo dovrebbe presentarsi a Lui. La Chiesa infatti è "una unità che abbraccia la diversità e che viene verificata nella diversità... La Chiesa sarà sempre una unità nella diversità" (Omelia alla messa a Stoccolma, 5 giugno 1989). Allo stesso tempo, dobbiamo riconoscere serenamente che "non siamo ancora in accordo su come ognuna delle nostre Chiese e comunità ecclesiali si rapporti alla pienezza della vita e della missione che sorge dall'atto redentore di Dio attraverso la Croce e la Resurrezione di Gesù Cristo" (Discorso ai rappresentanti delle altre comunità cristiane, Columbia, South Carolina, USA, 11 settembre 1987). Nella nostra ricerca, noi dobbiamo impegnarci a trattare gli uni con gli altri non in uno spirito di conflitto, come è stato spesso nei nostri rapporti nel passato, ma piuttosto nello spirito dell'esortazione di San Paolo ai Corinzi riguardo l'amore: "La carità è paziente, è benigna la carità, non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse" (1Co 13,4-5).

L'ecumenismo è non soltanto un seme che la divina Provvidenza ha posto nei cuori dei credenti in epoca recente. Esso è anche un frutto che Dio vuole far maturare in noi. Noi siamo tutti responsabili del suo sviluppo.


6. Nelle relazioni tra i cristiani divisi, vi è un altro "segno dei tempi" nel quale la guida dello Spirito Santo è particolarmente eloquente. Oggi siamo pienamente consapevoli del fatto che il progresso dell'ecumenismo comporta una "metanoia" o una conversione. Il Concilio Vaticano Secondo ha espresso il concetto in questo modo: "Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall'abnegazione di se stesso e dalla liberissima effusione della carità. perciò dobbiamo implorare dallo Spirito divino la grazia della sincera abnegazione, dell'umiltà e mansuetudine nel servizio e della fraterna generosità di animo verso gli altri" (UR 7). Questa è veramente un'eco della sfida di San Paolo: "Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ognuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Non cerchi ciascuno il proprio interesse, ma anche quello degli altri" (Ph 2,3-4). Questa sfida è diretta a noi, sia come individui che come membri delle comunità.

Uno spirito di conversione ci aiuterà a superare tutte le caricature degli altri e tutte le tentazioni di falsificare le loro vedute. Esso ci renderà consapevoli del bene che lo Spirito Santo opera in loro. Uno spirito di conversione fa si che ogni seguace di Cristo guardi a coloro che appartengono ad altre comunità cristiane in maniera più obiettiva, senza pregiudizi, cercando di conoscerli più profondamente. Uno spirito di conversione è essenziale per la purificazione delle nostre memorie collettive, così che ogni passo nel nostro progresso verso l'unità sia guidato soltanto dalla verità.


7. Una nuova Europa sta tentando di prendere forma davanti ai nostri occhi. La grande nazione dell'Ungheria sta cercando di ridefinire i suoi obiettivi dopo i recenti sconvolgimenti nell'Europa centrale ed orientale. Come cristiani, il servizio migliore che possiamo dare in questo frangente è una testimonianza comune rinnovata dei valori cristiani che sono stati il fondamento dell'Europa e dell'Ungheria. Quei valori non furono il risultato di una intuizione fortuita o di un consenso arbitrario. Essi sono sorti dalla considerazione del mistero dell'uomo alla luce dell'inalienabile dignità che gli proviene dall'essere stato creato e ricreato ad immagine e somiglianza di Dio. Questa dignità appare in tutta la sua ricchezza nel Verbo Incarnato, l'Unico Figlio generato. Senza Gesù Cristo e il suo Vangelo che è "potenza di Dio per la salvezza" (Rm 1,16), non sarà possibile costruire un'Europa di pace duratura, di giustizia e di solidarietà tra gli individui e i popoli. L'Europa deve essere più di una comunità di interessi collettivi; più profondamente, i suoi popoli hanno una vocazione comune a costruire, in Cristo, l'unica grande famiglia dei figli di Dio.

