GPII 1991 Insegnamenti - Discorso ai giovani seminaristi nella chiesa di San Mattia - Budapest

Discorso ai giovani seminaristi nella chiesa di San Mattia - Budapest

Titolo: Una grande attesa attraversa tutte le regioni d'Europa: a voi il compito di colmarla con l'annuncio della Parola




1. Il mio cordiale ed affettuoso saluto a tutti voi, cari Seminaristi dell'Ungheria, ai vostri superiori ed educatori, a tutti coloro che seguono il vostro cammino verso l'altare, sostenendovi con la preghiera, col sacrificio, con l'offerta del loro aiuto economico. Carissimi giovani, "ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere", poiché "noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da Lui" (1Th 1,2, 4). Sono lieto di rivolgermi a voi con queste parole di Paolo ai Tessalonicesi, perché, se esse si addicono a tutti coloro che per il battesimo "sono in Cristo Gesù" (cfr. 1Co 1,30), in modo particolare esse valgono per voi, che vi preparate al sacerdozio.

Voi siete, infatti, in modo tutto speciale "eletti", perché avete ricevuto il dono e la missione di diventare, come gli Apostoli, cooperatori visibili del Salvatore risorto nella grande opera della salvezza. Per questo motivo mi rallegro con voi e desidero "essere d'aiuto a voi tutti per il progresso e la gioia della vostra fede... con la mia... venuta tra voi" (Ph 1,25s). Cristo chiama al suo servizio in molti modi. Nel recente passato la sua chiamata poteva raggiungere solo un limitato numero di giovani: c'erano ben poche possibilità di entrare in Seminario o in un Ordine religioso e l'azione pastorale del sacerdote era limitata da molteplici fattori esterni. Voi vivete ora in un tempo di speciale grazia divina, in un vero "khairos", nel quale giovani in numero crescente ascoltano l'invito di Cristo a seguirlo.


2. Nel descrivere "l'elezione" dei Dodici, i Vangeli affermano che Gesù, volendo inviarli, prima li chiamo a sé (cfr. Mt 10,1 Mc 6,7 Lc 6,13, Lc 9,11). La missione di "andare" coincise con una chiamata affinché "venissero" a Lui. Infatti la nostra singolare vocazione comporta che per prima cosa siamo strettamente uniti a Gesù non solo come "servi", ma, in modo del tutto particolare, come "amici" (cfr. Jn 15,15). Queste parole, pronunciate proprio nel Cenacolo, nel contesto immediato dell'istituzione dell'Eucaristia e del sacerdozio ministeriale, esprimono l'essenza del ministero a cui aspirate. Voi siete persone scelte in modo particolare per essere amici di Gesù Cristo. Il divino Maestro ha spiegato che cosa significa essergli amici: il servo non sa quello che fa il suo padrone; gli amici invece si conoscono a fondo tra loro, perché nell'amicizia l'uno si svela all'altro (cfr. Jn 15,15). Questa rivelazione di sé non produce solamente una notizia fredda, distaccata. L'amico comprende, accoglie, difende il proprio amico; in modo molto vero, egli partecipa alla sua vita. Il Signore ci chiama a tale affettuosa comunione, chiedendoci di avere "gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù" (Ph 2,5). Egli desidera che abbiamo la "mentalità" (noûs) di Cristo (cfr. 1Co 2,16). In realtà, voi già partecipate ai pensieri di Cristo per il fatto stesso che avete accettato il suo invito, la vocazione. Siete, pero, chiamati ad approfondire questa partecipazione, continuando nel cammino dell'amicizia e progredendo nel "vivere intimamente uniti (a Cristo) come amici, in tutta la vita" (OT 8). Quest'intima familiarità con Cristo, il profondo rapporto di figliolanza con Dio Padre, la vissuta esperienza della inabitazione dello Spirito di amore costituiscono la solida base di ogni vita sacerdotale e religiosa. Raccoglimento e preghiera sono i mezzi insostituibili per realizzare una simile unione col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo.

Quest'intima familiarità con Cristo, il profondo rapporto di figliolanza con Dio Padre, la vissuta esperienza della inabitazione dello Spirito di amore costituiscono la solida base di ogni vita sacerdotale e religiosa. Raccoglimento e preghiera sono i mezzi insostituibili per realizzare una simile unione col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo. Come Maria, Madre di Gesù, conservava nel suo cuore parole e fatti del Figlio suo (cfr. Lc 2,51), così il sacerdote non può svolgere efficacemente il suo lavoro a servizio di Cristo e della Chiesa senza conservarsi costantemente immerso nella contemplazione del mistero dell'amore infinito di Dio. Gli anni di preparazione nel seminario debbono quindi essere una vera scuola di preghiera e di contemplazione, perché tutta l'azione pastorale del futuro sacerdote, tanto diocesano quanto religioso, dovrà trarre alimento da questo intimo rapporto di amicizia con Cristo.


