GPII 1993 Insegnamenti - L'omelia durante la Messa "in nocte sancta" celebrata nella Basilica Vaticana - Città del Vaticano (Roma)

L'omelia durante la Messa "in nocte sancta" celebrata nella Basilica Vaticana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Luce è venuta per illuminare i cammini confusi




1. "Una luce rifulse" (Is 9,1).

Quale luce rifulse nella notte su Betlemme di Giuda? Ne videro forse tutti il bagliore? Quanto lontano arrivo? "C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presento davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce" (Lc 2,8-9).

La luce brillo dunque negli occhi e nei cuori di quei pastori: luce insolita e per questo essi "furono presi da grande spavento" (Lc 2,9). E come non spaventarsi, nella notte profonda? Quella luce annunzia il nuovo inizio.

L'angelo dice: "Ecco, vi annunzio una grande gioia... oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore" (Lc 2,10-11). Betlemme di Giuda è la città di Davide, situata nei pressi di Gerusalemme, ed indicata dai profeti come terra che avrebbe accolto la venuta del Messia nel mondo. E' Cristo la luce vera entrata nel mondo (Cfr. Jn 1,9), che "splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta" (Jn 1,5). Solo gli occhi illuminati dalla fede possono in effetti "vederla".

Furono i pastori, semplici e poveri in spirito, i primi fortunati testimoni della nascita del Salvatore.

Perché essi e non altri abitanti di Betlemme? Perché non tutto Israele, popolo che Dio si è scelto? Nel Vangelo di Giovanni troviamo la risposta: "La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce" (Jn 3,19).

Ci si può allora meravigliare? Ci si può meravigliare se gli uomini non hanno visto la luce: Jahvè, Dio ha chiamato l'intero popolo per preannunciare la venuta del Messia, ma nella notte della sua venuta ha scelto soltanto alcuni ad esserne testimoni: i pastori di Betlemme.


2. Eccoci, carissimi fratelli e sorelle, in questa Basilica di San Pietro. Tra noi ci sono abitanti di questa Città e pellegrini, venuti da Paesi diversi. Roma è sempre stata una Città cosmopolita. Un tempo era la capitale di un grande Impero, oggi è un moderno centro di civiltà a cui approdano persone dalle più svariate regioni del mondo. Alcuni conoscono già Cristo, altri non lo hanno ancora incontrato. In questa notte di Natale, è come se qui si dessero appuntamento tutti.

La liturgia che celebriamo si compie contemporaneamente nel luogo stesso della nascita del Messia. In spirito, quindi, siamo presenti a Betlemme di Giuda, in quella terra che Dio ha scelta come luogo della nascita del suo Figlio: la Terra Santa, terra del divino Avvento. Dopo la lunga preparazione, è giunta finalmente "la pienezza del tempo" (Ga 4,4), e Dio si fa incontro all'uomo nel suo stesso Figlio.

E' Natale! Riuniti in questo luogo santo, presso la tomba dell'Apostolo, ci sentiamo in comunione con tutti coloro che, in tanti angoli del globo, partecipano alla stessa liturgia. E' come se questo "luogo" si estendesse in tutto il mondo e coloro che sono qui radunati rappresentassero, in qualche modo, le nazioni e i popoli di ogni continente. A tutti l'angelo reca una lieta notizia: "Vi è nato... un Salvatore, che è il Cristo Signore... vi annunzio una grande gioia che sarà di tutto il popolo" (Lc 2,11 Lc 2,10). Cristo è nato per ogni uomo. Lo ricorda appunto il Concilio quando afferma che venendo nel mondo "il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo" (GS 22). Per tutti! Egli è nato per salvare tutti, in ogni epoca della storia.

Il profeta narra del popolo che camminava nelle tenebre e che vide una grande luce. Racconta di coloro che abitavano in una terra tenebrosa su cui rifulse una luce (Cfr. Is 9,1). Isaia parla proprio di noi! I testi liturgici dell'Avvento hanno spesso descritto la notte e il deserto. Hanno annunciato la rugiada che deve rendere fecondo questo deserto. Ed ecco la liturgia di questa Notte santa invitare alla gioia l'intero creato. "Esultino i campi e quanto contengono; si rallegrino gli alberi della foresta... Gioiscano i cieli, esulti la terra, frema il mare e quanto racchiude" (Ps 95/96,12.11). Ecco, viene Colui che è "generato prima di ogni creatura" (Col 1,15).


