GPII 1992 Insegnamenti - Messa per gli alunni del Seminario Romano Maggiore - Città del Vaticano (Roma)

Messa per gli alunni del Seminario Romano Maggiore - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Non ci manchi la fiducia coraggiosa: la strategia di Cristo Redentore è più potente delle strategie umane


Pastores dabo vobis. Parola piena di speranza. Con questa parola comincia il documento postsinodale dedicato alla vita e alla formazione dei sacerdoti. Pastores in un solo Pastore, perché vi è un solo Pastore: Ego sum pastor bonus, dice Cristo. Questo unico Pastore è anche l'unico Sacerdote, l'unica Vittima - l'Ostia - del suo sacrificio. E' Pastore perché è Sacerdote; è Pastore perché è Ostia del suo sacrificio. Dalla sua bocca provengono queste parole che ci riempiono di speranza: Pastores dabo vobis. In questo unico sacerdote, in questo unico Pastore, la Chiesa, il mondo, ha bisogno di tanti pastori. Questo appare attuale specialmente oggi, domenica in cui la Chiesa ricorda il suo compito missionario, tutto l'immenso compito che nella Giornata Missionaria sta davanti ai nostri occhi, nelle nostre preghiere, nei nostri cuori. Pastores dabo vobis: è una parola con cui Dio solo, Cristo solo ci dà fiducia. E' una parola con cui Egli esprime la sua alleanza con la Chiesa, con il suo popolo. Questa alleanza è Lui, questa alleanza siamo noi, noi tutti. Sappiamo bene che da parte nostra nell'alleanza ci vuole fiducia, una fiducia coraggiosa. I Vescovi, rappresentanti della Chiesa universale nel Sinodo di cui ho parlato, hanno dimostrato questa fiducia coraggiosa che si è espressa anche nell'incipit del documento postsinodale: Pastores dabo vobis. Non bisogna avere paura, bisogna avere coraggio. Pastores dabo vobis: ci saranno le vocazioni, arriveranno nuovi candidati pronti a seguire la strada del sacerdozio nella Chiesa universale, nella Chiesa cattolica e nelle diverse Chiese, in questa di Roma e nelle tante altre Chiese locali e particolari, che hanno si bisogno di tanti sacerdoti, pastori.

Quando manca questa fiducia coraggiosa diventa anche meno forte l'alleanza perché il Dio dell'alleanza, il Cristo dell'alleanza richiede a noi una fiducia coraggiosa. Lui è forte, è capace di darci questo dono, un sacerdote, anzi, un sacerdote totalmente dedicato al proprio ministero, nel celibato. E' forte. La forza dello Spirito Santo può formare i cuori dei giovani per proseguire questa strada. Siamo testimoni di una strategia molto diffusa che ci vuole togliere questa fiducia coraggiosa, che ci vuole convincere che si deve cambiare. Quanto più grande deve essere la nostra fiducia. Quanto più grande deve essere la nostra preghiera. Questa fiducia e questa preghiera dimostrano infine che la strategia di Dio, la strategia di Cristo Redentore, unico Pastore, sacerdote e vittima, sacerdote e ostia, è una strategia più potente di tutte le strategie umane, ispirate da un altro spirito. Cominciamo, carissimi fratelli e figli, questo nuovo anno seminaristico ispirati dallo Spirito di Verità e dallo Spirito di Fortezza, cominciamo dalla fiducia. In questo Seminario così legato, così dedicato alla Madonna della Fiducia, cominciamo dalla fiducia. Ringraziamo il Signore della messe, che questa fiducia è stata anche confermata nel nuovo anno seminaristico a Roma e auguriamo a tutti i nostri fratelli Vescovi, in Europa e nel mondo, che vi sia una simile conferma e che non manchi mai questa fiducia coraggiosa, basata sulla preghiera, anche quando vi sono periodicamente difficoltà: che non manchi a nessuno questa fiducia coraggiosa. E poi, se avremo di più, saremo pronti ad offrire agli altri: ogni vocazione sacerdotale, ogni sacerdote è un dono per la Chiesa, per la Chiesa di Roma, si, ma anche per la Chiesa universale. così, avendo, dobbiamo essere pronti ad offrire agli altri. Che il dono sia dono, che il dono rimanga dono nella dimensione di questa grande economia che appartiene a Lui solo, a Dio che è nostro Padre, a Dio che è nostro Redentore, a Dio che è Spirito Santo.

Uscendo da questa celebrazione eucaristica per cominciare l'anno seminaristico, preghiamo che la Santissima Trinità si faccia per noi benedizione conclusiva, liturgica e continua. Che la nostra vita sia profondamente permeata da questa realtà benedicente di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Data: 1992-10-18 Data estesa: Domenica 18 Ottobre 1992

Ai dirigenti della Fondazione "Pro Oriente" di Vienna - L'unità che Cristo ha donato


Con grande gioia saluto e rivolgo il mio benvenuto in Vaticano ai partecipanti della Fondazione "Pro Oriente", che sono venuti a Roma guidati dal Cardinale Franz Konig, dal fondatore protettore della fondazione nonché dall'attuale Presidente Signor Dottor Rudolf Kirchschlager.

