GPII 1992 Insegnamenti - Ai Presuli della Conferenza Episcopale della Tanzania in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Ai Presuli della Conferenza Episcopale della Tanzania in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La povertà, la disoccupazione, il dilagare del materialismo e l'erosione dell'unità della famiglia sono ostacoli all'avvento del Regno

Vostra Eminenza, Cari fratelli Vescovi,


1. Nel darvi il benvenuto, Vescovi della Tanzania, in occasione della vostra visita ad Limina colgo l'occasione per salutarvi in una lingua profondamente radicata in terra africana: Tumsifu Yesu Kristu! (Sia lodato Gesù Cristo!). In questo modo desidero rievocare il caro ricordo della mia Visita Pastorale nel vostro Paese due anni fa e rinnovare il mio sentito ringraziamento a Dio per la crescita della Chiesa in mezzo a voi. Sono grato a Lei, Vescovo Lebulu, per i sentimenti di affetto e di fedeltà espressi a nome di voi tutti. Al mio caro fratello, Card. Rugambwa, il primo figlio dell'Africa nera che è divenuto membro del Collegio dei Cardinali, esprimo l'immensa gratitudine della Chiesa per i molti anni di devota sollecitudine pastorale.

Il vostro pellegrinaggio ad limina Apostolorum è un atto preminentemente personale per ciascuno di voi. Nel venire "a vedere Pietro" (cfr. Ga 1,18) dichiarate al mondo la fede apostolica e affermate che la Chiesa è la sposa del Divino Redentore e il suo strumento per la salvezza dell'umanità. Nel dare una testimonianza della vostra opera lodate la bontà di Dio per tutto ciò che Egli ha potuto fare tramite voi, invocate la sua pietà per gli errori umani e chiedete la sua forza per tornare ad assolvere il vostro compito pastorale con rinnovato entusiasmo.


2. Non molto tempo fa avete celebrato il primo centenario dell'avvento del Vangelo in Tanzania. Tale evento, motivo di grande gioia per tutti i fedeli, ci aiuta a riconoscere la generosità di Dio, che già ha portato tra voi abbondanti frutti di giustizia e santità. Rivolgo uno speciale ringraziamento ai missionari del passato che hanno lavorato instancabilmente per formare il Popolo di Dio nel vostro Paese.

In quest'epoca essi hanno dei validi successori che, seguendo il loro esempio, hanno lasciato le loro case e le loro famiglie per offrirvi un servizio indispensabile alla diffusione del Regno di Dio. (cfr. RMi 65-66) Bisogna predicare il Vangelo alle migliaia di persone che non lo hanno ancora ascoltato e bisogna predicarlo in modo nuovo a coloro che hanno già conosciuto Cristo, ma non hanno permesso che la Sua Parola si radicasse nella loro vita. E' giusto che la responsabilità di questo nobile compito passi interamente nelle mani del clero locale della Tanzania, dei Religiosi e dei Laici, in particolar modo dei catechisti e io condivido la gioia che provate per la loro sollecitudine ad essere missionari in patria.


3. La necessità di adempiere al comandamento di Cristo di "ammaestrare tutte le nazioni" (Mt 28,19) è il motivo per cui spesso nelle vostre relazioni quinquennali avete menzionato lo scarso numero di operatori in grado di intraprendere l'opera di evangelizzazione. Persino l'elevato numero di vocazioni in Tanzania al sacerdozio e alla vita religiosa, per il quale mi unisco a voi nel ringraziare Dio, risulta insufficente. Voi e le vostre comunità dovete continuare a pregare per questa intenzione (cfr. Mt 9,38) confidando completamente in Dio, "il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" (1Tm 2,4). Una delle vostre principali preoccupazioni deve essere quella di assicurarvi che i vostri collaboratori abbiano ricevuto una adeguata formazione per adempiere al nobile compito di formare il Corpo di Cristo. Non solo devono possedere le doti e le conoscenze necessarie, ma anche e soprattutto quella profondità di fede e quella virtu cristiana che li rendono, con le parole e con i fatti, testimoni attendibili della nuova creazione stabilita dal nostro Salvatore.

Per aiutarvi a risolvere il problema di come formare in modo adeguato un numero sempre maggiore di seminaristi desidero riaffermare la saggezza tante volte espressa dai miei predecessori e ribadita dai Padri del Concilio Vaticano II: inviate, senza esitazione, i vostri migliori sacerdoti perchè prestino servizio presso i seminari (cfr. OT 5). In tutti i programmi dei vostri seminari, ai futuri sacerdoti deve venir mostrata la vera identità del sacerdote, che ad immagine di Cristo, il Buon Pastore, è chiamato a testimoniare al gregge l'amore del Signore (cfr. PDV 21-23). Nei Seminari Minori così come negli anni immediatamente precedenti l'Ordinazione lo scopo della formazione è quello di aiutare il candidato a "rivestirsi di Cristo" (cfr. Ga 3,27) e a impostare la propria vita sull'esempio del Redentore. Come è stato messo in evidenza dai Padri del Concilio, il mezzo essenziale per il raggiungimento di questo scopo è "una particolare formazione religiosa e soprattutto... orientamento spirituale" (OT 3). Un elemento vitale della formazione al sacerdozio è costituito dalla preghiera e dalla penitenza. L'abitudine alla meditazione quotidiana aiuta il seminarista così come il sacerdote ad accrescere la conoscenza e l'amore di Cristo e a imitare quest'ultimo in tutti gli aspetti della propria vita. Una crescente consapevolezza della bontà di Dio costituisce il frutto naturale di una vita di preghiera; essa conduce al pentimento dei peccati e genera il fermo proponimento di amare Dio nel modo in cui Egli per primo ci ha amati (cfr. 1Jn 4,19). La penitenza porta invece alla preziosa celebrazione del Sacramento della Riconciliazione. I sacerdoti che perseverano nella metanoia e che la suggellano con la frequente e regolare pratica della Confessione saranno i Padri spirituali a cui si rivolgeranno i figli di Cristo, cosa che Egli desidera ardentemente. I sacerdoti la cui vita è caratterizzata dalla grazia dell'umile pentimento, costituiranno una forza irresistibile per il rinnovamento della pratica del Sacramento della Penitenza tra i laici impegnati. I saldi fondamenti acquisiti in Seminario devono continuare ad essere sostenuti, dopo l'ordinazione da una costante formazione (cfr. PDV 70-81, Cap. VI). Senza quest'ultima i sacerdoti incontreranno notevoli difficoltà nel rispettare i propri ideali e il proprio impegno. Un Vescovo deve occuparsi costantemente della salute spirituale dei suoi sacerdoti e prestare loro particolare attenzione negli anni immediatamente successivi l'ordinazione sacerdotale (cfr. PDV 76).