3. Certo, il sacerdote porta dentro di sé una natura umana, e non è perciò insensibile alle attrattive della prosperità terrena e del successo temporale. Ma egli è anche unito al suo Amico divino; guardando a Lui, trova la forza di rinunciare alla famiglia, all'agiatezza, alla carriera, al favore degli uomini (cfr. Ga 1,10), per farsi obbediente nel "servizio che gli è stato affidato dal Signore" (cfr. Ac 20,24). I primi discepoli, ed in special modo i Dodici, furono invitati a diventare amici di Gesù. Ma la condizione per essere ammessi a tale rapporto privilegiato fu il loro impegno radicale. L'unica risposta possibile alla chiamata di Cristo resta anche oggi quella degli Apostoli: "Lasciarono tutto e lo seguirono" (Lc 5,1). E' una scelta che può condurre anche voi, carissimi seminaristi e carissime novizie, sulla via della Croce. Ma, se pur così fosse, non vi scoraggiate. Non siete soli a percorrere questa strada. Gesù stesso cammina con voi: Egli vi dà e vi darà il suo Spirito. Sarà lo Spirito Santo a rendere testimonianza a voi, perché, a vostra volta, voi sappiate rendere testimonianza a Cristo (cfr. Jn 15,26-28). Gesù è il vero testimone: Egli testimonia l'amore di Dio verso di noi mediante la sua donazione senza riserve per la salvezza dell'umanità. Allo stesso modo i sacerdoti devono testimoniare l'amore divino che brucia nel loro cuore, divenendo gli amici ed i collaboratori di Cristo nell'opera sublime della redenzione. Non di funzionari, di amministratori o di impresari ha bisogno la Chiesa, oggi soprattutto, ma di "amici di Cristo", che sappiano manifestare l'amore in un atteggiamento di altruistico servizio che non escluda alcuna persona.


4. L'elezione degli Apostoli non implica solamente la chiamata a "venire" verso il Cristo e neppure soltanto l'invito ad abbandonare "ogni cosa" per Lui (cfr. Lc 5,11). Nella chiamata-vocazione è implicita la missione di "andare" (cfr. Mt 10,5 Mc 6,7 Lc 9,2) per cercare di far diventare discepoli del Maestro tutti i popoli (cfr. Mt 28,19-20). Apparentemente i due comandi: venire e andare, sono contraddittori. In realtà essi designano due aspetti della medesima realtà. Gesù è colui che viene nel nome del Signore (cfr. Mt 21,9 Mc 11,9 Lc 19,38 Jn 12,13); Egli è sempre in cammino verso il mondo, insegue cercandola l'umanità perduta, finché non l'abbia ritrovata (cfr. Lc 15,4-6). L'amico di Cristo può stare con Lui solo in quanto accetta di affiancarglisi in questo continuo cammino alla ricerca della pecorella smarrita. Solo camminando con Gesù e condividendone l'ansia per la salvezza degli uomini, voi, candidati al sacerdozio, troverete l'unione vera con Lui. Andare verso gli altri in atteggiamento di generosa condivisione suppone la conversione del cuore. Gli eletti di Gesù hanno compassione delle folle stanche e prostrate come pecore che non hanno pastore (cfr. Mt 9,36). L'amore di Cristo li spinge (cfr. 2Co 5,14) così che in ogni circostanza si presentano a coloro a cui Cristo li manda, come ministri di Dio "con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce... con pazienza, sapienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero" (2Co 6,4-6).


5. Andare agli altri per incarico di Cristo suppone pure un atteggiamento missionario. Non potete contentarvi di restare chiusi nelle vostre parrocchie o case religiose, aspettando che gli altri si rivolgano a voi, specialmente in un Paese come il vostro, che sta vivendo un periodo di transizione profonda nel tentativo di costruire una nuova società, basata sulla libertà e sulla giustizia.

Il momento presente porta con sé una sfida storica per tutti i cristiani, ma soprattutto per voi che state preparandovi al sacerdozio. Un'immensa attesa attraversa le regioni dell'Europa centrale e orientale: la gente, delusa dalle ideologie fino a ieri imperanti, s'interroga su quale sia, in definitiva, il senso dell'esistenza, s'interroga sulla verità, s'interroga su Dio. Verso queste persone, siano esse credenti e non credenti, voi dovete sentirvi mandati, non diversamente da san Paolo quando, nella notte, udi in visione la voce del macedone: "Passa in Macedonia e aiutaci!" (Ac 16,9). La Chiesa è per sua natura missionaria: essa è lieta di recare al mondo la "Buona Novella" del suo Signore crocifisso e risorto per la salvezza dell'umanità. In tutta l'Europa, e in particolare nelle Nazioni che hanno raggiunto da poco la libertà, si avverte con urgenza il bisogno di una nuova evangelizzazione. Voi siete chiamati ad essere i missionari della vostra Patria. Dovrete misurarvi con l'ignoranza derivante dall'assenza, nei passati decenni, di una catechesi appropriata. Ma dovrete vedervela pure col consumismo e col materialismo pratico, che non sono meno contrari all'accettazione dell'annuncio della fede.


6. Quest'opera di persuasione e di riconciliazione, carissimi Seminaristi, si compie mediante la parola. Voi siete mandati ad insegnare agli uomini ad osservare tutto ciò che Gesù ha detto ai suoi Apostoli (cfr. Mt 28,20). L'adesione vivificante a Gesù Salvatore non si ottiene mediante uno slancio irrazionale.

