GPII 1992 Insegnamenti - Visita alla parrocchia delle Sante Perpetua e Felicita - Roma

Visita alla parrocchia delle Sante Perpetua e Felicita - Roma

Titolo: Fate delle vostra parrocchia una grande famiglia che cammina alla luce dello Spirito Santo

Alla luce dello Spirito Santo La prima parrocchia che visito in quest'anno 1992 è la vostra, dedicata alle Sante Perpetua e Felicita. E allora come prima cosa devo augurare a voi parrocchiani "buon anno", specialmente a voi più giovani, i più piccoli dei parrocchiani, e poi a tutta la comunità parrocchiale, gli adulti, gli anziani, a tutti che siete venuti oggi per incontrarmi. Si potrebbe anche augurare "buon anno" attraverso questa parrocchia a tutte le parrocchie di Roma, perché una rappresenta tutte e in questa una si trova ciascuna. E' per me una grande gioia poter incontrare all'inizio della visita parrocchiale i più giovani, questi che ancora devono andare a scuola, dell'asilo e questi che sono già alle elementari, alcuni anche alla scuola media. Devo dirvi una cosa: ciascuno di voi, come anche ciascuno di noi, dal primo gennaio di quest'anno ha già un anno di più. Ho incontrato uno nella chiesa che è nato già in quest'anno, ma qui non ho incontrato nessuno che è nato quest'anno, il più giovane è nato già nell'anno passato ed entrato già nel secondo della sua vita, avendo appena un mese, ma è già entrato nel secondo anno. E questa riflessione sugli anni che passano ci porta a Gesù che oggi dobbiamo contemplare a Cana di Galilea, ma prima che a Cana di Galilea lo dobbiamo contemplare a Nazareth. Molte cose dice il Vangelo di questa permanenza a Nazareth, parecchie parole: che Gesù è tornato a casa con i genitori, con Maria e Giuseppe, che era obbediente ai suoi genitori e cresceva. Allora anche Gesù aveva ogni anno un anno di più e cresceva nell'età, cresceva anche nella grazia di Dio e nella sapienza e questo è l'augurio che faccio a voi tutti, specialmente per voi piccoli che avete adesso i vostri anni "nazaretiani" nella vita domestica, nascosta, anche scolastica, anche parrocchiale, ma soprattutto familiare. Vi auguro di crescere non solamente negli anni ma anche nella sapienza e nella grazia di Dio. Questo augurio faccio a voi piccoli, ma lo dovrei fare a tutti perché tutti siamo figli di Dio,creati all'esempio e alla somiglianza di questi piccoli come ci ha detto una volta Gesù Maestro.

Vi ringrazio per queste lettere che mi avete indirizzato, vedo che siete già persone moderne, bambini moderni, che tutto vogliono fare con il telefono e con i numeri. Cercheremo di andare avanti con questi metodi più moderni. Voglio concludere augurando "buon anno" a tutti i presenti, ai vostri genitori, ai vostri maestri, insegnanti, catechisti e catechiste, suore, a tutta la parrocchia attraverso i più giovani parrocchiani nelle mani del vostro parroco.

Soprattutto voglio ringraziare per queste parole e per la vostra presenza. Voglio ringraziare anche per questa coincidenza molto significativa: da una parte vi siete presentati come coro e dall'altra parte come Consiglio pastorale e oggi leggiamo nella preghiera sacerdotale il testo di Sant'Ignazio di Antiochia che parla della Chiesa sotto l'analogia di uno strumento musicale dove tutti sono insieme legati, sono legati i presbiteri, i diaconi, tutti i fedeli al loro Vescovo ma attraverso il Vescovo, attraverso la Gerarchia, a Cristo nello Spirito Santo, e così danno una melodia sonora. Questa analogia ricorre nella musica e si riferisce all'esistenza cristiana nella comunità. La comunità deve essere anche in qualche senso questa orchestra dove i diversi carismi, abbiamo sentito oggi nella seconda lettura, San Paolo, i diversi carismi si compongono, si completano per dare un insieme che è la melodia, che è la vita cristiana perché questa vita cristiana è sempre pensata dall'inizio come una vita nella Comunione, non può essere pensata altrimenti perché quello che l'ha pensata è un Dio Trino, Padre, Figlio e Spirito Santo. Ringrazio il coro che ci ha accompagnato, più che accompagnato durante la Celebrazione eucaristica. Ringrazio il Consiglio Pastorale che collabora col vostro parroco. Ringrazio specialmente in questa giornata in cui la Chiesa, da ieri è cominciata, continua a pregare per l'unità dei cristiani.