4. I Consigli Evangelici sono un dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal Signore, e le comunità religiose non solo promuovono la santità dei loro membri ma contribuiscono meravigliosamente al bene del corpo di Cristo (cfr. LG 43). Ciò emerge particolarmente dalla vita e dall'opera dei religiosi in Tanzania, soprattutto dall'opera delle molte religiose appartenenti alle Congregazioni diocesiane. Attraverso la vostra Conferenza, potete promuovere una maggiore cooperazione tra questi Istituti. Potete fare molto per incoraggiarli a vivere la loro consacrazione evangelica sempre più profondamente, specialmente aiutandoli a sviluppare programmi di formazione spirituale e apostolica e assistendoli, secondo la povertà evangelica, nel garantire la base economica necessaria per una corretta gestione delle loro comunità. Le iniziative volte ad elevare il livello di formazione dei Religiosi vengono accolte con entusiasmo. Queste infatti aumentano la capacità delle Religiose di aderire ad un livello profondamente personale agli elementi essenziali della vita consacrata e di acquisire la maturità umana e cristiana alla quale sono chiamate in Cristo. così preparate, esse saranno realmente in grado di soddisfare le esigenze della Chiesa universale.


5. In Tanzania i cambiamenti sociali stanno influenzando il contesto in cui la Chiesa deve compiere la sua missione. La maggioranza relativamente giovane della popolazione, la crescente urbanizzazione, la transizione verso nuove forme di organizzazione politica e la variegata composizione delle affiliazioni religiose richiedono nuove risposte ai pastori e ai fedeli. La povertà e la disoccupazione, la mancanza di risorse per l'istruzione e l'assistenza sanitaria, il diffondersi di malattie mortali, l'aumento del materialismo e lo sgretolarsi dell'unità familiare costituiscono degli ostacoli alla diffusione del Regno di Dio - sfide che richiedono grande fiducia nel potere del Cristo Risorto per trionfare su tutti i mali. Il compito di permettere ai laici impegnati della Tanzania di esercitare in maniera più adeguata la loro vocazione battesimale in questo contesto sociale, ha portato ad esigere una maggiore cura pastorale per le famiglie e una valida formazione Cristiana per i giovani. Ho notato con particolare interesse che avete scelto di celebrare il venticinquesimo anniversario del Consiglio dei Laici della Tanzania organizzando in tutto il paese dei seminari sul tema "Giustizia e Pace nella Famiglia". Questa vostra decisione rappresenta un chiaro riconoscimento del fatto che il matrimonio Cristiano, animato dal dono di sé, costituisce "la scuola" più adatta ad educare la prossima generazione alle virtù morali essenziali per il vivere civile (cfr. FC 37). Non lasciatevi scoraggiare nella lunga lotta di insegnare la vera natura del matrimonio e di sostenere le coppie nell'osservanza fedele di tutte le esigenze del matrimonio Cristiano. Traete conforto dalla consapevolezza che ogni famiglia Cristiana che obbedisce alla legge di Dio ha il grande potere di esortare gli altri a scoprire la richezza del messaggio Evangelico di vita e di amore.


6. Sono lieto di constatare che, nell'ambito dei rapporti cordiali che intercorrono tra la Chiesa e lo Stato della Tanzania, i Cattolici cercano di orientare il progresso della nazione verso uno sviluppo degno dell'essere umano.

Il dialogo con i Cristiani appartenenti ad altre Chiese e comunità ecclesiastiche e la reciproca tolleranza con i credenti di religione islamica sono parte essenziale di questo sforzo. Tali cambiamenti permettono ai fedeli di condividere con i loro vicini l'insegnamento della Chiesa sulla natura del bene comune e sui mezzi più giusti per ottenerlo. La vostra lettera pastorale dello scorso giugno, "Vero sviluppo umano", fornisce significativi elementi per un'ampia riflessione sul modo in cui la società può soddisfare al meglio le necessità e rispettare l'inalienabile dignità dei suoi membri. Voi avete giustamente sottolineato che, solo accettando il disegno divino riguardo l'essere umano e tutta la creazione, ogni tentativo può realmente avere successo. Il riconoscimento di questa verità è particolarmente importante dal momento che il Governo della Tanzania sta prendendo in considerazione una "politica nazionale sulla popolazione". Un'iniziativa di questo tipo deve garantire l'inviolabile libertà delle coppie sposate nel mettere in pratica una procreazione responsabile. Essa dovrebbe sostenere la sacralità della vita dal momento del concepimento al momento della morte, e, con il dovuto riguardo per i diritti dei genitori nell'ambito dell'educazione, dovrebbe tentare di infondere nei giovani una sana comprensione della natura della sessualità umana. La Chiesa in Tanzania può essere fiera del fatto che la sua lunga tradizione di servizio nel campo sanitario ed educativo ha fatto si che le autorità civili le abbiano chiesto di intensificare le sue attività in questi settori. Sono certo che voi farete di tutto per continuare ad operare sulle basi già esistenti per fare il bene di tutti, con l'amore che Dio ha riversato nei vostri cuori (cfr. Rm 5,5). La preoccupazione dei Cristiani per le vittime dell'AIDS e l'aiuto prestato ai loro orfani manifestano in modo tangibile la compassione di Cristo per le sofferenze e alimentano la speranza di fronte a tanto dolore.


7. Cari fratelli Vescovi, portate alla vostra amata terra l'assicurazione della mia stima e del mio affetto verso tutto il suo popolo. Ricordate ai vostri sacerdoti, Religiosi e laici il mio amore in Gesù Cristo, e dite loro che a Roma "noi li ricordiamo sempre nelle nostre preghiere e ringraziamo Dio per tutti loro" (cfr. 1Th 1,2). Affido i Cattolici della Tanzania all'amorevole intercessione di Maria e imparto la mia benedizione apostolica quale promessa di unità e di pace nel Suo Figlio Divino.