In questo tempo di cambiamento, la volontà delle comunità cristiane di lavorare insieme per riportare l'Europa ai suoi fondamenti cristiani ha un valore speciale. Per questa ragione, il compito che si presenta all'Ungheria e all'Europa è più grande di qualunque altra cosa che le nostre risorse materiali e culturali possano raggiungere. La preghiera è vitale. Il nostro Salvatore ha promesso che dove due o tre individui sono uniti nel suo nome, Egli è in mezzo a loro (cfr. Mt 18,19-20).

Se non solo due o tre individui, ma migliaia di credenti, che sono stati separati per troppo tempo, sono riuniti nel reciproco amore e nella comune invocazione, sicuramente Cristo benedirà i loro sforzi. Se dunque noi, che siamo ancora divisi, possiamo imparare a pregare insieme per la nostra continua conversione e per quella dei nostri fratelli e sorelle non credenti che non conoscono ancora Dio, ma stanno cercando la verità, il nostro Padre Celeste non rifiuterà d'inviarci il suo Spirito, il suo perdono e la sua grazia (cfr. Lc 11,9-13).

Cari fratelli e sorelle in Cristo, questo incontro è veramente una tappa sul cammino verso la meta dell'unità. I "segni del tempo" ci dicono che lo Spirito del Signore ci esorta a continuare il nostro cammino. Il nostro dovere immediato è di ascoltare l'esortazione di S. Paolo: condurre una vita degna della chiamata che abbiamo ricevuto, "con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace" (Ep 4,2-4). Questa è la speranza e l'impegno che si presenta dinanzi a noi. Questo è il sentiero del nostro crescere insieme in una fede solida e in un amore vero. Possa Dio, che ha cominciato l'opera in noi, portarla a termine! (cfr. Ph 1,6).

Data: 1991-08-18
Domenica 18 Agosto 1991

Discorso ai rappresentanti della comunità ebraica - Budapest

Titolo: Occorre educare le coscienze a considerare antisemitismo e razzismo come peccati contro Dio e contro l'umanità

Illustri Signori!


1. Mi stava particolarmente a cuore incontrarvi personalmente durante questo viaggio, e ringrazio vivamente il Signore che ci dà oggi la grazia e la gioia di salutarci fraternamente e di testimoniare la nostra fede in Dio Creatore e Padre.

A Lui elevo la mia preghiera perché benedica questo incontro e ci dia la pace: non solo la pace quale può essere desiderata e preparata con mezzi unicamente terreni e in prospettiva "mondana", ma la Pace che è Shalom, presenza salvatrice di Dio nella storia umana.


2. Donaci la tua pace, Signore! Quante volte questa preghiera è stata rivolta a Dio, mentre vi riunivate in questo tempio, nei giorni in cui le nuvole oscure della persecuzione cominciavano ad addensarsi sulla Comunità ebraica di Ungheria e le misure odiose della discriminazione le rendevano la vita sempre più difficile.

Nel vostro cuore si risvegliavano le preghiere che fin dall'antichità tante volte erano risuonate sulle labbra dei vostri padri: "O Dio, perché ci respingi per sempre, perché divampa la tua ira contro il gregge del tuo pascolo?" (Ps 74,1).

Ma la persecuzione si faceva sempre più dura. Vi attanagliava allora la paura per la vostra vita. A migliaia i membri della comunità ebraica erano imprigionati in campi di concentramento e progressivamente sterminati. In quei giorni terribili divenne di nuovo una realtà ciò che aveva detto il profeta Geremia: "Una voce si ode in Rama, lamento e pianto amaro; Rachele piange i suoi figli, rifiuta di essere consolata, perché non sono più" (Jr 31,15). Il mio pensiero va con commosso rispetto ai grandi credenti, che anche in quei giorni di angoscia e afflizione, in quei giorni di sterminio - "Yom Shoa", secondo la parola di Sofonia (cfr. So 1,15) - seppero credere alle promesse del Signore e ripetere: "Egli ci ha straziati ed egli ci guarirà, egli ci ha percosso ed egli ci fascerà" (Os 6,1).

Noi siamo ora qui per adorare il Dio d'Israele, il quale anche questa volta ha steso la sua mano protettrice sopra un resto benedetto del suo popolo. Quante volte questa redenzione misteriosa si è ripetuta nella vostra storia!


