GPII 1993 Insegnamenti - Visita pastorale: il discorso alla comunità del Pontificio Istituto Orientale - Roma


1. Ho vivamente desiderato essere qui tra voi, carissimi Fratelli che costituite la comunità del Pontificio Istituto Orientale, per concludere le celebrazioni dei settantacinque anni di vita di questa prestigiosa Istituzione accademica, fondata dal mio Predecessore Benedetto XV quale "altiorum studiorum domicilium de rebus orientalibus" (Motu Proprio "Orientis Catholici", AAS IX [1917], p. 531-532). Egli la volle destinata sia ai Latini che prestassero il proprio ministero presso gli Orientali, sia agli Orientali stessi, cattolici ed ortodossi. Indico altresi la metodologia che l'insegnamento avrebbe dovuto seguire nell'Istituto: una esposizione parallela della dottrina cattolica ed ortodossa.


2. Il mio saluto, insieme al Cardinale Segretario di Stato, va innanzitutto al Gran Cancelliere, il Signor Cardinale Achille Silvestrini, al quale formulo i migliori auguri di pieno successo nell'esercizio di questo suo nuovo incarico.

Saluto anche il Cardinale Lourdusamy, suo predecessore. E per l'opera sin qui svolta con tanta dedizione e competenza voglio esprimere la mia riconoscenza anche al Signor Cardinale Pio Laghi, Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica e, nella sua persona, a tutti i Prefetti del medesimo Dicastero che prima di lui esercitarono il medesimo ufficio all'Orientale.

Viva gratitudine intendo manifestare anche al Reverendissimo Padre Peter-Hans Kolvenbach, preposito generale della Compagnia di Gesù e Vice-Cancelliere dell'Istituto e, per il suo tramite, a tutta la Compagnia che con tanto amore conduce l'Istituto Orientale. Grazie quindi al rettore, ai Docenti, al personale non docente. Un affettuoso, particolare saluto voglio infine far pervenire agli allievi, studenti e studentesse, cattolici ed ortodossi, che fanno di questa Istituzione una comunità di vita e di pensiero e pongono i presupposti per un futuro che vedrà sempre più intimamente uniti cristiani di Oriente e d'Occidente, al servizio della Verità che salva.


3. In questi settantacinque anni essi hanno percorso un lungo, appassionato cammino sulla strada della conoscenza reciproca e, in ascolto dello Spirito di comunione, hanno compiuto passi importanti verso l'Unico Maestro e Signore, che incessantemente li chiama all'unità, "perché il mondo creda" (Jn 17,21).

Questo Istituto ha contribuito non poco, mediante un approfondimento rigoroso e scientifico del patrimonio orientale, al cammino ecumenico. Nello stesso tempo, proprio il progredire dell'ecumenismo ha contribuito ad aggiornare e completare la prospettiva e la modalità di essere dell'Istituto.

Non va dimenticato, infatti, che un Istituto Pontificio non si accontenta di operare per l'approfondimento della conoscenza, ma costituisce uno strumento prezioso al servizio della Chiesa per indicare nuove mete e perseguirne, attraverso una approfondita formazione, l'effettivo raggiungimento.


4. Il Pontificio Istituto Orientale è dunque, all'interno della Chiesa Cattolica, un luogo ove si individuano nuovi orizzonti. Ma qual è il paesaggio disegnato dall'attuale geografia dell'ecumenismo? Che cosa si presenta alla sentinella chiamata, secondo la parola di Ezechiele (Cfr. Ez 33,1-9), ad ammonire il popolo? Si manifesta soprattutto una grande aspirazione all'unità.

Nell'economia della grazia, Dio ha distribuito e continua a distribuire i suoi molteplici doni, i carismi, "prout vult" (1Co 12,11), in modi vari e misure diverse. Questo Egli opera "per l'utilità comune" (IB 7), affinché tutti partecipino agli altri i propri doni e accolgano dagli altri i loro.

Tutti i doni, promanando da Cristo e dal Suo Spirito, hanno un legame intrinseco con l'unica Chiesa e ad essa tendono. Pertanto, nella misura in cui si è fedeli a tali doni, si contribuisce, in modo reale anche se non visibile, all'unità. Davanti ai doni presenti nelle altre Chiese la Chiesa cattolica non può quindi che rallegrarsi.

Non va dimenticato l'insegnamento del Concilio, che mette in evidenza come "alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall'uno che non dall'altro, cosicché si può dire allora che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi" (UR 17). Nel caso, pertanto, di divergenze teologiche, occorre domandarsi, tenendo conto sempre dell'autorità di una determinata dottrina o insegnamento del Magistero, se non si tratti semplicemente di accentuazioni diverse che possono e debbono accostarsi fra loro e comporsi insieme, integrandosi in un'armonia più alta.