L'esistenza e l'attività della "Pro Oriente" possono essere riassunte con le seguenti parole del Decreto del Concilio sull'Ecumenismo: "siccome oggi, sotto il soffio della grazia dello Spirito Santo, in più parti del mondo con la preghiera, la parola e l'azione si fanno molti sforzi per avvicinarsi a quella pienezza di unità che Gesù Cristo vuole, questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all'opera ecumenica" (UR 4).

Le diverse iniziative nell'ambito della Chiesa austriaca, che la "Pro Oriente" ha realizzato in questi ultimi anni, dapprima grazie alla sua zelante guida, signor cardinale, e oggi grazie a quella del signor Cardinale Hans Hermann Groer, hanno potuto dare un contributo "a promuovere la giustizia e la verità, la concordia e la collaborazione, la carità fraterna e l'unione. Per questa via a poco a poco, superati gli ostacoli frapposti alla perfetta comunione ecclesiale, tutti i cristiani" - così speriamo profondamente e ci auguriamo nelle nostre preghiere - possano raggiungere quella unità che Cristo fin dall'origine della sua Chiesa una e indivisibile, ha donato (Ibidem UR 4).

Ciò che lei si impegna a fare per l'unità dei cristiani rispecchia quindi le indicazioni del Concilio Vaticano II.

Allo stesso modo lo spirito del Concilio trova la realizzazione anche nel lavoro di coordinazione con il Pontificio Consiglio per l'Unione dei Cristiani, con il quale la fondazione "Pro Oriente" mantiene significativamente contatti regolari e con il quale, come so, coopera con vicendevoli benefici.

Ringraziandola di cuore per la visita che lei mi ha voluto fare, mi auguro che la "Pro Oriente" possa intensificare i suoi sforzi sempre di più. Prego il Signore di rafforzare il generoso servizio e lo zelo ch'ella nutre per l'unità della sua Chiesa. Che vi accompagnino i miei migliori auguri. Di cuore imparto a lei e a tutti quelli che sono legati alla vostra fondazione la mia benedizione apostolica.

(Traduzione dal tedesco)

Data: 1992-10-19 Data estesa: Lunedi 19 Ottobre 1992




Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'amore verso i sofferenti è segno e misura del grado di civiltà e di progresso di un popolo

Carissimi fratelli e sorelle!


1. La Comunità cristiana ha sempre rivolto una particolare attenzione agli ammalati e al mondo della sofferenza nelle sue molteplici manifestazioni. Nel solco di tale lunga tradizione, la Chiesa universale s'appresta a celebrare, con rinnovato spirito di servizio, la prima Giornata Mondiale del Malato quale peculiare occasione per crescere nell'atteggiamento di ascolto, di riflessione e di impegno fattivo di fronte al grande mistero del dolore e della malattia. Tale Giornata, che dal prossimo febbraio si celebrerà ogni anno nel giorno in cui si fa memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes, vuol essere per tutti i credenti "un momento forte di preghiera, di condivisione, di offerta della sofferenza per il bene della Chiesa e di richiamo per tutti a riconoscere nel volto del fratello infermo il Santo Volto di Cristo che, soffrendo, morendo e risorgendo ha operato la salvezza dell'umanità" (Lettera istitutiva della Giornata Mondiale del Malato, 13 maggio 1992, n. 3). La Giornata, peraltro, intende chiamare in causa ogni uomo di buona volontà. Le domande di fondo poste dalla realtà della sofferenza, infatti, e l'appello a recare sollievo sia dal punto di vista fisico che spirituale a chi è malato non riguardano soltanto i credenti, ma interpellano l'umanità intera, segnata dai limiti della condizione mortale.


2. Ci prepariamo purtroppo a celebrare questa prima Giornata Mondiale in circostanze per taluni versi drammatiche: gli eventi di questi mesi, mentre sottolineano l'urgenza della preghiera per implorare l'aiuto dall'Alto, richiamano al dovere di mettere in atto nuove ed urgenti iniziative di aiuto nei confronti di coloro che soffrono e non possono aspettare. Sono davanti agli occhi di tutti le tristissime immagini di singoli individui e di interi popoli che, dilaniati da guerre e conflitti, soccombono sotto il peso di calamità facilmente evitabili.

Come distogliere lo sguardo dai volti imploranti di tanti esseri umani, soprattutto bambini, ridotti a larve di se stessi per le traversie di ogni genere in cui, loro malgrado, sono coinvolti a causa dell'egoismo e della violenza? E come dimenticare tutti coloro che nei luoghi di ricovero e di cura - ospedali, cliniche, lebbrosari, centri per disabili, case per anziani o nelle proprie abitazioni - conoscono il calvario di patimenti spesso ignorati, non sempre idoneamente alleviati, e talora persino aggravati per la carenza di un adeguato sostegno?