Perché se Cristo ha pregato per questa unità riferendosi all'unità che esiste tra Lui e il Padre nello Spirito Santo, che siano una cosa sola come io in te e tu in me, nello Spirito Santo, allora ci ha dato una consegna e ci ha lanciata una sfida e noi viviamo con questa sfida specialmente in quest'epoca in cui si avvicina la fine del secondo millennio dopo Cristo e l'inizio del terzo millennio. Sappiamo bene che i cristiani per portare una testimonianza più efficace devono essere uniti. Preghiamo con grande insistenza, ci vuole questa preghiera perché ci vuole la forza divina dello Spirito Santo per cambiare i cuori, i costumi, le tradizioni, le contrarietà, qualche volta anche le ostilità che esistono tra noi tutti che confessiamo lo stesso Gesù Cristo, lo stesso Dio Trinità che vuol dire Comunione. Ringraziando per quest'incontro voglio offrire una benedizione a tutti voi, alle vostre famiglie, e alle comunità, specialmente la comunità religiosa che tanto bene fa in questa parrocchia.

Voglio ringraziare il Signore che mi ha guidato fino a questa vostra parrocchia che, come ho già detto prima nella chiesa, è la prima parrocchia visitata in questo nuovo anno. Ma vorrei, incontrando i giovani, concentrare la vostra attenzione sulla liturgia di oggi, soprattutto sul Vangelo di oggi.

Sappiamo bene che si legge questo Vangelo di Cana in Galilea. Allora le nozze, il primo passo di Gesù il Messia è quello che ha fatto per rispondere ad un invito dei giovani sposi, della loro famiglia, cioè essere presente durante queste nozze di Cana in Galilea, e fare là il primo segno, compiere il primo segno messianico, il primo miracolo.

Tutto questo è molto significativo. Abbiamo già trattato anche nell'omelia durante la Celebrazione eucaristica, ma qui incontrando i giovani vorrei sottolineare una cosa. Nozze vuol dire matrimonio, vuol dire famiglia. Per voi giovani vuol dire anche una vocazione, una chiamata divina. Sappiamo bene che la maggior parte dei giovani, dei cristiani, sono chiamati attraverso questo sacramento delle nozze, del matrimonio, sono chiamati alla vita coniugale e familiare. E ci vuole una profonda preparazione a compiere bene questa vocazione, questa chiamata divina, per trovare bene, identificare bene la propria strada, per prepararsi profondamente all'impegno, che è impegno grande, e questo impegno ci viene quando ricordiamo la parola Comunione, Comunione è la Messa, Comunione eucaristica, ma questa Comunione è solamente un'analogia, un riflesso della Comunione che è Dio, Dio è Comunione, Padre Figlio e Spirito Santo. E' comunione, Trinità. Allora siamo chiamati nella vita matrimoniale, coniugale, familiare, ad imitare nella dimensione umana, nella vita umana, questo Dio Trinità è Comunione per questo ed anche amore. Amore è una cosa sublime, ma anche una cosa difficile, costa molto, non possiamo illuderci che sia diversamente. Ci vuole un impegno e una preparazione di tutta la giovane personalità, anima e corpo, per questa vocazione all'amore che dà la vita, vita nuova per persone nuove. Auguro, a voi carissimi giovani, e a tutti i giovani di Roma e del mondo, di illuminarsi la grandezza che è la vocazione coniugale alla vita familiare, identificare bene, per questo si deve conoscere se stessi, si deve conoscere il futuro sposo e la futura sposa, tutto questo è vero, ma si deve pregare molto. Ci vuole una grande preghiera per prepararsi bene alla vita nella famiglia, alla vita matrimoniale, ad essere sposi, ad essere coniugi, ad essere genitori, ad essere famiglia, ad essere comunità.

Vorrei offrirvi una benedizione a tutti con un indirizzo speciale per questa preparazione specifica sacramentale, cristiana che spetta a voi, che è molto importante per la vostra vita.

Data: 1992-01-19 Data estesa: Domenica 19 Gennaio 1992

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: E' impellente la necessità della cooperazione ecumenica nella missione evangelizzatrice

Carissimi fratelli e sorelle!


1. E' iniziata ieri, e si concluderà il prossimo 25 gennaio, una settimana speciale dedicata nel mondo intero alla preghiera per l'unità dei Cristiani.

Cattolici, Ortodossi, Anglicani e Protestanti si incontrano per chiedere insieme al Signore il dono dell'unità. Essi rispondono, così, al desiderio di Gesù stesso, il quale ha assicurato: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20), ed intendono manifestare la volontà di ricercare instancabilmente quell'unità concorde, spirituale ma anche visibile, che deve contraddistinguere coloro che credono in Cristo.


2. "Io sono con voi... andate dunque e ammaestrate tutte le genti" (Mt 28,19).