3. Gesù Cristo è il Signore della storia. Alla sua nascita, Egli si fa registrare secondo l'editto di Cesare Augusto. Maria e Giuseppe si recano da Nazareth a Betlemme, città di Davide, proprio per questa ragione, perché ambedue erano della stirpe e della casa di Davide. Colui che nasce questa notte a Betlemme si inserisce pienamente nella storia dell'uomo. E se, da un lato Egli ne è il Signore, dall'altro, e nello stesso tempo, il suo venire incontro ai suoi non ha nulla a che fare con la dominazione. Già si vede, proprio in questo momento, quanto "umilio se stesso... assumendo la condizione di servo" (Ph 2,7-8). Già si vede in questa notte come questa umiliazione costituisca l'inizio della sua passione e della sua morte in croce. Egli viene per "dare se stesso" (Ga 1,4).

Così, nella storia dell'uomo si innesta la storia della salvezza. La grande luce che rifulse agli occhi dei pastori di Betlemme parla oggi di salvezza a coloro che sono pronti ad accoglierla con cuore semplice e umile.


4. Da dove viene la luce che rifulse a Betlemme e che videro quei poveri pastori? Essa viene dal cielo. Lo splendore, che si spande sul firmamento, ha origine da Colui che dirà di se stesso: "Io sono la luce del mondo" (Jn 8,12), venuta per illuminare i cammini confusi dell'uomo sulla terra. Ha origine da Colui che risusciterà il terzo giorno, per testimoniare fino alla fine che Egli è il sole di giustizia atto ad illuminare ogni uomo che viene nel mondo. Egli è la luce! Sul Monte Tabor il suo volto diventerà chiaro come il giorno, rivelando la luce della vita divina presente in Lui. Nella Notte di Natale, quella luce la videro soltanto i pastori e senza indugio andarono alla fonte da cui essa proveniva.

Carissimi fratelli e sorelle qui presenti e voi che siete a noi spiritualmente uniti in qualsiasi angolo della terra, domandiamo al Signore di avere parte a questa luce. Il Santo Natale sia per tutti un nuovo inizio.

"Gioiscano i cieli, esulti la terra", ma soprattutto si rallegri l'uomo! Il Santo Natale è la festa dell'uomo, da Dio chiamato a divenire, nel suo Figlio Eterno, figlio lui stesso di Dio e a incontrare così la salvezza. Dio vuole che sui popoli di tutti i continenti risplenda la luce e che l'umanità tutt'intera gioisca dello "splendore della verità" (Veritatis Splendor). Che cosa Dio può desiderare di più per l'uomo? "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14).

Data: 1993-12-26 Data estesa: Domenica 26 Dicembre 1993

Messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni fissata per domenica 24 aprile - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Famiglia, educazione e vocazione sacerdotale e religiosa

Ai venerati fratelli nell'Episcopato ed ai carissimi fedeli di tutto il mondo La celebrazione della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni coincide, quest'anno, con un importante avvenimento ecclesiale: l'inaugurazione del "Primo Congresso Continentale Latino-Americano sulla cura pastorale in favore delle vocazioni di speciale consacrazione nel Continente della Speranza". Tale Assemblea si propone di svolgere un approfondito lavoro di verifica, di animazione e di promozione vocazionale. Mentre esprimo vivo apprezzamento per questa iniziativa pastorale, rivolta al bene spirituale non solo dell'America Latina, ma della Chiesa intera, invito tutti a sostenerla con preghiera unanime e fiduciosa.

La Giornata Mondiale si inserisce, inoltre, nell'Anno Internazionale della Famiglia. Ciò offre l'opportunità di richiamare l'attenzione sullo stretto rapporto che intercorre tra famiglia, educazione e vocazione e, in particolare, tra famiglia e vocazione sacerdotale e religiosa.