5. Se la situazione ecumenica sembra talora segnare il passo, ciò è in parte dovuto al fatto che troppo spesso ci volgiamo al passato e troppo poco ci lasciamo condurre dallo Spirito ad immaginare nuove prospettive, con quella creatività che è propria dei Santi.

Il Decreto conciliare sulle Chiese Orientali Cattoliche, a riguardo delle prescrizioni giuridiche contenute nel testo, afferma che esse "sono stabilite per le presenti condizioni, fino a che la Chiesa cattolica e le Chiese orientali separate vengano nella pienezza della comunione" (OE 30). Essa è dunque ben cosciente della temporaneità delle prospettive e dei risultati raggiunti.

A far germogliare i semi di unità si deve dunque dedicare la Chiesa, in modo che, già mentre stabilisce una legge, senta in sé la speranza che essa sia superata da nuove acquisizioni, da speranze più esigenti, da fedeltà costose ma appassionanti, che forzino le nostre immobilità, perché sia finalmente possibile e realizzabile ciò che fino a ieri sembrava persino inimmaginabile.


6. E' questo il mandato che il Vescovo di Roma consegna oggi a voi, amati Fratelli del Pontificio Istituto Orientale. Voi dovete essere coloro che aiutano le Chiese a trarre dal loro deposito "cose vecchie e cose nuove" (Mt 13,52), ad indicare ciò che, nei preziosi forzieri delle diverse tradizioni, può far fiorire la Verità, che sia per il cristiano di oggi Via sicura verso una Vita in Cristo sempre più piena.

Perché ciò accada voi siete chiamati ad essere, senza discontinuità e senza contrapposizioni, ad un tempo ricercatori e formatori. Già per ogni credente infatti, la verità conduce per sua natura alla libertà (Cfr. Jn 8,32); infatti "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi" (Ga 5,1). Ciò è vero particolarmente oggi: mentre da ogni parte del mondo l'uomo invoca un senso profondo all'esistenza, la scienza teologica è chiamata a divenire sapienza e a fecondare la vita.

Ascoltate, dunque, le domande, gli interrogativi drammatici dell'uomo contemporaneo; metteteli a confronto con le antiche testimonianze dei Padri e dei Santi d'Oriente e d'Occidente: lo aiuterete così a scoprire che non solo le verità sono quelle di sempre, ma le stesse domande sono riconducibili, in forma diversa ma con impressionante continuità, alle domande di sempre, in Oriente come in Occidente.

Restituiteci la conoscenza di quei tesori ed aiutateci a sentirli nostri. Ma per fare questo dovrete conoscere sempre in profondità la santità di ieri e l'appello di oggi, perché anche l'oggi sappia far nascere il fiore della santità, nella terra della Chiesa, la stessa terra di sempre, resa più fertile dall'eredità delle generazioni. Voi ci aiuterete a sperimentare con maggior vigore il gusto della continuità. Mentre si pensa spesso di dover ricominciare da capo ogni giorno, voi, sulla scia gloriosa dell'Oriente ma anche delle mirabili ricchezze dell'Occidente, dovete ridare a tutti la fierezza di essere figli degli antichi Padri in Cristo e partecipi della loro eredità.


7. Operate perché i giovani che vi sono affidati divengano buoni formatori di quanti, nelle loro terre, attendono il loro ritorno nell'Europa Orientale che comincia oggi a intravvedere la speranza di ridare consistenza alle comunità credenti, perché sappiano rispondere alle attese sempre più pressanti dei loro popoli.

Noi offriamo questo servizio ai nostri Fratelli, i Patriarchi e i Vescovi delle Chiese Orientali: quelle che già sono in comunione piena con la Chiesa di Roma come quelle che sono in dialogo con noi in vista dell'unità; qui, a Roma, esiste una comunità di persone che cercano insieme, che sono educate a cercare Dio e ad invocarlo, per tutti i cristiani e per tutto il mondo. E lo cercano nelle Chiese Orientali: "in esse, infatti, poiché sono illustri per veneranda antichità, risplende la Tradizione che deriva dagli Apostoli attraverso i Padri e che costituisce parte del patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa universale" (OE 1).

Quanti verranno inviati saranno i benvenuti: cattolici, sia latini che orientali, e ortodossi, e altri fratelli cristiani, troveranno nello studio, nella vita comune, nella conoscenza reciproca, sempre nuove occasioni per stimarsi ed amarsi e trasfonderanno poi tale esperienza nelle loro Chiese.


8. Carissimi Docenti, insegnate a questi giovani il gusto per la circolarità, per la globalità della fede e della teologia: la ricerca puntuale sia scuola di metodo per meglio comprendere l'universalità della fede, e il suo riassumersi nell'unica Persona di Cristo, vero Dio e vero Uomo, Figlio del Padre. Lo Spirito Santo condurrà così ciascuno alla comunione della Trinità Santissima, togliendolo dalla frammentarietà di tanti problemi particolari, nei quali può rischiare di isterilirsi.