Occorre accogliere la parola divina della predicazione non quale parola di uomini ma, come è veramente, quale parola di Dio che opera in coloro che credono (cfr. 1Th 2,13). Questa parola è scritta nel Vangelo, ed è fedelmente tradotta, esplicitata e sviluppata nella parola della Chiesa. Per due millenni lo Spirito Santo ha continuato senza sosta a ricordare ed a spiegare alla Chiesa tutto ciò che Gesù ha insegnato (cfr. Jn 14,26). La Chiesa apre a voi il suo tesoro, la sua mente e il suo cuore, e vi consegna la parola che a lei è stata affidata e in lei si è sviluppata, perché possiate donarla agli altri. Questo è lo scopo ed il significato degli studi che la Chiesa vi fa fare. Impegnatevi in essi. La Chiesa ha insistito per secoli nell'esigere che i suoi ministri, prima di iniziare il loro servizio tra gli uomini, si immergessero in tali studi. Abbiate fiducia nella Chiesa; non lasciatevi sedurre dalla tentazione di considerare tali studi sterili, superflui. Essi devono condurvi a penetrare nei misteri di Dio, immergendovi nell'amore immenso di Dio Uno e Trino, in piena sintonia con la fede viva della Chiesa di oggi, espressa nei documenti del Concilio Vaticano II. Soltanto così potrete evitare che il vostro ministero si riduca ad attivismo vano, e ne farete invece un vero ed efficace "ministero della parola" (Ac 6,4).


7. Voi, infatti, dovete annunziare la parola "trasmessa ai credenti una volta per tutte" (Jud 1,3), ammonendo, rimproverando, esortando (cfr. 2Tm 4,2) in modo tale che essa sia adattata alle circostanze mutevoli del tempo, affinché i vostri ascoltatori siano capaci di accoglierla. Certamente con venerazione e simpatia ricordate le generazioni di sacerdoti che prima di voi hanno istruito il vostro popolo, educandolo ad una forma cristiana di vita. Ma voi non potete semplicemente ricopiare la loro condotta e i loro discorsi. L'umanità, ed in essa la Chiesa, vive immersa nella storia, che sempre cambia. "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre" (He 13,8), ma per ogni età è diverso l'aspetto della sua pienezza che affascina l'umanità. Il Concilio Vaticano II ha fatto ben conoscere le vie dell'annuncio e dell'attività pastorale, che corrispondono alle circostanze moderne, tenendo conto dei problemi più urgenti del nostro tempo. La riflessione e la prassi della Chiesa durante gli anni successivi hanno ulteriormente concretizzato e sviluppato gli impulsi del Concilio. Dovete familiarizzarvi con gli orientamenti attuali della Chiesa. Ciò non sarà senza fatica. Dovete, oltretutto, superare le barriere della lingua. Non è da escludere che, in un primo momento, alcuni di tali orientamenti ed iniziative possano sembrarvi alieni dalla realtà attuale del vostro Paese. Eppure, è sempre dannoso che una Chiesa particolare si discosti dalle vie che la Chiesa universale giudica corrispondenti ai segni dei tempi, tanto più perché le circostanze dei vari Paesi cambiano rapidamente, e nessuna terra resta ormai completamente isolata dalle altre.


8. La Chiesa, che vive in Ungheria, ha la possibilità di rinnovarsi nello spirito del Concilio Vaticano II, per realizzare in Cristo una reale comunione di fede, di speranza, di amore e diffondere la luce del Vangelo nell'intera Nazione. Voi tutti, seminaristi e novizie, siete chiamati ad assumere, in questa rinascita, un vostro dinamico ruolo con lo studio e la preghiera, con l'impegno e la testimonianza della vita, con la valorizzazione dei laici, che sono membri del corpo di Cristo, con propri diritti e proprie responsabilità. Sarà vostro compito costruire una comunità parrocchiale che sia comunione viva di fratelli e sorelle nella fede, entro la quale possano formarsi anche comunità minori in costante collegamento con voi e col Vescovo diocesano. Il vostro compito missionario vi impone di stabilire anche giuste relazioni con i non-credenti. Non dimenticate che la loro conversione a Cristo, di norma, trarrà spunto dalla vostra testimonianza, dall'annuncio della "Buona Novella" che voi saprete recar loro sia con le parole che con i fatti. La più significativa esperienza di comunione, tuttavia, voi sarete chiamati a realizzarla, domani, con i vostri Confratelli nel sacerdozio, in stretta unione col Vescovo diocesano. La vita del sacerdote può risultare isolata e sopraffatta dall'incessante attività. L'unica garanzia di perseveranza nella strada intrapresa egli la trae da un rapporto sincero e profondo con Cristo e con i Confratelli nel vincolo d'amore dello Spirito Santo. Nel Seminario voi vivete insieme: questi anni vi offrono un'eccellente opportunità di imparare in pratica come realizzare una comunità che sia in qualche modo viva continuazione della stessa comunione intratrinitaria.


9. La Vergine Maria vi aiuti a cogliere la duplice dimensione della vostra vocazione - vocazione sacerdotale, vocazione religiosa -: quella di venire accanto a Gesù Salvatore per stare con Lui e quella di andare verso il mondo per salvarlo.

Se vogliamo essere nella volontà di Dio, dobbiamo unificare tale duplice impegno.

