GPII 1992 Insegnamenti - La visita all'Istituto per handicappati "La Nostra Famiglia" - San Vito al Tagliamento

La visita all'Istituto per handicappati "La Nostra Famiglia" - San Vito al Tagliamento

Titolo: Il rispetto della dignità di ogni uomo è il miracolo di un amore che si nutre di fede

"Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio... E prendendoli fra le braccia e imponendo loro le mani li benediceva" (Mc 10,14-16).


1. Anch'io come Gesù, cari bambini, vorrei abbracciarvi e conoscervi tutti, personalmente. Purtroppo non mi è materialmente possibile e questo mi dispiace, ma abbracciando il vostro amico che mi ha dato il benvenuto a nome di voi tutti intendo idealmente stringere al mio cuore ciascuno di voi, che siete ospiti di questo Centro chiamato "La nostra famiglia". Voglio assicurarvi che sono molto felice di trovarmi qui, tra di voi e di incontrare insieme a voi i vostri cari. Vi ringrazio perché mi avete offerto l'occasione di conoscere questa bella, accogliente e grande casa di San Vito al Tagliamento, che è la vostra casa. Ho avuto modo di salutare diversi di voi in altre occasioni, soprattutto quando, il 24 settembre 1979, avete voluto farmi visita a Roma nella mia casa. Quest'oggi sono venuto io da voi e desidero, con tutto il cuore, ricambiare la gioia di quell'incontro. Ho come l'impressione di conoscervi tutti, da sempre; quest'oggi qui mi sento a casa, proprio in famiglia: nella "Nostra Famiglia".


2. Che bella e preziosa istituzione la "Nostra Famiglia"! Questa vostra singolare Associazione vive ciò che Gesù ci ha insegnato e comandato di fare. Testimonia e cerca di mettere in pratica il comandamento dell'amore in forma tangibile e chiara, con abnegazione e quotidiana fedeltà. Essa è nata dallo zelo sacerdotale e dal cuore ardente e generoso di don Luigi Monza, che l'ha fondata perché fosse focolare di divina carità. E' stata creata perché attraverso gesti di autentica solidarietà, tradotti in opere di servizio ai più bisognosi, si manifestasse la materna sollecitudine della Chiesa verso i più piccoli e venisse pure esaltato il valore sacro di ogni vita umana. Ecco i miracoli dell'amore che si nutre di fede! E' l'amore attivo, ottimista, che sa trovare modi sempre nuovi per esprimere e restituire alla persona, soprattutto a quella più indifesa, il rispetto per la dignità grande che le è propria, perché plasmata a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,26). Mentre ringrazio la Signora Zaira, Presidente de "La Nostra Famiglia", per le parole che mi ha rivolto, esprimo tutto il mio apprezzamento per questa Istituzione, in cui il precetto evangelico della carità è vissuto in forme tanto concrete.


3. E mi viene in mente, a questo punto, proprio lui, il vostro fondatore, don Luigi Monza, questo prete milanese che amava ripetere: "Il bene deve essere fatto bene. Il Signore ci domanderà conto, non del tanto che abbiamo fatto, ma del poco bene fatto bene" (Don Luigi ci parla, pag. 39). Egli ora dal Cielo guida e protegge questa sua opera ed è spiritualmente con noi in questo momento di gioia e di festa. Cosa direbbe don Monza in così singolare circostanza? A voi, cari bambini, rivolgerebbe il suo sorriso con l'affetto proprio di un padre e di una madre. A voi, genitori, papà e mamme, direbbe di far si che l'amore per questi vostri figli sia sempre tenero e vivo, così da scoprire in essi, ogni giorno di più, la presenza di Gesù che bussa alla porta delle vostre famiglie. A voi operatori dei diversi settori rinnoverebbe l'invito a sentir viva la responsabilità di questi bambini davanti a Dio, e a portar a termine il compito che vi siete assunti, con amore e con sacrificio (cfr. Una proposta di vita, pag.


95). E questo con instancabile generosità. A voi, carissime "Piccole Apostole della Carità", rivolgerebbe l'esortazione a crescere nello spirito di donazione, vivendo con fedeltà inesauribile il vostro tipico carisma e operando nella Chiesa e con la Chiesa per essere "fermento nella società attuale della stessa carità dei primi cristiani" (dai Principi fondamentali della spiritualità di don Luigi Monza). Infine, a voi amici e simpatizzanti di quest'Opera, gruppi di spiritualità, giovani impegnati nel volontariato, don Luigi Monza assicurerebbe che quanto fate e farete a favore dell'Opera con sacrificio e abnegazione sarà ascritto a merito per l'eternità. E' quanto ci dice Gesù nel Vangelo: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).


