GPII 1992 Insegnamenti - Ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai seminaristi e ai laici raccolti nella Cattedrale - Sorrento

Ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai seminaristi e ai laici raccolti nella Cattedrale - Sorrento

Titolo: Il silenzio orante che contempliamo nella casa di Nazaret sia generatore di fedeltà e di unità

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Nell'intenso programma della mia visita pastorale, questo nostro incontro rappresenta di sicuro uno dei momenti più importanti. Esso si svolge, in maniera significativa, in questa Chiesa-Cattedrale, fulcro di unità e di comunione della vostra Arcidiocesi. Sono grato al Signore che l'ha reso possibile e ringrazio di cuore quanti l'hanno preparato e ciascuno di voi, qui presenti. Il mio cordiale pensiero si dirige, innanzitutto, al carissimo Mons. Felice Cece, vostro zelante Arcivescovo, al quale esprimo il mio vivo ringraziamento per le parole che mi ha rivolto all'inizio della celebrazione. Saluto anche i Cardinali e i Vescovi presenti, soprattutto i due Cardinali di Napoli, l'attuale e il predecessore. Sono molto onorato della loro presenza in questa circostanza. Saluto, poi, con affetto voi, cari presbiteri, "consacrati per predicare il Vangelo, essere i pastori dei fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento" (LG 28); saluto voi, cari seminaristi, che nel seminario minore dell'Arcidiocesi e nei seminari regionali vi preparate a diventare ministri di Cristo. Rivolgo un affettuoso pensiero a voi, religiosi e religiose, destinati per mezzo dei consigli evangelici "al servizio e all'onore di Dio a un titolo nuovo e speciale" (IB 44). Penso, in questo momento, in modo tutto singolare, alle Benedettine, alle Carmelitane, alle Domenicane e alle Sacramentine, le quali, nei cinque monasteri presenti sul territorio della vostra Chiesa locale, mantengono accesa la lampada della fede con l'abbondante olio della preghiera (cfr. Mt 25,1-12) e testimoniano, "nascoste con Cristo in Dio", che è il Signore che costruisce la casa al di là di ogni umano sforzo ed attività pastorale (cfr. Ps 126,1). E penso a voi, cari fedeli laici, che, seguendo la vostra particolare vocazione, vi sforzate di testimoniare e diffondere il Vangelo nei vari ambienti in cui vivete ed operate. Proseguite tutti fedelmente sul sentiero della personale santificazione ed impegnatevi con sempre maggiore coraggio nell'arduo compito dell'evangelizzazione.


2. Oggi celebriamo la solennità di san Giuseppe, e questo ci offre l'occasione di recarci, in spirituale pellegrinaggio, presso la casa della Santa Famiglia di Nazaret, dove il Figlio di Dio ha voluto trascorrere gran parte dei giorni della sua terrena esistenza. Là, alla scuola del Custode del Redentore, potremo comprendere meglio l'evento salvifico dell'Incarnazione, che illumina il mistero della Chiesa ed il ruolo precipuo che ciascuno di noi è chiamato ad assumere all'interno del popolo di Dio. Nazaret è la casa del silenzio. "Oh, se rinascesse in noi - esclamo Paolo VI durante il suo storico viaggio in Terra Santa - la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito, mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo" (Insegnamenti di Paolo VI, vol. II, 1964, p. 25). Quanto è importante per noi - soprattutto per noi - riscoprire il valore del silenzio! Come è possibile per un presbitero o per una persona consacrata, pienamente presi dall'attività apostolica, crescere nella vita interiore senza congrue pause di orazione e di adorazione? Il silenzio è spazio vitale dedicato al Signore, in un clima di ascolto e di assimilazione della sua parola; è santuario della preghiera, focolare di riflessione e di contemplazione. Per conservarsi ferventi e zelanti nel proprio ministero, occorre saper accogliere le interiori ispirazioni divine.

Ed è possibile fare ciò solo se si è capaci di sostare accanto al divino Maestro. Gesù non chiamo i Dodici soltanto per "mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni", ma soprattutto perché "stessero con lui" (Mc 3,14-15). Vi soccorrono, al riguardo, gli esempi luminosi dei Santi Antonino abate e Catello vescovo, Patroni della vostra Arcidiocesi. Benché fossero ricercati da tutti ed il loro cuore ardesse di zelo missionario, si sottraevano spesso alle folle, cercando rifugio nella quiete silenziosa del monte Faito.