Come Maria, anche voi dovete saper sempre mettere insieme queste due virtù che, lungi dall'essere opposte, si richiamano, invece, e si completano a vicenda. Maria ha ricevuto nel suo seno il Verbo fatto carne ed è rimasta sempre totalmente unita a Gesù quale madre affettuosa e ancella fedele. Anche voi siete stati scelti da Dio per portare a compimento la vocazione battesimale, usufruendo di tutti i mezzi che favoriscono il pieno sviluppo della vita interiore: l'ascolto della parola di Dio, che illumina e corrobora il vostro cuore, guidandovi ad una sequela di Cristo sempre più radicale; la preghiera personale, che vi consente di vivere costantemente alla presenza di Dio; la preghiera liturgica, che vi fa interpreti principali della preghiera pubblica della Chiesa; l'impegno ascetico, giacché la vostra vocazione esige rinunce e sacrifici che solo una sana, equilibrata e costante formazione ascetica può favorire. Maria, poi, è Madre dell'umanità, in quanto nella persona di Giovanni tutta l'umanità è stata a Lei affidata. Anche voi siete chiamati a generare, nutrire e sviluppare con vero senso di paternità la vita del popolo cristiano, annunciando la Parola di Dio, corroborando la testimonianza personale e comunitaria dei fedeli con la grazia dei sacramenti. La Vergine Santissima, che ha custodito nel suo seno la Parola e l'ha donata al mondo, sia sempre la Madre del vostro sacerdozio. In questa Madre tenerissima sappiate trovare una sorgente sempre viva di conforto e di consolazione. Il vostro ministero sarà allora particolarmente fecondo.


10. Con tali pensieri porgo a tutti voi l'augurio che, con la grazia di Dio, possiate giungere alla mèta della vostra vocazione, così da essere segno vivo della presenza di Cristo in mezzo al gregge affidato alle vostre cure e alla vostra preghiera. Sappiate essere sempre testimoni credibili della Parola rivelata, ponendovi come guide miti e forti delle anime, ispiratori di vite sante, luminosi e pazienti educatori di questo caro popolo ungherese, amato da Dio, perché sia fedele a Cristo e al suo Vangelo.

A tutti voi, ai vostri Superiori ed alle rispettive vostre comunità la mia affettuosa Benedizione.

Data: 1991-08-19
Lunedi 19 Agosto 1991

Discorso ai giovani nello stadio - Budapest

Titolo: Inseritevi di nuovo nel fiume della storia europea con la ricchezza delle vostre tradizioni cristiane

Carissimi ragazzi e ragazze ungheresi!


1. "Allora Gesù, fissatolo, lo amo" (Mc 10,21).

Così ci viene riferito nel Vangelo l'incontro di Gesù col giovane ricco.

Così il Signore guarda ogni uomo. I suoi occhi, pieni di tenerezza, fissano oggi anche il vostro volto, il volto di tutti voi, qui convenuti per prendere parte a questo straordinario appuntamento spirituale, a lungo sospirato. Ed io, nel suo nome, vi abbraccio, riconoscendo in voi le speranze vive della Chiesa ungherese, la primavera promettente della vostra Patria. Grazie per la vostra accoglienza, grazie al venerato Arcivescovo di Esztergom, il Cardinale Laszlo Paskai, a Monsignor Endre Gyulay, Vescovo di Szeged-Csanad ed ai pastori di questa eletta porzione del popolo di Dio. Grazie a voi, giunti da molte regioni del vostro amato Paese, per salutare il Successore di Pietro a nome pure di tutti i vostri coetanei che non hanno potuto condividere questa gioiosa opportunità.

Il Redentore è fra noi e la sua presenza è sorgente di fraternità, di comunione e di autentica gioia. E' vero, Egli ama tutte le sue creature, ma predilige voi, giovani, perché ravvisa nella freschezza della vostra età un riverbero ed un'impronta della sua abbondanza di vita, di bellezza e di amore. Dio vi ama, perché egli stesso è giovane, il giovane per eccellenza. Potrebbe sembrare strana quest'affermazione, giacché siamo abituati ad immaginarlo simile ad un "vegliardo", con i capelli "candidi come la lana", secondo l'espressione del Libro di Daniele (Da 7,9). Eppure Dio è giovane, perché vive nell'eternità l'"adesso" sempre inedito delle iniziative mirabili del suo amore.


