GPII 1994 Insegnamenti - Ad alcuni Dirigenti delle Scuole cattoliche di Toronto - Le scuole cattoliche devono incoraggiare un incontro vivo con Cristo

Ad alcuni Dirigenti delle Scuole cattoliche di Toronto - Le scuole cattoliche devono incoraggiare un incontro vivo con Cristo



Eccellenze, Signore e Signori, Rivolgo un caloroso benvenuto questa mattina ai Dirigenti ed agli amici del Comitato Cittadino delle Scuole cattoliche di Toronto. L'educazione cattolica offre un insostituibile servizio al popolo di Dio, un servizio per il quale la Chiesa è estremamente grata. Colgo l'occasione di esprimere, a nome della Chiesa, i miei ringraziamenti ad ognuno di voi: per il vostro amore al Corpo Mistico di Cristo, per la vostra fedeltà ai suoi pastori nonché per la vostra fedele testimonianza alla liberante "verità del Vangelo" (Ga 2,14).

Se le Scuole cattoliche devono rimanere autenticamente cattoliche - vale a dire fedeli alla loro vocazione e grazia - devono incoraggiare un incontro vivo con Gesù Cristo, "la via, la verità e la vita" (Jn 14,6). La promozione del carattere genuinamente cattolico delle vostre scuole richiede la volontà, da parte di tutti quelli che sono coinvolti, di trovare la via per promuovere la missione ecclesiale dell'istituto e per costruire una comunità di vita e solidarietà basata sulla parola salvifica di nostro Signore Gesù Cristo.

Grazie alle continue opere dei cattolici dell'Ontario, vi è stato fatto dono di un ampio sistema di scuole cattoliche, del tutto orgogliose della loro propria identità e dei loro specifici contributi al "mosaico canadese". Le scuole cattoliche aiutano i genitori a svolgere il loro compito di essere "i primi e principali educatori dei propri figli" (LF 16). Una società veramente libera riconosce "l'insostituibile ed inalienabile" diritto dei genitori di sovrintendere l'educazione scolastica dei propri figli. (cfr. FC 13). In quest'ottica la responsabilità educativa dello Stato è sempre complementare e non può mai sostituire il ruolo fondamentale dei genitori.

Con soddisfazione ricordo che, nel rispetto delle sue tradizioni di democrazia, di perseguimento della giustizia e di difesa dei diritti umani la Provincia dell'Ontario riconosce il dovere di "preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza" (GE 6).

Cari amici: ritornando in Canada spero che siate rafforzati nella fede e rinnovati nella gioia e nell'entusiasmo per affrontare il grande lavoro affidatovi. Con questa preghiera raccomando tutti voi all'intercessione di San Giuseppe Custode del Redentore e Patrono del Canada ed imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

(Nostra traduzione dall'inglese)

Data: 1994-03-18 Data estesa: Venerdi 18 Marzo 1994





Nella solennità di san Giuseppe continua la grande preghiera per l'Italia - Aula Paolo VI, Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Voi, uomini responsabili della giustizia e delle condizioni dei lavoratori. Voi, responsabili dei sindacati, dovete gridare ad alta voce, dovete esigere il mutamento di questo ordine economico




1. "Ha lavorato con mani d'uomo..." (GS 22).

Questa frase del Concilio Vaticano II si riferisce a Cristo, che rivelo l'uomo all'uomo (cfr. GS 22), giacché amo con un cuore d'uomo, soffri come ognuno di noi e lavoro con mani d'uomo. Queste parole vengono alla mente soprattutto oggi, solennità di san Giuseppe, al cui fianco Gesù lavoro. Da Giuseppe Gesù imparo il duro mestiere del carpentiere, e la fatica del lavoro divenne dimensione fondamentale del mistero della redenzione. Colui che lavoro con mani d'uomo è il Redentore del mondo, il Figlio di Dio consustanziale al Padre, incarnatosi per opera dello Spirito Santo e nato da Maria Vergine. Giuseppe rappresentava per Lui il Padre celeste, insegnandogli a compiere il mestiere che egli stesso faceva.

perciò Gesù veniva chiamato il figlio del carpentiere (cfr. Mt 13,55).