3. Stare con Gesù: sia questo il vostro più grande desiderio. Stare con Lui come gli Apostoli e come, ancor prima a Nazaret, Giuseppe e Maria. ParlarGli in modo familiare, ascoltarLo e seguirLo docilmente: questa non è soltanto una esigenza comprensibile per chi vuole seguire il Signore; è anche condizione indispensabile di ogni autentica e credibile evangelizzazione. E' vano predicatore della Parola - osserva opportunamente Sant'Agostino - chi prima non l'ascolta dentro di sé. Ve l'ha ricordato pure il vostro Vescovo nella recente Nota pastorale, con la quale vi ha esortato ad "incominciare dal Principio", cioè da Gesù, Verbo eterno fatto carne e venuto ad abitare fra noi. Mantenetevi sempre uniti a Cristo. Quei mezzi che la sapienza millenaria della Chiesa non si stanca di raccomandare ai fedeli perché possano corrispondere alla grazia soprannaturale la pratica frequente del Sacramento della Penitenza, la partecipazione devota alla Santa Messa, la celebrazione della Liturgia delle Ore, la Lectio Divina, l'adorazione eucaristica, gli Esercizi Spirituali, la recita del Rosario - a maggior ragione debbono essere amati e ricercati da voi, carissimi fratelli e sorelle, associati più strettamente alla missione del Redentore. Prima di essere animatori delle Comunità affidate alle vostre cure pastorali, siate loro modelli di preghiera e di perfezione spirituale. Dal costante ricorso alla preghiera potrete trarre le energie interiori necessarie per superare le difficoltà, vincere le tentazioni e crescere nella carità e nella fedeltà alla vostra vocazione.


4. Il silenzio orante, che contempliamo nella casa di Nazaret, ci appare, così, un silenzio generatore di fedeltà e di unità. Della Sacra Famiglia, icona della Chiesa, possiamo ben dire che aveva "un cuor solo e un'anima sola" (Ac 5,32).

Ispiratevi sempre, nella vostra Comunità ecclesiale, a questo santo modello di perfezione e di unità. Tale intima unione di carità, come voi sapete, non è il risultato di intese ed accordi umani, bensi il dono dello Spirito Santo ed esige un itinerario costante di conversione, perdono e fraterna riconciliazione.

Ricercatela questa superiore unità, soprattutto voi sacerdoti. Mantenete l'unità della fede, senza cedere a mode e ipotesi teologiche che possono allontanarvi dall'unico deposito saldo e certo delle verità evangeliche, affidato al Magistero della Chiesa. Conservate l'unità della prassi liturgica, sapendo che i presbiteri sono servi ed amministratori della multiforme grazia di Cristo celebrata nei sacramenti (cfr. 1P 4,10). Tendete costantemente all'unità negli obiettivi pastorali, favorendo la collaborazione, il dialogo e l'intesa fra ogni componente della vostra Comunità, promuovendo i carismi e le ministerialità specialmente fra i laici, e concorrete tutti a rendere il vostro presbiterio strumento e modello di cordiale concordia. Vivete l'unità nella carità, approfondendo la dimensione fraterna del presbiterato, che concretamente si attua grazie alla stima e all'amicizia, portando "i pesi gli uni degli altri" (Ga 6,2).

Crescete nell'unità con il vostro Vescovo. Scriveva nel primo secolo Ignazio di Antiochia: "Come il Signore non opero nulla, né personalmente, né per mezzo degli apostoli senza il Padre, dato che è una sola cosa con Lui, così nemmeno voi fate nulla senza il vescovo e i presbiteri. Neppure tentate di far passare per lodevole qualche opera compiuta da voi per conto vostro. Invece, uniti insieme, ci sia una sola preghiera, una sola supplica; una sia la mente, una la speranza nella carità e nella gioia senza colpa" (Ai cristiani di Magnesia, VII, 1-2).


5. Quale prezioso insegnamento viene a noi quest'oggi dalla casa di Nazaret! Se prestiamo attenzione al silenzioso insegnamento della Sacra Famiglia, appare chiara la strada da percorrere: è la strada dell'umiltà, madre di tante virtù.

L'umiltà è innanzitutto verità, è accoglienza sincera degli altri, è disponibilità all'azione di Dio, è povertà e semplicità di spirito. Voi, cari religiosi e religiose, entrando idealmente nell'umile dimora nazaretana che possiamo considerare come il primo cenobio, comprendete più facilmente l'importanza della radicalità evangelica che, nella povertà, castità e obbedienza, grazie anche al carisma proprio di ciascun Istituto, testimonia il primato assoluto di Dio. Voi siete chiamati ad essere i testimoni della salvezza acquistataci da Cristo a caro prezzo (cfr. 1P 1,18-19). Dovete gridare al mondo, con una vita umile e distaccata dagli interessi del mondo, che non è possibile raggiungere la vera gioia e la santità senza lo spirito delle Beatitudini. Ponete, pertanto, ogni cura per rendere la vostra testimonianza limpida e coerente. Imitate, nella vostra singolare missione, Maria, la quale unita a Giuseppe, uomo giusto, da un vincolo di amore sponsale e verginale, celebra il Padre con i cantici, lo adora in silenzio, lo loda con il lavoro delle mani, lo glorifica con tutta la vita (Cfr. Prefazio della Messa in onore della B.V.M.).