Fate in modo che lo studente, nel periodo della sua permanenza nel vostro Istituto, acquisisca una conoscenza articolata dell'Oriente cristiano nella sua completezza: se ciò sarà utile ai Latini, lo sarà in particolare agli Orientali, che acquisteranno in tal modo gli strumenti per apprezzare le Tradizioni delle diverse Chiese che compongono il mosaico variegato dell'Oriente cristiano. Ciò può richiedere un maggior ricorso al lavoro interdisciplinare e ad un'attività comune tra Docenti: non esitate ad intraprenderli per il pieno frutto dei vostri sforzi a vantaggio dei vostri allievi. Fate in modo che la liturgia interpelli i Padri, i Padri aiutino a rileggere la Scrittura Santa, e la teologia sia la sintesi contemplativa di questa "Vita in Cristo", strettamente congiunta, ed anzi unica esperienza, con la spiritualità, secondo il felice modello che fu comune ad Oriente ed Occidente.


9. Quando Benedetto XV prescriveva che nel Pontificio Istituto Orientale "doctrine catholicae simul et orthodoxae una pariter procedat expositio" (Motu Proprio "Orientis Catholici", cit., p. 530), indicava la strada preziosa di un insegnamento che, arricchito oggi da nuove prospettive e nuovi metodi, non mancherà di portare allo scambio dei doni fra le Chiese di Cristo.

Invocando la benedizione di Dio su questo caro Istituto Orientale, sono lieto di salutare in voi una fucina di incontri e di speranze, piccola espressione di una già più intensa comunione fra cristiani che non mancherà di estendersi e di penetrare le Chiese, per la maggior gloria di Dio e per il bene degli uomini.

[Al termine del discorso, Giovanni Paolo II ha pronunciato le parole che pubblichiamo di seguito:] Dovrei aggiungere che anche io sono un po' un discepolo nascosto, clandestino, di questo Istituto, almeno di alcuni professori di questo Istituto che mi aiutano a leggere e analizzare i testi dei grandi scrittori orientali, greci e russi. Come ho detto, sono un discepolo, uno studente clandestino, come la Chiesa di Oriente era per tanto tempo clandestina. E io conoscevo la clandestinità di quella Chiesa anche nella mia personale esperienza. Mi ricordo come a Cracovia non si poteva neanche scrivere sull'esistenza della Chiesa greco cattolica, diciamo della Chiesa greco cattolica ucraina. I fedeli c'erano, io ho visitato questi fedeli, ma non si poteva dire in pubblico che il Papa c'era stato, che il Papa ha parlato, che questa Chiesa esiste.

Adesso questa clandestinità è finita e possiamo parlare un po' ad alta voce. Ma si parlava sempre ad alta voce perché la clandestinità parlava con una voce più alta di tutte le voci senza clandestinità. Penso che forse la voce del Papa, benché non clandestina, era uguale. Grazie a Dio.

E devo dire che sono anche un discepolo non tanto impreparato, perché non ascolto solamente, ascolto si, ma soprattutto pongo le domande e molto acute.

C'è ancora qualche regalo, qualche dono per il vostro Istituto. Questo dono, un'icona, ha per me un valore molto significativo, perché mi è stato offerto nell'inaugurazione del Pontificato dal Rappresentante del Patriarcato di Mosca.

Era il Metropolita Juvenalj. In questo momento, difficile, tragico, il dono è tanto più significativo. Che sia adesso di proprietà del vostro Istituto e sia accessibile a tutti. Doveva rimanere un po' nascosto, come la Chiesa nascosta, clandestina, nella mia casa, ma è meglio che sia qui, in pubblico. E in quanto l'Istituto è Pontificio, anche questa icona non va fuori dall'ambiente pontificio, rimane a casa.

Ancora si deve ammirare come era lungimirante Papa Benedetto XV durante la prima guerra mondiale.

Data: 1993-12-12 Data estesa: Domenica 12 Dicembre 1993

Durante l'incontro con i docenti nella sala della biblioteca del Pontificio Istituto Orientale - Roma


Titolo: "La Chiesa di Cristo fra l'Oriente e l'Occidente non può essere che una e unita"

La parola del Rettore Magnifico vale molto e lui mi diceva che questa visita al Pontificio Istituto Orientale vale una visita in una parrocchia di Roma, anzi di più. Io lo accetto, come fatica posso dire di si, ma è fatica che ci dà sollievo, ci alza la testa e alza il cuore.