Oggi, vogliamo riprendere la grande preghiera per l'Italia, inaugurata martedi scorso. Desideriamo farlo insieme ai lavoratori di questo Paese, che mediante la loro fatica continuano a formare da secoli ciò che l'Italia è. Da anni ormai il giorno di san Giuseppe, il 19 marzo, è diventato il giorno dell'incontro del Papa con i vari ambienti lavorativi italiani.

Tali incontri si sono svolti in molte città, in molte aziende, piccole e grandi. Oggi ci ritroviamo qui, in Vaticano, nell'Aula Paolo VI.

Saluto la grande famiglia del Poligrafico e della Zecca dello Stato, ben lieto che questo appuntamento si svolga in un momento importante per la storia d'Italia. Saluto tutti i presenti, a cominciare dal Governatore della Banca d'Italia, dai Dirigenti delle Associazioni industriali e sindacali e dai Vescovi della Commissione episcopale del Lavoro della C.E.I.. Saluto, in particolare, il Presidente dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Dottor Giovanni Ruggeri, che ringrazio per le parole poc'anzi rivoltemi a nome di quella grande comunità di lavoro, con la quale il Vaticano intrattiene un attivo rapporto di cooperazione.

Sono grato altresi alla Signora che ha parlato a nome di tutta la comunità lavorativa. Ringrazio inoltre per il dono del fac-simile, realizzato con rara perizia, della Bibbia di Carlo il Calvo, prestigioso esempio della rinascita culturale carolingia e testimonianza eloquente della venerazione di quell'epoca per la Parola di Dio, consegnata ai posteri su pergamene impreziosite da miniature di singolare bellezza.

Il mio pensiero si dirige poi alle maestranze degli stabilimenti romani, della Cartiera di Foggia, delle Cartiere Miliani di Fabriano e di tutte le strutture componenti il vostro benemerito Istituto. Grazie a ciascuno di voi, cari amici, per la vostra presenza. Attraverso le vostre persone, vorrei salutare l'intero mondo dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia e in ogni altra Nazione del mondo.


2. Basta trovarsi in qualsiasi punto d'Italia, basta fare un viaggio in qualunque sua Regione per notare gli enormi successi realizzati nel campo del lavoro, successi che assicurano all'Italia un posto di rilievo tra i Paesi del mondo.

Avremo modo in altre circostanze di riprendere la "grande preghiera" insieme col mondo agricolo o con gli ambienti del lavoro scientifico e artistico. Oggi desideriamo dedicare la nostra attenzione e la nostra preghiera al mondo dell'industria, secondo la tradizione degli anni precedenti. Parliamo del lavoro guardando ai suoi frutti. Il frutto più importante del lavoro è l'uomo stesso.

Mediante la propria attività l'uomo forma se stesso, in quanto scopre le proprie possibilità e le mette in atto. Contemporaneamente le dona agli altri e all'intera società. Egli conferma così, mediante il lavoro, la propria umanità e diventa in un certo senso un dono per gli altri, realizzando pienamente se stesso.

E' grande questo significato del lavoro umano, il significato personalistico, che ho cercato di mettere in rilievo nell'Enciclica Laborem exercens. Mai bisogna perdere di vista quest'ordine di precedenza. Mai si può subordinare il lavoro al capitale, perché ciò è contrario all'ordine stabilito dal Creatore. Il lavoro viene eseguito dall'uomo per l'uomo. Solo allora corrisponde al retto ordine. Altrimenti il disegno del Creatore viene scosso e distrutto.

Preghiamo oggi con i lavoratori. Con questa nostra preghiera intendiamo abbracciare l'intero mondo del lavoro italiano, rendendo grazie prima di tutto per la crescita umana che i figli e le figlie di questa Terra hanno realizzato mediante le loro fatiche. Domandiamo che anche in futuro il lavoro rimanga la fonte principale del pieno sviluppo dell'essere umano in Italia. Il lavoro diventi in questo Paese occasione di progresso nella giustizia e fonte di crescente amore sociale.