3. Sostenuto dalla sua fede nel Signore, il popolo ebraico ha conservato, anche nella dispersione plurimillenaria, la sua identità, i suoi riti, le sue tradizioni, ed anzi ha contribuito positivamente alla vita spirituale e culturale del mondo, particolarmente in Europa. Anche in questo Paese voi avete alle spalle una lunga storia di dedizione generosa e di intelligente impegno. Ed oggi, dopo il periodo oscuro in cui sembro che gli ebrei dovessero essere completamente sterminati, voi siete nuovamente presenti e date un apporto significativo alla vita nazionale magiara. Mi rallegro della vostra attiva presenza che rivela la nuova vitalità del vostro popolo. Ma insieme ricordo tutti e singoli gli ebrei - donne e bimbi, vecchi e giovani - i quali, pur perdendo la vita, custodirono la loro fiducia nelle promesse del Signore. Credo infatti fermamente che anche nella loro persona si avvera la parola di Dio scritta nel libro di Daniele: "Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno... I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento..." (Da 12,2-3).

La sicura aspettativa della risurrezione dei morti è un tesoro che tanti figli di Israele scoprirono proprio nel momento in cui la loro fiducia incondizionata in Dio dovette misurarsi con l'evidenza di una situazione umanamente disperata. Quest'aspettativa intrisa di messianica speranza costitui uno squarcio nell'orizzonte umano oscuro, e dischiuse una dimensione decisiva della loro esistenza. Accolgo con profondo rispetto la testimonianza di questi coraggiosi giusti; sono persuaso che la loro convinzione non è stata delusa, e nutro fiducia che quanti condividono una tale aspettativa avranno sempre la forza di ubbidire ai precetti di Dio.

Vorrei anche ricordare quanto eminenti uomini della Chiesa Cattolica, qui in Ungheria come altrove, hanno fatto per la difesa degli ebrei, nei limiti che le circostanze permettevano, impegnandosi con coraggio, come hanno fatto il Rappresentante Pontificio, Monsignor Angelo Rotta, e Monsignor Apor, Vescovo di Györ.


4. Il nostro sguardo adesso si rivolge dal passato verso un avvenire di riconciliazione nella giustizia. Ancora una volta deploro e condanno, insieme con voi, la malvagità che vi ha fatto soffrire e che ha fatto morire tanti altri.

Certo, dobbiamo cercare di "estirpare il male di mezzo a noi" (cfr. Dt 17,7), ma ciò che ora s'impone non è tanto il desiderio di vendetta verso i malvagi, giacché conviene lasciare a Dio il supremo giudizio, quanto piuttosto l'impegno perché mai più l'egoismo e l'odio possano seminare sofferenze e morte. Dobbiamo far si che la giustizia domini almeno in quella parte del mondo su cui possiamo esercitare un certo influsso, e principalmente cominciando dai nostri cuori, dalle nostre famiglie, da coloro che ci sono vicini.

Questa lotta contro l'odio e contro l'egoismo è una esigenza inalienabile della fedeltà alla legge di Dio. Il precetto "amerai il tuo prossimo come te stesso" (Lv 19,18) riguarda in primo luogo il rapporto reciproco fra i figli di Israele, ma non permette neppure l'indifferenza verso gli altri. "Il Signore Dio vostro (...) ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero, poiché anche voi foste forestieri nel paese di Egitto" (Dt 10,17-19). La faticosa ricerca della giustizia, dell'amore e della pace deve cominciare da noi stessi. Sarebbe illusorio pensare che la forza oscura dell'egoismo e dell'odio ingiusto restino totalmente fuori dalla nostra vita e non inquinino in nessun modo la nostra stessa esistenza. "L'istinto del cuore umano è inclinato al male, fin dall'adolescenza" (Gn 8,21), dice il Signore. E questa inclinazione trova risonanza nei nostri comportamenti. perciò, con l'aiuto potente di Dio, l'autentica liberazione dal male è un continuo passaggio attraverso il Mar Rosso, e comporta una lotta paziente, mediante la quale progredire nella conversione quotidiana del cuore, o Teshuvà, nella penitenza, nel digiuno, nelle opere di misericordia.