Nel rivolgermi alle famiglie cristiane, desidero pertanto confermarle nella loro missione di educare le giovani generazioni, speranza e futuro della società e della Chiesa.


1. "Questo mistero è grande" (Ep 5,32).

Nonostante i profondi mutamenti storici, la famiglia resta la più completa e più ricca scuola di umanità, nella quale si vive l'esperienza più significativa dell'amore gratuito, della fedeltà, del rispetto reciproco e della difesa della vita. Suo compito peculiare è quello di custodire e trasmettere, mediante l'educazione dei figli, virtù e valori, in modo da edificare e promuovere il bene dei singoli e della comunità.

Questa medesima responsabilità coinvolge, a maggior ragione, la famiglia cristiana per il fatto che i suoi membri, già consacrati e santificati in virtù del Battesimo, sono chiamati ad una particolare vocazione apostolica dal sacramento del Matrimonio (Cfr. FC 52,54).

La famiglia, nella misura in cui prende coscienza di questa sua singolare vocazione e vi corrisponde, diventa una comunità di santificazione nella quale s'impara a vivere la mitezza, la giustizia, la misericordia, la castità, la pace, la purezza del cuore (Cfr. Ep 4,1-4 FC 21); diventa, in altre parole, ciò che Giovanni Crisostomo chiama "chiesa domestica", cioè luogo in cui Gesù Cristo vive ed opera per la salvezza degli uomini e per la crescita del Regno di Dio. I suoi membri, chiamati alla fede e alla vita eterna, sono "partecipi della natura divina" (2P 1,4), si alimentano alla mensa della Parola di Dio e dei Sacramenti e si esprimono in quel modo evangelico di pensare e di agire che li apre alla vita della santità sulla terra e della felicità eterna nel Cielo (Cfr. Ep 1,4-5).

I genitori cristiani, fin dalla prima età dei loro figli, manifestando ad essi amorevole cura, comunicano loro, con l'esempio e le parole, un sincero e vissuto rapporto con Dio, fatto di amore, di fedeltà, di preghiera e di obbedienza (Cfr. LG 35 AA 11). Essi, quindi, favoriscono la santità dei figli e rendono i loro cuori docili alla voce del Buon Pastore, che chiama ogni uomo a seguirlo e a cercare prima di tutto il Regno di Dio.

Alla luce di questo orizzonte di grazia divina e di responsabilità umana, la famiglia può essere considerata come un "giardino" o come "primo seminario", in cui i semi di vocazione, che Dio sparge a piene mani, sono in condizione di sbocciare e di crescere fino alla piena maturazione (Cfr. OT 2).


2. "Non conformatevi alla mentalità di questo mondo" (Rm 12,2).

Il compito dei genitori cristiani è quanto mai importante e delicato, perché essi sono chiamati a preparare, coltivare e difendere le vocazioni, che Dio suscita nella loro famiglia. Devono, quindi, arricchire se stessi e la loro famiglia di valori spirituali e morali, quali una religiosità convinta e profonda, una coscienza apostolica ed ecclesiale ed un'esatta concezione della vocazione.

Per ogni famiglia, in realtà, il passo decisivo da compiere è quello di accogliere il Signore Gesù come centro e modello di vita e, in Lui e con Lui, di prendere coscienza di essere luogo privilegiato per un'autentica crescita vocazionale.

La famiglia realizzerà tale compito, se sarà costante nell'impegno e se farà sempre conto sulla grazia di Dio; san Paolo, infatti, afferma che "è Dio che suscita... il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni" (Ph 2,13), e che "Colui che ha iniziato... quest'opera buona la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Signore" (ivi Ph 1,6).

Ma che cosa succede quando la famiglia si lascia coinvolgere dal consumismo, dall'edonismo e dal secolarismo, che turbano e ostacolano la realizzazione del piano di Dio? Com'è doloroso venire a conoscenza di vicende, purtroppo numerose, di famiglie travolte da simili fenomeni e dai loro effetti devastanti! E' questa, senza dubbio, una delle preoccupazioni più vive della Comunità cristiana. A pagare le conseguenze del diffuso disordine ideale e morale sono anzitutto le famiglie stesse; ma anche la Chiesa ne soffre, come ne risente l'intera società.