3. Vogliamo oggi considerare in particolare il lavoro in rapporto con la famiglia.

L'artigiano Giuseppe di Nazaret faticava per mantenere la Santa Famiglia. Lavorare per il sostentamento familiare è il primo diritto di ogni lavoratore e di ogni lavoratrice. Se l'ordine sociale del lavoro va riferito alla persona che lavora, se ad essa deve servire, questo significa che il lavoro deve servire al bene delle famiglie, creando per esse le condizioni per l'esistenza e per l'educazione dei figli. Non si sottolineerà mai abbastanza, in quest'anno dedicato alla famiglia, che cosa essa rappresenti per la società.

Dobbiamo allora dedicare particolare attenzione all'importantissimo lavoro svolto dalle donne, dalle madri in seno alla famiglia. Esse sono insostituibili nei compiti assegnati loro dal Creatore stesso. Nessuno sa dare la vita, nessuno sa educare il neonato come una madre. Dio stesso, potremmo dire, si è adattato a questa regola, affidando l'unigenito suo Figlio a Maria. Il legittimo desiderio di contribuire con le proprie capacità al bene comune e lo stesso contesto socio-economico portano spesso la donna ad intraprendere un'attività professionale. Bisogna pero evitare che la famiglia e l'umanità rischino di subire una perdita che le impoverirebbe, perché la donna non può essere sostituita nella generazione e nell'educazione dei figli. Le Autorità dovranno quindi provvedere con leggi opportune alla promozione professionale della donna e, al tempo stesso, alla tutela della sua vocazione di madre e di educatrice.

Possa questo giorno divenire, per intercessione della Madre di Dio e del suo Sposo san Giuseppe, occasione di gratitudine per tutto ciò che la famiglia, la cultura, la vita sociale italiana nel corso dei secoli devono alle donne e alle madri. Mentre ringraziamo Dio per questo, chiediamo a Lui che la donna, sposa e madre, continui a rimanere una forza guida. Il Signore, che le affida l'essere umano sin dal concepimento, continui a farlo anche nel futuro. Non venga meno il genio femminile, manifestatosi in Italia tante volte attraverso esimie figure di madri sante, disposte talora persino a dare la vita per assicurare quella del bambino che portavano in grembo.


4. Il nostro sguardo si rivolge oggi anche verso i giovani e le giovani che frequentano le scuole, gli atenei, le università, preparandosi ad intraprendere una professione o un mestiere, per recare il loro contributo alla grande impresa del lavoro, sorgente di bene per la società. Pensiamo a loro con speranza, ma pure con preoccupazione, perché purtroppo le possibilità occupazionali da qualche tempo si sono drasticamente ridotte. Succede così che i giovani, invece di passare dalla scuola al lavoro, come sarebbe auspicabile, iniziano una fase di affannosa ricerca e di disoccupazione. Ciò significa per loro una grande delusione: si sentono degli esseri inutili per la società. Dietro a tutto questo c'è un serio pericolo. I giovani vogliono fondare una loro famiglia, e ne hanno diritto. Ma come farlo se manca tale condizione fondamentale? Come sposarsi se non viene loro assicurata la possibilità di un reddito che basti per la casa, per la famiglia, per l'educazione dei figli? Quanto è urgente ripensare nel suo complesso il problema dell'organizzazione del lavoro e dell'occupazione! Non devono mancare nel Paese prospettive di speranza per i giovani che desiderano fare responsabilmente la loro parte nella società. Essi devono sentire che la società ha bisogno di loro, che s'attende da loro un contributo al bene comune, secondo la specifica preparazione di ciascuno. Non vanno disperse e mortificate queste giovani energie, non si può spegnere lo spirito. Se l'attuale sistema economico non garantisce questo, occorre con coraggio rivederlo e, se necessario, correggerlo. Ecco il grande tema della nostra preghiera odierna.


