GPII 1993 Insegnamenti - Ai bambini della parrocchia del Santissimo Sacramento - Roma

Ai bambini della parrocchia del Santissimo Sacramento - Roma

Titolo: Solo Gesù, attraverso il suo Corpo e il suo Sangue può placare veramente la sete del nostro spirito

La vostra amica ha detto che il Papa è buono. Ma io penso che non è affatto buono perché non ha potuto salutare tutti i presenti, tutti voi... ma la maggior parte, almeno. Saluto anche tutti gli altri attraverso quelli che ho potuto abbracciare. Voi sapete che cosa è la sete? Ha avuto sete qualche volta uno di voi o una di voi? Quando si ha sete, allora si cerca l'acqua. Appunto Gesù aveva sete in Samaria, presso un pozzo. Il Signore aveva sete anche sulla croce: "Ho sete!". Ma Gesù, come ci ricorda la Liturgia di oggi, terza Domenica di Quaresima, ha incontrato presso questo pozzo una donna samaritana, che gli diceva: "Dammi da bere". E Gesù ha detto a lei quello che si esprime con le parole dette altrove: "Chi ha sete venga a me e beva". Da una parte c'è la sete fisica, quando si ha bisogno dell'acqua; dall'altra, chi ha sete deve venire a Gesù e bere. Anche Lui è un pozzo. Ma qui si tratta di sete non fisica, spirituale. La sete fisica, quando il nostro organismo ha bisogno di bere, può essere calmata con acqua. Ma c'è una sete dello spirito, della nostra anima; e questa sete non si può calmare, non si può saziare se non attraverso Gesù. Dico questo perché sono in una parrocchia dedicata al Santissimo Sacramento. E' il Sacramento più grande, perché è quello in cui Gesù stesso, sotto le specie del pane e del vino, si dà a noi per calmare questa sete spirituale. "Chi ha sete venga a me e beva". Mi congratulo con voi che vivete in questa parrocchia del Santissimo Sacramento perché così potete prepararvi nel modo migliore possibile alla Prima Comunione e poi a tutte le Comunioni durante la vostra vita, perché questa prima deve essere l'inaugurazione, l'inizio di una lunga serie di Comunioni, per non rimanere con la sete, ma per calmare questa sete, per dare a questa sete spirituale una bevanda, anzi, un nutrimento e una bevanda: il Corpo e il Sangue. Io so bene che voi vi preparate a questa Prima Comunione con grande diligenza, serietà. A questo serve la vostra scuola della preghiera per i bambini. E nel nome di questa scuola i vostri colleghi mi hanno parlato all'inizio, mi hanno dato il benvenuto e poi mi hanno lasciato un album. Ho visto un po' brevemente: vedo che qui ci sono i tesori del vostro spirito infantile, che ha tanti privilegi. E' uno spirito trasparente, semplice, uno spirito di fiducia e di serietà. Tutto questo viene confermato e approfondito attraverso la preghiera. Per questo ci vuole la scuola della preghiera in ogni periodo della vita. Lo dico a voi ma lo dico anche ai vostri genitori che sono qui, lo dico ai catechisti e alle catechiste che sono con noi e che ringrazio per la loro opera. Lo dico anche a noi qui presenti, ai sacerdoti, al vostro Parroco, ai Vescovi, a me stesso. Ci vuole sempre una scuola di preghiera. E io vi auguro che questa scuola di preghiera fatta dai bambini sia di sprone, di incitamento, di ispirazione per i giovani, per gli adulti, per gli anziani, per tutti: sia di ispirazione per la vostra parrocchia e anche per tutta la Chiesa di Roma. Vi ringrazio per questo incontro così cordiale, così fraterno, paterno, pieno di tutto quello che voi portate nei vostri cuori.

Lascio una benedizione a tutti, alle vostre famiglie, alle vostre classi, alla scuola, alla vostra scuola di preghiera e a tutta la parte giovanile, infantile della parrocchia, specialmente a quelli che si preparano alla Prima Comunione.

Data: 1993-03-14 Data estesa: Domenica 14 Marzo 1993

Al Consiglio pastorale della parrocchia del Santissimo Sacramento - Roma

Titolo: Siate "pietre vive" che ricevono la vita dalla "pietra angolare" che è Cristo

La prima dimensione fondamentale di ogni comunità cristiana, di ogni insieme dei credenti, è la preghiera.