Questo è il tema proposto alla riflessione della Comunità cristiana dal Comitato misto tra rappresentanti della Chiesa cattolica e del Consiglio Ecumenico delle Chiese. L'urgente opera della nuova evangelizzazione, che si impone nel presente momento storico, domanda a tutti i credenti di essere uniti nella professione della fede in Dio uno e trino e nel Figlio di Dio incarnato, Redentore dell'umanità. così facendo, essi, mediante il costante sforzo della mutua stima e comprensione, rendono testimonianza davanti a tutti della speranza che è in loro (cfr. 1P 3,15). L'Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Europa, con l'appello ad essere testimoni di Cristo che ci ha liberati, ha attirato l'attenzione di tutti i Cristiani sulla necessità impellente della cooperazione ecumenica nella missione evangelizzatrice. Nella "Dichiarazione" conclusiva dell'Assemblea, i Padri Sinodali hanno affermato esplicitamente: "Ci siamo resi conto di quanto la nuova evangelizzazione sia compito comune di tutti i Cristiani e di quanto dipenda da ciò la credibilità della Chiesa".

Carissimi fratelli e sorelle! Consapevoli di ciò, eleviamo in questi giorni con perseveranza verso il Signore Gesù, centro della comunione ecclesiale, la nostra concorde preghiera per impetrare il dono dell'unità. Egli ci esaudirà se ci rivolgeremo a Lui con fede profonda, con carità fervente e con viva speranza.

Da ogni angolo della terra si innalzi, perciò, un'unica fiduciosa invocazione, che faccia eco a quella di Cristo: "Tutti siano una sola cosa..., affinché il mondo creda" (Jn 17,21).

Maria, Madre del Redentore e della Chiesa, ci accompagni e sostenga con la sua costante intercessione.

Data: 1992-01-19 Data estesa: Domenica 19 Gennaio 1992

Visita all'Almo collegio Capranica - Cappella del collegio (Roma)

Titolo: Preghiera, studio, vita fraterna e impegno pastorale: quattro dimensioni portanti della formazione al presbiterato




1. Il mio cordiale saluto al Signor Cardinale Sebastiano Baggio, Presidente della Commissione Episcopale per l'alta direzione di questo Almo Collegio Capranica, al Signor Cardinale Vicario Camillo Ruini, ai due Vescovi membri della Commissione Episcopale, a Monsignor Rettore e a voi, cari Superiori ed alunni di questo antico Collegio. Ho aderito con piacere alla vostra richiesta di una mia visita, perché desidero confermarvi nell'amore e nella fedeltà al ministero del Vescovo di Roma e successore di Pietro, secondo la costante e sincera tradizione di questo centro di formazione. Sono lieto che il nostro incontro avvenga in Cappella, nel contesto del canto dei Vespri. Tutto qui ci invita a pensieri gravi e solenni. Le parole dei Salmi, l'ambiente raccolto del tempio, lo stesso quadro che sovrasta il Tabernacolo, in cui si stagliano, accanto alla Madonna col Bambino, le figure di Sant'Agnese e di un Vescovo - forse san Nicola di Bari - e, alla base, i due Cardinali Domenico e Angelo Capranica, fondatore, il primo, di questo Collegio; realizzatore, il secondo, della volontà istitutiva del fratello. La loro presenza è stimolo per tutti voi, Capranicensi di oggi, a inserirvi nella corrente della ormai lunga storia del vostro Collegio: 535 anni dal Natale del 1456 e poi dai giorni del lontano gennaio 1457, in cui sorse il primo istituto destinato alla formazione sacerdotale di studenti poveri. Cari alunni, con umiltà e coerenza, dovete sapervi fare discepoli di questa storia, che è vostra, raccogliendo le lezioni provenienti dai tesori di dedizione, di servizio, di santità, che i numerosi processi di beatificazione, riguardanti ex-alunni di questo secolo, documentano. Conosco la mappa di impegno pastorale degli ex-alunni, non solo qui in Roma nelle parrocchie e nel servizio alla Santa Sede, ma anche in numerose diocesi d'Italia, con mansioni pastorali e di insegnamento nelle varie discipline teologiche; inoltre so che avete ex-alunni missionari ed ospitate anche alunni di altri continenti. Il Collegio onora così l'universalità a cui la Chiesa di Roma educa tutti i suoi figli.


2. I miei incontri con gli alunni di questo Almo Collegio sono sempre avvenuti nella vicinanza della memoria di Sant'Agnese. E' stato quindi per me spontaneo ritornare, nelle riflessioni svolte in tali circostanze, sul senso del martirio e della verginità nel vostro cammino di formazione. Ribadisco tali insegnamenti alla luce del commento di Sant'Ambrogio, proposto dall'odierno Ufficio di Letture: "Natalis est virginis, integritatem sequamur; natalis est martyris, hostias immolemus. Natalis est Sanctae Agnetis, mirentur viri, non desperent parvuli, stupeant nuptae, imitentur innuptae" (De virginibus, 1,2,5: PL 16,189). Quest'anno vorrei soffermarmi a riflettere con voi sull'importanza del ministero ordinato nella vita della Chiesa e sulla necessità di disporsi ad accoglierne il dono con animo adeguatamente preparato. Il Collegio Capranica è sorto proprio per corrispondere a questa esigenza. Vorrei sottolineare stasera, cari Superiori ed Alunni, quattro dimensioni portanti della formazione al presbiterato.