6. Nella semplice abitazione di Nazaret trovate ispirazione per il vostro itinerario formativo anche voi, cari seminaristi che vi apprestate ad essere gli apostoli della nuova evangelizzazione. Nazaret rappresenta, infatti, un esigente programma di formazione spirituale. Imitate Gesù nel preparare il vostro avvenire con pazienza, umiltà e docilità, nello studio e nella disciplina, nella preghiera e nell'ascolto della Parola di Dio. Vi sostenga il materno aiuto della Vergine Santa e vi accompagni la protezione di San Giuseppe, patrono della Chiesa universale.

A tutti voi qui presenti - presbiteri, religiosi e religiose, seminaristi e aspiranti alla vita consacrata - assicuro il mio ricordo nella preghiera, mentre imparto una speciale Benedizione, che estendo a quanti vi sono cari nel Signore.



Data: 1992-03-19 Data estesa: Giovedi 19 Marzo 1992

L'incontro con i rappresentanti del mondo del lavoro nello stabilimento dei cantieri navali - Castellamare di Stabia

Titolo: Ci possono e ci debbono essere le "strutture del bene": esse sono frutto e concentrazione di atti personali




1. Ringrazio, innanzitutto, Lei, Signor Sindaco di Castellammare di Stabia, per il gentile indirizzo di omaggio con cui ha voluto farsi interprete dei sentimenti di accoglienza di questa antica e bella Città. Saluto le Autorità presenti. Saluto ciascuno di voi, abitanti di Castellammare di Stabia. Ho ascoltato con attenzione le parole che poco fa mi sono state rivolte. Ho potuto comprendere come in questo periodo di particolari difficoltà per la vostra Regione, voi siete chiamati, operando uniti, a risolvere molteplici problemi: penso alla criminalità organizzata che continua purtroppo a mietere vittime, allo spettro della disoccupazione che assilla tanti operai e grava sul futuro dei giovani; agli aspetti del degrado urbano ed ecologico, dovuti ad una cultura individualistica, già denunciata dai Vescovi italiani nel documento "Sviluppo nella solidarietà - Chiesa italiana e Mezzogiorno"; penso anche ad una concezione della politica non sempre animata da quella forte dedizione al bene comune, che dovrebbe costituire il motivo stesso della politica e della vera democrazia. Se tali fenomeni vanno rilevati con realismo, occorre, al tempo stesso, reagire con coraggio ed in modo fattivo. Realismo e coraggio da dimostrare nell'unità delle forze vive della Città per opporsi in maniera organica alla camorra sanguinaria, e a tutte le forme di criminalità e mafiosità che distruggono i valori umani sacrificando vite e beni all'illecito guadagno. Il male va vinto col bene. Occorre puntare al positivo, facendo leva sulle qualità e sulle risorse della comunità, per mettere in atto un percorso nuovo di sviluppo compiuto ed autentico. Voi, cari lavoratori, occupate un posto di primaria importanza in questa strategia di rinnovamento sociale che non può non prevedere un serio recupero etico atto a ristabilire, nella coscienza e nei quotidiani impegni di vita, i valori che rendono migliore l'esistenza e la convivenza.


2. Il recupero etico a livello personale e a livello sociale risultano tra loro strettamente connessi. Le ingiustizie e i mali sociali, autentiche strutture di peccato o peccati sociali, come già avvertivo nell'Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia, derivano dall'accumulazione e concentrazione di molti peccati personali (RP 16; cfr. anche Sollicitudo rei socialis, SRS 36). C'è dunque una responsabilità alla quale nessuno può sottrarsi, adducendo il pretesto che le strutture del peccato oltrepassano le forze dei singoli. Come esistono le "strutture di peccato", ci possono e ci debbono essere le "strutture del bene", della giustizia, della solidarietà, del rispetto reciproco, della pace, esse pure frutto e concentrazione di atti personali. Gli uomini politici, i pubblici amministratori, non dimentichino mai che, per la loro speciale vocazione, sono chiamati a promuovere il bene comune. Si tratta di una responsabilità che consiste anzitutto nell'utilizzo appropriato delle risorse di natura, di cultura, di storia e delle potenzialità umane presenti sul territorio al fine di contribuire alla soluzione dei problemi sociali di cui soffre la Città, in un atteggiamento di vero servizio.