Vedo che in questa parrocchia - l'ispirazione viene dal vostro pastore, dal vostro Parroco - si cerca di basare tutto sulla preghiera, cominciando dai più piccoli che ho incontrato. Ho visitato questa piccola scuola di preghiera questa mattina. Ma poi, nel Santissimo Sacramento, nell'esposizione e nell'adorazione perpetua, c'è un invito alla preghiera ai più grandi, ai giovani, agli adulti, anche agli anziani, a tutti. La preghiera fa vivere le pietre, perché il mistero della Chiesa, di ogni chiesa, di ogni parrocchia, è questo: pietre vive, grazie alla pietra angolare. E la comunicazione principale fra queste pietre e la pietra angolare è la preghiera. Naturalmente la comunicazione piena è l'Eucaristia. Ma l'Eucaristia è anche, diciamo, la somma più grande della preghiera. In essa Cristo prega con noi e per noi, e viene pregato da noi in modo del tutto speciale, attraverso la Comunione. Vi auguro di camminare su questa strada. Auguro a voi, carissimi fratelli e sorelle di questo Consiglio Pastorale, di vivere sempre più questo mistero delle pietre vive, le pietre che devono ricevere la vita da Cristo e devono trasmettere la vita. Voi siete i ministri di questo processo vivificante, vivificatore.

Vi offro anche una benedizione per le vostre persone, per le vostre famiglie, per gli ambienti di lavoro, per tutta la comunità anche civile del quartiere in cui si trova la parrocchia del Santissimo Sacramento.

Data: 1993-03-14 Data estesa: Domenica 14 Marzo 1993

Ai giovani della parrocchia del Santissimo Sacramento - Roma

Titolo: Abbiate il coraggio di crescere spiritualmente attraverso la preghiera

Che dobbiamo fare? così mi ha domandato la vostra collega.

Io dico: dovete crescere. E' il tempo della crescita. C'è una crescita dell'uomo nel suo insieme umano, fisico, corporale, spirituale, e c'è una crescita spontanea, che si ha da sola. così cresce il corpo. Ma voi siete già cresciuti.

Guardando ai bambini che ho incontrato questa mattina, voi siete tutti già cresciuti. Ma c'è un'altra crescita che è propria dell'uomo: la crescita spirituale. E questa crescita non è solamente spontanea. C'è una certa spontaneità anche per questa, ma essa è opera di una scelta libera. La crescita spirituale è sempre legata alla nostra libertà, guidata consapevolmente. Vi auguro questa seconda crescita, che non è tanto seconda ma complementare nei confronti della prima: una crescita globale dell'uomo e della donna. E qui torniamo alla tematica che ci accompagna dalla mattina: la preghiera. La crescita spirituale si fa attraverso la preghiera. Perché la preghiera? Perché questa crescita? E' una crescita verso Dio. Per mettersi in contatto con Dio, per trovarci nel suo ambiente, nella sua dimensione è necessaria la preghiera. Qualche volta voi avete difficoltà nella preghiera. I giovani hanno talvolta difficoltà. Le preghiere imparate una volta, da bambini, non bastano. Allora si deve cercare una preghiera corrispondente alla vostra crescita, a questa tappa in cui vi trovate; non si deve mai lasciare la preghiera, si deve sempre cercarla di nuovo, trovarla di nuovo, perché è la condizione indispensabile per la crescita spirituale dell'uomo, di ciascuno di voi. Vi auguro la crescita, in senso pieno e completo, in senso umano e cristiano. In quel senso ci porta a Dio, in questo modo ci porta anche alla felicità, perché il mondo da solo non è capace di darci la felicità. Ci può dare il piacere, ma è sempre transitorio, perché il mondo passa.

Colui che solo ci può dare una felicità che non passa è la pietra della nostra edificazione spirituale: Gesù Cristo.

Data: 1993-03-14 Data estesa: Domenica 14 Marzo 1993

Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Quando manca Dio l'umanità diventa un triste scenario di guerra, di violenza e tragedie senza fine




1. "Il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in Dio". Questa celebre affermazione di sant'Agostino (Cfr. Confess. 1,1), carissimi Fratelli e Sorelle, si può applicare non soltanto al nostro cuore, ma anche alla vita sociale, in tutte le sue espressioni. Quando manca Dio, viene meno la pace dentro e fuori dell'uomo, perché si intacca il principio dell'unità. L'uomo si prostra a mille idoli e finisce con l'essere diviso in se stesso, si fa schiavo delle cose. C'è poi da meravigliarsi se l'umanità diventa un triste scenario di guerra, di violenze e tragedie senza fine? "Io sono il Signore, Dio tuo..., non avrai altri dei di fronte a me" (Ex 20,2). Il primo comandamento del Decalogo è alla base di tutti gli altri, è il fondamento della stessa esistenza umana. Non si tratta, carissimi Fratelli e Sorelle, della pretesa di un tiranno, né dell'arbitrio di un despota: è piuttosto la voce accorata del Creatore che, nonostante le nostre infedeltà, mai si stanca di trattarci da figli. Riconoscere la sua signoria è pertanto il primo nostro dovere: è la condizione stessa della nostra salvezza.