Data: 1992-10-26 Data estesa: Lunedi 26 Ottobre 1992





Ai Presuli della Conferenza Episcopale della Scozia in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: E' necessario operare con pazienza e rinnovato vigore per ristabilire la piena comunione tra i seguaci di Cristo

Cari fratelli Vescovi,


1. "Grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore Nostro" (1Tm 1,2). Saluto con grande gioia e affetto fraterno voi, Vescovi della Scozia, che siete venuti a "vedere Pietro" (Ga 1,18) come tappa fondamentale del vostro pellegrinaggio alle tombe dei Santi Apostoli, Pietro e Paolo, fondatori di questa Sede venerabile che è "principale nell'universale comunione della carità" (Sant'Ignazio di Antiochia, Epistola ai Romani, prologo). Dieci anni fa, quando visitai la vostra amata terra, mi commossero le innumerevoli manifestazioni di lealtà al Vescovo di Roma. E' evidente che il titolo medievale, Specialis Filia Romanae Ecclesiae, costituisce la descrizione più adatta della Chiesa in Scozia oggi, e per questo dobbiamo ringraziare Dio con sincerità poiché la comunione con la Sede Apostolica è la garanzia della cattolicità della vostra Fede e della vostra partecipazione. Per secoli, messi a dura prova dalla sofferenza e dalla persecuzione, siete stati purificati in vista della "grande primavera cristiana" (RMi 86) che il Signore sta preparando per la Chiesa mentre si avvicina il terzo Millennio. Gioisco con voi per le benedizioni che il Signore diffonde sulle vostre Chiese particolari e colgo questa opportunità per incoraggiarvi nella vostra fede e responsabilità pastorali (cfr. Ac 20 Ac 28). In modo speciale saluto la Chiesa di Glasgow, che sta celebrando il cinquecentesimo anniversario della sua edificazione come sede Metropolitana da parte del mio predecessore Innocenzo VIII, e ringrazio per la sua fedeltà e sollecitudine missionaria.


2. Una delle vostre principali sollecitudini pastorali riguarda la crescente indifferenza religiosa riscontrata nella società scozzese. In tutto il mondo occidentale la Chiesa affronta le sfide presentate dal secolarismo e da un individualismo sempre più diffuso. Anche se oggi la maggior parte delle persone non rifiutano completamente il Creatore, molti l'hanno dimenticato o agiscono in modo tale che Egli occupa poco spazio nella loro vita (cfr. CL 4). Un individualismo distorto che esalta l'autorealizzazione come scopo principale della vita umana e considera la società solo come mezzo per soddisfare questo interesse personale contraddice la chiamata a vivere "per gli altri" che Dio ha infuso nel cuore delle sue creature (MD 7). Qualsiasi stile di vita improntato all'"avere" piuttosto che all'"essere" (cfr. CA 36) ha ripercussioni pericolose per gli individui, per la famiglia e per la comunità. Quanto lontana è questa cultura dell'egoismo da una civiltà di amore costruita sulla comunione e la solidarietà! Non sorprende il fatto che questa mentalità individualista è causa di molte tragedie, tra cui, non ultima, l'aumento del numero delle famiglie divise e, all'interno della Chiesa, di una diminuzione della partecipazione alla sua vita sacramentale, specialmente da parte dei giovani. Tra le priorità della nuova evangelizzazione deve esserci uno sforzo comune per riportare alla pratica della fede i cosiddetti "cattolici nominali" che sono incostanti nella pratica religiosa e selettivi nell'aderire all'insegnamento cattolico in materia di fede e morale.


3. Se i "segni dei tempi" ci mettono in allarme contro queste ombre che oscurano l'orizzonte, offrono alla Chiesa in Scozia numerose opportunità di predicare il Cristo crocifisso, "potenza di Dio e sapienza di Dio" (1Co 1,24). In quanto autorevoli insegnanti della fede e "amministratori dei misteri di Dio" (cfr. 1Co 4,1), dovete scoprire nel cuore ferito dell'uomo il desiderio ardente di Dio che spesso si manifesta in modo confuso e indiretto. Se vi avvicinate alle tradizionali ricchezze di insegnamento della Chiesa, alla devozione nel proclamare Cristo al mondo senza ambiguità, trasmetterete una fede che rivela il vero significato della vita e apre alla salvezza di Dio e alla grazia confortatrice.

Tenendo a mente con umiltà che la testimonianza di una vita santa è l'affermazione più convincente del Vangelo, siete chiamati come Pastori a fare il primo passo per raggiungere coloro che non vengono a voi (cfr. Lc 15,4-7). In particolare vi esorto a perseverare con vigore nella promozione di associazioni e movimenti per i giovani, in quanto essi sono parti integrali di un piano pastorale per l'apostolato dei giovani. Nei luoghi in cui queste organizzazioni si sviluppano, esse assicurano che la generazione futura riceva la formazione spirituale apostolica vitale per la missione dei laici nel mondo. Essi sono anche fonte di vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa (cfr. PDV 68).

L'importanza di promuovere le vocazioni non può essere trascurata. Anche se "tutti i membri della Chiesa, nessuno escluso, hanno la grazia e la responsabilità della cura delle vocazioni... come padre e amico nel suo presbiterio, ed è anzitutto sua la sollecitudine a dare continuità al carisma e al ministero presbiterale, associandovi nuove forze con l'imposizione delle mani" (PDV 41). Per combattere un'ulteriore diminuzione del numero dei sacerdoti è necessario incoraggiare la preghiera per le vocazioni e guidare i giovani ad un rapporto con Cristo personale e maturo. Dalla loro comunione e amicizia con Lui, guadagneranno forza e si offriranno completamente al servizio della Chiesa e dell'umanità sofferente.

Accettando di istituire un Seminario Nazionale al Collegio di Chesters avete intrapreso un passo decisivo e di tutto rispetto. Mi unisco a voi nella preghiera affinché questo Seminario, insieme ai Collegi a Roma e a Salamanca, fornisca una formazione spirituale, dottrinale e pastorale sempre migliore per i seminaristi e rafforzi i legami di carità e di amicizia fra i futuri sacerdoti scozzesi.


4. Un isolazionismo doloroso contraddistingue la società contemporanea. Per superare questa divisione, la Chiesa dovrebbe incoraggiare le comunità nelle quali la gente o le persone possono fare l'esperienza della vicinanza con Gesù Cristo e con gli altri (cfr. 1Jn 1,3). Le parrocchie dovrebbero continuare ad esplorare nuove vie attraverso le quali possano rispondere al grande desiderio di comunità sentito da molti e, in cui "la fede cattolica trasmessa dagli Apostoli" (Preghiera Eucaristica 1) può essere pienamente condivisa, rafforzata e celebrata. Più di una struttura, un territorio o un edificio, una parrocchia dovrebbe essere una "fraternità animata dallo spirito di unità" (LG 28), una comunità eucaristica che rende presente l'una e indivisibile Chiesa di Cristo. Le parrocchie devono essere centri di carità, aperti alle necessità spirituali e materiali della più ampia comunità. E' arrivato il tempo di impegnare le energie della Chiesa per una nuova evangelizzazione (cfr. RMi 3) cominciando nella parrocchia una missione la cui riuscita dipende in gran parte dai laici. I laici, uomini e donne, hanno un ruolo vitale nel portare Cristo a coloro che l'hanno dimenticato o che non l'hanno ancora incontrato (Cfr. CL 34). I vostri sforzi per diffondere e promuovere la catechesi degli adulti e la formazione dei laici sono di grande importanza per la realizzazione della missione della Chiesa all'interno della società scozzese.