3. La malattia, che nell'esperienza quotidiana è percepita come una frustrazione della naturale forza vitale, diventa per i credenti un appello a "leggere" la nuova difficile situazione nell'ottica che è propria della fede. Al di fuori di essa, del resto, come scoprire nel momento della prova l'apporto costruttivo del dolore? Come dare significato e valore all'angoscia, all'inquietudine, ai mali fisici e psichici che accompagnano la nostra condizione mortale? Quale giustificazione trovare per il declino della vecchiaia e per il traguardo finale della morte che, malgrado ogni progresso scientifico e tecnologico, continuano a sussistere inesorabilmente? Si, soltanto in Cristo, Verbo incarnato, redentore dell'uomo e vincitore della morte, è possibile trovare la risposta appagante a tali fondamentali interrogativi. Alla luce della morte e risurrezione di Cristo la malattia non appare più come evento esclusivamente negativo: essa è vista piuttosto come una "visita di Dio", come un'occasione "per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà umana nella civiltà dell'amore" (Lettera Apost. Salvifici Doloris, 30). La storia della Chiesa e della spiritualità cristiana offre di ciò amplissima testimonianza.

Lungo i secoli sono state scritte pagine splendide di eroismo nella sofferenza accettata ed offerta in unione con Cristo. E pagine non meno stupende sono state tracciate mediante l'umile servizio verso i poveri e i malati, nelle cui carni martoriate è stata riconosciuta la presenza di Cristo povero e crocifisso.


4. La celebrazione della Giornata Mondiale del Malato - nella preparazione, nello svolgimento e negli obiettivi - non intende ridursi ad una mera manifestazione esteriore incentrata su pur encomiabili iniziative, ma vuole giungere alle coscienze per renderle consapevoli del validissimo contributo che il servizio umano e cristiano verso chi soffre arreca alla migliore comprensione tra gli uomini e, conseguentemente, all'edificazione della vera pace. Questa infatti suppone, come condizione preliminare, che ai sofferenti e agli ammalati sia riservata particolare attenzione dai pubblici poteri, dalle organizzazioni nazionali ed internazionali e da ogni persona di buona volontà. Ciò vale, in primo luogo, per i Paesi in via di sviluppo - dall'America Latina all'Africa e all'Asia - che sono segnati da gravi carenze sanitarie. Con la celebrazione della Giornata Mondiale del Malato, la Chiesa si fa promotrice di un rinnovato impegno verso quelle popolazioni, nell'intento di cancellare l'ingiustizia oggi esistente mediante la destinazione di maggiori risorse umane, spirituali e materiali ai loro bisogni. In questo senso, un particolare appello desidero rivolgere alle Autorità civili, agli uomini della scienza e a tutti coloro che operano a diretto contatto con i malati. Mai il loro servizio diventi burocratico e distaccato! In special modo sia a tutti ben chiaro che la gestione del pubblico denaro impone il grave dovere di evitarne lo spreco e l'uso indebito, affinché le risorse disponibili amministrate con saggezza ed equità valgano ad assicurare a quanti ne abbisognano la prevenzione della malattia e l'assistenza nell'infermità. Le attese oggi molto vive di una umanizzazione della medicina e dell'assistenza sanitaria richiedono una più decisa risposta. Per rendere più umana e più adeguata l'assistenza sanitaria è tuttavia fondamentale potersi rifare ad una visione trascendente dell'uomo, che metta in luce nell'infermo, immagine e figlio di Dio, il valore e la sacralità della vita. La malattia e il dolore interessano ogni essere umano: l'amore verso i sofferenti è segno e misura del grado di civiltà e di progresso di un popolo.


5. A voi, malati carissimi di ogni parte del mondo, protagonisti di questa Giornata Mondiale, tale ricorrenza rechi l'annuncio della presenza viva e confortatrice del Signore. Le vostre sofferenze, accolte e sostenute da incrollabile fede, unite a quelle di Cristo, acquistano un valore straordinario per la vita della Chiesa e per il bene dell'umanità. Per voi, operatori sanitari chiamati alla più alta, meritevole ed esemplare testimonianza di giustizia e di amore, questa Giornata sia di rinnovato incitamento a proseguire nel vostro delicato servizio con generosa apertura ai valori profondi della persona, al rispetto dell'umana dignità e alla difesa della vita, dallo sbocciare fino al suo naturale tramonto. Per voi, Pastori del popolo cristiano, e per tutte le varie componenti della Comunità ecclesiale, per i volontari, ed in particolare per quanti sono impegnati nella pastorale sanitaria, questa prima Giornata Mondiale del Malato offra stimolo ed incoraggiamento a proseguire con rinnovato impegno nella strada del servizio all'uomo provato e sofferente.