4. Facendo miei questi sentimenti del vostro Padre spirituale, vorrei confermare ed incoraggiare il vostro impegno e la missione di tutti coloro che si dedicano al servizio dei bambini operando attivamente per la loro riabilitazione fisica ed il loro pieno sviluppo umano e spirituale. Affido il vostro lavoro, le vostre sofferenze e speranze alla Madonna, nostra Madre celeste. Ho visto nella vostra cappella la sua immagine sulla vetrata. So anche che tra non molti giorni diversi di voi avranno la fortuna di recarsi in pellegrinaggio a Lourdes. Pregate la Vergine Santa, pregatela anche per il Papa.

Invocatela spesso, raccomandatevi a Lei e affidate al suo cuore materno ogni vostro progetto e tutte le vostre quotidiane preoccupazioni. Lasciatevi prendere per mano da Lei. Maria è Madre nostra tenerissima.

Da parte mia vi assicuro che mi ricordero sempre di voi e di quanti lavorano in questa casa.

Ora purtroppo debbo andare. Pero vi lascio un regalo: vi dono la Benedizione. E' il Signore stesso che attraverso il Papa vi benedice tutti, nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1992-05-01 Data estesa: Venerdi 1 Maggio 1992

L'omelia durante la concelebrazione della Messa nella Piazza della Fiera - Pordenone

Titolo: Fra le ombre di questo mondo che passa l'Eucaristia prepara la gioia della vita eterna




1. "Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere" (Dt 8,2). Ricordati! L'odierna liturgia si concentra su questo ricordo delle vie del Signore che conducono verso la vita. Nei pressi di Cafarnao, dopo la moltiplicazione miracolosa dei pani, quando la folla voleva proclamarlo re, Cristo dice: "Io sono il pane..." - non un re che passa - ma il pane, il pane "disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io daro è la mia carne per la vita del mondo" (Jn 6,51). Gesù di Nazareth parla alla memoria del popolo, il suo popolo, che Dio ha condotto fuori dall'Egitto, mediante il sangue dell'agnello. Durante il cammino attraverso il deserto il popolo ebbe fame, e Dio gli diede la manna caduta dal cielo: "I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti" (Jn 6,49). Quanti stavano ascoltando Cristo nei pressi di Cafarnao si ricordavano di tutto ciò, del cibo miracoloso, della manna, e della morte di quelle generazioni. Nel deserto i loro padri avevano soddisfatto la fame del corpo grazie alla manna. Ne avevano mangiato come di ogni pane terreno che serve all'uomo quale nutrimento quotidiano. Ma tale cibo non dà l'immortalità all'essere umano - e nessuno, in verità, l'attende da esso.


2. Cristo continua: "Il pane che io daro è la mia carne per la vita del mondo".

Queste parole costituiscono un annuncio: annuncio per molti difficile da comprendere e da accettare, ma molto chiaro e senza possibilità di equivoci. Si sarebbe compiuto poco tempo dopo, durante l'ultima Cena, a Gerusalemme, sulla soglia delle solennità pasquali. Nel cenacolo Cristo fece quanto aveva preannunciato. Diede agli apostoli il pane e il vino, dicendo: "Questo è il mio corpo", "Questo è il mio sangue della nuova ed eterna alleanza", e pose in tal modo la pietra angolare della nuova memoria della Chiesa: "Fate questo in memoria di me" (cfr. Preghiera Eucaristica; cfr. 1Co 11,24-25). Tale memoria della Chiesa non è soltanto un ricordo! E' il sacramento della presenza permanente di Cristo.

Il sacramento che rende presente ogni volta di nuovo il sacrificio di Cristo: "il corpo che viene dato per noi...", "il sangue che viene versato per i peccati" di tutto il mondo.


3. L'Eucaristia, proprio mentre rende presente la morte di Cristo, dà allo stesso tempo la vita. Non quella che scorre via giorno dopo giorno, ed al cui sostentamento serve il pane materiale, ma la vita eterna! "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risuscitero nell'ultimo giorno" (Jn 6,54). Nei pressi di Cafarnao gli ascoltatori si chiedevano: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?" (Jn 6,52). Nel cenacolo gli apostoli non gli pongono questa domanda; semplicemente prendono e mangiano, prendono e bevono. Come può costui darci la vita eterna? La risposta l'aveva ormai data Gesù nei pressi di Cafarnao: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui" (Jn 6,56). Anzi ancora di più: "Come il Padre che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me" (Jn 6,57).