5. Per più di settanta anni la Chiesa in Scozia, con molto sacrificio e dedizione da parte di Religiosi, insegnanti laici e genitori, ha costruito un immenso tesoro nell'ambito del suo sistema di scuole Cattoliche. Come principali educatori dei loro figli, i genitori hanno il diritto di aspettarsi che l'insegnamento impartito nelle scuole sia conforme alla visione cattolica del mondo propria della comunità dei credenti e diffusa dai suoi Pastori. Mentre persegue la perfezione accademica, la scuola cattolica deve resistere all'incerto relativismo di una società secolarizzata che guarda con sospetto qualsiasi idea di religione rivelata o obbiettivo di verità morale. Gli educatori cattolici non dovrebbero mai perdere di vista la loro responsabilità di aiutare i giovani ad aprirsi al Signore che sta alla porta e bussa e attende pazientemente di poter entrare (cfr. Ap 3,20). Le scuole cattoliche, elementari e medie, dipendono per la loro sopravvivenza e il loro benessere dall'aiuto e dalle scelte dei genitori cattolici. Attraverso di voi desidero esortare i genitori a rinnovare i loro obblighi verso queste scuole.

Famiglia, parrocchia e scuola - tutti pervasi da una visione cattolica comune - dovrebbero costituire un'unica influenza formativa sui giovani scozzesi, conducendoli alla piena maturità in Cristo (cfr. Ep 4,13) e a un notevole senso di solidarietà e impegno per il bene comune.


6. Come capi morali, non dovete stancarvi mai di ripetere, come avete già fatto lo scorso agosto alla Conferenza di Stirling, che la Chiesa, araldo del Messaggio di salvezza del Vangelo in Gesù Cristo, appartiene "al cuore del mondo". Essa continua il suo lavoro di redenzione, che "mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure l'instaurazione di tutto l'ordine temporale" (AA 5). Nel mezzo del vostro gregge in qualità di coloro che servono (cfr. Mc 10,45), più siete immersi nelle speranze e nelle gioie, nelle paure e nei dolori del vostro popolo più attentamente sarà ascoltata la vostra preghiera. Tra coloro che alle nostre porte reclamano segni concreti della solidarietà della Chiesa oggi vi sono gli esuli (cfr. Lc 16,20), la cui dignità viene così frequentemente minacciata e minata, i poveri, gli emigranti, i disoccupati e gli emarginati. Per garantire la presenza della Chiesa, non esitate a incoraggiare il vostro popolo ad assumere un ruolo attivo nella vita pubblica, in modo che possa efficacemente promuovere la dignità inviolabile di ogni essere umano in ogni settore della società. L'attività della comunità ecclesiale in favore della giustizia e dello sviluppo può essere misurata con la vitalità delle associazioni e organizzazioni attraverso le quali i cattolici realizzano la loro vocazione di cercare il Regno di Dio "trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio" (LG 31). A questo proposito il vostro popolo deve anche essere lodato per il suo generoso contributo al Fondo Internazionale Cattolico Scozzese per gli Aiuti che promuove la solidarietà nel Paese e all'Estero.

Soprattutto, ringrazio l'Onnipotente per la vostra sollecitudine nel difendere il sacro diritto alla vita. Come avete così accanitamente dimostrato, le responsabilità di un Vescovo non sono limitate alla chiesa, al pulpito o alla sacrestia. Egli ha un ruolo pubblico da svolgere, specialmente quello di parlare in nome di coloro che non hanno voce. Il riscatto dei non nati e dei moribondi dipende dal potere della vostra voce che testimonia che la Chiesa "fermamente crede che la vita umana, anche se debole e sofferente, è sempre un dono del Dio della Bontà" (FC 30). L'aborto e l'eutanasia non sono mai moralmente giustificabili e non importa ciò che le leggi di un Paese permettono.

Fate vostro l'appello urgente che San Paolo rivolge a Tito: "Questo devi insegnare, raccomandare e rimproverare con tutta autorità. Nessuno osi disprezzarti!" (Tt 2,15).


7. Dal tempo della Conferenza Missionaria di Edimburgo, svoltasi nel 1910, i cristiani in Scozia hanno lavorato per istaurare l'unità tra tutti coloro che confessano Gesù Cristo come loro Signore e Salvatore. Il rancore e i pregiudizi che talvolta hanno segnato i rapporti passati, con l'aiuto di Dio sono stati sostituiti da un notevole sviluppo della reciproca comprensione. La vostra partecipazione alle iniziative come ad esempio "l'Azione delle Chiese Unite in Scozia" testimonia il grande progresso fatto. Trent'anni dopo l'apertura del Concilio Vaticano II, dobbiamo perseverare nella preghiera e continuare a lavorare, con pazienza e rinnovato vigore, per ristabilire la piena comunione tra i seguaci di Cristo, un'unità "che Cristo fin dall'inizio dono alla sua Chiesa" (UR 4).


8. Cari fratelli, dal momento che continuate a edificare il Corpo di Cristo in Scozia, facendo affidamento su di Lui, il cui potere è dentro di voi (cfr. Ep 3,20), aprite le porte a Cristo nostro Redentore. Gesù Cristo percorre "con ogni persona la strada della vita, con la potenza di quella verità sull'uomo e sul mondo contenuta nel mistero dell'incarnazione e della redenzione, con la potenza di quell'amore che da essa irradia" (RH 13). Affidatevi a Lui completamente, perché Egli è sempre fedele. Gesù Cristo, il Figlio di Dio vi sosterrà in ciò che vi chiama a fare per il suo popolo. Prego affinché la Vergine, la Stella del Mattino che annuncia l'arrivo del Millennio di speranza, interceda per voi, per i Sacerdoti che condividono il vostro ministero, per i Religiosi che si dedicano alla preghiera e alla diffusione del Vangelo, e per tutto il popolo della vostra amata Scozia. Con profondo affetto per ciascuno di voi e come segno della nostra comunione in Gesù Cristo, imparto la mia Benedizione Apostolica.