6. Nella memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes, il cui santuario ai piedi dei Pirenei è diventato come un tempio dell'umana sofferenza, ci accostiamo - come Ella fece sul Calvario ove sorgeva la croce del Figlio - alle croci del dolore e della solitudine di tanti fratelli e sorelle per recar loro conforto, per condividerne la sofferenza e presentarla al Signore della vita, in comunione spirituale con tutta la Chiesa. La Vergine, "Salute degli infermi" e "Madre dei viventi", sia il nostro sostegno e la nostra speranza e, mediante la celebrazione della Giornata del Malato, accresca la nostra sensibilità e dedizione verso chi è nella prova, insieme con la fiduciosa attesa del giorno luminoso della nostra salvezza, quando sarà asciugata ogni lacrima per sempre (cfr. Is 25,8). Di quel giorno ci sia concesso di godere sin d'ora le primizie in quella gioia sovrabbondante, pur in mezzo a tutte le tribolazioni (cfr. 2Co 7,4), che, promessa da Cristo, nessuno ci può togliere (cfr. Jn 16,22).

Data: 1992-10-21 Data estesa: Mercoledi 21 Ottobre 1992

Udienza: al Comitato organizzatore del premio per l'ambiente "San Francesco" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Genuina ispirazione evangelica nella problematica ecologica

Reverendi Padri, Illustri Signori, Sono lieto di accogliervi in occasione della terza edizione del Premio Internazionale per l'Ambiente, promosso dal Centro Francescano di Studi Ambientali.

Saluto cordialmente i membri del Comitato organizzatore e della Giuria, come pure i rappresentanti dell'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica, che sostiene questa lodevole iniziativa. Rivolgo le mie felicitazioni all'"lnternational Center for Insect Physiology and Ecology" di Nairobi, al Professor Herbert Bormann e al Dottor Bindeshwar Pathak, che hanno meritato l'ambito riconoscimento.

Nel mirabile testo del "Cantico delle creature", al quale il vostro Premio, carissimi, s'ispira, il Poverello d'Assisi, contemplando la grandezza di Dio nelle opere del creato, vede al centro di esse l'uomo. Con la sua capacità di perdonare e di aderire alle "sanctissime voluntati", infatti, la persona si pone tra l'"Altissimo Signore", a cui obbedisce, e il cosmo, di cui è l'interprete.

L'uomo, anzi, si riconosce collaboratore di Dio stesso nell'opera della creazione quando, abbracciando la fede, si apre con umile riconoscenza alla Fonte della vita ed assume un atteggiamento di responsabile fraternità verso le creature. La peculiare posizione dell'uomo nel cosmo non deve, dunque, condurlo né a scelte di dispotico dominio, né a forme di passiva abdicazione al proprio ruolo: la sua autentica centralità consiste piuttosto in un autorevole servizio al disegno di Dio sul mondo, disegno che culmina nel riscatto dal peccato e dalla "morte seconda".

Carissimi, mi congratulo con voi per l'opera di sensibilizzazione con la quale, sulle orme di Francesco, vi proponete di diffondere la genuina ispirazione evangelica nella complessa e urgente problematica ecologica. Nell'esprimere l'augurio che tale contributo apporti gli auspicati frutti di pace e di bene, imparto di cuore a tutti la mia Benedizione.

Data: 1992-10-22 Data estesa: Giovedi 22 Ottobre 1992

L'omelia durante la celebrazione per l'inizio dell'Anno accademico delle Università ecclesiastiche - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Parola è luce dell'intelletto, forza dei cuori




1. "Molte cose ho ancora da dirvi" (Jn 16,12). Questo dice Gesù ai suoi discepoli, riuniti nel Cenacolo. Lo ripete anche a noi, radunati questa sera nella Basilica di San Pietro in occasione dell'inaugurazione del nuovo anno accademico. Lo dice a noi. La sua Parola deve essere proclamata dalle cattedre universitarie; deve essere ascoltata e meditata nei gruppi di studio; deve diventare la luce dell'intelletto e la forza dei cuori. La sua Parola! Essa fluisce in numerose correnti di scienza, di scienza umana, che si incontrano presso la sorgente della Sapienza divina, dell'Eterno Logos. "Molte cose ho ancora da dirvi".


2. Cantiamo al ritmo del Salmo: "O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra" (Ps 8,2). Ti rendiamo grazie, nostro Dio, per il tuo Santo Nome, a cui tu stesso hai preparato una dimora nei nostri cuori! (cfr. Didaché 10,2). Attraverso tutto ciò che di vero dice a noi il mondo, il Nome di Dio trova in noi la sua dimora. Scorrendo nel profondo alveo della Parola di Dio, tutte le correnti della conoscenza umana si incontrano in questo Nome. Tutte aprono il cammino verso la vera conoscenza in cui la Parola del Dio Vivo diventa "teo-logos" della Chiesa. O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome in tutto l'universo!