Come possono i figli, resi moralmente orfani, senza educatori e senza modelli, crescere nella stima dei valori umani e cristiani? Come possono svilupparsi in tale clima quei germi di vocazione che lo Spirito Santo continua a deporre nel cuore delle giovani generazioni? La forza e la stabilità del tessuto familiare cristiano rappresentano la condizione primaria per la crescita e la maturazione delle vocazioni sacre e costituiscono la risposta più pertinente alla crisi vocazionale: "Ogni Chiesa locale e, in termini più particolari, ogni Comunità parrocchiale - ho scritto nell'Esortazione Familiaris consortio - deve prendere più viva coscienza della grazia e della responsabilità che riceve dal Signore in ordine a promuovere la pastorale della famiglia. Ogni piano di pastorale organica, ad ogni livello, non deve mai prescindere dal prendere in considerazione la pastorale della famiglia" (FC 70).


3. "Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe" (Mt 9,38).

La pastorale vocazionale trova il suo primo e naturale ambito nella famiglia. I genitori, infatti, devono saper accogliere come grazia il dono che Dio fa loro chiamando uno dei figli al sacerdozio o alla vita religiosa. Tale grazia va implorata nella preghiera e va accolta attivamente mediante una educazione che faccia percepire ai figli tutta la ricchezza e la gioia di consacrarsi a Dio.

I genitori, che accolgono con senso di gratitudine e di letizia la chiamata di un loro figlio o di una loro figlia alla speciale consacrazione per il Regno dei cieli, ricevono un segno particolare della fecondità spirituale della loro unione, vedendola arricchita con l'esperienza dell'amore vissuto nel celibato e nella verginità.

Questi genitori scoprono con stupore che il dono del loro amore si è come moltiplicato, grazie alla vocazione sacra dei loro figli, al di là delle limitate dimensioni umane.

Per formare le famiglie alla consapevolezza di questo importante aspetto della loro missione, è necessaria un'azione pastorale mirante a portare coniugi e genitori ad essere "testimoni e cooperatori della fecondità della Madre Chiesa, in segno e partecipazione di quell'amore col quale Cristo amo la sua sposa e si è donato per lei" (LG 41).

La famiglia è il "vivaio" naturale delle vocazioni. La pastorale familiare, quindi, deve rivolgere una specialissima attenzione all'aspetto propriamente vocazionale del proprio impegno.


4. "Chi ha responsabilità nella comunità dimostri cura e diligenza" (Rm 12,8).

Procedere insieme dietro Cristo verso il Padre è il programma vocazionale più appropriato. Se i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, i Consacrati, i Missionari e i Laici impegnati si occuperanno della famiglia e intensificheranno forme di dialogo e di comune ricerca evangelica, la famiglia si arricchirà di quei valori che l'aiuteranno ad essere il primo "seminario" di vocazioni di speciale consacrazione.

I Presbiteri, diocesani e religiosi, abbiano a cuore le problematiche della vita familiare, per saper illuminare con l'annuncio della Parola di Dio gli sposi cristiani sulle loro responsabilità specifiche, in modo che essi, ben formati nella fede, sappiano accompagnare i figli, eventualmente chiamati, a donarsi a Dio senza riserve.

Tutte le persone consacrate, che sono particolarmente vicine e accette alle famiglie a motivo del loro servizio apostolico nelle scuole, negli ospedali, negli istituti assistenziali, nelle parrocchie, offrano gioiosa testimonianza del loro dono totale a Cristo e siano per gli sposi cristiani, con la vita secondo i voti di castità, povertà e obbedienza, segno e richiamo dei valori eterni.

La Comunità parrocchiale si senta responsabile di questa missione della famiglia e la sostenga con piani operativi a lungo termine, senza troppo preoccuparsi di risultati immediati.

Affido ai cristiani impegnati, ai catechisti, alle giovani coppie la catechesi nelle famiglie. Con il loro generoso e fedele servizio faranno gustare ai fanciulli la prima esperienza religiosa ed ecclesiale.