Data: 1992-10-29 Data estesa: Giovedi 29 Ottobre 1992

Udienza al Capitolo generale delle Suore Missionarie Comboniane - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Autenticità missionaria e ansia evangelizzatrice: stimolo a proseguire sul cammino del fondatore

Carissime Suore Missionarie Comboniane,


1. A conclusione del XVI Capitolo Generale del Vostro Istituto, dopo aver meditato a lungo sulle Costituzioni intimamente radicate nel carisma del Fondatore, il servo di Dio Monsignor Daniele Comboni, e dopo aver rivolto la vostra attenzione alle situazioni ed alle esigenze del momento storico che stiamo vivendo, voi avete desiderato incontrarvi col Papa per rinnovare i vincoli di fedeltà alla Chiesa, che contraddistinguono la vostra Congregazione. Grazie per questo gesto di fede e di devoto ossequio, che esprime il fervore e l'impegno dell'intera vostra Famiglia religiosa. Volentieri vi porgo il mio saluto, che estendo con affetto alle vostre Consorelle sparse in ben ventisette Nazioni dell'Africa, dell'Asia, dell'America e dell'Europa. Rivolgo in modo particolare il mio pensiero cordiale alla Superiora Generale appena eletta, Madre Mariangela Sardi, e a Madre Giuseppina Tresoldi, che lascia l'incarico dopo un lungo ed apprezzato servizio. Saluto, inoltre, le Sorelle elette a far parte del nuovo Consiglio Generale, come pure i membri del precedente Consiglio. Insieme al ringraziamento per la vostra gradita visita, desidero esprimere un vivo incoraggiamento alle Suore che sono state chiamate ad assumere l'oneroso incarico di guidare la Congregazione nei prossimi anni. Sarà loro cura sostenere l'itinerario spirituale e missionario della vostra Congregazione, promuovere la fioritura di nuove vocazioni, curare la formazione di ogni Consorella, perché sempre più fecondo sia il lavoro svolto dalle Suore Missionarie Comboniane a vantaggio di tante popolazioni e per la diffusione del Vangelo.


2. Dal 1 gennaio 1872, giorno benedetto in cui Don Daniele Comboni fondo a Montorio di Verona l'Istituto delle "Pie Madri della Nigrizia", nell'intento di formare missionarie "sante e capaci, accese di una carità, che abbia la sua sorgente in Dio e nell'amore a Cristo", la vostra Opera ha allargato le sue tende in molte nazioni. Ed iniziando dalla prima Superiora generale, Madre Maria Bollezzoli, donna di grande fede, umiltà e sapienza, fino all'attuale Responsabile, appena eletta, un intenso fervore ha segnato e continua a segnare le molteplici vostre attività apostoliche, caritative, sociali, culturali e sanitarie, in Africa e in altri Continenti. Non sono poche le vostre Suore che, insieme a Missionari Comboniani, sono cadute in questi anni, martiri per la fede e per la carità! Come inoltre non ricordare la significativa e talora eroica azione svolta dalle vostre Consorelle a favore di molte popolazioni dell'Africa, ideale supremo di Monsignor Comboni? Esse condividono infatti i dolori strazianti degli abitanti dell'Etiopia, dello Zaire, del Sudan, del Malawi, del Mozambico, dell'Uganda e di altri Paesi africani, cercando in tutti i modi di portare loro soccorsi urgenti, di alleviare le loro sofferenze fisiche e morali, di recare il conforto della fede ed il sostegno della concreta solidarietà. Il Signore benedica e ricompensi ampiamente così generoso sforzo e la testimonianza evangelica offerta nella quotidiana esistenza. Renda egli efficace la vostra dedizione che si unisce a quella di innumerevoli altri missionari e missionarie per annunciare la salvezza divina in ogni angolo della terra.


3. Vi è ben nota, carissime Sorelle, la fede granitica ed intrepida che guido i passi del vostro Fondatore. La nota peculiare, che contraddistinse il suo lungo ministero, cioè la sua autenticità missionaria e l'ansia per l'"evangelizzazione", costituiscano anche per voi lo stimolo a proseguire generosamente sul cammino da lui avviato.

Egli scriveva: "Ho un'incrollabile confidenza in quel Dio, per il quale unicamente ho esposto la mia vita, agisco, soffro e muoio... Il grano di senape è gettato: è d'uopo che cresca fra triboli e spine. Esso crescerà, perché il divin Cultore lo difenderà e coprirà con lo scudo della sua protezione".

Carissime Suore Missionarie Comboniane! Rimanete fedeli al "carisma" del vostro Padre spirituale con fiducia e perseverante preghiera. Nell'ultimo scritto, stilato sei giorni prima di morire, Monsignor Comboni, dopo ventiquattro anni di vita missionaria, di cui quattro appena come Vescovo, osservava: "Avvenga pure tutto quello che Dio vorrà. Dio non abbandona mai chi in lui confida. Egli è il protettore dell'innocenza ed il vindice della giustizia. Io sono felice nella Croce, che portata per amore di Dio, genera il trionfo e la vita eterna".

Questa prospettiva ecclesiale ed escatologica accompagni ogni vostra scelta e decisione operativa. Vi protegga nel lavoro di ogni giorno Maria Santissima, Regina degli Apostoli, e vi sia di conforto anche la mia preghiera e la Benedizione, che imparto a voi qui presenti, estendendola di cuore all'intera vostra Famiglia religiosa.

Data: 1992-10-30 Data estesa: Venerdi 30 Ottobre 1992

La sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Appartiene ormai al passato il doloroso malinteso sulla presunta opposizione costitutiva tra scienza e fede

Signori Cardinali, Eccellenze, Signore, Signori,


1. La conclusione della sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze mi offre la felice occasione di incontrare i suoi illustri membri, in presenza dei miei principali collaboratori e dei Capi delle Missioni diplomatiche accreditate presso la Santa Sede. A tutti rivolgo un caloroso saluto.

Il mio pensiero va in questo momento al professor Marini-Bettolo, cui la malattia impedisce di trovarsi fra noi; formulo fervidi voti per la sua salute e gli assicuro la mia preghiera.

Desidero anche salutare le personalità che siedono per la prima volta nella vostra Accademia; rivolgo loro il mio grazie per aver accettato di apportare ai vostri lavori il contributo delle loro alte competenze.