3. Abbiamo ascoltato il testo della prima lettera di San Giovanni Apostolo. San Giovanni scrive ai padri ed ai figlioli, rivolgendosi nella sua lettera alternativamente agli uni ed agli altri. Che cosa scrive ai padri, cioè agli insegnanti, ai professori, agli educatori? Avete conosciuto Colui che è fin dal principio (cfr. 1Jn 2,13). Avete conosciuto; dunque avete il dovere di trasmettere il frutto della vostra conoscenza. Che cosa scrive ai giovani? Vi sono stati rimessi i peccati in virtù del suo nome; avete vinto il maligno; siete forti e la Parola di Dio dimora in voi (cfr. 1Jn 2,12-14). Cari giovani, studenti e studentesse provenienti da molte Nazioni ed appartenenti a diverse Diocesi, Ordini e Congregazioni religiose, queste parole sono indirizzate a voi. Proprio a voi questa sera l'Apostolo dice: siete forti, avete vinto il maligno, la Parola di Dio dimora in voi. La Parola di Dio... Benché siano molti coloro che annunciano la Parola di Dio, esiste tuttavia un Maestro nascosto ("Deus absconditus"): lo Spirito di verità, che guiderà alla verità tutta intera (cfr. Jn 16,13). Egli stesso è il Maestro dei maestri e degli studenti. Veni Sancte Spiritus!


4. Perché l'apostolo Giovanni scrive ai giovani: "Non amate né il mondo, né le cose del mondo!" (1Jn 2,15), se lo stesso Giovanni riporta nel Vangelo le parole di Cristo: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Jn 3,16)? Qui, nella lettera, egli scrive: "Non amate il mondo!" (cfr. 1Jn 2,15) - là, durante la conversazione di Gesù con Nicodemo, osserva, invece, che il mondo è amato con l'Amore più perfetto. Si tratta, in realtà, dell'Amore salvifico: infatti il Figlio è venuto nel mondo perché il mondo si salvi per mezzo di lui (cfr. Jn 3,17). Che significa, quindi, l'espressione "non amate"? Significa: amate, partecipando a quell'Amore che viene da Dio, partecipando all'Amore salvifico del Redentore! Possa questo amore riunire tutte le energie presenti in voi: nella mente, nel cuore e nella volontà. La triplice concupiscenza, in cui si trova l'eredità del peccato, non vi spinga mai a disperdere queste spirituali energie. Dentro ciascuno si combatte la lotta tra l'eredità del peccato e l'eredità dell'amore riversato dallo Spirito Santo nei nostri cuori: lo Spirito che ci è stato dato (cfr. Rm 5,5) e che dura nei secoli. "Studere". Esorto gli studenti e gli insegnanti a non cessare mai di "studere". Questo verbo esprime lo sforzo dello spirito umano, sforzo che è necessario indirizzare verso i valori che non tramontano.


5. "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso" (Jn 16,12). così dice Cristo agli Apostoli alla vigilia della sua passione. Sappiamo che essi il giorno dopo, nel momento della prova, "non furono capaci di portare il peso" di questa Parola diventata la parola della Croce.

Ma in questa Parola si trova la pienezza della verità e dell'amore.

Tutto in essa è definitivamente compiuto. Ogni umana realtà è superata per sempre: "Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui... abbia la vita eterna" (Jn 3,16). Ogni umana realtà è superata per sempre.

Nell'Eucaristia, sacramento della vita eterna, si rinnova e si realizza la Parola della Croce, cioè il sacrificio pasquale di Cristo e la nostra partecipazione al suo mistero.

Ti rendiamo grazie, nostro Dio, per il tuo Santo Nome, a cui tu stesso hai preparato una dimora nei nostri cuori.

Amen!

Data: 1992-10-23 Data estesa: Venerdi 23 Ottobre 1992

Angelus: la testimonianza dei religiosi clarettiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il "Seminario-martire" di Barbastro, fermento di rinnovamento per i Seminari di ogni nazione

Carissimi fratelli e sorelle!


1. "L'anima mia magnifica il Signore!". Le parole di Maria Santissima, alla quale stiamo per rivolgerci con la preghiera dell'Angelus, bene esprimono l'esultanza che pervade lo spirito in questo giorno benedetto, in cui numerosi Martiri, figli del nostro secolo, fedeli al Vangelo sino all'effusione del sangue, sono stati elevati agli onori degli altari. In ciascuno di loro risplende la santità della Chiesa. Sanguis martyrum semen christianorum.

Un'attenzione particolare, nella schiera dei nuovi Beati, merita il folto gruppo dei Martiri di Barbastro: tutti, infatti, provenivano dal medesimo Seminario di religiosi Clarettiani. Molti erano chierici ormai prossimi al sacerdozio. Durante la guerra civile in Spagna, essi furono pretestuosamente accusati e poi freddamente assassinati. Colpisce il fatto che siano stati chiamati a dare la loro testimonianza a Cristo non isolatamente, ma in modo comunitario, si da costituire, in un certo senso, un "Seminario-martire". Ciò acquista un significato singolare in questo mese di ottobre, nel quale in molte parti del mondo i Seminari riprendono la loro attività di studi e di formazione.