Uniamoci dunque nella sincera ricerca in noi e intorno a noi, di giorno in giorno, della bontà e della pace, affinché, grazie anche al nostro impegno, sia sempre più radicalmente vinta la malvagità che detestiamo, e sia sempre più diffuso in noi e intorno a noi il regno della giustizia, dell'amore e della pace, che corrisponde all'intenzione del Creatore. "L'amore per un medesimo Dio deve tradursi in una concreta azione in favore dell'uomo... nella ricerca della giustizia sociale e della pace, a livello locale, nazionale e internazionale" (Orientamenti e suggerimenti per l'applicazione della dich. Nostra Aetate, N. 4, Enchiridion Vaticanum, vol. 5, p. 513).


5. Conoscendo la nostra debolezza, e avendo fiducia nella forza di Dio che opera in noi e ci libera dal male, ricorriamo a Dio liberatore. Colui che ha strappato il suo popolo dalle schiavitù esteriori, ci libererà anche dalle schiavitù interiori. Il volto del Signore illumini il nostro cuore, perché non fissiamo lo sguardo nel ricordo amaro dei torti ricevuti, né aspettiamo che gli altri diventino buoni per primi, ma progrediamo noi stessi nella conversione al bene e, dimentichi del passato, cooperiamo col Creatore nel costruire un più luminoso avvenire.

Tale è stato appunto il grande insegnamento del Concilio Vaticano II, che ha esortato tutta la Chiesa a meditare sul vasto tesoro costituito dal "comune patrimonio spirituale" (NAE 4) che ci unisce con la stirpe di Abramo, per trarre da questo patrimonio rinnovato slancio di fede e di azione. E da questa convinzione scaturisce un impegno comune per cristiani ed ebrei a meglio conoscersi, a dialogare, a cooperare intensamente nel campo dei diritti umani, dell'educazione religiosa, della lotta all'antisemitismo, secondo il programma definito a Praga nel 1990 dal Comitato misto cattolico-ebraico, in spirito di fraterna stima.

Di fronte al rischio che risorgano e si diffondano sentimenti, atteggiamenti e iniziative antisemite, di cui purtroppo si vedono oggi alcuni segni inquietanti, e di cui abbiamo sperimentato in passato i più tremendi frutti, occorre educare le coscienze a considerare l'antisemitismo, e tutte le forme di razzismo, come peccati contro Dio e l'umanità. Per questa educazione delle coscienze e in generale per una efficace collaborazione è da auspicare che possano essere istituiti anche comitati congiunti locali.

Sbocchi perciò, cari amici, questo nostro incontro in una fervida preghiera, sulla scia della commovente supplica del profeta: "Ricordati ora della tua potenza e del tuo nome, poiché tu sei il Signore nostro Dio, e noi ti loderemo, Signore" (Ba 3,5-6).

Unisca questa preghiera tutti gli abitanti della Terra magiara, nella pace del Signore.

Data: 1991-08-18
Domenica 18 Agosto 1991

Messa all'aeroporto - Szombathely

Titolo: La ricostruzione materiale e morale della Nazione impone il superamento di ogni incomprensione




1. "Io sono il buon Pastore" (Jn 10,11).

Le parole di Cristo ritornano continuamente a noi. Queste Parole, che trasferiscono alla Nuova Alleanza l'immagine di Dio proclamata dal profeta Ezechiele (cap. 3), risuonano da duemila anni ovunque si diffonde l'annuncio del Vangelo. Le hanno ascoltate tante generazioni di fedeli anche in terra ungherese.

E oggi, a Szombathely, durante questa tappa del mio pellegrinaggio in Ungheria, proprio su tali parole desidero sostare a riflettere con voi durante questa nostra partecipazione all'Eucaristia. Prima di preparare la mensa eucaristica del pane e del vino, vogliamo alimentarci alla verità evangelica del buon Pastore. Saluto Monsignor Istvan Konkoly, pastore di questa Diocesi, gli altri Presuli presenti.

Saluto i sacerdoti, le anime consacrate ed i laici di questa Chiesa locale, desiderosa di servire Cristo con fedeltà e generosità. Saluto le Autorità qui intervenute e quanti sono giunti da altre Regioni del vostro Paese ed anche da altri Paesi per prendere parte a questo incontro spirituale.