Mi è inoltre gradito salutare il qui presente Professor Adi Shamir, professore al "Weizmann Institute of Science" di Rehovot (Israele), insignito della medaglia d'oro di Pio XI, conferita dall'Accademia, e porgergli le mie cordiali felicitazioni.

Due argomenti costituiscono oggi l'oggetto della nostra attenzione. Sono stati or ora presentati con competenza e vorrei esprimere la mia gratitudine al Signor Cardinale Paul Poupard ed al Rev.do Padre George Coyne per le loro esposizioni.


2. In primo luogo, desidero complimentarvi con la Pontificia Accademia delle Scienze per aver scelto, per la sua sessione plenaria, di trattare un problema di grande importanza e di grande attualità: quello dell'emergere della complessità in matematica, in fisica, in chimica e in biologia.

L'emergere del tema della complessità segna probabilmente, nella storia delle scienze della natura, una tappa tanto importante quanto quella a cui è legato il nome di Galileo, quando sembrava doversi imporre un modello univoco dell'ordine. La complessità indica precisamente che, per render conto della ricchezza del reale, è necessario ricorrere ad una pluralità di modelli.

Questa constatazione pone una domanda che interessa uomini di scienza, filosofi e teologi: come conciliare la spiegazione del mondo - e ciò a partire dal livello delle entità e dei fenomeni elementari - con il riconoscimento di questo dato che "il tutto è più che la somma delle parti"? Nello sforzo di descrizione rigorosa e di formalizzazione dei dati dell'esperienza, l'uomo di scienza è condotto a ricorrere a dei concetti metascientifici il cui uso è come esigito dalla logica del suo procedimento.

Conviene precisare con esattezza la natura di tali concetti, per evitare di procedere a delle estrapolazioni indebite che leghino le scoperte strettamente scientifiche ad una visione del mondo o a delle affermazioni ideologiche o filosofiche che non ne sono affatto dei corollari. Si coglie qui l'importanza della filosofia che considera i fenomeni come anche la loro interpretazione.


3. Pensiamo, a titolo di esempio, all'elaborazione di nuove teorie a livello scientifico per spiegare l'emergere del vivente. A rigor di metodo, non si potrebbe interpretarle immediatamente e nel quadro omogeneo della scienza. In particolare, quando si tratta di quel vivente che è l'uomo e del suo cervello, non si può dire che tali teorie costituiscano per se stesse un'affermazione o una negazione dell'anima spirituale, o ancora che esse forniscano una prova della dottrina della creazione, o al contrario che esse la rendano inutile.

E' necessario un lavoro di ulteriore interpretazione: è questo precisamente l'oggetto della filosofia, che è ricerca del senso globale dei dati dell'esperienza, e dunque ugualmente dei fenomeni raccolti ed analizzati dalle scienze.

La cultura contemporanea esige uno sforzo costante di sintesi delle conoscenze e di integrazione dei saperi. Certo, è alla specializzazione delle ricerche che sono dovuti i successi che noi constatiamo. Ma se la specializzazione non è equilibrata da una riflessione attenta a notare l'articolazione dei saperi, è grande il rischio di giungere ad una "cultura frantumata", che sarebbe di fatto la negazione della vera cultura. Poiché quest'ultima non è concepibile senza umanesimo e sapienza.


4. Ero mosso da simili preoccupazioni, il 10 novembre 1979, in occasione della celebrazione del primo centenario della nascita di Albert Einstein, quando espressi davanti a questa medesima Accademia l'auspicio che "dei teologi, degli scienziati e degli storici, animati da spirito di sincera collaborazione, approfondissero l'esame del caso Galileo e, in un riconoscimento leale dei torti, da qualunque parte essi venissero, facessero scomparire la sfiducia che questo caso ancora oppone, in molti spiriti, ad una fruttuosa concordia tra scienza e fede" (AAS 71, 1979, pp. 1464-1465). Una commissione di studio è stata costituita a tal fine il 3 luglio 1981. Ed ora, nell'anno stesso in cui si celebra il 350° anniversario della morte di Galileo, la Commissione presenta, a conclusione dei suoi lavori, un complesso di pubblicazioni che apprezzo vivamente. Desidero esprimere la mia sincera riconoscenza al Cardinale Poupard, incaricato di coordinare le ricerche della Commissione nella fase conclusiva. A tutti gli esperti che hanno partecipato in qualche modo ai lavori dei quattro gruppi da cui è stato condotto questo studio pluridisciplinare, dico la mia profonda soddisfazione e la mia viva gratitudine. Il lavoro svolto per oltre dieci anni risponde ad un orientamento suggerito dal Concilio Vaticano II e permette di porre meglio in luce vari punti importanti della questione. In avvenire, non si potrà non tener conto delle conclusioni della Commissione.

Ci si meraviglierà forse che al termine di una settimana di studi dell'Accademia sul tema dell'emergere della complessità nelle diverse scienze, io ritorni sul caso Galileo. Non è questo caso archiviato da tempo e gli errori commessi non sono stati riconosciuti? Certo, questo è vero. Tuttavia, i problemi soggiacenti a quel caso toccano la natura della scienza come quella del messaggio della fede. Non è dunque da escludere che ci si trovi un giorno davanti ad una situazione analoga, che richiederà agli uni e agli altri una coscienza consapevole del campo e dei limiti delle rispettive competenze. L'approccio al tema della complessità potrebbe fornirne una illustrazione.


5. Una doppia questione sta al cuore del dibattito di cui Galileo fu il centro.

La prima è di ordine epistemologico e concerne l'ermeneutica biblica. A tal proposito, sono da rilevare due punti. Anzitutto, come la maggior parte dei suoi avversari, Galileo non fa distinzione tra quello che è l'approccio scientifico ai fenomeni naturali e la riflessione sulla natura, di ordine filosofico, che esso generalmente richiama. E' per questo che egli rifiuto il suggerimento che gli era stato dato di presentare come un'ipotesi il sistema di Copernico, fin tanto che esso non fosse confermato da prove irrefutabili. Era quella, peraltro, un'esigenza del metodo sperimentale di cui egli fu il geniale iniziatore.

Inoltre, la rappresentazione geocentrica del mondo era comunemente accettata nella cultura del tempo come pienamente concorde con l'insegnamento della Bibbia, nella quale alcune espressioni, prese alla lettera, sembravano costituire delle affermazioni di geocentrismo. Il problema che si posero dunque i teologi dell'epoca era quello della compatibilità dell'eliocentrismo e della Scrittura. così la scienza nuova, con i suoi metodi e la libertà di ricerca che essi suppongono, obbligava i teologi ad interrogarsi sui loro criteri di interpretazione della Scrittura. La maggior parte non seppe farlo.