Il mio pensiero va in special modo ai venerati Fratelli nell'Episcopato, quali primi responsabili della promozione vocazionale, per raccomandar loro di porre ogni impegno affinché la cura delle vocazioni sia organicamente collegata con la pastorale familiare.

PREGHIAMO O Santa Famiglia di Nazareth, comunità d'amore di Gesù, Maria e Giuseppe, modello e ideale di ogni famiglia cristiana, a te affidiamo le nostre famiglie.

Apri il cuore di ogni focolare domestico alla fede, all'accoglienza della Parola di Dio, alla testimonianza cristiana, perché diventi sorgente di nuove e sante vocazioni.

Disponi le menti dei genitori, affinché con carità sollecita, cura sapiente e pietà amorevole, siano per i figli guide sicure verso i beni spirituali ed eterni.

Suscita nell'animo dei giovani una coscienza retta ed una volontà libera, perché, crescendo in "sapienza, età e grazia", accolgano generosamente il dono della vocazione divina.

Santa Famiglia di Nazareth, fa' che noi tutti, contemplando ed imitando la preghiera assidua, l'obbedienza generosa, la povertà dignitosa e la purezza verginale vissuta in te, ci disponiamo a compiere la volontà di Dio e ad accompagnare con previdente delicatezza quanti tra noi sono chiamati a seguire più da vicino il Signore Gesù, che per noi "ha dato se stesso" (Cfr. Ga 2,20).

Amen! Dal Vaticano, il 26 Dicembre, Festa della Santa Famiglia, dell'anno 1993, sedicesimo di Pontificato.

Data: 1993-12-26 Data estesa: Domenica 26 Dicembre 1993



"Te Deum" nella chiesa di Sant'Ignazio di Loyola - Roma

Titolo: Il cammino del Sinodo diocesano è stato una manifestazione concreta di comunione apostolica

"Questa è l'ultima ora" (1Jn 2,18).


1. Questa "ultima ora" ci viene ricordata dalla Prima Lettera di san Giovanni.

L'ultima ora di ogni anno porta con sé una grazia particolare: lo si comprende bene quando, alla sera del 31 dicembre, ci si raduna nelle chiese. Questo tempo ultimo viene dato ai credenti come momento di espiazione e di rendimento di grazie.

Carissimi fratelli e sorelle romani! Siamo qui riuniti per il "Te Deum" e portiamo nel cuore il desiderio di preparare, mentre termina l'anno vecchio, la prima ora del nuovo. Vogliamo farlo in unione con Gesù Cristo. Proprio Lui, l'Unigenito che è nel seno del Padre, ci ha insegnato quale sia il valore del tempo umano: di ogni anno e di ogni ora.

Veniamo a Lui in questa chiesa romana che è legata all'eredità di sant'Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, un santo che ci ha insegnato come attingere alla pienezza di Cristo; come formare la nostra vita sulla via che Dio stesso mostra ad ogni uomo. E salutiamo qui il Preposito Generale della Compagnia di Gesù; salutiamo, assieme a tutta la Chiesa di Roma, tutti i Gesuiti che qui pregano, studiano, lavorano e si santificano. Soprattutto salutiamo i santi che sono passati attraverso questo collegio e questa chiesa. E Gesù Cristo che ci rivela la vita umana come via. Attingendo da Lui "grazia su grazia" (Jn 1,16), ci avviciniamo giorno dopo giorno, anno dopo anno, a quella "ultima ora" che è nota solo al Padre celeste.


2. Oggi si raduna qui la Chiesa che è in Roma. Questa comunità di fede costruita da Cristo in modo mirabile sul fondamento degli Apostoli, dei quali avvertiamo, in un certo senso, sempre più feconda la presenza. L'anno che si conclude ha recato alla nostra Chiesa la singolare esperienza del Sinodo diocesano, inaugurato sette anni fa e concluso quest'anno; nella notte del 29 maggio, vigilia di Pentecoste.