Poi ho sentito che ha parlato molto dell'Oriente, piuttosto dell'Oriente europeo che non dell'Oriente medio-orientale: il Libano e altri Paesi di cui vi sono qui tanti rappresentanti. Questi sono un po' la patria di tutti noi. Non possiamo dimenticare che noi veniamo dal vicino Oriente.

E se Pietro è fuggito da Gerusalemme, attraverso Antiochia, fino a Roma, colpa sua. Possiamo dire che era lui che ha creato il problema tra la Chiesa orientale e la Chiesa occidentale. Un po' creato, ma "felix culpa", come si dice, "beatum scelus". Grazie a lui e grazie a tutti i nostri fratelli in Oriente che mantenendo la stessa fede ci portano la speranza, speranza cristiana, di essere uniti. Perché siamo uniti. E' stupidità dire che noi siamo separati, fratelli separati. E' vero si, se si sguarda anche le vesti: un po' separati, un po' divisi, un po' differenti. Differenti si. Ma io confesso quella fede cristiana che è stata anche di Soloviev; non posso accettare che la Chiesa sia divisa. E' una la Chiesa di Cristo. Se ci sono divisioni, è un'altra cosa, si devono superare, ma la Chiesa è una, la Chiesa di Cristo fra l'Oriente e l'Occidente non può essere che una, una e unita.

Lo dico come conclusione prima di andare a quest'altro Istituto e auguro buona continuazione. E direi coraggio, coraggio. Vi auguro un grande coraggio, al vostro Rettore, a tutti i professori, a tutti gli studenti e poi alla fine anche al povero Papa.

Data: 1993-12-12 Data estesa: Domenica 12 Dicembre 1993

Agli universitari romani in preparazione al Natale, nella Basilica Vaticana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Voi giovani appartenete già al terzo Millennio

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Nell'odierna liturgia di Avvento ritorna l'immagine della vigna del Signore.

"Va... a lavorare nella vigna" (Mt 21,28): dei due figli uno dice subito "vado", ma poi non va, l'altro, che non vorrebbe andare, più tardi, pentito, obbedisce. In una altra parabola, viene indirizzato lo stesso invito a quanti sono chiamati al lavoro nelle diverse ore del giorno.

Tuttavia, è solamente nel dialogo con gli Apostoli, alla vigilia della sua Passione, che Cristo renderà chiaro il pieno significato dell'immagine della vigna: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto" (Jn 15,1-2). Anche se pronunciata in prossimità degli avvenimenti pasquali, la parabola possiede un profondo senso di Avvento.


2. E' vero, la liturgia dell'Avvento richiama piuttosto i falsi sentieri, il deserto, la terra arida che diventa feconda grazie alla "rugiada salvifica" (Cfr. Is 45,8). A ciò si riferiscono i testi tratti dal profeta Isaia ed anche, in un certo modo, la prima lettura di oggi, tratta dal libro di Sofonia.

Tuttavia, attraverso l'austero clima dell'Avvento e del deserto, nel quale si svolge il ministero di Giovanni il Battista, si va facendo spazio la vigna, anzi la vite che è Cristo. Il Figlio di Dio viene al mondo per diventare la vite e costituire in noi l'inizio della nuova vita. E' lui che aspettiamo e vogliamo accogliere nella notte di Natale come "la luce (...) che illumina ogni uomo" (Jn 1,9), e come "la vita" da Lui portata in abbondanza (Cfr. Jn 10,10).

Questo abbiamo meditato durante l'incontro di Denver.

"Guardate a Lui - grida il Salmista - e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti" (Ps 33/34,6). Aspettiamo dunque la notte di Natale quando, guardando a Lui, i nostri volti saranno "raggianti" per il grande Mistero.

Ci avvicineremo alla grotta di Betlemme per incontrare l'Emanuele, il Dio con noi, venuto a dare la vita per i propri amici (Cfr. Jn 15,13).


3. Nella gioia del Natale si intravede la vittoria della vita sulla morte nella risurrezione; si intravede la luce del Tabor, quando il Figlio di Dio si trasfigurerà davanti agli occhi dei discepoli e il suo volto brillerà di sovrumano fulgore (Cfr. Mt 17,2). Egli è la luce che il mondo non ha accolto (Cfr. Jn 1,5), lo splendore che disperde le tenebre della notte in cui si trova immersa l'esistenza degli uomini sulla terra. così abbiamo anche un riferimento chiaro alla Veritatis Splendor di cui hanno parlato i vostri colleghi all'inizio.

Questa luce, questo splendore della Verità, è venuta a noi, è diventata cuore dei nostri cuori. Non è solo raggio che "illumina ogni uomo" che viene a questo mondo, ma è anche luce che trasforma la vita umana. Noi siamo chiamati a camminare in essa e ad alimentarci ad essa, poiché è diventata nostro cibo sotto le specie del pane e del vino. Cristo Eucaristia è la vite che dà a noi la vita (Cfr. Jn 15,1).