2. La Chiesa, a cui la formazione dei futuri presbiteri sta molto a cuore, guarda con ammirazione a Seminari come quello di Barbastro. Ed è proprio al tema della formazione sacerdotale nelle circostanze attuali che ho voluto dedicare la recente Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis. Preghiamo, carissimi fratelli e sorelle, il Buon Pastore, per intercessione di Maria, perché tale Esortazione, grazie alla ricchezza delle sue indicazioni, divenga per i Seminari diocesani e religiosi fonte di una forte ispirazione all'impegno formativo e al rinnovamento di vita. Possano le Comunità ecclesiali ed i rispettivi Pastori attingere da tale Esortazione un forte spirito di coraggio e di fiducia in Cristo Redentore. Di questo spirito abbiamo urgente bisogno specialmente nel momento storico che stiamo vivendo, segnato da non poche difficoltà nel campo della pastorale vocazionale e della formazione seminaristica. Di tali difficoltà molte sono le cause, ma senza dubbio primeggia tra esse lo spirito del tempo, che è contrario allo spirito di Dio. Si assiste, oggi, ad una sorta di strategia tendente a dissuadere i giovani dal sacerdozio e da quell'offerta totale di sé a Cristo nel celibato, che col ministero presbiterale è strettamente collegata. Diventa pertanto quanto mai necessaria una più forte collaborazione con lo Spirito che "dà la vita" mediante la preghiera e la predisposizione di ambienti educativi, dove il Vangelo sia vissuto in pienezza. Anche per ciò che riguarda le vocazioni sacerdotali è necessario un più intenso scambio di doni tra le Chiese: dappertutto e in vari modi la Comunità cristiana è e deve essere missionaria.


3. Carissimi fratelli e sorelle! Uniti con la Madre dell'unico Sacerdote e Pastore, Madre anche di ogni Sacerdote e dei Pastori della Chiesa, raccomandiamo quest'oggi al Signore i Seminari del mondo intero: i superiori, i professori, i seminaristi. Preghiamo in particolare per la fioritura di nuove vocazioni.

Sanguis Martyrum semen christianorum. Il martirio, accettato solidarmente dai Clarettiani di Barbastro nel loro cammino verso il sacerdozio, costituisca un fermento di rinnovamento per le vocazioni e per i Seminari di ogni Nazione. Conceda il Signore alla Chiesa Pastori secondo il suo Cuore. La luminosa testimonianza dei Martiri, che oggi veneriamo, renda ciascuno disponibile ad offrire il proprio contributo alla grande opera della formazione sacerdotale.

Maria, Regina degli Apostoli, prega per noi!

Data: 1992-10-25 Data estesa: Domenica 25 Ottobre 1992

Il Papa eleva agli onori degli altari centoventidue martiri spagnoli ed una donna ecuadoriana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Davanti alle crudeltà, ai gulag, alle carceri e ai campi di concentramento hanno reso testimonianza alla Verità




1. "Ho combattuto la buona battaglia... ho conservato la fede" (2Tm 4,7). così è detto nella Seconda Lettera a Timoteo. La Chiesa, rileggendo queste parole nell'odierna domenica, le applica ai martiri spagnoli del tempo della guerra civile. Ecco coloro che "hanno conservato la fede" nel nostro secolo - coloro che "hanno combattuto la buona battaglia": i testimoni (martyres) di Cristo Crocifisso e Risorto. "Hanno conservato la fede". Non si sono spaventati davanti alle minacce e alle persecuzioni. Sono stati pronti a suggellare con la vita la Verità che professavano con le labbra. Sono stati pronti a "dare la vita": "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita" (Jn 15,13). Al santissimo martirio dello stesso Figlio di Dio hanno associato il loro martirio di fede, di speranza e di amore. E questo martirio, cioè questa testimonianza ha attraversato tutta l'Europa, che nel ventesimo secolo in modo particolare s'è arricchita della testimonianza di molti martiri: dall'Atlantico fino agli Urali.