2. Carissimi, Dio si compiace del dono che vi ha partecipato, creandovi a sua immagine e somiglianza (cfr. Gn 1,27) e desidera che vi realizziate in pienezza, portando a compimento la vostra vocazione. Solo in questo modo infatti, voi potrete esprimere al meglio voi stessi: se, come dice San Paolo, saprete realizzare la vostra crescita secondo il volere di Dio (cfr. Col 2,19). Siatene certi: Dio non mortifica, né inaridisce la vostra giovinezza, non turba la vostra gioia. Tutt'altro! La sua potenza, lungi dall'essere una forza che limita, è un dinamismo che conduce allo sviluppo totale: allo sviluppo del corpo, della mente, dell'affettività, alla crescita della fede, all'espansione dell'amore operoso nei confronti di voi stessi, del prossimo, e delle realtà terrestri e spirituali. Se saprete aprirvi all'iniziativa divina, sperimenterete in voi la forza del "grande Vivente, del Cristo eternamente giovane" (cfr. Concilio Vaticano II, Messaggio finale ai giovani). Gesù desidera che abbiate la vita, e l'abbiate in abbondanza (cfr. Jn 10,10). La legge divina rivelata, pur apparendo talora pesante, fornisce indicazioni preziose per l'itinerario di sviluppo dell'uomo. Le tradizioni della Chiesa, la pratica dei sacramenti, il ricorso costante alla preghiera non sono soltanto obblighi da assolvere e riti da compiere; sono soprattutto inesauribili fonti di grazia, che alimentano la giovinezza e la rendono feconda di impegno apostolico e di gioia. Io, pertanto, vi esorto ad elevare lo sguardo ed il cuore verso Cristo, che vuole rendervi partecipi del suo progetto di amore. Guardate a Lui, fidatevi totalmente di Lui. Siate giovani cristiani coerenti e coraggiosi! La gioia nella vostra esuberante giovinezza sarà allora autentica e piena! Nei vari quadri della rappresentazione, che abbiamo ammirato all'inizio di questo incontro, i vostri giovani colleghi ci hanno fatto rivivere alcuni momenti della storia ungherese, attraverso le vicende dei suoi protagonisti. Tra loro c'erano dei santi. Giovani santi, come sant'Imre, santa Margherita, sant'Elisabetta. Nei periodi bui del passato, la loro vita ha irradiato la luce del Vangelo sul cammino dei vostri antenati. Carissimi, spetta a voi, in questo momento in cui la vostra Patria, superato il regime d'oppressione, sta costruendo nella libertà un futuro più sicuro e felice, emulare gli esempi di quelle grandi figure della vostra storia. Nell'adesione generosa a Cristo e al suo Vangelo voi troverete ispirazione e forza per essere i protagonisti del vostro domani.


3. Faccio mie le parole dell'apostolo Giovanni ai vostri coetanei della prima generazione: "Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi ed avete vinto il maligno" (1Jn 2,14). Siate forti! So bene quanto difficile sia attualmente la condizione dei giovani. Ovunque mi reco, ho occasione di rendermi conto delle attese, delle delusioni e delle speranze dell'universo giovanile. Mancanza di lavoro e carenza di alloggi, difficoltà economica e incremento della delinquenza, crisi della famiglia e caduta dei valori, solitudine e incomunicabilità, voglia di successo ed evasione nella droga. Ecco alcuni sintomi di un malessere sociale che serpeggia fra i giovani. Ci vuole troppo tempo per raggiungere una posizione che permetta di costruirsi una famiglia, la pubblicità martellante ingenera la convinzione che sia "normale" cercare solo il divertimento, l'affermazione dell'io e l'appagamento momentaneo delle proprie pulsioni istintive, disinteressandosi del rispetto del proprio corpo, chiudendo gli occhi ai bisogni del prossimo. Si giunge a proporre un'esistenza che praticamente fa a meno di Dio e trascura la stessa identità nazionale e quel nobile patrimonio di valori, in forza del quale essere ungherese e cristiano e appartenere così all'Europa cristiana costituiscono quasi tutt'uno. E' difficile vivere secondo i dettami della coscienza in un simile ambiente! Per questo vi dico: siate forti! Affrontate i disagi causati dal cambiamento sociale in atto con coraggio e pazienza. Riscoprite le vostre radici ungheresi e cristiane e fate quanto è in vostro potere per costruire un futuro più degno. Inseritevi di nuovo nel fiume della storia di questo continente, non come gli ultimi che chiedono di esservi accettati, ma come portatori di una grande tradizione europea, che ha le sue origini nel cristianesimo. Non aspettate che altri provvedano a ciò di cui voi avete bisogno. Siate intraprendenti e generosi. La vostra casa sarà veramente vostra, se sarete voi a costruirla. Domani, il ricordo del vostro odierno infaticabile impegno vi procurerà soddisfazioni maggiori.


4. Ma che significa essere forti: Vuol dire vincere il male nelle sue molteplici manifestazioni. E' male, ad esempio, non avere ciò di cui si ha bisogno; è male la malattia ed il dolore, è male il sottosviluppo ed ogni attentato alla vita e alla persona umana. Ma male ancora più grave è l'indifferenza, l'ingiustizia, l'egoismo e, soprattutto, il rifiuto di Dio. In una parola, è male il peccato, che regna intorno a noi, causando innumerevoli sofferenze, e che può essere anche dentro di noi, influenzando in modo negativo ogni nostro comportamento. Se, pertanto, è giusto impegnarsi nella lotta contro il male nelle sue manifestazioni individuali e sociali, è doveroso per i credenti cercare di sconfiggere in primo luogo il peccato, radice di ogni altra forma di male, resistendo con l'aiuto di Dio alla sua insidiosa attrattiva. Voi, giovani, rimproverate spesso agli anziani di non aver abbastanza lottato contro il male e di aver accettato in passato compromessi e atteggiamenti ipocriti. Senza indugiare in sterili condanne della generazione che vi ha preceduto, sappiate pero evitarne gli errori. Siate voi "puri, eroici, santi" (come molto spesso avete cantato nelle chiese), e fate si che Dio possa salvare la vostra Patria, grazie al vostro sforzo generoso.