3. Innanzitutto la preghiera. Deve essere assidua, fiduciosa, missionaria.

Sappiate coniugare bene preghiera liturgica e preghiera personale. E' un cammino da percorrere, nel Signore e col Signore, per tutta la vita; e, come scriveva S.

Gregorio Magno, per essere maestri nella preghiera, bisogna impegnarsi ad armonizzare la fede con la vita: "Con quale animo oserà assumere il ministero di intercessione presso Dio in favore del popolo chi non sa al suo cospetto ottenere grazia coi meriti della vita?" (cfr. Regulae Pastoralis Liber, I,10; PL 77,23). La seconda dimensione è costituita dallo studio delle discipline teologiche. Molte ore quotidiane, nel progetto formativo del Collegio, sono riservate ai vostri doveri di studenti, chiamati a divenire pastori sempre attenti ai progressi della ricerca nei vari campi della teologia. Lo studio sollecito e ben programmato, offerto ogni giorno al Signore, deve portarvi a maturare frutti utili per il vostro futuro servizio alla Chiesa. Coltivate la teologia con profondo spirito di fede: "Illum alloquimur cum oramus: illum audimus cum divina legimus oracula", ci ammonisce sant'Ambrogio (De officiis ministrorum, 1,20,88; PL 16,50). Solo così lo studio alimenterà la vostra contemplazione, sosterrà le opportune scelte di vita e vi metterà in grado di contribuire, a suo tempo, ad edificare la comunità cristiana. Un'altra dimensione della formazione presbiterale è data dalla vita fraterna, che è insieme dono e meta da conseguire con sacrificio quotidiano.

Ascoltate al riguardo, l'insegnamento di Paolo: "La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda" (Rm 12,9-10). Un'ultima dimensione del cammino formativo è da ravvisare nell'impegno pastorale fuori dal Collegio. Tale servizio deve essere ben calibrato per non intralciare gli altri doveri. Se ben impostato, tuttavia, non mancherà di recare opportuno aiuto a determinate necessità della Chiesa di Roma e contemporaneamente costituirà un utile tirocinio per voi, presbiteri futuri o già ai primi passi nel ministero.


4. Carissimi, nel vostro cammino formativo fatevi prendere per mano dalla Madonna.

La sua immagine materna è variamente presente nel vostro Collegio: non solo in questo bel quadro, attribuito ad Antoniazzo Romano, ma anche in quello che campeggia nella Cappellina mariana, che i capranicensi di tutte le generazioni hanno venerato sotto il titolo di Mater nostri itineris. Nel cortile-chiostro, poi, c'è la statua in bronzo di fronte alla quale, nel mese di maggio, sostate alla sera per elevare il vostro canto alla Mater dulcedinis. Cari alunni, conservate sempre Maria Santissima nel vostro cuore, imitatela, aderite alla sua sollecitudine costante. Ascoltatene l'invito: "Fate quello che Egli (Gesù, il Signore) vi dirà" (Jn 2,8). La Vergine Santissima, oltre che portare Gesù a voi, porterà voi a Lui. Con verità teologica Maria Santissima è raffigurata col Bambino fra le braccia: Ella vi dona Gesù e, al tempo stesso, vi guida verso Gesù-Eucaristia, centro della vostra vita personale e comunitaria, e verso Gesù-Parola di vita, viatico per il vostro quotidiano cammino.


5. Una parola ancora su quelle che tradizionalmente sono da voi codificate come le caratteristiche del capranicense: esse, oltre che dono del Signore, sono frutto del vostro impegno quotidiano per imitare il Maestro divino e prepararvi così ad essere umili e fedeli guide del popolo di Dio. La chiarezza e la franchezza, innanzitutto: voi siete, tuttavia, consapevoli che tali atteggiamenti non s'esprimono nella professione di opinioni pedagogiche o teologiche personalistiche, ma nella fedeltà al Signore e nella limpidezza di intenzioni e di comportamento, a prezzo anche di qualche rinuncia a punti di vista discutibili.

Quanto alla libertà spirituale ("libertas in Spiritu Sancto"), voi sapete, alla luce del capitolo 5 della lettera ai Galati, che non c'è vera libertà senza capacità di rinuncia, di sacrificio, di mortificazione. Solo così si riesce, tappa dopo tappa, a porre di fatto Gesù al primo posto, nel modo di pensare, di scegliere e di agire, testimoniando gli autentici valori cristiani e umani.