4. Il Sacramento della Riconciliazione, assicurando il collegamento con Cristo-vite, fa si che i tralci portino sempre frutti abbondanti. Dice Gesù al riguardo: "Come il tralcio non può far frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me (...) Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (Jn 15,4-5).

Qui batte il cuore dell'Avvento. A questo chiama Giovanni Battista, la cui voce risuona nel deserto invitando a raddrizzare i sentieri tortuosi, ad appianare i colli e a colmare le valli. Viene a noi Colui che desidera innestare la sua grazia nella nostra esistenza per nobilitarla e santificarla. Ecco, Colui che aspettiamo durante tutta la vita ed in ogni Avvento sta di fronte a noi.


5. Carissimi fratelli e sorelle! Mi ritorna alla mente in proposito, l'incontro di Denver, negli Stati Uniti, dove si è tenuta la recente Giornata Mondiale della Gioventù, che aveva come tema la parola di Cristo: "Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10). L'affermazione ha uno stretto collegamento con la parabola sulla vite e sui tralci.

Nel suo insieme Denver è stata una grande sorpresa offerta dalla gioventù alla società, soprattutto alla società americana. E' stato notato che in quei giorni la gente si è spontaneamente comportata in modo eccezionalmente gentile, non si sono verificati episodi di violenza o di aggressività, cosa che oggi accade assai spesso. Non ci sono stati abusi.

Denver è stata una viva immagine della vigna che il Padre celeste coltiva, innestando nelle anime la nuova vita per mezzo di suo Figlio. E' stato un importante appuntamento di discepoli di Cristo, pervasi dalla gioia di stare insieme: non vi erano soltanto giovani del continente americano, ma ragazzi e ragazze provenienti da ogni parte del mondo, non solo dall'America del Nord, dall'America Latina e dall'Europa, ma anche dall'Asia. Vi erano giovani provenienti anche dal Kazakistan e da Novosibirsk. Tutti erano pervasi dalla gioia di sentire presente Cristo, vera vite che dà in abbondanza una vita nuova, aperta su prospettive per cui vale veramente la pena di vivere. Questa Giornata a Denver ha costituito per tutti noi la conferma che la vita è diventata per tutti degna di essere vissuta. E' stata una grande affermazione della vita. Quei giovani portavano quella gioia forti del SI che è Cristo, e con questa forza potevano anche dire NO con determinazione e coraggio a questa civiltà moderna che spesso, non sempre e da per tutto, è civiltà dell'edonismo, dell'ipocrisia e della violenza, potevano dire NO alla "civiltà della morte" e lo facevano con grande forza, ma senza violenza.


6. L'incontro di Denver ha messo in luce una gioventù in grado di "sorprendere" il mondo per la ricchezza dei suoi valori, per il coraggio di vivere e per la sua testimonianza di pace e di solidarietà. Chi ha fatto tutto questo? A chi dobbiamo questa grande trasformazione? Certamente la dobbiamo a Cristo, ma allo stesso tempo di tale rinnovamento gli artefici sono innanzitutto gli stessi giovani, i movimenti, i gruppi, le comunità, in cui si va realizzando "la divina coltivazione" grazie all'azione dello Spirito Santo, che nel cuore di ciascuno grida: "Abba, Padre!".

Due anni fa ebbi modo di porre in rilievo tutto ciò nell'appuntamento a Jasna Gora, in Polonia. Come non riconoscere, pertanto, che attraverso il mondo avanza il vento misterioso, che ha cominciato a soffiare nel cenacolo di Gerusalemme e prima ancora a Betlemme? Nel mondo è presente la civiltà dell'amore, la quale non si lascia dominare da nessuna "anti-civiltà".

I giovani allora avanzano verso il futuro con la forza della loro fresca energia e lo sguardo fisso su Cristo. I loro volti sono "raggianti", i loro volti "non sono confusi" e la "vergogna di essere uomo", instillata purtroppo da diversi "maestri del sospetto" della nostra epoca, cede il campo alla luce che è Cristo.

La falsità emergente non di rado anche nei mass-media cede il campo alla verità! I fallaci sentieri dell'esistenza si tramutano in vie maestre convergenti in Cristo, "via, verità e vita" (Cfr. Jn 14,6).

Mi è caro partecipare alcune riflessioni sull'esperienza di Denver in questa Basilica di San Pietro in Roma, perché qui si è tenuto il primo incontro mondiale della gioventù, e da qui si è diffusa nel mondo la potente onda della nuova evangelizzazione dei giovani. Il prossimo raduno mondiale della gioventù, come è noto, avrà luogo a Manila nelle Filippine, nel gennaio del 1995. Ricordo tutto questo non solo per guardare indietro, ma per annunciare una Buona Novella.