5. "La parola di Dio dimora in voi" (1Jn 2,14), per questo potete essere forti e potete vincere il male. Si tratta della parola della promessa, attraverso la quale Dio assicura il suo aiuto. E' la parola di vita che dimora in noi, quando ci fidiamo dell'Onnipotente. Sia essa a guidare le vostre scelte quotidiane. Si apriranno così per voi gli orizzonti della verità, della bontà e dell'amore, si dischiuderà il mistero vivificante dell'integrale salvezza.

Illuminati da tale sovrumana Parola, voi sarete gli apostoli della nuova evangelizzazione. A voi spetta, in quest'ultimo decennio del secolo ventesimo, il compito di recare l'annuncio evangelico ai vostri coetanei e a chiunque incontrate, a voi è domandato di far fermentare la società con il lievito della fede rinnovatrice. Solo Cristo è la luce che rischiara la notte della solitudine umana, solo Lui è la speranza che rincuora gli umani viandanti in cerca di felicità.

Ascoltate la voce di Cristo! Ciascuno di voi ha ricevuto da Lui una chiamata. Ciascuno di voi ha un nome che Lui solo conosce. La giovinezza è l'età in cui si cerca di scoprire la propria identità per progettare il futuro. Fatevi guidare da Cristo nella ricerca di ciò che può realizzarvi in pienezza.

La maggior parte di voi è chiamata a formarsi una famiglia. Prospettiva affascinante ed insieme formidabile! Non è facile costruire un autentico focolare, capace di assicurare alla vita nascente il calore dell'accoglienza e le mille attenzioni dell'amore. Quante situazioni di disagio personale e sociale traggono origine dai malesseri, dalle crisi, dai fallimenti della famiglia! Preparatevi ad essere domani i costruttori di famiglie sane e serene, nelle quali si viva il clima tonificante della concordia nel dialogo aperto e nella reciproca comprensione.

Ascoltate la voce di Cristo! Non mancano certo fra voi ragazzi e ragazze che Cristo chiama a donarsi senza riserve al servizio del Regno.

La Chiesa nella vostra Nazione ha urgente bisogno di sacerdoti che si pongano sulle orme degli apostoli per annunciare il Vangelo e partecipare ai fratelli i frutti della redenzione; ha bisogno di uomini e donne che, dalla consacrazione totale della propria vita a Cristo, sappiano attingere la generosità della quotidiana dedizione alle opere della carità spirituale e corporale; ha bisogno di anime contemplative, che sappiano stare come Mosè sul monte, per impetrare grazia e misericordia per sé e per i fratelli.

Carissimi giovani, ricordate! Il "si" alla chiamata di Cristo è la condizione della vostra piena auto-realizzazione, è il presupposto di un fecondo inserimento nel contesto sociale, è il segreto di un'autentica gioia nel tempo e per l'eternità (cfr. Mt 19,29).

E' giunto ora il momento di separarci, ma prima di accomiatarmi da voi, lasciate che aggiunga ancora un pensiero, lasciate che additi alla vostra attenzione Maria, giovane donna che ha realizzato in sé la più completa adesione alla volontà di Dio e proprio per questo è diventata esempio di somma perfezione cristiana.

Ha avuto fiducia in Dio: "Beata Colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45). Forte della parola conservata in cuor suo (Lc 2,19), ha vinto l'egoismo, ha sconfitto il male. L'amore l'ha resa pronta al servizio umile e concreto verso il prossimo.

A Lei guarda ancor oggi la Chiesa e l'invoca incessantemente quale aiuto e modello di carità generosa. A Lei volge lo sguardo la gioventù di Ungheria. A Maria affidate il vostro cuore, carissimi ragazzi e ragazze, che siete l'avvenire di queste comunità cristiane, per anni duramente provate.

Non staccatevi mai da Maria e con Lei camminate.

Sarete allora beati perché specchiandovi in Lei e confortati dal suo patrocinio, accoglierete la Parola della promessa, la custodirete gelosamente in voi e sarete gli araldi della nuova evangelizzazione.

E' questo che il Papa vi augura, con viva speranza, mentre di cuore tutti vi benedice.

Data: 1991-08-19
Lunedi 19 Agosto 1991

Incontro con gli anziani e gli ammalati nella Basilica di S. Stefano - Budapest, Martedi 20 Agosto 1991

Nessuno è abbandonato alla debolezza: Gesù che ha sofferto per noi vi sta accanto, vi sostiene e vi chiede fiducia

Carissimi anziani e malati! Sono grato a Dio per questo incontro con voi nel mio primo viaggio pastorale in terra d'Ungheria, ed è con grande affetto che vi porgo il mio saluto cordiale. A tutti il mio augurio di pace, di speranza e di consolazione, nella luce del Cristo crocifisso e risorto! San Paolo ci ricorda che, "come in un solo corpo abbiamo molte membra, e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo, e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri" (Rm 12,4-5).

Nei miei viaggi pastorali cerco di incontrare tutte le membra del Corpo Mistico di Cristo, per riconoscerne e avvalorarne la rispettiva missione nell'ambito della Chiesa. A tutte va la mia stima sia per il servizio che svolgono a vantaggio del gregge del Signore, sia per l'evidenza con cui in esse rifulge qualche aspetto dell'immagine di Cristo. Ma a voi, carissimi fratelli e sorelle che vedo qui davanti a me, a voi che soffrite per qualche malattia, infermità, o per l'età avanzata riconosco un titolo peculiare di merito tra le membra del Corpo di Cristo, un titolo che in qualche modo investe anche quanti, standovi accanto per assistervi partecipano alla vostra sofferenza per i vincoli del sangue o della carità operosa.