All'indomani dell'ultima Cena, Gesù doveva subire la morte in croce. Ma tre giorni dopo avrebbe manifestato in sé la vita non soggetta alla morte. Chi rimane in lui prende parte a questa vita. Chi mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue vive per lui, partecipa alla vita che il Figlio possiede in unione con il Padre.


4. Le parole del Vangelo, che poco fa abbiamo ascoltato, interpellano direttamente ciascuno di noi, le nostre famiglie, la comunità ecclesiale, l'intera società. Chi rimane in Gesù prende parte alla sua vita, vita che non è soggetta alla morte.

Questo proclamiamo nella Santa Messa. Questo ci ricorda anche l'odierna solenne liturgia, che riunisce la comunità diocesana in questo vasto parco della "Fiera di Pordenone". Solo Cristo è Pane vivo di vita eterna. Lo è per ogni essere umano; lo è con la sua Parola e col dono prezioso del suo Corpo e del suo Sangue. "La rinnovazione dell'alleanza di Dio con gli uomini nell'Eucaristia - afferma il Concilio Vaticano II - introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa" (SC 10). "La Chiesa vive dell'Eucaristia, vive della pienezza di questo sacramento, il cui stupendo contenuto e significato hanno trovato spesso la loro espressione nel Magistero della Chiesa, dai tempi più remoti fino ai nostri giorni" (RH 20). L'Eucaristia costruisce, così, la Chiesa come autentico popolo di Dio, sempre rigenerandolo sulla base del sacrificio pasquale. Essa costituisce anche la vostra Chiesa, carissimi fratelli e sorelle della Diocesi di Concordia-Pordenone, in mezzo ai quali sono lieto di celebrare oggi i divini Misteri. Saluto il vostro Pastore, il carissimo Mons.

Sennen Corrà, ed i Presuli presenti, soprattutto il suo Predecessore Saluto i Presbiteri, i Religiosi e le Religiose, come pure i fedeli laici dedicati al quotidiano annuncio della speranza evangelica. Rivolgo un particolare pensiero, in questo giorno commemorativo di san Giuseppe artigiano, a coloro che compongono il vasto mondo del lavoro. Un deferente ossequio lo dirigo alle Autorità amministrative, politiche e militari ed a tutti coloro che, a vario titolo, hanno contribuito all'organizzazione di questo mio pellegrinaggio pastorale nella cara regione del Friuli-Venezia Giulia.


5. Dal mistero eucaristico, che è sacramento-sacrificio, sacramento- comunione e sacramento-presenza, scaturisce la missione del cristiano. E, per tale ragione, proprio perché consapevole che in esso "è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo" (PO 5), la vostra Diocesi, animata dal desiderio di sincero e profondo rinnovamento, ha promosso un piano pastorale tutto incentrato sull'Eucaristia. Voi partite dalla convinzione che l'Eucaristia debba essere alla base della nuova evangelizzazione e avete perciò articolato il piano in due anni: la Liturgia della parola e la Liturgia eucaristica. Auspico vivamente che questo vostro impegno comunitario, sorretto dalla vivificante azione dello Spirito Santo, possa condurvi, innanzitutto, ad una percezione più attenta dei mutamenti che stanno verificandosi all'interno della società, e ravvivi poi la consapevolezza dell'importanza, per la vostra crescita spirituale, della celebrazione eucaristica domenicale. Ciò non potrà non favorire una partecipazione più sentita all'intera vita liturgica della Chiesa, rimovendo gli ostacoli che attualmente l'impediscono. Ogni vostra speranza, ogni vostro progetto, carissimi fratelli e sorelle, sia fondato su Cristo. L'opera della nuova evangelizzazione, che voi avvertite come urgente anche nella vostra terra, raggiunta dalla fiamma del Vangelo già oltre 1600 anni fa ed illuminata dalla testimonianza di autentici servitori del Signore come, ad esempio, il Beato Odorico ed il Venerabile Marco d'Aviano, sarà efficace soltanto se il Redentore dell'uomo occuperà il centro delle vostre famiglie, di ogni contrada, delle città e dei paesi. Reagite con fermezza e tenacia alle tentazioni dell'egoismo, del consumismo e del secolarismo. Non cedete ad una certa mentalità, oggi corrente, che spinge l'uomo ad occuparsi in modo esclusivo di ciò che è materiale, trascurando ciò che solo può soddisfare le esigenze più vitali del cuore umano.