Solo una tragica illusione ha potuto condurre certe correnti di pensiero ad assolutizzare il mondo e l'uomo. Chi cerca di decifrare con obiettività il linguaggio della creazione, considerando la bellezza ma anche i limiti delle cose di quaggiù, non fatica a rendersi conto della verità: il mondo, per quanto stupendo, è una realtà finita che rinvia all'infinito, è il relativo che esige l'assoluto. Dio soltanto è l'assoluto! Egli è la pienezza dell'essere e, per questo, merita la nostra adorazione.


2. Nel primo comandamento, tuttavia, Dio non si limita a chiederci un freddo riconoscimento della sua verità: ci domanda, soprattutto, la libera offerta del cuore. "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze" (Dt 6,5). Egli ci ama da Padre, ed attende in cambio un amore da figli: amore che risponde all'Amore. Potrebbe essere diversamente? Dio è amore (1Jn 4,8).

Avendoci amati per primo, Iddio continua ad essere fedele alla sua carità indefettibile, nonostante il peccato e l'umana ingratitudine. Quanto cambierebbe il volto del mondo, se ci si lasciasse coinvolgere dall'amore divino! Si scoprirebbe con sempre rinnovato stupore la bellezza dell'universo, dono di Dio, ed il mistero dell'uomo, creato a immagine del Creatore ed avvolto dalla sua eterna tenerezza. Riflettiamo su queste verità, carissimi Fratelli e Sorelle, soprattutto in questo tempo di Quaresima, itinerario privilegiato di conversione e di rinnovamento.


3. Vergine Santa, specchio terso dell'amore di Dio, in te il Verbo si è fatto carne; in te si è resa viva la speranza dell'uomo. Guarda con pietà all'umana fragilità, troppo spesso dimentica di Dio e proprio per questo esposta ad insensate e "suicide" mancanze d'amore: esposta all'odio, alla guerra, all'indifferenza, al trionfo dell'egoismo e della morte. Guardaci con pietà di Madre e tendici la mano.

Noi ti preghiamo: Salvaci, o Madre!

Data: 1993-03-14 Data estesa: Domenica 14 Marzo 1993




Ai pellegrini della diocesi austriaca di Sankt Polten - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Penitenza e conversione

Caro vescovo! Cari pellegrini di Sankt Pölten! Il vostro pellegrinaggio diocesano vi ha condotto quest'anno alle tombe dei principi degli apostoli. Il mio cardiale saluto va a tutti voi: al mio confratello nell'episcopato Kurt Krenn, ai sacerdoti e ai fedeli della diocesi.

I prossimi anni porteranno per la vostra diocesi, per il vostro Paese e per l'Europa nuovi compiti e provocazioni. Bisogna annunciare di nuovo al nostro continente la lieta novella di Cristo. Con le parole "Convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15) Gesù annuncia l'inizio di una nuova èra.

Percepiamo questo ordine del Signore con particolare insistenza durante la Quaresima. Il nostro cammino deve essere completamente orientato alla conversione del cuore, cioè ad una profonda trasformazione del nostro modo di pensare e di vivere, che ci strappi ai modelli e abitudini del mondo, per formarci secondo l'immagine di Cristo.

La conversione del cuore deve comprendere anche la penitenza. Essa è, come ho esposto nello scritto apostolico "Reconciliatio et Paenitentia" (RP 4 RP 26), in certo qual modo, il suo elemento essenziale, anzi più importante. "La penitenza significa l'intimo cambiamento del cuore sotto l'influsso della parola di Dio e nella prospettiva del Regno". Essa è lo sforzo di "ristabilire l'equilibrio e l'armonia rotti dal peccato, cambiare direzione anche a costo di sacrificio".

Penitenza e conversione devono essere realizzate in concreti atti di penitenza. Se il nostro stile di vita si lascia plasmare dalla Quaresima, dobbiamo dare anche ampio spazio alle opere di penitenza. E' uno stile di vita caratterizzato da un rigore nei confronti di se stessi, dall'autodisciplina e da modeste rinunce che servono a rafforzare la volontà.