3. Di tali problemi, una chiave, anzi probabilmente la chiave più importante è il lavoro, come già dicevo nella Laborem exercens (LE 3). La solennità di San Giuseppe, patrono e modello dei lavoratori, che ho voluto festeggiare quest'anno insieme a voi, ci offre l'opportunità di riflettere sul vero senso del lavoro. Non basta infatti lavorare, anche se è già molto riuscire a soddisfare tale elementare diritto umano. Bisogna sapere perché e per cosa si lavora, al di là degli immediati benefici che da esso si ricavano. "Mediante il suo lavoro l'uomo si impegna non solo per se stesso, ma anche per gli altri e con gli altri: ciascuno collabora al lavoro e al bene altrui. L'uomo lavora per sovvenire ai bisogni della sua famiglia, della comunità di cui fa parte, della Nazione e, in definitiva, dell'umanità tutta" (CA 43). Cari amici lavoratori, ho desiderato tanto, in questa ricorrenza, un incontro speciale con voi e sono lieto che esso abbia luogo in questi Cantieri navali, simbolo della industre laboriosità della Città e del circondario. Sono grato alla Fincantieri e all'IRI per aver assecondato il mio desiderio; ringrazio e saluto tutti i dirigenti nella persona del Presidente Nobili, per le parole di stima e di cortesia rivoltemi; saluto e ringrazio voi, lavoratori dei Cantieri e di altre fabbriche e categorie, ed in maniera speciale, il vostro rappresentante che mi ha indirizzato, a vostro nome, un cordiale benvenuto. Qui, come negli altri ambienti di lavoro da cui provenite, voi spendete quotidianamente una parte notevole del vostro tempo; investite il meglio delle forze, dell'intelligenza e della capacità professionale. Qui portate le ansie, le preoccupazioni, il peso di una situazione economica globale nient'affatto prospera, che addensa sul futuro di molti di voi le nubi della disoccupazione specialmente personale, generando un senso di sgomento e di smarrimento per l'avvenire dei figli. Qui, in sintesi, si gioca in un certo senso la vostra vita presente e futura. Sono venuto per manifestarvi la mia profonda comprensione e la mia solidarietà. Come voi, sono stato anch'io operaio; conosco la vostra vita, per così dire, dal di dentro.


4. Guardiamo ora alla figura di San Giuseppe, uomo giusto, sposo di Maria, padre putativo di Gesù. Il Vangelo ce lo presenta come lavoratore. Di Gesù, infatti, si diceva, per definire la sua identità sociale: "Non è egli forse il figlio del carpentiere?" (Mt 13,55). Il lavoro di carpentiere non costitui per lui soltanto il modo di contribuire al sostentamento del Figlio di Dio e della Vergine Madre, ma creo l'ambiente stesso della vita della Santa Famiglia. Il lavoro è entrato così, nel mistero dell'Incarnazione divenendo strumento di Redenzione. "Grazie al banco di lavoro presso il quale esercitava il suo mestiere con Gesù, Giuseppe avvicino il lavoro umano al mistero della Redenzione" (Redemptoris Custos, 22). E' da qui che bisogna partire, se si vuole cogliere il più profondo significato del lavoro umano. Dio stesso ha voluto farlo suo. Avvenimenti sorprendenti si vanno svolgendo in questi anni sotto i nostri occhi, e tuttavia, mai come oggi, la storia sta rivelando le sue ambiguità: contrasti di luce e di ombre, enormi progressi della tecnologia e crescente estensione della schiera di poveri. E' crollato nei Paesi dell'Est europeo il sistema marxista, che aveva promesso uguaglianza e giustizia sradicando Dio dal cuore dell'uomo, mentre nuove problematiche si affacciano all'orizzonte di quei popoli. Non si può restare tranquilli, poi, di fronte al sistema capitalista, quando esso si racchiude in "un'idea radicale... la quale rifiuta persino di prendere in considerazione" i "fenomeni di alienazione umana" e "ne affida fideisticamente la soluzione al libero sviluppo delle forze di mercato" (CA 42).