Come non ricordare, ancora una volta, che soltanto Cristo conosce il cuore dell'uomo ed egli solo è il cibo immortale che lo nutre e lo rende felice? Aprite, fratelli e sorelle carissimi, i vostri spiriti a Cristo! Accogliete il dono della sua carne e del suo sangue. Egli ci assicura: "Colui che mangia di me vivrà per me".


6. Nutrirsi di Cristo significa pregare, ascoltare la sua Parola, adorarlo presente nel tabernacolo; comporta mettere in pratica ogni suo insegnamento, amare concretamente il prossimo, rispettare il creato. Significa riscoprire l'incommensurabile valore del suo sacrificio per noi e prendervi parte con assiduità e devozione. Quanto è indispensabile tutto ciò all'itinerario di fede di ogni credente! Quanto è necessario per il compimento generoso della missione stessa della Chiesa! Quanto è urgente che l'umanità del nostro tempo si renda conto che solo dalla morte e risurrezione del Signore può scaturire la gioia vera che essa va ansiosamente ed inutilmente ricercando altrove.


7. "Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere".

Incontrandoci oggi, nel periodo pasquale dobbiamo impegnarci a far rivivere in noi, in un modo tutto singolare la verità della morte e della risurrezione di Cristo. Qui c'è la sorgente della nostra vita e della nostra risurrezione. Qui ha il suo fondamento e pegno indistruttibile l'attesa della vita eterna in Dio.

Cristo nostra Pasqua si è immolato per noi! Alleluia! Per noi egli ha dato se stesso; per noi pellegrini in questo mondo affinché cibandoci di lui possiamo crescere nella verità e nell'amore. così, l'Eucaristia diviene Convito di comunione fraterna, farmaco di divina immortalità, sorgente di nuova evangelizzazione, ed annuncio di speranza. L'Eucaristia diviene fonte di carità che trasforma e santifica e ci prepara, fra le ombre di questo mondo che passa, alla gioia indistruttibile della vita eterna.

Non di solo pane vive l'uomo ma di ogni parola che viene da Dio, e questa parola, permanente e sacramentale, è l'Eucarestia.

Amen.

Data: 1992-05-01 Data estesa: Venerdi 1 Maggio 1992

Ai rappresentanti del mondo del lavoro - Pordenone

Titolo: L'Europa senza frontiere reclama una nuova etica professionale fondata sulla collaborazione

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Questo appuntamento col mondo del lavoro, nel corso della visita pastorale all'amata Regione del Friuli-Venezia Giulia, assume un significato del tutto singolare. Si svolge, infatti, il primo maggio, memoria di San Giuseppe artigiano e festa del lavoro. Ci incontriamo, poi, nell'ambito di una grande industria, la ditta Zanussi, che, quale parte integrante del gruppo Electrolux Zanussi, occupa una posizione di prestigio nel campo degli elettrodomestici. Ho ascoltato con vivo interesse e profonda attenzione quanto, poco fa, hanno detto i vostri rappresentanti, i quali, facendosi interpreti dei comuni sentimenti, mi hanno esposto le preoccupazioni e le attese che caratterizzano la vostra esistenza di uomini e donne occupati nell'attività lavorativa, di persone attente alle sfide dell'attuale momento storico, di credenti desiderosi di dare valore soprannaturale alla quotidiana fatica. E', pertanto, con grande gioia che mi trovo tra voi e tutti di cuore vi saluto. Il mio cordiale pensiero va al Presidente dell'Azienda, all'Amministratore delegato e al Consiglio di Amministrazione, ai dirigenti e a tutti i lavoratori. Esso si estende ben volentieri, in un ideale abbraccio, agli imprenditori, alle varie organizzazioni lavorative, alle associazioni sindacali, alle generose e tenaci maestranze e all'intera popolazione friulana.


2. La vostra terra, crocevia di Nazioni e di culture, porta in sé una vocazione europea, che nel passato ha fatto del Friuli un centro dinamico di animazione sociale e religiosa. Oggi voi vi trovate a svolgere un ruolo importante nei confronti della nuova Europa, rappresentando geograficamente un punto strategico di incontro e di contatto con i Paesi dell'Est e del Centro del nostro Continente.