Parte essenziale delle opere di penitenza è anche la solidarietà che offriamo al prossimo. Con generosità e con amore disinteressato verso il prossimo i fedeli della vostra diocesi si sono sempre presi cura dei bisognosi di tutto il mondo. Possa il Signore ricompensare abbondantemente tutti coloro che hanno fatto del bene all'altro.

Il periodo di Quaresima è inoltre per noi l'occasione per rinnovare la fede. Il nuovo Catechismo universale, che fra non molto verrà pubblicato anche in lingua tedesca, è un prezioso aiuto per conseguire nell'incontro con la persona e nell'annuncio di Cristo dei criteri per realizzare la propria esistenza. Il Catechismo universale vi accompagnerà nella vostra ricerca di un orientamento, per non affrontare da soli la vita e le ideologie del nostro tempo.

Conversione e penitenza ci rendono seguaci del Maestro divino, che attraverso il dolore e la morte giunge alla risurrezione. A questo cammino ci invita la Quaresima. In questo cammino vi accompagna la beata Vergine Maria; ella è la "Magna Mater Austriae". Invoco la sua protezione per tutti i sacerdoti e i membri di ordini religiosi, per le famiglie e per i bambini, per tutti coloro che sopportano un grave dolore, per i profughi e per coloro che hanno responsabilità nello Stato e nella società.

Di cuore do a voi e a tutti i diocesani di Sankt Pölten la mia benedizione apostolica.

[Traduzione dal tedesco]

Data: 1993-03-18 Data estesa: Giovedi 18 Marzo 1993

Ai presidenti di due Commissioni Episcopali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Centralità della pastorale familiare

Signori cardinali, Cari fratelli nell'episcopato,


1. E' motivo di grande gioia per me ricevere voi presidenti delle Commissioni episcopali per la famiglia in America Latina, che state partecipando alla riunione convocata dal Pontificio Consiglio per la Famiglia, alla quale sono presenti anche il card. Nicolas de Jesus Lopez Rodriguez, presidente del CELAM e mons. Edmundo Abastoflor, direttore della sezione di Pastorale familiare del CELAM. Esprimo la mia viva gratitudine al presidente di questo Pontificio Consiglio, il card.

Alfonso Lopez Trujillo, per le cortesi parole che ha voluto rivolgermi facendosi portavoce di tutti i presenti.


2. Solo pochi mesi fa, all'inaugurazione della IV Conferenza Generale dell'episcopato latinoamericano a Santo Domingo, ho voluto ricordare l'opzione per la famiglia e per la vita, valori legati tanto intimamente in quanto la famiglia è il "santuario della vita". Non possiamo non constatare che in America Latina, come pure in altre zone del mondo, sono proprio l'istituzione familiare e molte vite innocenti ad essere seriamente minacciate. D'altra parte, sono preoccupanti certe impostazioni relative alla questione demografica. A questo proposito, a Santo Domingo, vi ricordavo che "è fallace e inaccettabile la soluzione che propugna la riduzione dell'incremento demografico senza preoccuparsi dei mezzi impiegati per ottenerla. Non si tratta di ridurre a ogni costo il numero degli invitati alla mensa della vita; ciò che occorre è potenziare le possibilità e distribuire con maggiore giustizia la ricchezza affinché tutti possano partecipare equamente ai beni del creato" (Cfr. Discorso Inaugurale, 12 ottobre 1992, n. 18).

Avete constatato che la dignità della donna non sempre viene rispettata nei suoi diritti sia all'interno del matrimonio che nell'ambito sociale.

Continuate dunque, amati fratelli, la vostra attività pastorale nella promozione e nella difesa della donna, contribuendo anche affinché si creino condizioni adeguate che le permettano di sviluppare meglio la sua missione di sposa e di madre per il bene della società. Da parte loro, le donne - impegnate nei diversi settori di vita professionale e al servizio del bene comune, come la politica, l'educazione, le attività economiche e imprenditoriali, e tanti altri - devono far valere i propri legittimi diritti.


3. Nella pastorale, dovete dedicare particolare attenzione all'infanzia, che spesso subisce le drammatiche conseguenze della mancanza di una vera famiglia. Non stancatevi dunque di insistere sul fatto che il primo diritto del bambino - a parte quello fondamentale alla vita - è poter contare su un autentico focolare nel quale si senta accolto dall'amore dei genitori e possa essere educato umanamente e cristianamente. Potrà essere evitata così la tragedia del gran numero di bambini disadattati che vivono soprattutto nelle grandi città latinoamericane, "soggetti a tanti pericoli, non esclusa la droga e la prostituzione" (ivi, n. 18).