5. Di fronte a tutti i pericoli di alienazione umana che attraversano la cultura e l'economia del mondo d'oggi, la Chiesa non esita a dichiarare la sua scelta: sta dalla parte dell'uomo, sempre, ma soprattutto quando esso viene dimenticato, maltrattato e vilipeso, perché l'uomo visto nella luce di Cristo è la principale via della Chiesa (RH 13 CA 53). Il lavoro umano è compreso dalla Chiesa in questa logica. Come ho avuto modo di illustrare nell'Enciclica Laborem exercens, l'attività lavorativa dell'uomo, prima di essere considerata dal suo lato oggettivo quale processo di produzione all'interno di una prospettiva tecnico-economica, va vista dal lato della soggettività: è l'uomo a dare senso al lavoro (LE 6). L'uomo che lavora non è, né mai può diventare, la ruota di un ingranaggio. Lavorando realizza il suo essere immagine di Dio, vive la sua vocazione di collaboratore del Creatore, sperimenta la potenza salvifica del mistero pasquale. Nel lavoro e mediante il lavoro, l'uomo e la donna realizzano la specifica loro vocazione umana. Lo Stato e la società, cioè tutti noi, siamo tenuti a riconoscere questa loro dignità e nobiltà. Cari amici lavoratori, so quanto siano serie le vostre ansie per il futuro del lavoro e per il problema della disoccupazione giovanile, che attanaglia tante famiglie. E' un problema grave in se stesso, specialmente per l'incidenza che viene ad avere sui fenomeni della devianza giovanile, e particolarmente sul funesto e deprecabile fenomeno della violenza organizzata. Nella Centesimus annus, ho scritto: "Una società in cui il diritto al lavoro sia sistematicamente negato, in cui le misure di politica economica non consentono ai lavoratori di raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione non può conseguire né la sua legittimazione etica né la pace sociale" (CA 43). Dobbiamo riconoscere di essere, in proposito, di fronte ad una situazione preoccupante che interpella l'intera società. Rivolgo perciò, un appello ai Responsabili della cosa pubblica, ai politici, agli amministratori perché facciano quanto è in loro potere per la soluzione di così gravi problemi.

Un particolare invito rivolgo anche agli imprenditori perché diano il loro apporto indispensabile, ricordando che "come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti" (CA 43). Quest'appello è tanto più pressante quanto più precarie risultano le necessità in cui versano alcuni fra di voi, e quanto più insidiosa e diffusa è la tendenza di chi si trova in condizioni agiate a ritenere, senza fondamento, di aver fatto tutto il possibile.


6. Carissimi amici, l'obbligo che abbiamo di guadagnare il pane col sudore della fronte, secondo il precetto divino (cfr. Gn 3,19) che Gesù stesso ha voluto adempiere, può essere soddisfatto in modo pienamente umano solo all'interno di una spiritualità del lavoro nel senso cristiano dell'espressione. In parole più semplici, occorre che per noi credenti il lavoro sia realmente un cammino di santificazione. Fate, pertanto, del vostro lavoro, ad imitazione del carpentiere di Nazareth, una liturgia, un atto di culto con il quale offrite a Dio gioiosamente la vostra fatica, spesso dura, mantenendo un atteggiamento di servizio e di dedizione verso la famiglia e la società. Alla dimensione umana, spirituale, economica, sociale e culturale del lavoro si aggiunge, allora, la dimensione cristiana, che trova un vivo esempio in San Giuseppe, nella Vergine Maria e in Gesù Cristo lavoratore; anzi, trova il suo ultimo riferimento nel Creatore stesso che, come ci insegna la Genesi "porto a termine il lavoro che aveva fatto" (Gn 2,2) e - afferma San Giovanni - "opera sempre" (Jn 5,17). Non si riuscirà, dunque, a capire adeguatamente la dignità del lavoro, né da parte di chi lo esegue, né della società, se non considerandolo in questa luce. Ecco perché nella tradizione della Chiesa esso è stato costantemente associato alla preghiera; "ora et labora". Carissimi amici possa il nostro spirito, aiutato pure da queste riflessioni, trovare un'ulteriore energia spirituale per dare all'attività lavorativa il suo giusto valore nella nostra vita. Possa ciascuno, sentirsi responsabile dell'intera comunità in uno spirito solidale e fraterno (Cfr. SRS 38). In particolare, chi ha e può di più si senta responsabile di chi è meno fortunato o non ha nulla. Vi accompagni in tale impegno anche il mio incoraggiamento, avvalorato da una speciale Benedizione. Infine, voglio ancora ringraziare tutti voi per i diversi doni che ho ricevuto, ma soprattutto per questo dono, il più significativo, del crocifisso fatto da un artista operaio. E' un dono che ci dice molto, ci spiega, direi, tutta la teologia del lavoro, perché la teologia del lavoro culmina nella croce di Cristo. Noi lavoriamo per costruire una terra migliore, una terra-abitazione nostra, umana, nei diversi Paesi e continenti, ma non possiamo mai dimenticare che dobbiamo anche costruirci una casa futura e, in questo, la croce di Cristo è protagonista. Cristo ci ha manifestato con il suo sacrificio come è vicino a ciascuno di noi, come egli è il vero Emmanuele che ha incominciato a Nazaret, vicino a Giuseppe, e ha terminato sulla croce. così è rimasto nella storia di tutti gli uomini, è rimasto nella storia di tutti i popoli, di tutti i secoli. La sua croce ci rappresenta, ci presenta una dimensione trascendente e ci dice che tutti noi siamo coinvolti in questa trascendenza della Croce di Cristo.