Le sue deliberazioni sono state raccolte nel "Libro del Sinodo". Abbiamo, quindi, motivi particolari per esprimere a Dio la nostra riconoscenza. Tutti noi abbiamo questi motivi: il Cardinale Vicario, i Vescovi ausiliari di Roma e tutta la comunità, il presbiterio di Roma con le comunità religiose e tutti i fedeli di questa grande città. Ringraziamo il Signore per la comunione delle strade, comunione rinnovata e consolidata lungo l'intero cammino sinodale, che è stato una manifestazione concreta di comunione apostolica, perdurante attraverso i secoli e le generazioni. Il sinodo si riallaccia alla lunga storia della comunità di Roma, contemporaneamente città dalle grandi tradizioni civili e sede del Successore degli Apostoli.

Questa comunità è oggi in gran parte nuova. La vecchia Roma è diventata, in un certo senso, più piccola a motivo di tutto ciò che è cresciuto attorno ad essa. Sono sorti quartieri nuovi e nuove parrocchie. Le periferie della città chiedono con insistenza nuove chiese, e con gioia constato che esse vengono progressivamente costruite. Nel corso dell'anno che volge ormai al termine, mi è stato dato di visitare diverse comunità parrocchiali della Roma vecchia e nuova, avvalendomi della collaborazione del Cardinale Vicario, che saluto cordialmente insieme al Vicegerente e ai Vescovi Ausiliari dei diversi settori romani.

Ringrazio di cuore questi miei diretti cooperatori per il loro aiuto. Saluto pure e ringrazio i parroci delle singole comunità, quanti li coadiuvano nel faticoso e diuturno lavoro pastorale, e i sacerdoti che svolgono il loro servizio nelle molteplici mansioni in cui si articola la vita della diocesi.

Nei mesi trascorsi ho potuto visitare le seguenti parrocchie: sant'Elena, sant'Antonio a Settebagni, san Pio X, Santa Famiglia al Portuense, san Giuseppe Moscati, sant'Eusebio all'Esquilino, Trasfigurazione al Gianicolense, Santissimo Sacramento a Tor de' Schiavi, san Crispino da Viterbo, Preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, santi Ottavio e Compagni martiri, San Vigilio. Ciascuna di queste visite si è sviluppata come un vero incontro, preparato con cura e serietà.

E' difficile poi non esprimere la gioia e la riconoscenza per il crescente numero dei candidati al sacerdozio, sia nel seminario romano, che degli altri seminari che si trovano in Roma. Tutto ciò, insieme alla celebrazione del Sinodo, ci parla di quella imponente eredità della fede qui innestata dagli Apostoli. Il ministero del Vescovo di Roma, tuttavia, ha un'estensione universale: ecco la ragione per cui, anche quest'anno, ho visitato altri centri in Italia e fuori d'Italia mettendo in evidenza quell'unità della fede, quella "communio ecclesiarum" che congiunge Roma alle Chiese del mondo intero.

Vorrei qui rivolgere un cordiale pensiero al nuovo Sindaco della città di Roma ed alla Giunta comunale che con lui strettamente collabora, al Consiglio Comunale ed ai Consigli circoscrizionali. Auspico che queste strutture politiche ed amministrative, democraticamente elette nel corso della recente consultazione elettorale, siano sempre al servizio sincero e sereno dell'intera popolazione romana.

Salutando in questa chiesa la comunità della Compagnia di Gesù, voglio indirizzare un pensiero affettuosissimo al caro Cardinale Paolo Dezza, titolare della Basilica, come pure al rettore di essa ed ai religiosi che vi prestano servizio, nel ricordo dei santi che qui hanno vissuto ed operato, in special modo di giovani, come san Luigi Gonzaga e san Giovanni Berchmans, che tanto possono ancora insegnare alle giovani generazioni del nostro tempo.