Paradossalmente, Galileo, sincero credente, si mostro su questo punto più perspicace dei suoi avversari teologi. "Se bene la Scrittura non può errare, scrive a Benedetto Castelli, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de' suoi interpreti ed espositori, in vari modi" (Lettera del 21 dicembre 1613, in Edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei, dir. A. Favaro, riedizione del 1968, vol. V, p. 282). Si conosce anche la sua lettera a Cristina di Lorena (1615) che è come un piccolo trattato di ermeneutica biblica (ivi, pp. 307-348).


6. Possiamo già qui formulare una prima conclusione. L'irruzione di una nuova maniera di affrontare lo studio dei fenomeni naturali impone una chiarificazione dell'insieme delle discipline del sapere. Essa le obbliga a delimitare meglio il loro campo proprio, il loro angolo di approccio, i loro metodi, così come l'esatta portata delle loro conclusioni. In altri termini, questa novità obbliga ciascuna delle discipline a prendere una coscienza più rigorosa della propria natura.

Il capovolgimento provocato dal sistema di Copernico ha così richiesto uno sforzo di riflessione epistemologica sulle scienze bibliche, sforzo che doveva portare più tardi frutti abbondanti nei lavori esegetici moderni e che ha trovato nella Costituzione conciliare Dei Verbum una consacrazione ed un nuovo impulso.


7. La crisi che ho appena evocato non è il solo fattore ad aver avuto delle ripercussioni sull'interpretazione della Bibbia. Noi tocchiamo qui il secondo aspetto del problema, l'aspetto pastorale.

In virtù della missione che le è propria, la Chiesa ha il dovere di essere attenta alle incidenze pastorali della sua parola. Sia chiaro, anzitutto, che questa parola deve corrispondere alla verità. Ma si tratta di sapere come prendere in considerazione un dato scientifico nuovo quando esso sembra contraddire delle verità di fede. Il giudizio pastorale che richiedeva la teoria copernicana era difficile da esprimere nella misura in cui il geocentrismo sembrava far parte dell'insegnamento stesso della Scrittura. Sarebbe stato necessario contemporaneamente vincere delle abitudini di pensiero ed inventare una pedagogia capace di illuminare il popolo di Dio. Diciamo, in maniera generale, che il pastore deve mostrarsi pronto ad un'autentica audacia, evitando il duplice scoglio dell'atteggiamento incerto e del giudizio affrettato, potendo l'uno e l'altro fare molto male.


8. può essere qui evocata una crisi analoga a quella di cui parliamo. Nel secolo scorso ed all'inizio del nostro, il progresso delle scienze storiche ha permesso di acquisire nuove conoscenze sulla Bibbia e sull'ambiente biblico. Il contesto razionalista nel quale, per lo più, le acquisizioni erano presentate, poté farle apparire rovinose per la fede cristiana. Certuni, preoccupati di difendere la fede, pensarono che si dovessero rigettare conclusioni storiche seriamente fondate. Fu quella una decisione affrettata ed infelice. L'opera di un pioniere come il Padre Lagrange ha saputo operare i necessari discernimenti sulla base di criteri sicuri.

Bisogna ripetere qui ciò che ho detto sopra. E' un dovere per i teologi tenersi regolarmente informati sulle acquisizioni scientifiche per esaminare, all'occorrenza, se è il caso o meno di tenerne conto nella loro riflessione o di operare delle revisioni nel loro insegnamento.


9. Se la cultura contemporanea è segnata da una tendenza allo scientismo, l'orizzonte culturale dell'epoca di Galileo era unitario e recava l'impronta di una formazione filosofica particolare. Questo carattere unitario della cultura, che è in sé positivo ed auspicabile ancor oggi, fu una delle cause della condanna di Galileo. La maggioranza dei teologi non percepiva la distinzione formale tra la Sacra Scrittura e la sua interpretazione, il che li condusse a trasporre indebitamente nel campo della dottrina della fede una questione di fatto appartenente alla ricerca scientifica.

In realtà, come ha ricordato il Cardinal Poupard, Roberto Bellarmino, che aveva percepito la vera posta in gioco del dibattito, riteneva da parte sua che, davanti ad eventuali prove scientifiche dell'orbita della terra intorno al sole, si dovesse "andar con molta considerazione in esplicare le Scritture che paiono contrarie" alla mobiltà della terra e "più tosto dire che non l'intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra" (Lettera al Padre A. Foscarini, 12 aprile 1615, cfr. op. cit., vol. XII, p. 172). Prima di lui, la stessa saggezza e lo stesso rispetto della Parola divina avevano già guidato sant'Agostino a scrivere: "Se ad una ragione evidentissima e sicura si cercasse di contrapporre l'autorità delle Sacre Scritture, chi fa questo non comprende e oppone alla verità non il senso genuino delle Scritture, che non è riuscito a penetrare, ma il proprio pensiero, vale a dire non ciò che ha trovato nelle Scritture, ma ciò che ha trovato in se stesso, come se fosse in esse" (Epistula 143, n. 7; PL 33, col 588). Un secolo fa, il Papa Leone XIII faceva eco a questo pensiero nella sua enciclica Providentissimus Deus: "Poiché il vero non può in alcun modo contraddire il vero, si può esser certi che un errore si è insinuato o nell'interpretazione delle parole sacre, o in un altro luogo della discussione" (Leonis XIII Pont. Max.

Acta, vol. XIII, 1894, p. 361).

Il Cardinal Poupard ci ha ugualmente ricordato come la sentenza del 1633 non fosse irreformabile e come il dibattito, che non aveva cessato di evolvere, sia stato chiuso nel 1820 con l'imprimatur concesso all'opera del canonico Settele (cfr. Pontificia Academia Scientiarum, Copernico, Galilei e la Chiesa. Fine della controversia (1820). Gli atti del Sant'Ufficio, a cura di W. Brandmuller e E. J.

Greipl, Firenze, Olschki, 1992).


10. A partire dal secolo dei Lumi fino ai nostri giorni, il caso Galileo ha costituito una sorta di mito, nel quale l'immagine degli avvenimenti che ci si era costruita era abbastanza lontana dalla realtà. In tale prospettiva, il caso Galileo era il simbolo del preteso rifiuto, da parte della Chiesa, del progresso scientifico, oppure dell'oscurantismo "dommatico" opposto alla libera ricerca della verità. Questo mito ha giocato un ruolo culturale considerevole; esso ha contribuito ad ancorare parecchi uomini di scienza in buona fede all'idea che ci fosse incompatibilità tra lo spirito della scienza e la sua etica di ricerca, da un lato, e la fede cristiana, dall'altro. Una tragica reciproca incomprensione è stata interpretata come il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede. Le chiarificazioni apportate dai recenti studi storici ci permettono di affermare che tale doloroso malinteso appartiene ormai al passato.