Mentre ricordo tutto questo, guardo a voi, carissimi professori e studenti degli atenei della Città Eterna, e tutti vi saluto cordialmente. Saluto voi cappellani.

Ho saputo dalla vostra testimonianza che la struttura delle cappellanie universitarie di Roma si è molto sviluppata. Di questo vorrei ringraziare il Vicario di Roma e tutto il Vicariato, soprattutto gli agenti di questa pastorale, come anche tutti i collaboratori laici. Chiedo al Signore di infondere in ciascuno una rinnovata fierezza della propria identità cristiana. Il Vangelo è la Buona Novella la cui forza non si esaurisce in nessuna generazione, ma sempre tutto fa rinascere e tutto rinnova. Siamo tutti tanto grati ai Rettori delle Università italiane che hanno voluto essere con noi stasera e che io ringrazio personalmente.


7. Il profeta Sofonia dice: "In quel giorno non avrai vergogna di tutti i misfatti commessi contro di me, perché allora eliminero da te tutti i superbi millantatori... Faro restare in mezzo a te un popolo umile e povero; confiderà nel nome del Signore" (So 3,11-12). Il profeta parla qui di una grande trasformazione che si compirà nei tempi messianici. In Cristo Dio stipulerà la Nuova Alleanza con l'umanità, alleanza di fede, di speranza e di amore. Grazie alla fedeltà ad essa, l'uomo riconquisterà la libertà interiore. Tutte le colpe di idolatria commesse nel passato saranno rigettate e regnerà finalmente la fedeltà a Colui che ha stretto questo patto con l'uomo. La vita sarà rinnovata, e ispirerà una nuova civiltà, in cui sarà trasformata ogni sfera dell'esistenza umana: dalla famiglia alla politica, dall'economia ai rapporti internazionali. Cristo, infatti, dice: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,5). Queste parole vorrei fossero riferite anche alle preoccupazioni della società italiana, un po' sconvolta negli ultimi mesi da fatti preoccupanti. Sono timori condivisi anche da voi universitari di Roma e di tutta l'Italia. Ma non dobbiamo perdere la speranza. Certamente, il popolo italiano, con le sue grandi ricchezze, è pronto, è abbastanza forte per superare queste situazioni preoccupanti, per creare un futuro migliore per la sua gente, per le sue comunità, per i suoi giovani. Per creare un futuro degno del suo grande passato.

A duemila anni dalla venuta di Cristo, noi siamo testimoni dei grandi passi compiuti dall'umanità verso la "novità" cristiana. Sappiamo pero anche che molta strada resta ancora da percorrere. E' una consapevolezza che chiama in causa la responsabilità di ciascuno. E voi giovani dovete pensare che appartenete già al terzo Millennio. Noi più anziani dobbiamo lentamente scomparire, lasciando nelle vostre mani le grandi responsabilità dell'umanità intera, dell'Europa, dell'Italia e di tutti i Paesi del mondo. Per questo è così importante avere questi incontri mondiali con la gioventù ogni due anni. Speriamo che la Provvidenza ci permetta di continuare in questo senso.


8. Carissimi fratelli e sorelle! Celebreremo nel 1994 l'Anno della Famiglia.

L'iniziativa viene dall'Organizzazione delle Nazioni Unite; la Chiesa la assume e la introduce nel ciclo della preparazione al grande Giubileo del 2000. Come l'Anno della Redenzione e l'Anno Mariano, anche il prossimo sarà una specie di "Anno Santo" in preparazione al grande traguardo del Terzo Millennio Cristiano.

L'Anno della Famiglia sarà inaugurato a Nazaret il 26 dicembre, Festa della Santa Famiglia, con una solenne celebrazione eucaristica presieduta dal Legato Pontificio.

Ci può essere per l'uomo tema più interessante della famiglia, intesa quale ambiente dell'amore, e "grande sacramento" secondo quanto Paolo scrive nella Lettera agli Efesini (Cfr. 5,32)? E' difficile, inoltre, trovare un argomento più adatto per l'Avvento e più legato al Natale.

Penso alle famiglie qui presenti, specie a quelle più giovani ed auguro a tutte, che, grazie al tempo benedetto dell'Avvento e del Natale, possano avvicinarsi al grande Mistero dell'amore divino rivelatosi nella storia e rimasto presente tra noi anche sotto la figura della Santa Famiglia.


9. Il pensiero va naturalmente a San Giuseppe, il primo uomo a cui Dio abbia affidato il grande mistero dell'Incarnazione. Questo mistero è invito e sfida che, nella notte di Betlemme, tocca ogni uomo ed ogni donna, le famiglie e, attraverso di esse, le società e le nazioni.