E quanta importanza rivestono il lavoro e la capacità di intesa fra i popoli per la promozione di uno sviluppo che rispetti l'autentica dignità della persona e si mostri aperto ai fondamentali valori dello spirito! Voi siete eredi di una lunga e tenace tradizione, che si è imposta all'ammirazione del mondo per serietà d'impegno e dedizione infaticabile al dovere. I vostri avi, che hanno conosciuto la non facile esperienza dell'emigrazione, hanno lasciato dappertutto il segno di una apprezzata onestà e l'esempio di una consapevole testimonianza cristiana. Sono valori, questi, che anche voi oggi vi sforzate di incarnare, in una società diversa e in continuo mutamento, cercando di far si che il lavoro conservi sempre il suo volto umano. Voi siete consapevoli che il progresso tecnologico, per quanto avanzato e moderno, non deve in nessun caso annullare la parte che è propria dell'uomo; deve anzi rendere quest'ultimo protagonista ancor più responsabile nei confronti del sistema produttivo e della gestione della stessa società. Le nuove tecniche, debitamente applicate all'industria nei vari settori operativi, contribuiranno allora a rendere l'apporto umano meno dispendioso di energie fisiche e maggiormente tributario verso quelle spirituali. La fabbrica, grazie al contributo di ciascuno, potrà così assumere le caratteristiche di una famiglia, nella quale convivono dirigenti, maestranze e operai, concordemente impegnati in una generosa collaborazione, volta a rendere meno pesante l'attività lavorativa e più armoniosi i reciproci rapporti. Resti sempre dinanzi ai vostri occhi, a questo proposito, il modello della casa di Nazareth, dove convivevano la serenità e la semplicità con la dura e diuturna fatica del lavoro.


3. E' proprio a quella casa che la Chiesa ci invita oggi a guardare nella festa di San Giuseppe lavoratore. Nel giorno in cui il mondo celebra la festa del lavoro, alla considerazione dei credenti viene additato l'esempio di un operaio, del carpentiere Giuseppe di Nazareth, alle cui premurose cure il Padre celeste volle affidare il proprio unigenito Figlio e la Vergine, Madre del Redentore. Questo per ricordarci che "l'attività umana individuale e collettiva, ossia quell'ingente sforzo col quale gli uomini lungo i secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita... risponde al disegno divino" (GS 34). La ricorrenza del 1 maggio richiama allo spirito il lungo cammino percorso dai lavoratori per garantire a se stessi e alla società condizioni di vita più eque e degne della persona, in un lento ma costante progresso verso il riconoscimento dei propri diritti e delle proprie responsabilità. Importanti traguardi sono stati conseguiti nella gestione del lavoro e nel superamento della conflittualità fra le parti sociali. Ma molto resta ancora da fare per superare taluni interessi corporativi, alcune resistenti barriere ideologiche e gli ostacoli che tuttora si frappongono alla realizzazione di vere comunità di lavoro improntate al rispetto reciproco e alla condivisione.

Il lavoro non va mai considerato semplice merce, né chi lavora può essere ridotto ad un mero ingranaggio della macchina produttiva, per quanto progredita ed efficiente essa sia. Se è ovvio che il lavoro è produzione di beni e di servizi, se è comprensibile che esso tenda ad un naturale e legittimo profitto, ciò non deve mai avvenire a scapito dei diritti della persona. Non la legge del profitto, non ragioni di potenza e di dominio, non la ricerca di un progresso puramente materiale debbono essere i criteri decisivi nell'orientamento dell'attività produttiva, ma sempre e soprattutto l'uomo, la sua dignità, le sue profonde aspirazioni e l'attenzione a tutte le sue autentiche esigenze, soprattutto a quelle spirituali. Oggi, pertanto, festa dei lavoratori, noi celebriamo in primo luogo la festa dell'uomo, delle sue molteplici potenzialità produttive e delle sue più profonde aspirazioni. Celebriamo la festa dell'uomo lavoratore, che con la sua opera arricchisce l'umanità e può allargare gli spazi della solidale collaborazione fra gli individui e i popoli.