4. Desidero sottolineare con gratitudine l'importanza data al tema della famiglia nelle Conclusioni della IV Conferenza Generale dell'episcopato latinoamericano a cui stiamo facendo riferimento. Fra le sue linee pastorali emerge il "sottolineare la priorità e la centralità della pastorale familiare nella Chiesa diocesana". Ciò deve essere per i vescovi oggetto di particolare attenzione, affinché si assicuri una pastorale organica e che ponga la famiglia e la vita al centro della nuova evangelizzazione. Questa opzione deve essere oggetto di studio attento e sistematico e di riflessione nei seminari, nelle case di formazione e negli istituti.

In questo campo è necessario garantire l'unità dei criteri e la conoscenza approfondita della teologia della famiglia, come pure delle materie relative ai suoi diritti, la preparazione al matrimonio, la bioetica, una sana educazione sessuale, la corretta informazione sulle questioni demografiche e affini. Ciò presuppone, indubbiamente, una visione più ampia delle varie discipline e trattati sul matrimonio, sia nelle scienze teologiche che in quelle filosofiche e antropologiche.


5. Oltre ai sacerdoti, la cui attività pastorale è tanto importante, è necessario tener conto di altri agenti di pastorale: religiosi, religiose e laici impegnati.

In effetti, numerose sono le famiglie religiose, sia maschili che femminili, che hanno come carisma specifico il servizio alla famiglia o comunque che nella propria missione educativa e assistenziale si tengono a stretto contatto con i genitori. Proprio per questo, i membri degli istituti religiosi che collaborano attivamente alla pastorale familiare devono essere particolarmente incoraggiati dai vescovi. Meritano una menzione speciale i laici, e non solo quelli che appartengono ad associazioni e movimenti, ma anche i singoli individui o i membri delle comunità parrocchiali ed educative e nello svolgimento della loro missione di sposi e di padri cristiani.

6. Per un'adeguata formazione degli agenti di pastorale familiare è necessario ricorrere a istituti e centri specializzati, che, sia a livello nazionale che diocesano, possano offrire una formazione adeguata sui temi riguardanti la famiglia e i problemi che la Chiesa deve affrontare in questo settore. In questo senso già esistono in America Latina iniziative ed esperienze valide e incoraggianti, che mantengono rapporti fecondi con il Pontificio Istituto sorto presso l'Università Lateranense.

Senza agenti di pastorale con una buona formazione, come si potrebbe rispondere alle sfide urgenti, alle esigenze della nuova evangelizzazione che fa della famiglia e della vita oggetto specifico delle sue priorità? Come si potrebbe incentivare un dialogo fruttuoso con scienziati, autorità e dirigenti in generale, alla ricerca di politiche consequenziali e per lo sviluppo di programmi di vasta portata?

7. La posizione preminente della pastorale familiare che viene fuori dalle Conclusioni della Conferenza di Santo Domingo, richiede strutture appropriate nelle Conferenze episcopali, come anche nelle diocesi e nelle parrocchie, che permettano un'azione pastorale più dinamica, in accordo con le esigenze del momento attuale, utilizzando con generosità personale adeguato per questo lavoro di apostolato. Bisogna, inoltre, realizzare progetti, programmi e piani concreti a favore della famiglia e nel segno della nuova evangelizzazione. Occasione propizia per questo sarà anche la celebrazione dell'Anno internazionale della famiglia, tema sul quale avete riflettuto e dialogato in questi giorni.

Con questo vivo desiderio vi accompagna la mia benedizione apostolica, che vi prego di trasmettere alle comunità dell'America Latina che voi servite con amore e speranza, affinché il modello di famiglia voluto da Dio e che ha il suo asse nel matrimonio unico e indissolubile, sia rafforzato e preservato in modo che le famiglie cristiane costituiscano il fermento della società latinoamericana, in quanto Chiesa domestica e santuario della vita, a immagine della famiglia di Nazaret.

[Traduzione dallo spagnolo]

Data: 1993-03-18 Data estesa: Giovedi 18 Marzo 1993

Ad un gruppo di fedeli di Gorlitz - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nel 750° anniversario della morte di Santa Edvige

Caro vescovo ausiliario! Cari fratelli e sorelle di Görlitz! In occasione del 750° anniversario della morte di santa Edvige, patrona della vostra Amministrazione apostolica, al culmine del vostro pellegrinaggio che vi ha condotto sulle orme di questa grande figura femminile, vi do il mio cordiale benvenuto. Con gioia d'animo vi vedo qui riuniti.