"Guardate a lui e sarete raggianti" (Ps 33/34,6). Si legge la gioia del grande Mistero sul volto di Maria, diventata la Madre del Dio Incarnato; la si legge anche sul volto di Giuseppe suo sposo. Gioia perché è nato un uomo: il Figlio di Dio. Nato, per noi affinché in Lui diventassimo figli di Dio (Cfr. Jn 1,12).

"Alma Redemptoris Mater", canta la Chiesa durante il tempo di Avvento.

"O Santa Madre del Redentore, porta dei cieli, stella del mare, soccorri il tuo popolo che anela a risorgere. Tu che accogliendo il saluto dell'angelo, nello stupore di tutto il creato, hai generato il tuo Creatore, Madre sempre vergine, pietà di noi peccatori". La Chiesa contempla la maternità verginale di Maria ed affida al suo cuore materno il "popolo che anela a risorgere"; affida a Lei le minacce che fanno parte delle vicende umane, delle famiglie e della società.

"Soccorri il tuo popolo", grida la Chiesa. L'umanità non vuole perdersi; vuole anzi risorgere! Ma per potersi rialzare deve mettere in movimento ogni risorsa; soprattutto deve appoggiarsi alla potenza sovrumana che viene a lei nella persona di Gesù Cristo, il Salvatore del mondo, Redentore dell'uomo.

Data: 1993-12-14 Data estesa: Martedi 14 Dicembre 1993



Visita "ad limina" dei Vescovi della Nigeria - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nella comunità cristiana non c'è posto per l'antagonismo etnico

Cari fratelli Vescovi,


1. E' una grande gioia per me darvi il benvenuto, membri della Conferenza dei Vescovi Cattolici della Nigeria, qui a Roma in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum. Ho atteso il nostro incontro come un'occasione per celebrare e rafforzare i vincoli della nostra comunione fraterna e ecclesiale. Rivolgo un particolare benvenuto a quelli tra voi che stanno compiendo la loro prima visita quinquennale e mi congratulo in particolare con i vescovi Obinna e O' Donnel, che sono stati ordinati soltanto recentemente. La costituzione di cinque nuove diocesi e di due missioni sui iuris dalla vostra ultima visita ad limina indica chiaramente che Cristo sta edificando la sua Chiesa nella vostra nazione. Per questo lodiamo e benediciamo il suo santo nome.

Un evento significativo nella vita della Chiesa in Nigeria è stato il Congresso Eucaristico Nazionale dello scorso anno. Questo importante incontro, dedicato al tema "L'Eucaristia e l'Evangelizzazione", ha offerto l'opportunità di confermare e accrescere quell'amore e quella devozione per il Divino Sacramento che costituiscono una caratteristica così saliente dei cattolici nigeriani. La vita divina che Cristo infonde nella sua Chiesa nell'Eucaristia è troppo grande per essere contenuta. Essa deve essere offerta con amorevole sollecitudine a tutto il mondo.


2. Come hanno detto i Padri del Concilio Vaticano II con eloquente semplicità, la Chiesa "per sua natura è missionaria" (AGD 2). Questa qualità essenziale deve risplendere con chiara luminosità in ognuna della Chiese particolari, perché, per mezzo di un peculiare rapporto di reciproca interiorità, la Chiesa universale è presente in ognuna di esse con tutti i suoi elementi essenziali (Cfr. Communionis Noto, nn. 7-9). Nelle Chiese particolari in Nigeria la memoria della prima evangelizzazione è ancora viva e vi stimola a continuare quel lavoro con lo stesso impegno. In alcune regioni soltanto un piccolo numero di persone ha conosciuto e accettato l'amore misericordioso del Salvatore mentre in altri luoghi la Chiesa si è saldamente radicata in tempo notevolmente breve e ha già prodotto una meravigliosa abbondanza di frutti, non ultime le numerose vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. Questa prova sorprendente della potenza di Dio che opera in mezzo a voi, dovrebbe incoraggiare voi e i fedeli a non risparmiare alcuno sforzo per la diffusione della luce del Vangelo, cosicché quanto Cristo ha una volta realizzato per la salvezza di tutti possa nel corso del tempo sortire il suo effetto fra tutti i popoli (Cfr. AGD 3). Come potremmo non provare profonda gratitudine dinanzi al fatto che la Chiesa in Nigeria è già impegnata nell'attività missionaria attraverso l'opera di molti sacerdoti, religiosi e diocesani, e di numerosi Fratelli e Sorelle in tutte le parti del vostro Paese e in altri Paesi dell'Africa e altrove? In particolare, ringraziamo Dio per il contributo positivo della Società Missionaria di San Paolo, promossa dalla vostra Conferenza.