L'amicizia capranicense, poi, come ogni vera fraternità ecclesiale, non può essere attuata se non obbedendo e mettendo in pratica le parole del Signore. "Non giudicate" (Mt 7,1 Lc 6,37) e quelle di Paolo "Non valutatevi più di quanto è conveniente, ma valutatevi in maniera da avere di voi un giusto concetto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato" (Rm 12,3). Non si dà, nella presente condizione storica, vera fraternità, se non ci si pone, con l'aiuto di Gesù, dal punto di vista giusto: quello dell'agàpe, di un amore crocifisso, che solo lo Spirito effonde nei nostri cuori (cfr. Rm 5,5). Anche lo spirito romano deve continuare ad essere una caratteristica dei capranicensi. Il che implica un serto di virtù: apertura universale, fedeltà al magistero, missionarietà, longanimità, magnanimità.


6. Carissimi, in questo giorno di festa per voi, ma segnato ancora da grandi tribolazioni in tanti Paesi del mondo, vi invito a trasformare con me in preghiera le riflessioni fatte. Chiunque, in questo momento, è sottoposto alla prova, possa ripetere le parole di san Paolo poc'anzi ascoltate: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati" (Rm 8,35 Rm 8,37). Sant'Agnese, vostra patrona, ha sperimentato in sé, nonostante la giovane età, la forza vittoriosa dell'amore di Cristo e, sorretta da tale interiore energia, ha potuto essere "più che vincitrice".

Vi sia essa modello di coraggio e di generosità in ogni vicenda della vita, così che anche voi possiate avviarvi incontro al vostro ministero, sicuri che "né morte né vita, né angeli né principati... né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù Nostro Signore" (Rm 8,38,39).

Amen!

Data: 1992-01-21 Data estesa: Martedi 21 Gennaio 1992



Udienza a Officiali ed Avvocati del tribunale della Rota Romana, Sala del Concistoro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Salvaguardare l'immutabilità della legge divina e la stabilità della norma canonica, tutelando e difendendo la dignità dell'uomo




1. E' sempre per me motivo di compiacimento e di gioia questo annuale incontro con voi, illustri Membri del Tribunale della Rota, perché mi offre propizia occasione di esprimere a così importante Istituzione della Chiesa Romana la mia considerazione e la mia riconoscenza, insieme con i miei cordiali auguri all'inizio del nuovo anno giudiziario. Ringrazio innanzitutto Monsignor Decano per l'indirizzo rivoltomi e sono lieto di confermare le parole con cui egli ha concluso, poiché la sua elevazione all'Episcopato ha voluto veramente essere, oltreché un atto di stima e gratitudine nei suoi confronti, un attestato di apprezzamento per il secolare e glorioso Tribunale della Rota Romana.


2. Il rapido cenno testé fatto dallo stesso Monsignor Decano ai rivolgimenti subitanei e quasi inattesi, che si sono succeduti in questi ultimi anni nel mondo intero, ed in particolare nell'Europa in cui viviamo, non può non indurre ad una sosta di riflessione su alcuni aspetti che, in una visione globale dell'odierna vita della Chiesa, direttamente interessano l'attività e il "munus specificum" del Tribunale Apostolico della Rota Romana. Indubbiamente la sollecitudine, che è propria del ministero universale del Successore di Pietro, si estende a tutti i problemi ecclesiali che tali contingenze comportano: questa, ad esempio, è stata la ragione che mi ha spinto a convocare, nel passato mese di novembre, la speciale Assemblea del Sinodo dei Vescovi col compito di affrontare i problemi posti alla Chiesa dai cambiamenti avvenuti nel Continente europeo. Né diversamente è stato in altri più o meno recenti incontri con i Vescovi di determinate regioni. Sempre l'attenzione mia e dei fratelli nell'Episcopato ha voluto essere un puntuale ed approfondito esame delle situazioni attuali, anche e soprattutto nella prospettiva del futuro, alla ricerca di quei rimedi pastorali che, fondati sulla certezza della potenza sanatrice e vivificatrice della Redenzione operata da Cristo Signore, è sembrato offrissero una risposta idonea ed efficace alle necessità spirituali incalzanti.


3. In tale ricerca, come è nella ininterrotta tradizione della Chiesa e nella incessante opera di questa Sede Apostolica, vengono sempre a confrontarsi, da una parte, le supreme esigenze della legge di Dio, impreteribile ed immutabile, confermata e perfezionata dalla Rivelazione cristiana e, dall'altra, le mutevoli condizioni dell'umanità, le sue particolari necessità, le sue più acute debolezze.