2. I beati Braulio Maria Corres, Federico Rubio e 69 compagni, tutti Religiosi dell'Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, in maggioranza spagnoli, "Hanno combattuto la buona battaglia, hanno terminato la loro corsa e hanno conservato la loro fede" (cfr. 2Tm 4,7). Trattandosi di persone consacrate della nostra epoca, questi martiri sono conosciuti e ricordati ancora nei loro luoghi di origine o dove esercitarono il loro apostolato. Effettivamente assiste a questa solenne Beatificazione un folto gruppo di parenti prossimi e numerosi concittadini. Non manca neppure un piccolo gruppo di Religiosi compagni degli stessi martiri, che ricevettero da loro un esempio indimenticabile. Meritano una menzione speciale i sette fratelli Ospedalieri della Colombia, poiché sono i primi figli di questa amata Nazione a giungere agli onori degli altari. Essi si trovavano in Spagna per completare la propria formazione religiosa e tecnica, quando il Signore li chiamo per dare questa testimonianza di fede. Oggi, in coincidenza con il V Centenario dell'Evangelizzazione dell'America, riconosciamo pubblicamente il loro martirio e li presentiamo come una primizia della Chiesa colombiana. Tutti questi fratelli, perseverando nella loro consacrazione a Dio e nella dedizione al servizio dei malati e nella fedeltà ai valori del carisma e della missione ospedaliera che praticavano, hanno dato la loro vita per la fede e come prova suprema di amore. Il loro martirio segue i passi di Cristo, misericordioso e buon samaritano, così vicino all'uomo che soffre dando la vita per la salvezza del genere umano. Non vi è dubbio che avessero ben presente un'esortazione del loro fondatore, San Giovanni di Dio: "Se vedessimo quanto è grande la misericordia di Dio, non smetteremmo mai di fare il bene finché potessimo" (1 Lettera alla Duchessa di Sesa). Questi martiri "sono esempio e stimolo per tutti", ma particolarmente per voi, Religiosi dell'Ordine Ospedaliero, e anche per quanti dedicano la loro vita alla cura e all'assistenza degli infermi, specialmente i più poveri e gli emarginati. Nel vostro apostolato cercate di essere sempre strumenti del Signore, che "è vicino a chi ha il cuore ferito, egli salva gli spiriti affranti", come abbiamo cantato nel salmo responsoriale (33,19).


3. "Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele" (2Tm 4,6). Queste parole di San Paolo, che abbiamo appena ascoltato, sembrano ispirare i messaggi lasciati dai martiri Filippo de Jesus Munarriz e 50 suoi compagni Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria.

Tutti loro anche quelli della nostra epoca appartenevano alla Comunità-Seminario della città aragonese di Barbastro. E' tutto un seminario ad affrontare con generosità e coraggio la loro offerta di sacrificio al Signore. L'integrità spirituale e morale di questi giovani è giunta sino a noi attraverso testimoni diretti e anche attraverso i loro scritti. A tale proposito sono eloquenti le testimonianze personali che ci hanno lasciato i giovani seminaristi. Uno di essi, scrivendo alla sua famiglia dice: "Quando riceverete queste poche righe lodate il Signore per il dono tanto grande e prezioso del martirio che il Signore si degna di concedermi". Un altro scriveva inoltre: "Viva il Cuore Immacolato di Maria! Ci fucilano solo perché siamo religiosi". E aggiunge nella propria lingua materna: "No ploreu per mi. Soc màrtir de Jesucrist". Questi martiri esprimevano la loro ferma decisione di dedicarsi al ministero sacerdotale in questo modo: "Poiché non possiamo esercitare il sacro ministero sulla terra, operando per la conversione dei peccatori, faremo come Santa Teresina: passeremo al cielo facendo il bene sulla terra". Tutte le testimonianze che abbiamo ricevuto ci permettono di affermare che questi Clarettiani morirono perché erano discepoli di Cristo, perché non volevano rinnegare la propria fede e i propri voti religiosi. Per questo, versando il loro sangue ci esortano tutti a vivere e morire per la Parola di Dio che siamo stati chiamati ad annunciare. I Martiri di Barbastro, seguendo il loro fondatore sant'Antonio Maria Claret, che aveva anch'egli subito un attentato durante la sua vita, sentivano lo stesso desiderio di versare il proprio sangue per amore di Gesù e di Maria, espresso con questa esclamazione tanto spesso cantata: "Per te, mia Regina, offrire il proprio sangue". Il Santo stesso aveva tracciato un programma di vita per i suoi religiosi: "Un figlio del Cuore Immacolato di Maria è un uomo che ferve in carità e fa ardere i luoghi in cui passa; che desidera con decisione e cerca, con ogni mezzo di fare ardere tutto il mondo con il fuoco del divino amore" (Biografia, cap. 34).


4. Anche se non ha la stessa aureola del martirio, Narcisa de Jesus Martillo Moran, giovane laica nata nel secolo scorso a Nobol (Ecuador) viene presentata oggi dalla Chiesa come esempio di virtù, specialmente per tante donne dell'America Latina che, come Narcisa devono emigrare dalla campagna alla città in cerca di lavoro e di guadagno. Una particolare caratteristica di questa Beata è stata la forte unione con Dio attraverso la preghiera, cui dedicava otto ore al giorno in solitudine e silenzio. Durante la notte pregava per altre quattro ore, usando strumenti di penitenza, come la corona di spine, e appoggiandosi su una croce con i chiodi. Alcuni testimoni affermano di averla vista varie volte in estasi, durante le quali Narcisa si sentiva confortata dalla presenza di Gesù. In questa giovane ecuadoriana, che visse solo trentasette anni tra continue mortificazioni e dure penitenze corporali, troviamo la costante attuazione della saggezza della Croce in ogni circostanza della vita. Essa era fermamente convinta che la via della santità passa attraverso l'umiliazione e l'abnegazione, vale a dire il sentirsi crocifissa con Cristo. Sicuramente possiamo porre sulle labbra della Beata le parole del salmista: "Benediro il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode. Io mi glorio nel Signore, ascoltino gli umili e si rallegrino" (Ps 33,2-3). La spiritualità di Narcisa de Jesus si fonda sul nascondersi agli occhi del mondo, vivendo nella più profonda umiltà e povertà, offrendo al Signore le sue penitenze come sacrificio per la salvezza degli uomini. Ma oggi si compiono realmente per la Beata le parole che abbiamo ascoltato nel Vangelo: "Chi si umilia sarà esaltato" (Lc 18,14).