Mostrare fervido zelo per la diffusione della Parola di Dio significa rimanere saldamente fedeli all'eredità trasmessa dai quei coraggiosi missionari che per primi portarono la Buona Novella in Nigeria. Anche oggi esistono molte donne e molti uomini generosi, provenienti dall'estero, che hanno lasciato la propria casa e la propria famiglia per servire il Vangelo nel vostro Paese. In vista del servizio incomparabile che essi renderanno al popolo nigeriano, auspichiamo che i vostri sforzi volti a rimuovere gli ostacoli legali per il loro soggiorno vengano presto coronati dal successo.


3. Il primo annuncio del Vangelo, che, attraverso l'azione delicata dello Spirito Santo nei cuori di coloro che ascoltano, conduce alla conversione e al Battesimo, si completa e si perfeziona nella catechesi. La fede diviene più matura, poiché i discepoli di Cristo vengono educati e formati a una conoscenza efficace e sistematica della sua persona e del suo messaggio (Cfr. Catechesi Tradendae, CTR 19). La popolarità dello studio della Bibbia in così tante parrocchie e comunità testimonia la grande sete che i fedeli hanno della Parola di Dio. Questo contatto diretto con il testo sacro stesso, accompagnato da preghiere devote (Cfr. DV 25) e sostenuto dalla chiara esposizione della dottrina offerta dal Catechismo della Chiesa Cattolica, garantirà che i membri della Chiesa saranno saldi della propria fede e preparati a soddisfare le sue esigenze in tutte le circostanze della loro vita e attività.

Inoltre, poichè sono confermati nella verità rivelata, i fedeli saranno in grado di rispondere alle obiezioni sollevate sempre più spesso dai seguaci di sétte e di nuovi movimenti religiosi. La catechesi è particolarmente importante per i giovani, per i quali una fede chiara è un lume per guidarli nel loro cammino verso il futuro. Essa sarà la loro sorgente di forza quando affronteranno le incertezze della situazione politica e economica che si sta evolvendo ora in Africa. Una sottomissione ferma e umile alla Parola di Cristo, così come annunciata in modo autentico dalla Chiesa, forma inoltre la base per i vostri rapporti con altre Chiese e comunità ecclesiali, e per il dialogo che desiderate instaurare con i seguaci dell'Islam e della religione tradizionale africana.

Attraverso lo studio costante di tutto ciò che vi è di buono, vero e nobile nelle vostre culture popolari, vi apparirà sempre più chiaro il modo in cui l'evangelizzazione potrà radicarsi più profondamente fra di esse.


4. In questo momento cruciale della storia della Nigeria, è di importanza vitale che i cattolici continuino a operare con saggezza e coraggio per il bene comune.

In particolare, dovrebbero mostrare, con l'amore e il rispetto reciproci che l'antagonismo etnico e lo spirito di clan non trovano posto nella comunità cristiana. Sostenuti da voi, i loro Pastori, i fedeli saranno in grado di testimoniare la dignità e il valore trascendenti di ogni persona umana, e il diritto di ognuno di prendere parte a tutti gli aspetti della vita nazionale.

Questi valori fondamentali, e le immutabili e universali norme morali che servono a tutelarli e a proteggerli, "rappresentano", come ho sottolineato nell'Enciclica Veritatis splendor "il fondameno incrollabile e la solida garanzia di una giusta e pacifica convivenza umana, e quindi di una vera democrazia" (n. 96).

Questa è la legge morale che avete proclamato nei vostri recenti appelli per il rispetto della libertà religiosa di tutti i nigeriani, per la fine della corruzione nella gestione della cosa pubblica, e per l'osservanza delle sane norme etiche nella trasmissione della vita umana. La vostra Conferenza Episcopale ha ottenuto il rispetto di molti dei vostri concittadini poiché ha applicato con decisione l'insegnamento morale e sociale della Chiesa alla situazione attuale. Di fronte a fatti che si sono svolti all'inizio di questo anno, avete riconfermato che il rispetto per la volontà del popolo e per l'amore della nazione, l'onestà e la giustizia, devono essere le basi per le decisioni circa il futuro del Paese.

Più darete prova di unità nell'ambito della vostra Conferenza, più costruirete l'unità nella Chiesa e otterrete credibilità come testimoni di Cristo e maestri della dottrina cattolica nel vostro grande Paese. Allo stesso modo, la creazione dell'unità supera i vostri confini nazionali. L'Istituto Cattolico dell'Africa Occidentale, ad esempio, offrendo una solida formazione e promuovendo la riflessione teologica, dovrebbe accellerare una più profonda comunione ecclesiale e una maggiore cooperazione pastorale nell'Africa occidentale anglofona.

Data: 1993-12-18 Data estesa: Sabato 18 Dicembre 1993


GPII 1993 Insegnamenti - Visita pastorale: il discorso alla comunità del Pontificio Istituto Orientale - Roma