4. Avete dinanzi a voi, carissimi fratelli e sorelle, i notevoli risultati ottenuti nella vostra Regione grazie al grande impegno profuso dall'intera famiglia lavorativa. E' stata la vostra stessa esperienza ad insegnarvi quanto sia indispensabile la collaborazione fra tutte le forze attive per costruire una società improntata alla vera solidarietà, all'accoglienza e al rispetto di ogni prestatore d'opera. Mentre mi felicito con voi per tali incoraggianti successi, vi esorto ad affrontare con paziente tenacia i problemi che in questo momento vi preoccupano maggiormente. Innanzitutto la crisi occupazionale dei giovani. E' necessario far si che questi possano accedere al mondo del lavoro. E' un loro diritto che, se soddisfatto, contribuirà a rendere più sereno il futuro dell'intera comunità. Dopo lunghi anni di studio o di preparazione professionale, giustamente essi bramano di potersi rendere utili alla comunità e desiderano prepararsi un avvenire sicuro. Ma il problema della mancanza del lavoro non tocca solo il mondo giovanile. Altre categorie sono alla ricerca di un'occupazione: si pensi, in particolare, agli extracomunitari, bisognosi oltre che di lavoro, di un alloggio e di assistenza, ai portatori di handicap, che aspirano ad inserirsi in modo dignitoso nel campo della produzione e dei servizi. Nella nostra società, che si avvia rapidamente verso il Duemila, si affacciano nuove problematiche ed inedite sfide sociali. Si avverte l'urgenza di ribadire certi valori tradizionali senza i quali la comunità degli uomini risulta notevolmente impoverita e finisce per rinchiudersi, pur senza volerlo, in una concezione della vita sterile ed egoistica. Come, ad esempio, non avvertire che è indispensabile ripensare ad alcune difficoltà che incontra la famiglia oggi e, tra queste, il grave problema della denatalità, che comporta oltretutto un preoccupante spopolamento connesso con un crescente invecchiamento della popolazione? Lavoro e famiglia sono realtà tra loro strettamente legate: nell'uno come nell'altra l'uomo è chiamato a collaborare con Dio alla realizzazione del suo progetto di amore. Occorre non lasciarsi mai prendere da una visione dell'esistenza dominata da preoccupazioni solo terrene e volta al conseguimento di beni puramente materiali. Bisogna, invece, che i credenti aprano lo spirito alla prospettiva evangelica che illumina e dà senso ad ogni scelta personale e sociale.


5. Carissimi, sentite al vostro fianco, nella quotidiana fatica del lavoro, la Chiesa. Essa vi è vicina, vive le vostre preoccupazioni e vi incoraggia nel nome di Cristo a non perdere mai la speranza. Con fiducia nella Provvidenza di Dio, create spazi sempre più larghi di solidarietà, particolarmente in favore dei più deboli e dei più poveri. Di tale solidarietà siano un segno concreto anche gli investimenti di mercato ed i progetti che andate attuando nel mondo dell'Est. Nel momento in cui si aprono le frontiere dell'Europa, si rende necessario promuovere in ogni modo un'etica professionale rispettosa dei diritti umani e capace di realizzare una fraterna ed intensa collaborazione tra i popoli. In questo sforzo, certamente non facile, la Chiesa vi segue con simpatia; prende parte ai vostri progetti, comprende i vostri problemi, apprezza il vostro impegno. Vuole essere al vostro servizio. Essa, carissimi amici del mondo del lavoro, vi ama. Con voi vuole condividere la fatica, il sudore, l'insicurezza, l'ardente desiderio di gioia e di fraternità. Esperta in umanità essa, che conosce il cuore dell'uomo, vi domanda di porre al centro di ogni vostro programma la suprema legge dell'amore, traducendola in gesti concreti di giustizia distributiva e di generosa condivisione. Come dimenticare che, nel vostro passato, uomini di pensiero e di azione hanno contribuito, nel solco del magistero sociale cattolico, a creare quella profonda unione tra le forze produttive e sociali che caratterizza il vostro popolo? Vi esorto a non abbandonare quelle radici cristiane che hanno consentito ai vostri avi di recare nel mondo il segno della laboriosità e dell'intraprendenza di un popolo fiero e leale.

Invocando su ciascuno la protezione di San Giuseppe, uomo del lavoro, vi ringrazio per avermi concesso di trascorrere questa festa del Primo Maggio insieme con voi. Vi sono riconoscente per l'accoglienza e per avermi dato l'occasione di avvicinarmi alla ricca realtà del mondo lavorativo del Friuli-Venezia Giulia.

Nell'assicurare un particolare ricordo nella preghiera per voi, per le vostre famiglie, per quanti non hanno lavoro e per coloro che sono in pensione dopo aver lavorato per tanti anni, tutti benedico di cuore.