Di tutto cuore saluto voi, sacerdoti, religiosi e religiose, nonché voi, fedeli ungheresi che siete venuti da diversi Paesi. In questa città di grande tradizione civile e cristiana vi unite in preghiera assieme ai vostri connazionali ungheresi con il Successore di Pietro, ringraziando Dio per tutto ciò che è avvenuto in questi ultimi anni. Rimanete fedeli al vostro patrimonio spirituale, custodendo la fede e la vostra tradizione cristiana. Dio vi guidi nel cammino della vita.

Cordialmente saluto Monsignor Djuro Koksa, Vescovo Ausiliare dell'Arcidiocesi di Zagreb e i pellegrini croati venuti dall'Ungheria, dalla Croazia, dall'Austria e dalla Slovacchia per incontrarsi con il Successore di Pietro. Carissimi, la preghiera che eleviamo al Signore vuol essere innanzitutto un ringraziamento per la possibilità che ci è data di poterci incontrare senza frontiere artificiali e di poter professare in pubblico la nostra fede, ereditata da secoli dai nostri antenati. Preghiamo anche per la pace e l'amicizia fra i popoli. Dio benedica voi, i vostri familiari e tutto il popolo croato.

Saluto particolarmente Monsignor Franc Kramberger, Vescovo di Maribor, e i pellegrini sloveni provenienti dall'Ungheria e dalla Slovenia. Carissimi, il vostro pellegrinaggio a Szombathely sia un segno del cammino di tutti i popoli europei verso l'unità. La Madre di Dio interceda presso il Signore affinché possiate conservare la vostra fede cristiana e darne testimonianza anche agli altri. Dio vi conceda la pace che deve caratterizzare i rapporti di tutti i popoli. Benedico voi, i vostri familiari e tutto il popolo sloveno.


2. "Il buon Pastore offre la vita per le pecore" (Jn 10,11), dice Cristo. La metafora riferita da Giovanni è espressiva e suggestiva. Contempliamo il pastore nell'ovile come fedele custode di ciascuna delle pecore. "Gli importa delle pecore", osserva Gesù. Gli importa... e ne prende cura, è sollecito, è fedele; è pronto ad affrontare ogni pericolo che le minaccia. Non fugge mai né abbandona vilmente l'ovile. Egli conosce le pecore e le chiama per nome. Per questa ragione anch'esse lo conoscono, ed ascoltano la sua voce. Il pastore ha la loro totale fiducia. E', infatti, pronto ad "offrire la vita per le pecore" (Jn 10,15): offre se stesso sempre, ogni giorno ed in ogni circostanza. E' veramente "l'uomo per gli altri".

Questa generosa disponibilità ha le sue radici nel mistero stesso di Dio. Il buon Pastore, Cristo, "conosce il Padre" (cfr. Jn 10,15), essendo il Figlio consustanziale al Padre. Il Padre, che lo conosce come Figlio, ha affidato a lui solo il compito di "dare la vita" in sacrificio per un gregge sterminato, per tutti gli uomini. Cristo è il Redentore: è il Pastore universale. "Per questo il Padre lo ama: perché egli offre la vita" (cfr. Jn 10,17) per tutti, per la redenzione del mondo. Offre la vita in sacrificio, e ciò costituisce la più alta forma di libertà, perché è la pienezza dell'amore. Cristo aggiunge: "Ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo" (Jn 10,18).

Siamo, così, introdotti nel mistero pasquale di Cristo. Parlare del buon Pastore significa, in definitiva, far riferimento alla Croce e alla Risurrezione.


3. Anche noi, carissimi fratelli e sorelle, partecipiamo al mistero pasquale di Cristo. Vi partecipiamo per mezzo dell'Eucaristia. Ci siamo riuniti qui non soltanto per meditare di nuovo sulla morte e sulla risurrezione del Signore, ma per renderle presenti in modo sacramentale per mezzo del sacrificio che celebriamo.

Le parole dell'Apostolo riguardano ciascuno di noi: "Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, è questo il vostro culto spirituale" (Rm 12,1).

Non, quindi, partecipazione passiva, presenza passiva. Siamo qui per "poter discernere la volontà di Dio: ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" (Rm 12,2). Dobbiamo, in questo sacrificio del buon Pastore, "trasformarci rinnovando la nostra mente" (cfr. Rm 12,2). Dobbiamo farlo nella profondità del nostro essere, per la forza dello Spirito Santo, per la grazia, "ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato" (Rm 12,3).