Non si tratta evidentemente di adattare la norma divina o addirittura di piegarla al capriccio dell'uomo, poiché ciò significherebbe la negazione stessa di quella e la degradazione di questo: si tratta piuttosto di comprendere l'uomo d'oggi, di metterlo a giusto confronto con le inderogabili esigenze della legge divina, di indicargli il modo a lui più consentaneo di adeguarvisi. E' quanto, ad esempio, sta facendo, al presente, la Chiesa con la partecipazione dell'intera comunità - Vescovi, presbiteri, Laici, Istituti culturali, Teologi - mediante il nuovo Catechismo cattolico, il cui intento è di presentare il volto di Cristo alla intelligenza, al cuore, alle aspettative, alle ansie dell'umanità, in procinto di affacciarsi con trepidazione alla soglia del duemila. In questo impegnativo ed affascinante sforzo di adeguamento si colloca anche l'ordinamento canonico, facendo esso parte, anzi esprimendo visibilmente per sua stessa natura l'anima interiore di quella società, esterna ad un tempo ma sempre misticamente soprannaturale, che è la Chiesa. così nel campo del diritto, partendo dalla realtà di oggi e con prospettive di speranza per il futuro, si è andata elaborando la revisione del Codice canonico, che io stesso ho avuto la gioia di promulgare. Tale testo, tuttavia, cesserebbe di essere lo strumento che deve essere nel compito salvifico della Chiesa, se coloro a cui spetta non ne curassero con diligenza l'applicazione. "Canonicae leges - affermavo nella Costituzione promulgativa del Codice - suapte natura observantiam exigunt", per cui "optandum sane est, ut nova canonica legislatio efficax instrumentum evadat, cuius ope Ecclesia valeat se ipsam perficere secundum Concilii Vaticani II spiritum, ac magis magisque parem se praebeat salutifero suo muneri in hoc mundo exsequendo".


4. L'applicazione della legge canonica comporta, pero, anzi presuppone la sua corretta interpretazione: e qui si innesta e si colloca la funzione precipua del Dicastero Rotale. E' a tutti noto che l'interpretazione giudiziale - in forza del CIC 16 paragrafo 3 - non ha valore di legge e obbliga esclusivamente le persone o concerne le cose per cui la sentenza è stata pronunziata; ma non per questo l'opera del giudice è meno rilevante o meno essenziale. Se l'attività di giudicare consiste nel far calare la legge nella realtà, e quindi nell'attuare concretamente la volontà della norma astratta - pur limitatamente ai casi portati in giudizio -, non si può negare la delicatezza della funzione intermediatrice che il giudice è chiamato a svolgere fra l'ordinamento e i soggetti ad esso sottoposti. L'astratta maestà della legge - anche di quella canonica - resterebbe un valore avulso dalla realtà concreta in cui esiste ed agisce l'uomo in genere, e il fedele in specie, se la norma stessa non venisse rapportata all'uomo per il quale è stata stabilita.

Già da questo punto di vista più generale ben si comprende l'opera vitale che a voi, Giudici rotali, è riservata. Ma vi è qualcosa di più particolare e specifico che vi riguarda, essendo voi membri di un Tribunale Apostolico, e come tali chiamati a svolgere uno specifico ruolo in quel rapporto, a cui poc'anzi ho accennato, della Chiesa col mondo di oggi. Ancora e proprio nell'ambito della interpretazione della legge canonica, particolarmente ove si presentano o sembrano esservi "lacunae legis", il nuovo Codice - esplicando nel CIC 19 ciò che poteva essere desumibile anche dall'omologo CIC 20 del precedente testo legislativo - pone con chiarezza il principio per cui, fra le altre fonti suppletorie, sta la giurisprudenza e prassi della Curia Romana. Se poi restringiamo il significato di tale espressione alle cause di nullità di matrimonio, appare evidente che, sul piano del diritto sostantivo e cioè di merito, per giurisprudenza deve intendersi, nel caso, esclusivamente quella emanante dal Tribunale della Rota Romana. In questo quadro è quindi da intendere anche quanto afferma la Costituzione "Pastor Bonus", ove attribuisce alla stessa Rota compiti tali per cui essa "unitati iurisprudentiae consulit et, per proprias sententias, tribunalibus inferioribus auxilio est" (art. 126).

5. Due esigenze allora si impongono al vostro specifico ufficio: quella di salvaguardare l'immutabilità della legge divina e la stabilità della norma canonica e, insieme, quella di tutelare e difendere la dignità dell'uomo. E' stata appunto la continua attenzione al rispetto e alla tutela delle esigenze dell'uomo di oggi a guidare il Legislatore canonico nella revisione del Codice, modificando istituti non più congruenti con la cultura odierna e introducendone altri che garantiscono diritti imprescindibili e irrinunciabili. Basti qui pensare a tutta la nuova legislazione canonica circa le persone nella Chiesa ed in particolare circa i "christifideles"; come pure alla riforma del diritto processuale, organizzato in un complesso di norme più snelle e più chiare e soprattutto più attente al doveroso riguardo per la dignità umana. Del resto, è stata la giurisprudenza di codesto Tribunale che, pur muovendosi entro i confini invalicabili della legge divino-naturale, ha saputo prevenire ed anticipare statuizioni canoniche, in materia ad esempio di diritto matrimoniale, poi definitivamente consacrate nel vigente Codice. Il che non sarebbe stato possibile, se la ricerca, l'attenzione, la sensibilità portate sulla realtà "uomo" non avessero guidato ed illuminato l'opera giurisprudenziale della Rota, con l'ausilio naturalmente e con la reciproca influenza della scienza canonistica ed insieme delle discipline umanistiche fondate in una corretta antropologia filosofica e teologica. In tal modo, anche mediante il vostro specifico lavoro, la Chiesa mostra al mondo, insieme col suo volto di ministra di redenzione, anche quello di maestra di umanità.