Per questo il dono della Croce fatta in questa officina, in questi cantieri navali, per me è un dono preziosissimo. Non è solamente opera artistica, ma è anche espressione profonda della vostra esistenza.

Data: 1992-03-19 Data estesa: Giovedi 19 Marzo 1992

Al termine dell'incontro nella mensa dei cantieri navali - Castellamare di Stabia

Titolo: I problemi del lavoro passano anche attraverso i cuori

Voglio anch'io ringraziare. Ma non saprei farlo così brevemente come ha fatto il vostro collega. Vorrei confessare una cosa, non un peccato, ma una osservazione, una riflessione che mi è venuta quando ho visitato i vostri cantieri, quando ho assistito, sotto la guida del vostro Presidente, al processo di produzione di una nave. Ho pensato: certamente il banco di lavoro, il "cantiere" del carpentiere di Nazaret era molto più povero, semplice, possiamo dire primitivo. Quale sviluppo, quale progresso immenso dal banco di lavoro di Nazaret a questo grande banco di lavoro, a questi cantieri navali! Ma una cosa è rimasta identica: la presenza e il ruolo della persona umana. Là c'era la persona di Giuseppe. Accanto a lui la persona non umana ma divina - benché nella natura umana - di Gesù. E questo elemento del lavoro è rimasto identico, lo stesso. Anzi, da questo punto di vista possiamo dire che Nazaret rappresenta il vertice di tutto il processo lavorativo durante la storia umana, perché è l'unica volta che accanto a questo banco di lavoro ha lavorato Dio fattosi uomo. Questa riflessione che mi è venuta qui appartiene alla vostra comunità. E volevo subito dire, esprimere questa riflessione, perché è un po' un bene comune: mio è vostro, vostro e mio.

Un'altra cosa non posso dimenticare, quando il mio accompagnatore mi diceva: "Questo non è solamente un lavoro delle mani, della professionalità, ma è un lavoro di tutta la persona umana, un lavoro che tocca il cuore". E mi diceva: "Quando i nostri lavoratori arrivano al termine di una produzione e la nave scende nell'acqua, loro piangono...". Dice molto questa constatazione, questa osservazione. Io la ricordero per tutta la mia vita. Si poteva pensare che c'è una distanza fra l'uomo, la persona umana e il suo lavoro, specialmente se è un lavoro manuale, industriale. Invece no. così ho scoperto che non è una pura analogia ma una verità il pensare di un tale ambiente, di una tale comunità di lavoro come di una famiglia che ha i suoi problemi, anche i suoi problemi duri, tragici, qualche volta. Ma ha anche legami profondi che passano non solamente attraverso i calcoli ma anche attraverso i cuori.

Vi ringrazio per questa comunità, per queste ore che ho potuto passare tra di voi il giorno di San Giuseppe. Vi ringrazio per questa possibilità che mi è stata offerta, almeno attraverso due, tre ore, di vivere in una comunità di lavoro. E alla fine vi ringrazio anche per questa mensa comune.

Data: 1992-03-19 Data estesa: Giovedi 19 Marzo 1992

L'omelia dell'Eucaristia celebrata in onore di San Giuseppe sul lungomare - Castellamare di Stabia

Titolo: "Non cedete alla cultura della morte! Famiglie cristiane, siate il presidio della vostra società!"




1. "Ti ho costituito padre di molti popoli" (Rm 4,17).

Oggi, solennità di San Giuseppe, la Chiesa ritorna alle origini dell'Alleanza salvifica di Dio con l'umanità. Per comprendere quel che il Vangelo di Matteo dice su Giuseppe di Nazaret, è necessario prestare attenzione alle parole rivolte un tempo da Dio ad Abramo: "Ti ho costituito padre di molti popoli". Abramo, secondo la carne, fu padre di Isacco. Da questi nacque Giacobbe, che egli chiamo Israele. Questa genealogia umana ha nella Sacra Scrittura un grande significato. Più importante, pero, è la genealogia della fede. Mediante la fede Abramo è diventato padre di molti popoli. La promessa, infatti, gli fu data "in virtù della giustizia che viene dalla fede" - come scrive San Paolo nella Lettera ai Romani (4,13).