In questo modo la nostra partecipazione all'Eucaristia diventa vivificante e costruttiva. Ricevendo il Corpo sacramentale di Cristo come segno della comunione con Lui, concorriamo alla crescita spirituale del corpo della Chiesa, che vive fra gli uomini ed i popoli.

Riprendiamo, così, la grande eredità che, prima di voi, ha plasmato tanti figli e figlie della vostra Nazione, e ne raccogliamo il significato per la generazione odierna.


4. Quanti doni vi sono stati elargiti da Cristo, il Pastore venuto nel mondo per comunicare la vita in abbondanza (cfr. Jn 10,10)! Egli vi ha colmati del suo amore, e la sua opera si è manifestata tra di voi in molteplici modi.

In particolare, voi avete ricevuto il dono della peculiare tradizione culturale che ha caratterizzato l'antica Sabaria: gli imperatori, succedendosi nel corso del tempo, ne hanno tramandato intatto il contenuto. La cultura antica apriva lo spirito alle profondità del sapere ed insegnava a riconoscere ed apprezzare quei valori che trascendono ogni interesse materiale. Si tratta di un patrimonio spirituale che, grazie a Dio, ha potuto svilupparsi, resistendo alla dominazione turca e all'infuriare delle guerre civili, come in tante altre fiorenti regioni della vostra Patria. Davanti al palazzo vescovile della vostra Città è possibile ammirare la statua di Daniele Berzsenyi, uno dei vostri grandi poeti: nella sua opera palpita la maturità estetica raggiunta dall'antica cultura che sapeva apprezzare il bello e l'armonia dell'essere, ma invitava a trascendere l'immediata realtà per "intravvedere bramosamente" Dio.


5. La tradizione della vostra Regione non si limita, tuttavia, alla sola cultura antica, che costituisce, peraltro, una significativa ed importante eredità. C'è in essa un patrimonio ideale più profondo, che è frutto della inesauribile vena evangelica. Ben a ragione vi sentite di esso fieri. Voi vi ispirate ad un generoso vostro conterraneo, ad un fedele discepolo di Cristo: San Martino, patrono della vostra Diocesi. Prendete come modello colui che, secondo la tradizione, taglio in due parti il mantello dandone una metà ad un mendicante ignudo. E Cristo, premiando prontamente il suo gesto, proclamo: "Il catecumeno Martino mi ha rivestito di questo mantello". Siamo chiamati anche noi ad amare così Cristo e i fratelli. Siamo chiamati al docile ascolto della Parola di Dio e siamo spronati a servire il prossimo, in modo particolare il prossimo bisognoso (cfr. Mt 22,39).

Nel povero, infatti, riconosciamo il volto di Cristo che ci invita ad accoglierlo, rispettarlo ed amarlo. Ci invita a trattare gli altri come vorremmo che essi trattassero noi (cfr. Mc 7,12). Cristo, poi, chiede al credente di amare persino chi gli è ostile e gli fa del male: "Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori" (Mt 5,44). Ma come potrebbe l'uomo mettere in pratica un così esigente invito, se Dio stesso non gli toccasse il cuore? Interceda San Martino per noi tutti. Il suo esempio ed il suo aiuto sostengano ciascuno nel cammino della perfezione, trasformando l'esistenza quotidiana in concreta carità.

Quest'amore libero e totale, che immerge l'anima nella Trinità, è il vertice ed il centro dell'itinerario spirituale del credente, il contrassegno del vero discepolo di Cristo e il segreto per l'autentico rinnovamento del mondo.