Invocando quindi da Dio luce e vigore per ciascuno in così arduo compito, imparto di cuore a voi tutti - Giudici, Officiali ed Avvocati - la Benedizione Apostolica, quale pegno della sua onnisciente e onnipotente assistenza.

Data: 1992-01-23 Data estesa: Giovedi 23 Gennaio 1992



Messaggio per la XXV giornata mondiale delle comunicazioni sociali - Città del Vaticano (Roma)


Occorre incrementare e meglio coordinare la presenza della Chiesa nel mondo della comunicazione

Cari fratelli e sorelle, Come ogni anno da ventisei anni, secondo quanto è stato stabilito dal Concilio Vaticano Secondo, la Chiesa celebra una Giornata Mondiale dedicata alle comunicazioni sociali. Che cosa celebra questa Giornata? Essa è un modo di apprezzare con gratitudine uno specifico dono di Dio, un dono che ha enorme significato per il periodo della storia umana che stiamo vivendo, il dono di tutti quei mezzi tecnologici che facilitano, intensificano e arricchiscono le comunicazioni fra gli esseri umani.

In questo giorno, noi celebriamo i doni divini della parola, dell'udito e della vista, che ci permettono di emergere dal nostro isolamento e dalla nostra solitudine per scambiare con quelli che ci circondano i pensieri e i sentimenti che sorgono nei nostri cuori. Noi celebriamo i doni della scrittura e della lettura attraverso i quali la sapienza dei nostri avi è messa a nostra disposizione e la nostra esperienza e le nostre riflessioni vengono trasmesse alle generazioni future. Poi, come se questi prodigi non bastassero, noi riconosciamo il valore di "meraviglie" sempre più prodigiose: "le meravigliose invenzioni tecniche che l'ingegno umano è riuscito, con l'aiuto di Dio, a trarre dalle cose create" (IM 1), invenzioni che nel nostro tempo hanno aumentato ed esteso incommensurabilmente il raggio di azione sul quale le nostre comunicazioni possono viaggiare e hanno amplificato il volume della nostra voce così, che essa può arrivare simultaneamente alle orecchie di moltitudini incalcolabili.

I mezzi di comunicazione - e noi non ne escludiamo alcuno dalla nostra celebrazione - sono il biglietto di ingresso di ogni uomo e di ogni donna alla moderna piazza di mercato dove si esprimono pubblicamente i pensieri, dove si scambiano le idee, vengono fatte circolare le notizie e vengono trasmesse e ricevute le informazioni di ogni genere (cfr. RMi 37). Per tutti questi doni noi lodiamo il nostro Padre Celeste dal quale provengono "ogni buon regalo e ogni dono perfetto" (Jc 1,17). La nostra celebrazione, che è essenzialmente di gioia e di ringraziamento, è necessariamente temperata da tristezza e da rammarico. Proprio i media che noi stiamo celebrando ci ricordano costantemente le limitazioni della nostra umana condizione, la presenza del male negli individui e nella società, della violenza insensata e dell'ingiustizia che gli esseri umani esercitano l'uno contro l'altro con innumerevoli pretesti. Di fronte ai media noi spesso ci troviamo nella posizione di spettatori indifesi che assistono ad atrocità commesse in tutto il mondo, a causa di rivalità storiche, di pregiudizi razziali, di desiderio di vendetta, di sete di potere, di avidità di possesso, di egoismo, di mancanza di rispetto per la vita umana e per i diritti umani. I cristiani deplorano questi fatti e le loro motivazioni. Ma essi sono chiamati a fare molto di più; essi devono sforzarsi di vincere il male con il bene (cfr. Rm 12,21).

La risposta cristiana al male è, innanzitutto, ascoltare attentamente la Buona Novella e rendere sempre più presente il messaggio di salvezza di Dio in Gesù Cristo. I cristiani hanno la "buona novella" da annunciare, il messaggio di Cristo; e la loro gioia è di condividerlo, questo messaggio, con ogni uomo o donna di buona volontà che sia preparato ad ascoltare. Un messaggio che dobbiamo annunciare prima di tutto con la testimonianza delle nostre vite, perché, come Papa Paolo VI ha detto saggiamente, "l'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni" (EN 41). Siamo chiamati ad essere come una città collocata su un monte, come una lampada sopra un lucerniere, visibile da tutti, in modo che la nostra luce splenda come un faro che segnala il cammino sicuro verso un porto sereno (cfr. Mt 5,13-14).