3. Carissimi fratelli e sorelle, l'Apostolo, mentre afferma che "questa è l'ultima ora", aggiunge subito: "deve venire l'anticristo; di fatto ora molti anticristi sono apparsi. Da questo conosciamo che è l'ultima ora" (1Jn 2,18). Suonano forse un po' strane queste parole nel contesto del solenne "Te Deum". Esse, pero, non sono lontane dalla realtà dell'esperienza umana. L'Apostolo ricorda che il mondo "giace sotto il potere del maligno" (1Jn 5,19). E' bene che sia chiamato per nome questo maligno presente nel mondo. Cristo, che ha acconsentito ad essere tentato dallo spirito delle tenebre, ha insegnato a dire "libera nos a malo". E noi lo ripetiamo in ogni santa Messa. Tuttavia, il pensare a tutto ciò non sminuisce la gioia del santo Natale; anzi ci incoraggia ad aggiungere al ringraziamento la volontà di espiazione.

Non possiamo, infatti, chiudere gli occhi su ciò che ci circonda. Non possiamo non vedere che Cristo e il suo Vangelo sono e rimangono "segno di contraddizione" (Lc 2,34). Non possiamo non avvertire che, insieme con la civiltà dell'amore, civiltà di verità e di vita, un'altra civiltà si va diffondendo: proprio di essa parla san Giovanni nel contesto dell'"ultima ora". Scrive l'Apostolo: "Molti anticristi sono apparsi". Ed aggiunge: "Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri" (1Jn 2,19). E' come se egli riprendesse, in altri termini, la parabola del grano e della zizzania (Cfr. Mt 13,24-30), raccontando la quale Cristo invitava a saper attendere fino al tempo della mietitura.


4. "Questa è l'ultima ora".

Nell'annunciare tale verità, Giovanni rassicura i destinatari della sua Lettera: "Voi avete l'unzione ricevuta dal Santo e tutti avete la scienza... conoscete la verità" (1Jn 2,20-21).

Raccolti qui per essere in unione con Gesù Cristo, al concludersi del 1993, ancora pervasi dallo splendore del Natale, volgiamo lo sguardo verso il futuro. Sappiamo che "l'unzione ricevuta dal Santo" si riferisce ad una potenza interiore: la potenza che Cristo ci dona. Da duemila anni contempliamo il Signore nella sua gloria, "quella gloria che riceve l'Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità" (Cfr. Jn 1,14). Ecco il fondamento della nostra speranza; ecco perché crediamo fermamente che "il cielo e la terra passeranno, ma le sue parole non passeranno" (Cfr. Mt 24,35).

Carissimi, andiamo dietro a Cristo! Noi vogliamo varcare insieme con Lui i confini del calendario che divide l'anno che se ne va da quello che comincerà a mezzanotte. "Te aeternum Patrem omnis terra veneratur". Tutte le nazioni della terra, che hanno visto la salvezza del nostro Dio, si uniscono nell'inno di lode e di riconoscenza. Siamo pieni di gratitudine per il tempo che Dio ci ha dato; per il tempo passato che tramonta e ormai si allontana. Siamo pero certi che la Sua parola non passa, non tramonta. così dunque al ringraziamento e all'espiazione di questa liturgia aggiungiamo l'affidamento. Andiamo incontro al tempo nuovo, consapevoli del vigore donatoci da Cristo nello Spirito Santo.

Andiamo con lo sguardo fisso alla Madre del Redentore, la Porta del Cielo, dalla quale è stato concepito ed è nato il Figlio di Dio. A Lei guardiamo con la stessa fiducia con cui le si rivolgeva, quasi cinquant'anni or sono, proprio in questa Basilica, il Papa Pio XII, sciogliendo insieme con il popolo romano il voto pronunciato durante l'occupazione bellica. Domani la Chiesa festeggerà la sua divina maternità, intimamente legata al mistero del Santo Natale: Maria ci precede nel pellegrinaggio della fede e dell'unione con Gesù Cristo.

In Lui, con Lui e per Lui sia gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo - Dio che è, che era e che sempre viene. In Lui è riposta la pienezza di ogni tempo umano. In Lui si trova il futuro di ogni uomo. In Lui si avvera il compimento delle speranze della Chiesa e del mondo. "Te aetemum Patrem omnis terra veneratur".

Amen.Data: 1993-12-31



GPII 1993 Insegnamenti - L'omelia durante la Messa "in nocte sancta" celebrata nella Basilica Vaticana - Città del Vaticano (Roma)