Data: 1992-05-01 Data estesa: Venerdi 1 Maggio 1992

L'incontro con i fedeli raccolti sulla Piazza della Cattedrale - Concordia

Titolo: Saldezza nella fede, prudenza e coraggio per non cedere alla cultura dell'edonismo

Carissimi fratelli e sorelle!


1. E' soltanto una breve sosta quella che mi è possibile effettuare nella vostra Città. Si tratta, pero, di una visita carica di profondi sentimenti. Vengo tra voi per esprimere all'intera vostra Cittadinanza il mio affetto. Vengo tra voi per recarvi la pace del Cristo Risorto e il suo messaggio di speranza per ogni essere umano. Sono particolarmente grato al Signor Sindaco per le cortesi espressioni di benvenuto che ha voluto rivolgermi anche a vostro nome. Saluto le Autorità amministrative, politiche e militari presenti. Saluto il vostro Pastore, il Vescovo di Concordia-Pordenone, Mons. Sennen Corrà, come anche il suo predecessore che è voluto essere qui con noi, anche nella vostra città, ed insieme a lui il Clero, i Religiosi, le Religiose e l'intero popolo cristiano, con un particolare pensiero per la città di Portogruaro, che non mi è possibile purtroppo visitare.

Tutti ringrazio per la molto cordiale accoglienza, e saluto con grande affetto.


2. Sono particolarmente lieto di compiere questo pellegrinaggio alla vostra Diocesi di Concordia-Pordenone, per quindici secoli chiamata semplicemente "di Concordia". Essa ha celebrato di recente i 1600 anni di storia documentata, di vita religiosa ed ecclesiale. Le vestigia della prima cattedrale, presso le quali ci troviamo, risalgono all'ultimo scorcio del secolo IV dell'era cristiana: al tempo in cui sant'Ambrogio aveva costruito in Milano la sua "Basilica Apostolorum", come ricorda l'illustre studioso Joseph Lemarié, il quale ha restituito alla sicura paternità di san Cromazio, Vescovo di Aquileia, il Sermone 26 da lui qui pronunciato, per la dedicazione della "Basilica Apostolorum" di Concordia (cfr. "Corpus Christianorum", Series latina IX A, Chromatii Aq. Opera, pp. 119-122). Si rileggono sempre con commossa ammirazione le sue parole. Egli riconosceva che i fedeli della Comunità di Concordia sollecitati dall'esempio di altre Chiese, avevano costruito e completato rapidamente il proprio tempio. "Ci felicitiamo con voi, fedeli, perché avete fatto prima di chi vi dava l'esempio; avete cominciato dopo, ma avete concluso prima, perché avete meritato di avere le reliquie dei Santi". Che splendido elogio! Non è un torto avere cominciato dopo; è certamente un merito avere completato prima d'altri, con slancio devoto, l'opera intrapresa per devozione dei Santi Apostoli.


3. Quale profonda gioia è per me incontrare quest'oggi, qui, i discendenti di una Comunità cristiana che già sedici secoli or sono proprio qui si raccoglieva per ascoltare la Parola di Dio, per pregare e venerare la memoria santa degli Apostoli, di coloro cioè ai quali Gesù stesso aveva detto, prima di concludere la Sua vicenda terrena, "Andate dunque, e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19-20). Noi tutti siamo qui, oggi, in forza di quelle parole. La presenza tra voi del Successore di Pietro, Vescovo di Roma, e di altri Successori degli Apostoli, miei carissimi confratelli nell'Episcopato, rappresenta la prova certa che medesima, negli Apostoli e in noi, è la fede nell'unicoSalvatore Gesù Cristo; che ad un identico mandato apostolico vogliamo obbedire, anche se ci riconosciamo ben distanti dalla carità e dallo zelo fervido che animava, dopo la Pentecoste, quei santi Amici del Signore. Noi sentiamo ripercuotersi nel nostro cuore, col carattere di una certezza incrollabile, le ultime assicurazioni del Redentore: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). La nostra fede, la fede della Chiesa è la medesima in ogni tempo e in ogni luogo, ed è fondata sulla testimonianza certissima degli inizi. E' la stessa fede che san Paolo esprimeva quando dichiarava ai cristiani di Efeso: "Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Gesù Cristo" (Ep 2,19-20). A Cristo, pietra angolare della Chiesa edificata sopra il fondamento degli Apostoli, fanno riferimento le pietre fondamentali della vostra santa Chiesa concordiese: i Santi alla memoria dei quali la Cattedrale fu allora consacrata, le anime fedeli che qui, sotto la guida di pastori illuminati e zelanti, seguirono il Maestro divino per le vie della perfezione evangelica, rinnegando se stesse e portando la croce (Lc 9,23), "aspettando l'attuazione piena della beata speranza dell'incontro finale con il Signore" (Tt 2,13).