5. Unanime è la testimonianza che, sia i fratelli di San Giovanni di Dio che i Missionari Clarettiani, morirono glorificando Dio e perdonando i loro carnefici.

Molti di loro nel momento del martirio, ripetono le stesse parole di Cristo: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). Tutti preferirono morire piuttosto che rinnegare la propria fede e la propria vita religiosa. Si avviarono al sacrificio contenti per il dono del martirio, del quale non si sentivano degni, nonostante nel cuore di tutti, specialmente dei giovani, vi fossero i grandi ideali apostolici dell'annuncio del Vangelo agli uomini; gli uni con l'assistenza agli infermi; gli altri con il ministero della predicazione come missionari. Nel momento supremo della prova manifestarono tutti un grande amore per il proprio Istituto e anche per la loro famiglia di origine in seno alla quale avevano ricevuto la semente della fede, compiendo i primi e saldi passi nella vita cristiana che li avrebbe condotti alla scoperta della semente della loro vocazione religiosa, sostenuti dall'altruismo e dalla generosità dei propri padri. La testimonianza di questi Beati costituisce un esempio vivo e vicino per tutti, ma particolarmente per voi, fratelli di San Giovanni di Dio e Missionari Clarettiani. Essendo la maggior parte di loro giovani e studenti di teologia, la loro vita è come un appello diretto a voi, novizi e seminaristi, un appello a riconoscere la validità permanente di un'adeguata formazione e preparazione intensa, basata su una solida pietà, sulla fedeltà alla vocazione e sull'appartenenza gioiosa alla Chiesa, servendola attraverso la propria Congregazione, in una vita di sacrificio in comunità, nella perseveranza e nella testimonianza della propria identità religiosa. Senza tutti questi presupposti, i nostri Beati non avrebbero potuto raggiungere la grazia del martirio. Tutti questi Martiri ci hanno lasciato con parole o con scritti, un messaggio particolare: il perdono dei nemici. Spetta a ciascuno di noi mettere in pratica questo perdono.

Con San Paolo possiamo ripetere: "Che Dio li perdoni" (2Tm 4,16), ma allo stesso tempo ogni cristiano deve spargere nel proprio ambiente questo seme del perdono.

Non vi è dubbio che i nostri Martiri con la loro costante intercessione e protezione lo faranno crescere in copiosi frutti di riconciliazione.


6. "Il Signore... mi è stato vicino" - scrive l'Autore della Seconda Lettera a Timoteo. "Il Signore... mi è stato vicino e mi ha dato forza" (2Tm 4,17). Oggi rendiamo grazie per questa forza che è diventata anche la forza dei martiri in terra di Spagna. La forza della fede, della speranza e dell'amore, che si è mostrata più forte della violenza. E' stata vinta la crudeltà dei plotoni di esecuzione e l'intero sistema dell'odio organizzato. Cristo, che s'è fatto presente accanto ai martiri, è venuto a loro con la forza della sua morte e del suo martirio. Nello stesso tempo, è venuto a loro con la forza della sua risurrezione. "Non temere!... Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi" (Ap 1,17-18). Il martirio è una particolare rivelazione del mistero pasquale, che continua ad operare e si offre agli uomini nei vari momenti della loro vocazione cristiana.


7. "ll Signore... mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio (del Vangelo) e potessero sentirlo tutti i Gentili" (2Tm 4,17).

Alla fine del ventesimo secolo la Chiesa iscrive nel suo martirologio tutti coloro che in questo secolo critico e davanti alle crudeltà e ai gulag, alle carceri e ai campi di concentramento hanno reso la testimonianza della fede, della speranza e dell'amore in modo eroico.

"Sanguis martyrum - semen christianorum". Non dimentichiamo che questo sangue è stato versato in diverse regioni d'Europa: sanguis martyrum.

Possiamo dubitare della semente di questo martirio? Se sembrano crescere - sotto diverse forme - le forze che cercano di sradicare il "semen christianorum" dalle anime umane, noi non possiamo dimenticare la forza del Vangelo.

La parola di Dio mette sempre nuove radici. Su queste radici noi dobbiamo crescere.

"Perché per nostro mezzo si compia la proclamazione del Vangelo e possano sentirlo tutte le nazioni".

Data: 1992-10-25 Data estesa: Domenica 25 Ottobre 1992


GPII 1992 Insegnamenti - Messa per gli alunni del Seminario Romano Maggiore - Città del Vaticano (Roma)