La "Legenda maior" sorta intorno al 1300 dà due riferimenti che caratterizzano la vita della santa: ella si dedico assiduamente allo studio della Sacra Scrittura, e sua guida in ogni aspetto dell'esistenza fu lo Spirito Santo.

Queste sono le fonti da cui ella attinse con forza tutta la sua vita e che sono alla base del suo apostolato. Il senso di tale apostolato è di grande importanza anche per noi. Facciamo bene ad ammirare il coraggio di questa donna che abbandono la sua patria bavarese per portare con suo marito il messaggio cristiano in un'altra cultura.

Aiutare gli uomini in ogni difficoltà fu il principale compito della duchessa. La sua assidua bontà e prontezza nel soccorrere, proprio nei confronti dei più poveri e più abbandonati, fecero conquistare ad Edvige anche l'affetto dei sudditi slavi.

La Santa si presenta a noi in tutti i secoli come esempio luminoso di pace e di riconciliazione. Tedeschi e polacchi furono uniti dall'adorazione e dalla stima nei confronti della santa. Fondamento principale della sua attività fu la contemplazione. Opere e azioni misericordiose di amore verso il prossimo riempirono la sua vita quotidiana; tuttavia non accaddero mai per amore di esse stesse. Lo sguardo di Edvige era sempre rivolto a Cristo; la sua fede lo rese vivo agli uomini. Ella ebbe presente il bene di tutti gli uomini. degli slavi e dei tedeschi. Amo tutti allo stesso modo, senza alcuna ombra di discriminazione. Ci tenne ad aiutarli a difendere la propria identità e a renderli partecipi della salvezza portata da Cristo.

La pace degli uomini con Dio e tra di loro, come la desidero e la visse santa Edvige, deve servire a tutti noi come esempio: nella vita personale, nella famiglia e tra i popoli.

Come cristiani dobbiamo essere aperti ai bisogni dell'altro, cosicché mettiamo gratuitamente a disposizione il nostro tempo e le nostre forze, conformemente ai principi radicati nel Vangelo. L'esempio di Cristo che è venuto, "non per essere servito, ma per servire" (Mt 20,28) ha toccato in tutte le epoche della storia il cuore dei fedeli ottenendo da essi risposte che hanno destato ammirazione anche in coloro che non condividevano la loro fede.

La testimonianza di santa Edvige consiste proprio in questo tipo di servizio che ella ha prestato "volontariamente" al prossimo senza aspettarsi alcuna ricompensa umana.

Nella preghiera del giorno di festa di questa grande santa la sua testimonianza di vita è felicemente contenuta: "Dio onnipotente, tu hai fatto della santa duchessa Edvige una messaggera di pace e le hai donato la grazia di dare in mezzo ai compiti terreni un esempio di amore misericordioso. Aiuta anche noi per sua intercessione ad operare la riconciliazione e la pace tra gli uomini e a servirti tra i bisognosi".

Per questo do di cuore a voi, al vostro caro vescovo Bernhard Huhn e a tutti i fedeli della vostra Amministrazione la mia benedizione apostolica.

[Traduzione dal tedesco]

Data: 1993-03-18 Data estesa: Giovedi 18 Marzo 1993



Lettera all'Arcivescovo di Praga per il seicentesimo anniversario del martirio di San Giovanni Nepomuceno - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Come il martirio di Giovanni, il sacrificio di tanti confessori della fede produce molto frutto anche oggi

Al venerato Fratello Miloslav Vlk Arcivescovo di Praga Venerato Fratello, salute e benedizione apostolica! Seicento anni ci separano dalla cupa notte, in cui il corpo martoriato ed esanime di San Giovanni Nepomuceno fu gettato nelle onde del fiume Moldava.

Questo memorabile anniversario rappresenta un'occasione preziosa per riflettere sulla vicenda di questo Santo. Insieme ai Santi Venceslao ed Adalberto, egli è celeste protettore dell'Arcidiocesi di Praga, di cui fu sacerdote ed in cui, per tutta la vita, ha svolto il suo ministero. Come ogni presbitero, anche San Giovanni fu scelto di mezzo al popolo e fu costituito come suo rappresentante nelle cose che riguardano Dio, per portare offerte ed espiare i peccati del popolo (Cfr. He 2,17). Quanto è grande e nobile la vocazione del sacerdote! Quanto significativa la sua missione, partecipe della missione stessa del Buon Pastore, Gesù Cristo! Egli viene ordinato, anzitutto, per annunciare il Cristo, per celebrare il Suo Mistero e per trasmettere ai fedeli la Sua grazia invisibile mediante segni visibili ed efficaci, come i Sacramenti. Il sacerdote è un dono dell'amore di Dio al mondo. Benché macchiato dal peccato, il mondo è chiamato alla salvezza dalla volontà del Padre celeste. Il sacerdote rinnova la dignità dell'uomo, ogniqualvolta lo libera dai vincoli del peccato. In modo eloquente l'antica iconografia mette in evidenza il ministero sacerdotale di San Giovanni, che lo pone tra gli straordinari apostoli del confessionale, iscritti dalla Chiesa nell'albo dei Santi ("Reconciliatio et Poenitentia", Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/2, p. 1482 ss.).