2. In questa genealogia, in questa eredità - eredità mediante la fede - s'inserisce Giuseppe, il carpentiere di Nazaret, lo sposo di Maria. Il testo di Matteo mostra la fede di Giuseppe in un momento chiave della storia della salvezza. Come molto tempo prima Abramo aveva accolto nella fede l'annuncio della promessa salvifica di Dio, così Giuseppe ha accolto la verità circa il compimento di tale promessa in Maria. Ha creduto che Ella "si trovo incinta per opera dello Spirito Santo" (Mt 1,18) Ha creduto come Ella stessa, Maria, aveva creduto all'annuncio dell'angelo, nel momento dell'Annunciazione. Ha creduto in Dio, perché a Lui nulla è impossibile (cfr. Lc 1,37). A Lui, l'unico, Colui "che dà vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono" (Rm 4,17).

Così ha creduto Giuseppe e, mediante questa fede, non solo si è associato alla grande eredità della fede, che ha la sua origine in Abramo, ma, nell'ambito di tale eredità, ha dato compimento ad una chiamata ed ad una missione totalmente eccezionali, che ha realizzato accanto a Maria e con Lei.


3. "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in Lei viene dallo Spirito Santo" (Mt 1,20). In questo momento si rivestono di realtà le parole che il Dio di Israele aveva indirizzato molto tempo prima a Davide, per bocca del profeta Natan: "Io assicurero dopo di te la discendenza... Io gli saro padre ed egli mi sarà figlio" (2S 7,12 2S 7,14). "Egli mi invocherà: Tu sei mio padre" (Ps 88/89/,27). Gesù che, per opera dello Spirito Santo, è nato dalla Vergine Maria, ha compiuto questa profezia. Egli solo, tra i figli dell'uomo, poteva gridare a Dio: "Abba", "Padre!". "Abba"! - poteva dirlo al Padre solo Colui che ne era il Figlio, l'Unigenito. Gesù Cristo ha insegnato e permesso anche a noi tutti di chiamare Dio: Padre, "Padre nostro" (Mt 6,9). La genealogia di Giuseppe di Nazaret indica la sua discendenza davidica: era della casa e della discendenza di Davide (cfr. Lc 1,27); tuttavia, non la genealogia secondo la carne, bensi quella secondo lo spirito, lo rese "padre di molti popoli", a somiglianza di Abramo. Come Abramo anche Giuseppe ha avuto fede in Dio.

Gesù di Nazaret, che chiama Dio: "Abba, Padre!", quale primogenito fra molti fratelli (cfr. Rm 8,29), anche mediante la fede di Giuseppe ha esteso l'accesso alla paternità divina a tutti coloro che insieme a lui dicono a Dio: "Padre nostro". Sulla paternità di Giuseppe, che nella fede prende parte in maniera speciale a questa genealogia spirituale, si edifica tutta la Chiesa: dal punto di vista umano, è paternità putativa, dal punto di vista del mistero divino, è paternità dallo Spirito Santo. E l'intera Chiesa venera Giuseppe di Nazaret in modo singolare e straordinario.


4. E' ormai abitudine consolidata che, nella solennità di San Giuseppe, il Papa faccia un pellegrinaggio per visitare sempre nuove località d'Italia. Oggi si trova nella arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, in pellegrinaggio, insieme con San Giuseppe, presso un santuario particolare: quello della famiglia e del lavoro. Le origini di tale santuario sono descritte nel Vangelo, specialmente da Matteo e da Luca, e trovano la loro prima espressione nella casa di Nazaret e nella bottega di artigiano di colui, che è diventato "Redemptoris custos". Si tratta di un santuario che appartiene, in modo integrale, al mistero dell'Incarnazione. Appartiene anche alla realtà della Chiesa. E' il santuario più comune, presente in un certo senso dappertutto: dovunque la vita umana nasce e si forma all'interno della comunità della famiglia e del lavoro. Il lavoro ha tante forme: è li che si può ritrovare l'eredità della casa di Nazaret.

Questo santuario nasconde in sé il divino mistero dell'Incarnazione.

Colui al quale il Padre dice: "Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato" (He 5,5), ne costituisce il centro, in quanto figlio di Maria. Giuseppe è il custode di così ineffabile mistero divino. Anche in lui si compiono le parole che Dio, una volta, indirizzo ad Abramo: "Ti ho costituito padre di molti popoli". Mediante la fede Giuseppe è padre. Mettendo in rilievo il particolare legame esistente tra famiglia e lavoro dell'uomo - un legame sacro - ci è dato di partecipare al mistero della santità di Dio, grazie a ciò che costituisce il sostrato e il contenuto della vita di tutti gli uomini. Davvero grande, immensamente vasto è questo santuario nel quale la Chiesa si reca come pellegrina insieme con il suo patrono Giuseppe di Nazaret, il 19 marzo di ogni anno.