4. Nel corso di lunghissimi secoli, ora lenti e quasi immoti come l'acqua del vostro antico fiume, il Lèmene, ora convulsi e tragici, come quelli che andarono dalle incursioni barbariche alle invasioni militari nella prima metà di questo secolo, la Comunità cristiana di Concordia, stretta attorno ai suoi pastori, conservo integra la fede apostolica trasmettendola amorosamente di generazione in generazione. Io so che la pietà del Popolo concordiese è stata proverbiale tra le genti vicine ed esemplare per tutta la Diocesi. Non inquinarono la sua fede le serpeggianti eresie, che pur riuscirono a fare qua e là non poche vittime; non poterono fiaccare la sua fedeltà a Cristo ed al proprio Vescovo, in costante comunione col Pontefice romano, le vicissitudini politiche e i perturbamenti sociali; non la povertà di gran parte del popolo, la quale assunse per lunghi tratti di tempo caratteri di grave indigenza, se non di squallida fame. Tuttavia anche un Popolo tradizionalmente cristiano può avvertire in senso negativo, o assimilare quasi inconsciamente, i contraccolpi di quel modo di pensare e di fare che, volendo difendere la gente da inique strutture sociali, finisce per insinuare una filosofia, anzi un'utopia, nella quale è apertamente rifiutato, o nascostamente ostacolato, il messaggio della liberazione evangelica. Viene negato il posto di Dio nella vita del popolo che è anzitutto Suo, taciuto il destino ultraterreno di ogni essere umano, ridotto l'orizzonte dei valori ai soli beni raggiungibili in questa vita, quasi che essa non sia destinata, in forza della salvezza operata da Gesù Cristo, a prolungarsi nell'eternità. So quanto sia stato e quanto continui ad essere grande il vostro impegno nel difendere i perenni valori della fede cristiana, posta a solido fondamento della vostra tradizione. Vi incoraggio, fratelli e sorelle carissimi, a non cedere mai alle ricorrenti tentazioni della cultura edonistica ed ai richiami del consumismo materialista.

Fedeli al ricco patrimonio di valori del passato, guardate alle sfide emergenti del nostro secolo con prudenza e coraggio, con saldezza di principi e saggia attenzione ai "segni dei tempi".


5. Riferendomi a quanto ho avuto occasione di affermare nella Centesimus annus a proposito degli avvenimenti che consegneranno alla storia il 1989, vorrei qui ripetere che nell'Est europeo, un "fattore decisivo, che ha avviato i cambiamenti, è certamente la violazione dei diritti del lavoro" (cfr. CA 23).

Ed è proprio ai lavoratori che in questo 1 Maggio festa del lavoro, vorrei rinnovare con affettuoso rispetto l'ammonimento che rivolgevo in quell'Enciclica: "L'uomo non può donare se stesso ad un progetto solo umano della realtà, ad un ideale astratto o a false utopie. Egli, in quanto persona, può donare se stesso ad un'altra persona o ad altre persone e, infine, a Dio, che è l'autore del suo essere ed è l'unico che può accogliere pienamente il suo dono" (n. 41). In tale verità hanno creduto i vostri antenati: una verità che associa l'essere umano al progetto divino della creazione e della redenzione, dell'esistenza terrena e della sopravvivenza eterna. Sulla fede nel Cristo, vero uomo e vero Dio, essi fondarono la Cattedrale di Concordia ed edificarono la prima comunità ecclesiale. Questa medesima adesione a Cristo e al suo Vangelo di salvezza voi oggi siete chiamati a rinnovare e testimoniare coraggiosamente.

Guardando alla vita esemplare di Santo Stefano e degli altri Martiri, che sentiamo singolarmente vicini a noi in questo solenne momento della Chiesa concordiese, sono lieto di augurare a voi tutti, Comunità ecclesiale e civile di Concordia, le grazie più elette del Signore, mentre di cuore vi imparto l' Apostolica Benedizione.

Data: 1992-05-01 Data estesa: Venerdi 1 Maggio 1992


GPII 1992 Insegnamenti - La visita all'Istituto per handicappati "La Nostra Famiglia" - San Vito al Tagliamento