6. L'amore verso Dio deve tradursi in attenzione sincera e costante verso gli altri, in gesti di servizio gratuito e di vasta solidarietà sociale. "Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?" (Jc 2,15-16). Questa esortazione dell'apostolo Giacomo permane anche oggi singolarmente attuale. Essa invita a "dare il necessario" all'indigente (cfr. Jc 2,16) e molteplici sono i problemi e i bisogni dell'uomo contemporaneo in Ungheria. Il mio pensiero si volge, in questo momento, a tutti i poveri di questo Paese: ai senzatetto, ai disoccupati, agli immigrati, alle vittime del divorzio, ai tossicodipendenti, agli alcoolisti ed anche a tutti coloro che, per leggerezza o irresponsabilità, mettono a repentaglio il proprio e l'altrui benessere. Quante situazioni penose! Quante mani si protendono ad invocare l'aiuto solidale e tempestivo di chi dispone del "mantello" di una miglior condizione sociale! Non ci facciamo illusioni: il superamento di certe situazioni di povertà e di abbandono suppone lo sforzo congiunto e perseverante di tutti. Solo così la Nazione potrà risollevarsi dalle rovine e porre riparo alle conseguenze disastrose di passati errori. Occorre muoversi verso il traguardo di una società in cui sia data a tutti la possibilità di vivere con dignità e di provvedere all'adeguato sostentamento proprio e della famiglia. La ricostruzione materiale e morale della Nazione attende il contributo di tutti, offerto con larghezza di spirito, superando le differenze ideologiche, come pure le passate o recenti incomprensioni che eventualmente dovessero ancora persistere all'interno del tessuto sociale nazionale. Quanto è più meritorio sacrificare talora il desiderio di protagonismo a beneficio di un sostegno prestato a proposte ed iniziative valide di altri! L'esempio di San Martino non vi incoraggia forse a collaborare e ad essere sempre disponibili, anche quando ciò comporta fatica ed esige umiltà e rinuncia a propri, forse anche legittimi, punti di vista? Ma il suo esempio si collega a quello dei Santi che nell'epoca posteriore hanno reso illustre la vostra storia, ed a quello altresi di tanti cristiani che, in terra ungherese, hanno fatto del Vangelo la norma della loro vita. Vorrei qui ricordare le nobilissime figure del Servo di Dio, Conte Batthyany-Strattmann, di cui è in corso la causa di beatificazione, e di Mons. Apor Vilmos, Vescovo della vicina diocesi di Györ, che nel 1945, durante l'occupazione militare della città, sacrifico la propria vita per difendere il gregge a lui affidato: "Il buon Pastore offre la vita per le pecore".


7. Questi esempi ci ricordano che dall'autentica conversione del cuore scaturisce la possibilità di promuovere l'auspicata ed indispensabile giustizia nella società. Si diventa allora effettivi costruttori di solidarietà e ci si apre, in particolare, all'accoglienza magnanima di gruppi culturali ed etnici diversi, nel rispetto della loro originaria identità. Come voi tenete a che i vostri connazionali, viventi all'estero, possano conservare la loro lingua e cultura, così, seguendo la tradizione dell'accoglienza in senso biblico e cristiano, dovete anche voi sentirvi impegnati a fare altrettanto con questi fratelli. Colgo volentieri l'occasione per rivolgere un saluto particolare a quanti sono venuti dalla vicina Austria e partecipano a questa nostra Celebrazione eucaristica.

Esprimo il mio cordiale saluto al Signor Cardinale Hans Herman Groër, Arcivescovo di Vienna, a tutti gli altri confratelli nell'Episcopato, i Sacerdoti e Religiosi, come anche ai cari fratelli e sorelle provenienti dalla vicina Austria. In particolare saluto il Vescovo Stefan Laszlo con i numerosi pellegrini di diverse lingue, provenienti dalla diocesi di Eisenstadt. Saluto anche i pellegrini accompagnati dal Vescovo della Diocesi di Graz, quelli provenienti da Gurk e il nuovo Vescovo di Sankt Pölten. L'incontro con voi mi offre una grande gioia spirituale e riporta alla mia memoria l'ultima Visita Pastorale nella bella terra austriaca. La vostra presenza rafforza, per così dire, un'intima dedizione e un impegno cristiano: noi non abbiamo dimenticato i vostri vicini durante i passati difficili decenni, e vogliamo che così avvenga anche ora, quando essi hanno ottenuto la libertà; non li abbandiamo, ma vogliamo essere Chiesa insieme con loro; vogliamo aiutarci nella gioia e nella sofferenza, soccorrerci l'un l'altro dove è necessario, e così anche imparare gli uni dagli altri. così voi, insieme con i vostri vicini, potrete condividere non solo ciò che è materiale, ma ancor più ciò che è spirituale; dovrete soprattutto aprire il vostro cuore di nuovo a Cristo. Costruirete da oggi in avanti il ponte della carità, dell'unità e della pace, del quale è fondamento la vostra viva fede. In questo momento il mio pensiero va anche al gruppo di nomadi presenti tra voi. Non è certo compito della Chiesa suggerire provvedimenti concreti, né fornire indicazioni di tipo politico.