La testimonianza che diamo con la nostra vita, come individui e come comunità, esprimendo i principi e i valori che professiamo in quanto cristiani, portata all'attenzione del mondo da tutti i mezzi di comunicazione in grado di riflettere veramente la realtà dei fatti, è già una forma di proclamazione del messaggio di Cristo capace di fare un gran bene. Come sarebbe efficace tale testimonianza universale da parte dei membri della Chiesa! Ma dai seguaci di Cristo ci si attende una proclamazione ancora più esplicita. Noi abbiamo il dovere di proclamare i nostri principi, senza paura e senza compromessi "in piena luce" e "sui tetti", (cfr. Mt 10,27 Lc 12,3), adattando il messaggio divino, naturalmente, "al modo di parlare degli uomini del nostro tempo e alla loro mentalità" (Cfr. Communio et Progressio, 11), e sempre con quella sensibilità verso le loro reali convinzioni che ci aspettiamo da loro per le nostre. Una proclamazione attuata nel duplice rispetto, sul quale la Chiesa insiste, verso tutti gli esseri umani senza eccezioni, nella loro ricerca di risposte ai più profondi problemi esistenziali, da un lato e, dall'altro, verso l'azione dello Spirito, misteriosamente presente in ogni cuore umano (cfr. RMi 29).

Cristo, lo ricordiamo, non ha costretto nessuno ad accettare i suoi insegnamenti; li ha presentati a tutti senza eccezioni, ma ha lasciato ognuno libero di rispondere al suo invito. E' questo l'esempio che noi, suoi discepoli, seguiamo. Noi affermiamo che tutti gli uomini e tutte le donne hanno il diritto di ascoltare il messaggio di salvezza che Egli ci ha lasciato; e affermiamo per loro il diritto di accoglierlo se li convince. Lungi dal sentirci in qualche modo obbligati a scusarci per voler mettere il messaggio di Cristo a disposizione di tutti, noi affermiamo con piena convinzione che questo è un nostro preciso diritto e dovere. Da ciò consegue il parallelo diritto-do- vere per i cristiani di usare a questo scopo tutti i nuovi mezzi di comunicazione che caratterizzano il nostro tempo. In verità "la Chiesa si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi che l'intelligenza umana rende ogni giorno più perfezionati" (EN 45). E' facile comprendere che questi "potenti mezzi" richiedono specifiche abilità e capacità da parte di coloro che li usano, e che per comunicare in modo intelligibile attraverso questi "nuovi linguaggi" c'è bisogno sia di una speciale attitudine, sia di uno speciale addestramento.

A questo proposito, in occasione della Giornata Mondiale delle comunicazioni, io ricordo le attività dei cattolici, compiute a titolo individuale e in una miriade di istituzioni ed organizzazioni, in questo settore. In particolare io menziono le tre grandi Organizzazioni Cattoliche dei Media: l'Ufficio Cattolico Internazionale per il Cinema (OCIC), l'Unione Cattolica Internazionale della Stampa (UCIP) e l'Associazione Cattolica Internazionale per la Radio e la Televisione (UNDA). A loro in particolare e alle ampie risorse di conoscenza professionale, di abilità e di impegno dei loro associati in ogni nazione, la Chiesa si rivolge con speranza e con fiducia per la ricerca del modo migliore di proclamare il messaggio di Cristo, in una forma adatta agli strumenti ora a sua disposizione e con un linguaggio che sia intelligibile a quelle culture, condizionate dai media, alle quali deve essere rivolto. Alla numerosa schiera dei professionisti cattolici dei media, uomini e donne, laici per la maggior parte, deve essere ricordata in questo giorno particolare l'enorme responsabilità che pesa su di loro, ma deve anche essere fatto sentire il sostegno spirituale e la ferma solidarietà della quale godono da parte dell'intera comunità dei fedeli. Io vorrei incoraggiarli a sempre più grandi e tempestivi sforzi, sia nel comunicare il messaggio attraverso i Media, sia nell'indurre gli altri a farlo.

Mi appello a tutte le organizzazioni cattoliche, alle congregazioni religiose e ai movimenti ecclesiali, ma in special modo alle Conferenze Episcopali, sia nazionali che continentali, perché si impegnino a promuovere la presenza della Chiesa nei media e a realizzare un maggiore coordinamento delle realtà cattoliche che operano in questo settore. Nell'adempimento della sua missione la Chiesa ha bisogno di poter contare su un più vasto ed efficace uso dei mezzi della comunicazione sociale. Possa Dio essere la forza e il sostegno di tutti i cattolici operanti nel mondo della comunicazione mentre rinnovano il loro impegno nel lavoro al quale Egli chiaramente li ha indirizzati.

Come segno della Sua Divina Presenza e del Suo aiuto onnipotente per la loro opera, con gioia impartisco loro la mia Apostolica Benedizione.

Data: 1992-01-24 Data estesa: Venerdi 24 Gennaio 1992


GPII 1992 Insegnamenti - Visita alla parrocchia delle Sante Perpetua e Felicita - Roma