Nel Sacramento della Penitenza si manifesta pienamente la misericordia di Dio, massima espressione della sua onnipotenza, perché "Il Signore è buono con tutti, ha misericordia per ogni creatura" (Cfr. Ps 144,9). Se del perdono ebbero necessità tutti i tempi, tanto più avrà bisogno della riconciliazione con Dio l'odierna società scristianizzata, nella quale dilaga l'insubordinazione alla legge divina, l'egoismo nei confronti del prossimo e l'ottundimento del senso del peccato. Ma pur nell'incertezza e nell'inerzia di fronte ai valori duraturi e veri, l'uomo di oggi, spesso - e forse anche oscuramente, ma sempre realmente - cerca nel profondo dell'anima il bene vero e brama l'unione con i propri simili.

Egli intuisce l'urgenza di tale unione non soltanto per l'evoluzione di ciascun individuo, ma anche per la convivenza reciproca e lo sviluppo dell'intera società umana. L'unico, vero e supremo Bene è Dio amorevole e misericordioso, che ha creato l'uomo non per farlo perire nel peccato, ma perché cercasse Lui, datore di vita, e Lo raggiungesse (Cfr. Ac 17,27).

Il sacerdote, perciò, non cessa di annunziare al mondo che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e arrivino alla conoscenza della verità (Cfr. 1Tm 2,4). Come ministro nella riconciliazione delle persone con Dio, egli non si limita a promuoverla con la parola, ma la realizza di fatto. L'incarico affidato alla Chiesa da Cristo stesso fa si che il confessore compia, nel sacramento della Penitenza, il ministero del Buon Pastore che cerca le pecore perdute, del Buon Samaritano che medica le ferite, del Padre che con amore attende ed accoglie il figlio prodigo, del Giudice giusto che non fa preferenze di persone. Nello stesso tempo, a nome di Dio, egli purifica l'anima dai peccati (Cfr. CEC 1465). Colui che era temporaneamente perduto, egli di nuovo lo riconcilia con Dio, ridonando al penitente la pace dell'anima e la serenità della coscienza: valori presenti nella Confessione sacramentale, che il mondo non può dare, ma senza i quali non è possibile né la stabile concordia, né la pace piena tra i popoli del mondo. Quanti frutti, dunque, in questo apostolato silenzioso dei sacerdoti! Con pazienza e sacrificio, senza clamore, essi svolgono il difficile ed esigente compito del sacramento della Riconciliazione. E' uno dei servizi più belli e più consolanti offerti dai sacerdoti all'umanità. San Giovanni Nepomuceno è in primo luogo un santo Martire. così fu chiamato, subito dopo la morte, dal suo Arcivescovo, che lo aveva nominato Vicario Generale. Specialmente le persone più vicine a lui compresero che un uomo giusto era morto a causa dell'ingiustizia. La Chiesa ha sempre considerato il martirio un dono per eccellenza, la prova più valida dell'amore. Ma anche se tutti i cristiani devono essere pronti a professare la fede in Cristo davanti agli uomini e a seguire il Maestro divino nelle persecuzioni, che mai mancheranno alla Chiesa, sulla via della croce, tuttavia il privilegio di diventare martire, testimone di Cristo, rimane riservato soltanto a pochi. Come si può non ricordare, in questa occasione, l'esempio di tanti sacerdoti, religiosi, religiose e laici che nel vostro Paese, fino ai tempi recenti, hanno dato una coraggiosa e solenne testimonianza a Cristo, sopportando innumerevoli persecuzioni da parte di crudeli autorità civili? Non tutti hanno sofferto fino a morire, come San Giovanni; tuttavia molti hanno vissuto lunghi anni di sofferenze che progressivamente, ma senza pietà, hanno logorato le loro forze vitali. Come il martirio di Giovanni, anche i loro sacrifici di confessori della fede producono molto frutto fino ad oggi. Le circostanze della morte di San Giovanni richiamano altri due Santi, che nel difendere coraggiosamente la libertà della Chiesa, hanno ottenuto la palma del martirio: Santo Stanislao, Vescovo di Cracovia, e San Tommaso Becket, Arcivescovo di Canterbury. Nel suo tempo inquieto, San Giovanni non abbandono il suo Vescovo, ma rimase fedele alla promessa fatta durante l'ordinazione sacerdotale. Non chiese mai al re un posto di onore (Cfr. Si 7,4). Adempi gli obblighi sacerdotali, derivanti dal suo impegnativo ufficio, con fedeltà e rettitudine. Non fu una canna sbattuta dal vento (Cfr. Mt 11,7), nemmeno quando era minacciato da seri pericoli.