La vostra presenza richiama al mio cuore la larga schiera di coloro che, nel Paese, soffrono come voi e forse non hanno nessuno che stia loro accanto assicurando, oltre alla necessaria assistenza, l'indispensabile sostegno umano della simpatia e dell'amore. Vorrei ricordare, in particolare, i bambini abbandonati dai loro genitori ed affidati ad istituti statali, nei quali non può esser loro offerto quel clima di tenerezza e di amore che tanta importanza riveste per una crescita serena ed armoniosa. Con affetto ugualmente partecipe, il mio pensiero va a tutti i portatori di handicaps, nella consapevolezza che la loro sofferenza non deriva soltanto dalle ferite che segnano il loro corpo o il loro spirito, ma a volte anche dal non sentirsi accettati e rispettati dagli altri membri della società.

In questo momento di intensa comunione, carissimi fratelli e sorelle, desidero riaffermare che in voi e in loro risplende come in nessun altro la comunione col mistero di Cristo, il Crocifisso, il quale soffrendo per amore ha redento il mondo.

Questa verità, che scaturisce dalla fede, raramente è compresa dal mondo. Quante volte coloro che soffrono per età o malattia percepiscono con amarezza che l'ambiente circostante li considera come persone inutili, ridotte soltanto ad essere un peso per gli altri. Occorre reagire a questa mentalità utilitaristica e sottilmente disumana, riscoprendo sempre nuovamente il significato e la funzione della sofferenza. Il credente deve riflettere senza sosta sul valore della partecipazione alle sofferenze di Cristo, per vivere e far vivere più intensamente la vocazione particolare, insita nella condizione di anzianità o di malattia.

La parola rivolta da Dio al popolo eletto: "Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima ed io ti amo" (Is 43,4), ha valore innanzitutto per coloro che soffrono. Ricordate l'episodio di Samuele, quando per comando di Dio s'accinse ad ungere re uno dei figli di Jesse? Il profeta pensava di dover scegliere fra loro chi si distingueva per statura e prestanza; ma Dio intervenne per ammonirlo: "Non guardare al suo aspetto, né all'imponenza della sua statura...

Io non guardo ciò che guarda l'uomo. L'uomo guarda l'apparenza, il Signore guarda il cuore" (1S 16,7). Gli uomini, si sa, apprezzano la ricchezza, il potere, la forza fisica, la bellezza, l'acume intellettuale. Per Dio, invece, è importante soprattutto la prontezza generosa con cui s'accetta la propria vocazione e ci s'impegna ad eseguire il proprio compito. Il malato che accoglie la volontà di Dio e si sforza di adempierla, vale davanti ai suoi occhi più del sano che mira al proprio successo tra l'ammirazione e l'invidia del mondo.

Beati quanti sanno riconoscere la mano di Dio nella prova e non dimenticano la sua parola rassicurante: "Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo" (Ap 3,19 cfr. Pr 3,12). Dio non si lascia vincere in generosità. A volte è proprio con la sofferenza che Egli bussa alla porta del cuore, nel desiderio di instaurare un particolare rapporto di amicizia che, se corrisposto, può assumere il calore e l'intimità di un'esperienza conviviale: "Cenero con lui ed egli con me" (Ap 3,20).

Carissimi, nei momenti bui tenete lo sguardo fisso alla Madre del Redentore, quando accolse la voce profetica: "Anche a te, una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2,35). Ricordate che anche sulle labbra di Gesù risuono l'inquietante domanda: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46).

La Scrittura ci insegna che il Padre porto a compimento nell'umanità di Gesù la più grande perfezione "attraverso le sofferenze" (He 2,10). Fu "per mezzo delle cose che pati" (He 5,8-9) che Gesù arrivo ad un'esperienza singolarmente profonda dell'ubbidienza.

E' vero, purtroppo, che in questa ascensione verso la santità mediante la sofferenza si può anche venir meno e desistere. C'è chi nel dolore si chiude, diventando insensibile verso gli altri; c'è chi nell'amarezza si dispera. La sofferenza, senza la cooperazione intelligente e coraggiosa della persona, non salva automaticamente dalla superficialità e dall'egoismo. Occorre lottare. Ma in questo impegno non si è mai soli, non lo si è neppure per un istante. Sta accanto a noi il Padre che ci tiene per mano ed effonde generosamente in noi il suo Santo Spirito, per farci crescere nella consapevolezza di essergli figli. Proprio mediante l'esperienza della nostra fragilità siamo portati a scoprire la presenza amorosa di Dio e a gridare il nostro dolore verso Colui che solo può donarci il vero sollievo.

La sofferenza diventa così scuola di preghiera sentita, insistente e fiduciosa.

Colui che soffre cercando di fare la volontà di Dio è utile al prossimo.

Anche se impedito nell'attività esterna, anche se isolato nella solitudine, egli irradia intorno a sé un'onda di luce spirituale a cui molti altri possono attingere.