5. Con tali sentimenti, esprimo la gioia di trovarmi fra voi quest'oggi e vi ringrazio per la vostra calda accoglienza. Saluto, in particolare, il Pastore della Vostra Arcidiocesi, il carissimo Monsignor Felice Cece, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i laici attivamente impegnati nell'apostolato e le molteplici componenti del popolo cristiano di Sorrento e di Castellammare di Stabia. Saluto, poi, le autorità civili, militari e politiche qui presenti. Mi rivolgo con affetto soprattutto a voi famiglie e a voi giovani. Care famiglie, nella vostra terra sono molti i problemi, ma c'è una grande ricchezza su cui potete contare: il senso profondo e sacro della famiglia. Una famiglia salda può costituire il rimedio per tante gravi ed insidiose problematiche; fondata sulla roccia dei principi religiosi e morali, essa è ancora di salvezza, capace di sottrarre al naufragio le migliori energie dell'umanità, rimettendole in campo per rinnovare il tessuto sociale. Non cedete alla cultura della morte. Non cedete alla forza della violenza. Non abituatevi ad assistere impotenti al dilagare del crimine che mina alla base le strutture della vostra società. Siate fiduciosi nell'aiuto di Dio e coraggiosi nel combattere uniti contro i mali. Siate dunque, famiglie cristiane, il tesoro e il presidio della vostra società. Rinsaldate la vostra comunione rigenerandola alle sorgenti della fede. Accogliete i figli come frutto e sigillo dell'amore. Ogni figlio che nasce, con la sua irripetibile identità, è dono del Signore e ne reca l'immagine. Preoccupatevi della loro educazione morale e religiosa; iniziateli a un itinerario di fede con le parole ed ancor più con l'esempio. Le vostre case siano insieme santuari della vita e scuole di donazione perseverante e gratuita al servizio dei bisognosi: degli ammalati, degli anziani, degli emarginati, dei bambini. Siano chiese domestiche dove i giovani, guardando anche ai genitori, possano scoprire il senso della loro particolare vocazione. Come la Famiglia di Nazaret fu culla della Chiesa, così ogni famiglia cristiana è chiamata ad essere culla di vocazioni laicali e di speciale consacrazione. Care famiglie, i giovani sono alla ricerca di ideali grandi e impegnativi. Aiutateli a dedicarsi senza sosta alla costruzione della civiltà dell'amore.


6. E voi, giovani, siate degni delle migliori tradizioni della vostra Chiesa facendo tesoro delle grandi risorse spirituali che la caratterizzano. Vi sentite, oggi, non di rado costretti a misurarvi con una cultura ambigua e contraddittoria.

Accanto a testimonianze di amore avete dinanzi a voi spettacoli di violenza; al desiderio di costruire una società migliore, suscitato in voi dall'adesione al Vangelo, si contrappongono molti richiami consumistici che paralizzano ogni generoso impegno. Siete chiamati a scegliere. A scegliere forse il sentiero più lungo e più duro, ma che è l'unico a condurvi alle vette della piena umanità e della santità. Cristo è con voi. Lasciatevi guidare da Lui per le sue strade.

Evitate le illusorie e pericolose scorciatoie che portano alla insoddisfazione del cuore e all'appiattimento dello spirito. Siate veramente giovani: giovani fino in fondo. Abbiate orrore dei facili, ma tragici miraggi del piacere, del denaro e del potere. Dio è giovinezza, e solo chi vive di lui, ha il segreto della giovinezza.


7. Carissimi fratelli e sorelle! Nel corso dell'odierna liturgia viene a noi disvelato, ancora una volta, il disegno provvidenziale manifestato nel santuario di Nazaret. San Giuseppe, sposo della Vergine Maria, ha creduto e, come Abramo, ha sperato contro ogni speranza. Caro San Giuseppe, aiuta anche noi a fidarci di Dio.

Sempre. Aiutaci a credere al compimento delle promesse divine.

Aiuta anche noi a ripetere con te: "Tu sei fedele, Signore, alle tue promesse" (Salmo resp.).

Amen.

Data: 1992-03-19 Data estesa: Giovedi 19 Marzo 1992


GPII 1992 Insegnamenti - Ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai seminaristi e ai laici raccolti nella Cattedrale - Sorrento