La coraggiosa fedeltà nei suoi doveri e la lealtà al Vescovo sempre pronta fino al sacrificio non sono forse una preziosa eredità di San Giovanni anche ai sacerdoti di oggi? Il Nepomuceno ci offre davvero un modello di solida comunione tra il Vescovo e i suoi collaboratori. così, come il Vescovo, privo del loro aiuto, non è in grado di compiere da solo la sua missione pastorale nella Chiesa locale, così è anche impossibile costruire la Chiesa senza il Vescovo, successore degli Apostoli.

La mancanza di sensibilità verso la missione del Vescovo e l'insistenza ostinata su punti di vista e opinioni individuali non possono esprimere l'unità della Chiesa. Essa viene costruita nell'amore e nell'obbedienza a colui che è immagine del Pastore Supremo e che si prende cura con paterna sollecitudine del bene spirituale dei suoi collaboratori e di tutte le anime affidategli. Possa la Chiesa, per la costante intercessione di San Giovanni, che la servi sempre con fedeltà, essere sempre infrangibilmente concorde nell'unica preghiera, nell'unità dei principi, nell'unica speranza ed amore. Possa essa vivere, fiorire e portare frutti spirituali in quella serena letizia, che è Gesù Cristo (Cfr. S. Ignazio di Antiochia, Magn, VII, 1).

San Giovanni Nepomuceno viene commemorato, anche oggi, in quasi tutto il mondo. Già i suoi coetanei ne davano testimonianza: era caro a Dio e agli uomini, prediletto dai cechi e dai tedeschi (Cfr. Scriptores rerum Silesicarum, I, Wroclaw 1835, p. 213). Ben presto, la sua venerazione si è diffusa anche oltre i confini del Paese che lo ha visto nascere, vivere e morire. Ma, soprattutto dopo la canonizzazione ad opera del mio predecessore Benedetto XIII, questa devozione ha valicato tutti i confini. L'intercessione di San Giovanni era invocata non soltanto dai suoi devoti nei Paesi di tutta l'Europa, ma anche nelle terre più lontane del mondo: nell'Estremo Oriente come in America del Nord e del Sud, dove i missionari hanno diffuso, insieme all'annunzio del Vangelo, anche la devozione verso di lui. Fino ad oggi ne danno testimonianza chiese, cappelle, statue ed immagini a lui dedicate. Il fervore più grande si registra comunque tra i suoi connazionali; già nei secoli passati essi venivano sulla sua tomba nella Cattedrale di Praga per affidarsi a lui con le loro afflizioni ed angosce. Nella sua intercessione trovavano conforto e stimolo.

Si rinnovi anche oggi la fiducia dei fedeli nel suo aiuto, affinché si adempia la preghiera espressa con le parole del canto: "Che la pia stirpe boema custodisca con venerazione la tua genuina eredità! Prega, o martire del Signore, per il tuo popolo e per il benessere della terra boema!". Nel ricordo di San Giovanni Nepomuceno imparto con gioia l'Apostolica Benedizione a te, venerato Fratello, e a tutti i Fratelli nell'Episcopato; ai sacerdoti, ai seminaristi, e ai religiosi; a tutti i diletti fedeli della Boemia e della Moravia, come pure al Pontificio Collegio di San Giovanni Nepomuceno in Roma, e, in particolare, a tutti coloro che prenderanno parte alle celebrazioni anniversarie a Nepomuk, suo paese natale, come a tutti i pellegrini che si recheranno alla sua tomba a Praga.

Da Roma, presso San Pietro, il 19 marzo, Solennità di San Giuseppe, Sposo della B.V. Maria, Patrono della Chiesa universale, dell'anno 1993, quindicesimo di Pontificato.

Data: 1993-03-19 Data estesa: Venerdi 19 Marzo 1993


GPII 1993 Insegnamenti - Ai bambini della parrocchia del Santissimo Sacramento - Roma