Non posso, tuttavia, nel corso di questa Eucaristia, alla luce della pagina evangelica del buon Pastore e nella prospettiva dell'esempio di San Martino, non esortarvi a trovare soluzioni opportune a tali problemi.

Vorrei abbracciarvi con profondo affetto tutti, miei cari fratelli e sorelle zingari, guidati dall'amore del Creatore e Redentore che ha dato la sua vita per tutti senza distinzione. Anche voi tutti siete chiamati dal Creatore ad essere collaboratori diligenti e responsabili della grande opera della creazione, e ad essere responsabili e leali membri della società con tutti i diritti e la dignità di ogni persona umana. Voi tutti siete invitati ad essere membri impegnati della Comunità cristiana, seguaci di Cristo che non è venuto ad essere servito ma per servire gli altri. Per servire come Gesù invita a fare, bisogna essere pronti a dare la vita per gli altri. Sulle orme di San Martino, occorre convertirsi all'amore, rifiutando in modo deciso e costante lo spirito del mondo: lo spirito del consumismo e dell'edonismo, che fanno dei beni materiali moderni idoli, ai quali sacrificare la persona e la sua dignità. Quanto è diverso l'invito di Gesù, che non promette successi terreni e domanda di dare se stessi "in sacrificio"! Solo così si spezza la catena dell'egoismo che imprigiona l'uomo in se stesso e nei suoi limitati e fuggevoli interessi terreni.

L'amore diventa vita e si fa dono, che va al di là di ogni personale esigenza e guarda sempre al bene comune, al prossimo da servire, riconoscendo in ciascun individuo i segni della presenza di Dio. Dico in ogni individuo, anche nel piccolo essere umano, che sta ancora sotto il cuore della madre ed ha appena iniziato il suo cammino. Non è forse un segno provvidenziale che la mia Visita pastorale coincida con la conclusione della "Novena di preghiere", durante la quale i cattolici ungheresi si sono raccolti per pregare e riflettere sul valore della vita concepita nel grembo materno? Oggi nel mondo si manifestano forme molteplici di aggressività nei confronti della vita umana, soprattutto se debole e indifesa, rivelando un diffuso oscuramento delle coscienze circa la fondamentale distinzione tra il bene e il male morale. E' necessario che i cristiani si impegnino con la parola e con l'azione nella difesa della vita umana, adoperandosi perché i singoli cittadini e l'intera comunità civile ne riconoscano il valore intangibile e ne favoriscano il pieno sviluppo, in armonia con gli immutabili principi della legge di Dio. Questo chiede a ciascuno di noi Gesù, buon Pastore, al quale è nota ogni pecorella, anche se piccola e sconosciuta, anche se ancora nascosta nel seno della madre (cfr. Jn 10,3).


8. Il buon Pastore è la porta. Cristo è la porta delle pecore. Proprio per questa ragione Egli offre la sua vita, per diventare la porta di tutti. Egli apre la prospettiva salvifica, restituisce alla vita il suo senso ultimo, mostra dove andare ed insegna come camminare sulla via che è Lui stesso. Cristo dice: "In verità... vi dico: io sono la porta delle pecore... se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo (=alimento)... io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,7 Jn 10,9-10). Ecco la mensa, preparata col pane eucaristico. Venite! Entrate attraverso la Porta che è il buon Pastore - Cristo. Forse per lungo tempo essa vi è parsa chiusa e forse questa impressione di chiusura, che l'ultimo periodo vi ha lasciato in eredità, dura ancora. Ma Cristo è rimasto: Egli è sempre presente tra noi con tutta la verità del suo Vangelo. Con tutta la forza della sua Eucaristia che è fonte di salvezza.

E' presente tra noi: il buon Pastore che offre la sua vita.

Non ce ne ha dato forse certezza Egli stesso? Non è forse Lui che ha promesso: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo" (Mt 28,20)? Si, resta con noi, o Signore? Resta con noi.

Amen!

Data: 1991-08-19
Lunedi 19 Agosto 1991


GPII 1991 Insegnamenti - Discorso durante la celebrazione ecumenica nella chiesa calvinista - Debrecen