11. Dal caso Galileo si può trarre un insegnamento che resta d'attualità in rapporto ad analoghe situazioni che si presentano oggi e possono presentarsi in futuro.

Al tempo di Galileo, era inconcepibile rappresentarsi un mondo che fosse sprovvisto di un punto di riferimento fisico assoluto. E siccome il cosmo allora conosciuto era, per così dire, contenuto nel solo sistema solare, non si poteva situare questo punto di riferimento che sulla terra o sul sole. Oggi, dopo Einstein e nella prospettiva della cosmologia contemporanea, nessuno di questi due punti di riferimento riveste l'importanza che aveva allora. Questa osservazione, è ovvio, non concerne la validità della posizione di Galileo nel dibattito; intende piuttosto indicare che spesso, al di là di due visioni parziali e contrastanti, esiste una visione più larga che entrambe le include e le supera.


12. Un altro insegnamento che si trae è il fatto che le diverse discipline del sapere richiedono una diversità di metodi.

Galileo, che ha praticamente inventato il metodo sperimentale, aveva compreso, grazie alla sua intuizione di fisico geniale e appoggiandosi a diversi argomenti, perché mai soltanto il sole potesse avere funzione di centro del mondo, così come allora era conosciuto, cioè come sistema planetario. L'errore dei teologi del tempo, nel sostenere la centralità della terra, fu quello di pensare che la nostra conoscenza della struttura del mondo fisico fosse, in certo qual modo, imposta dal senso letterale della S. Scrittura. Ma è doveroso ricordare la celebre sentenza attribuita a Baronio: "Spiritui Sancto mentem fuisse nos docere quomodo ad coelum eatur, non quomodo coelum gradiatur". In realtà, la Scrittura non si occupa dei dettagli del mondo fisico, la cui conoscenza è affidata all'esperienza e ai ragionamenti umani. Esistono due campi del sapere, quello che ha la sua fonte nella Rivelazione e quello che la ragione può scoprire con le sole sue forze. A quest'ultimo appartengono le scienze sperimentali e la filosofia. La distinzione tra i due campi del sapere non deve essere intesa come una opposizione. I due settori non sono del tutto estranei l'uno all'altro, ma hanno punti di incontro. Le metodologie proprie di ciascuno permettono di mettere in evidenza aspetti diversi della realtà.


13. La vostra Accademia porta avanti i suoi lavori con tale atteggiamento di spirito. Il suo compito principale è quello di promuovere lo sviluppo delle conoscenze secondo la legittima autonomia della scienza (Concilio Vaticano II, Cost. past. GS 36,2), che la Sede Apostolica riconosce espressamente negli Statuti della vostra istituzione.

Quel che importa, in una teoria scientifica o filosofica, è innanzitutto che essa sia vera o, almeno, seriamente e solidamente fondata. E il fine della vostra Accademia è precisamente quello di discernere e far conoscere, allo stato attuale della scienza e nel campo che le è proprio, ciò che può essere considerato come verità acquisita o almeno dotata di una tale probabilità che sarebbe imprudente e irragionevole respingerla. In questo modo potranno essere evitati inutili conflitti.

La serietà dell'informazione scientifica sarà così il miglior contributo che l'Accademia potrà apportare all'esatta formulazione e alla soluzione degli assillanti problemi ai quali la Chiesa, in virtù della sua specifica missione, ha il dovere di prestare attenzione: problemi che non concernono più soltanto l'astronomia, la fisica e la matematica, ma ugualmente discipline relativamente nuove come la biologia e la biogenetica. Molte scoperte scientifiche recenti e le loro possibili applicazioni hanno un'incidenza più che mai diretta sull'uomo stesso, sul suo pensiero e la sua azione, al punto da sembrar minacciare i fondamenti stessi dell'umano.


14. Esiste, per l'umanità, un duplice genere di sviluppo. Il primo comprende la cultura, la ricerca scientifica e tecnica, cioè tutto ciò che appartiene all'orizzontalità dell'uomo e della creazione, e che si accresce con un ritmo impressionante. Se questo sviluppo non vuol restare totalmente esterno all'uomo, è necessario un concomitante approfondimento della coscienza come anche della sua attuazione. Il secondo modo di sviluppo concerne quanto c'è di più profondo nell'essere umano allorché, trascendendo il mondo e se stesso, egli si volge verso Colui che è il Creatore di ogni cosa. Solo questo itinerario verticale può, in definitiva, dare tutto il suo senso all'essere e all'agire dell'uomo, perché lo situa tra la sua origine e il suo fine. In questo duplice itinerario, orizzontale e verticale, l'uomo si realizza pienamente come essere spirituale e come homo sapiens. Ma si osserva che lo sviluppo non è uniforme e rettilineo, e che il progresso non è sempre armonioso. Ciò rende palese il disordine che segna la condizione umana. L'uomo di scienza, che prende coscienza di questo duplice sviluppo e ne tiene conto, contribuisce al ristabilimento dell'armonia.

Chi si impegna nella ricerca scientifica e tecnica ammette come presupposto del suo itinerario che il mondo non è un caos, ma un "cosmos", ossia che c'è un ordine e delle leggi naturali, che si lasciano apprendere e pensare, e che hanno pertanto una certa affinità con lo spirito. Einstein amava dire: "Quello che c'è, nel mondo, di eternamente incomprensibile, è che esso sia comprensibile" (In "The journal of the Franklin Institute", vol. 221, n. 3, marzo 1936). Questa intelligibilità, attestata dalle prodigiose scoperte delle scienze e delle tecniche, rinvia in definitiva al Pensiero trascendente e originario di cui ogni cosa porta l'impronta.

Signore, Signori, concludendo questo incontro, formulo i migliori auguri perché le vostre ricerche e le vostre riflessioni contribuiscano ad offrire ai nostri contemporanei orientamenti utili per costruire una società armoniosa in un mondo più rispettoso dell'umano. Vi ringrazio per i servizi che rendete alla Santa Sede, e chiedo a Dio di colmarvi dei suoi doni.

Data: 1992-10-31 Data estesa: Sabato 31 Ottobre 1992


GPII 1992 Insegnamenti - Ai Presuli della Conferenza Episcopale della Tanzania in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)