Non è forse vero che in questo vostro Paese non pochi hanno conservato o riacquistato la fede grazie alla testimonianza di persone di famiglia anziane o malate, le quali fin dall'infanzia avevano avuto un'educazione religiosa e attraverso le prove della vita avevano approfondito la loro unione con Dio? Molte persone, di fronte a questi credenti anziani e sofferenti, hanno capito che la fede, quando non è semplice abitudine sentimentale ma sincera persuasione, diventa sorgente inesauribile di forza e di consolazione; hanno intuito quanto sia bello e desiderabile poter considerare Gesù come amico onnipotente e tenero, dal quale tutta la vita riceve sostegno e significato. In una parola, molti sono stati condotti verso la fede da chi quotidianamente traeva dalla propria fede la forza per fare della malattia la cattedra di una testimonianza tanto più convincente quanto più silenziosa.

Ma anche se nessuno si accorgesse e nessuno accettasse in modo esplicito la testimonianza del sofferente, il suo dolore sarebbe egualmente utile e prezioso per l'efficacia misteriosa ma reale, che esso esercita nell'ottenere la grazia che salva. Di ciò voi siete consapevoli: ne avete infatti la prova inoppugnabile nella passione stessa del Signore. Non è forse parola ispirata quella che ammonisce: "Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo" (1P 1,18-19)? Cristo ci ha ottenuto il perdono, la conversione, la nuova vita, non mediante l'impegno organizzativo, la promozione di servizi sociali, l'avvio di scuole o di altre iniziative simili. Egli ci ha salvati mediante la sofferenza e la morte, offerte al Padre in atteggiamento di sottomissione e di obbedienza.

Ora, questa è la verità consolante: in quest'opera di salvezza Cristo Signore accetta anche la nostra collaborazione.

Egli fa suo il nostro sacrificio, dandoci la forza di offrire al Padre, insieme con Lui, la nostra debolezza, la solitudine, la sofferenza, la morte. Non è forse questo l'insegnamento di Paolo: "perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,24)? In un certo senso, l'efficacia della sofferenza dei credenti potrebbe essere paragonata a quella del sacrificio eucaristico: non aggiunge nulla alla forza della Croce, ma la manifesta, consentendo alla grazia che da essa promana di espandersi in tutti i tempi e in tutti i luoghi.

Fratelli e sorelle, quando dopo una giornata segnata da disagi e dolori, giunge la sera, pensate che Gesù Cristo sta accanto a voi, fissa lo sguardo sul vostro volto e vi attesta la sua gratitudine, perché avete perseverato con lui nella sofferenza per la salvezza del mondo. Quale gioia sarà, un giorno, ascoltare la voce del Salvatore risorto: "Voi siete coloro che hanno perseverato con me nelle mie prove, ed io preparo per voi un regno" (Lc 22,28-29)! Allora si potrà dire veramente: "Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno i primi" (Lc 13,30)! Quando sarete giunti al suo cospetto glorioso, molti insieme con Lui vi saluteranno con gioiosa gratitudine, perché nelle loro lotte, nelle loro tentazioni, voi li avete aiutati, ottenendo per loro, la forza di non disperare e di non venir meno sulla strada impegnativa della fedeltà a Cristo! Potrete allora comprendere appieno la parola di Paolo: "Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura, che dovrà essere rivelata in noi" (Rm 8,18)! Abbiate dunque fede! Nessuno è abbandonato alla propria debolezza: Gesù Cristo, che ha sofferto per noi, vi sta accanto, vi sostiene nella fatica e vi chiede di aver fiducia in Lui.

"Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorero. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce, e il mio carico leggero" (Mt 11,28-30).

Anche la Chiesa, carissimi, vi è accanto con le strutture della sua carità. Nel Concilio essa ha riaffermato di volersi unire, mediante l'impegno dei suoi membri, "a tutti gli uomini di qualsiasi condizione, ma soprattutto ai poveri ed ai sofferenti, prodigandosi volentieri per loro" (AGD 12). Di fatto, in questi anni, la Chiesa s'è volta sempre più decisamente verso i poveri nella consapevolezza che in questa "opzione preferenziale" per loro, fatta di generosa solidarietà e di aiuto concreto, sta l'effettivo adempimento del comandamento dell'amore.

Le parole di Cristo nel giudizio finale, ho ricordato nella Lettera Apostolica Salvifici doloris, "indicano come siano essenziali, nella prospettiva della vita eterna in ogni uomo, il "fermarsi", come fece il buon Samaritano, accanto alla sofferenza del prossimo, l'aver "compassione" di essa, ed infine il dare aiuto. Nel programma messianico di Cristo, che è insieme il programma del Regno di Dio, la sofferenza è presente nel mondo per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà umana nella "civiltà dell'amore"".

Carissimi, affido l'impegno di ciascuno all'intercessione di S. Elisabetta, che tutta la Chiesa conosce e venera per i meravigliosi esempi di carità operosa verso le persone in difficoltà e di paziente confidenza tra le gravi sofferenze che segnarono anche la sua vita. Nel proporre in lei il modello a cui ciascuno può ispirare la propria condotta, imparto volentieri a voi ed ai vostri cari la mia benedizione, pegno della grazia e del conforto che scaturiscono dalla presenza vivificante di Gesù risorto.

Data: 1991-08-20



GPII 1991 Insegnamenti - Discorso ai giovani seminaristi nella chiesa di San Mattia - Budapest