5. Carissimi fratelli e sorelle, preghiamo per l'Italia. Ma l'Italia si trova in Europa e nel mondo, dove sempre più numerosi sono i Paesi vittime di sfruttamento nel contesto dei vigenti sistemi economici internazionali. Si paga sempre di meno per i prodotti del duro lavoro della terra, si esige sempre di più per quelli dell'attività industriale ed in questo modo invece dello sviluppo, a cui hanno diritto, molte Nazioni vengono come condannate al ristagno, alla disoccupazione, all'emigrazione. Si tratta di un ingiusto sistema che oggi diventa un problema mondiale: è un'ingiustizia che chiama in causa il cosiddetto primo mondo, di fronte al deteriorarsi delle condizioni dei popoli del terzo mondo. Non viene forse sconvolto su grande scala l'ordine fondamentale che garantisce la priorità del lavoro sul capitale? Non diventa forse il capitale sempre più potente e disumano? E vittime di simili situazioni sono sempre di più l'uomo e la famiglia.

Voi, uomini responsabili della giustizia, delle condizioni dei lavoratori, ovunque essi si trovino sulla terra; voi, rappresentanti dei sindacati, dovete gridare ad alta voce, dovete esigere il mutamento di questo ordine.

Quali soluzioni al problema della povertà cercano di imporre alle Nazioni povere gli onnipotenti possessori del capitale? Essi propongono come mezzo principale la distruzione del diritto alla vita. Non è questa una palese assurdità? Tutte le ricchezze della creazione sono per l'uomo e non vi è ricchezza senza l'uomo. Se in questo non reclameranno gli uomini, reclamerà Dio! E oggi reclama il Figlio del carpentiere, Gesù di Nazaret, che lavoro con le proprie mani. Egli grida ad alta voce dalla Croce: "Perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). Ma grida anche: "Smetti di peccare, smetti di far ingiustizia, smetti di uccidere!".


6. Questo è il giorno della grande preghiera con i lavoratori: è la preghiera per il lavoro. Essa prese inizio, un giorno, in questa vostra terra italiana. E' qui, infatti, che san Benedetto insegno a lavorare pregando, e i monaci che lo seguirono, fedeli al principio: "Ora et labora!", compirono una grande rivoluzione, certamente non inferiore alla moderna rivoluzione industriale. Frutto di quella rivoluzione fu la santità dell'uomo. Il lavoro rendeva uomini, santificava l'uomo, nobilitava la vita familiare, creava i legami sociali, formava la storia delle nazioni.

Rendiamo grazie per gli straordinari frutti dell'attività umana di molti secoli in Italia, in Europa e nel mondo intero. E contemporaneamente gridiamo che si faccia posto alla preghiera all'interno del lavoro umano, anche nei nostri tempi. La laicizzazione e la secolarizzazione del lavoro contribuiscono soltanto a far si che l'uomo quasi abbia in odio il lavoro e lo tratti esclusivamente come fonte di profitto. Lavorando così, egli non riesce più a vedere l'uomo in se stesso, non riesce a vederlo nell'altro che fatica accanto a lui.

C'è allora bisogno di "lavoro sul lavoro"! Che cosa vuol dire questo? Nient'altro che questo: "Prega e lavora!". Il lavoro sul lavoro vuol dire il lavoro sull'uomo che lavora, perché egli risorga mediante il lavoro, come dice il poeta polacco Cyprian Norwid, così da trovare la pienezza della propria umanità.

Chiediamo che il lavoro in Italia e nel mondo intero torni a questa sua originaria dimensione. Non mancano persone, movimenti ed organizzazioni che si impegnano in questa causa. Possano essi diffondersi sempre più e contribuire a rendere l'uomo più uomo mediante il lavoro! Questa è l'unica via verso il futuro. Auguro all'Italia di saper percorrere questa via e a tal fine vi invito a pregare il Signore per intercessione di san Giuseppe, Patrono del lavoro.

Grazie!

Data: 1994-03-19 Data estesa: Sabato 19 Marzo 1994





Lettera Pontificia ai Capi di Stato

Titolo: "La famiglia appartiene al patrimonio dell'umanità"

Signor Presidente, La comunità delle nazioni è entrata da poco nella celebrazione dell'Anno Internazionale della Famiglia, opportunamente promosso dall'Organizzazione delle Nazioni Unite.

La Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo, parimenti convocata dall'ONU e che si terrà a Il Cairo nel mese di settembre 1994, costituirà anch'essa un importante appuntamento di quest'anno. I responsabili delle nazioni avranno in tal modo l'occasione di fare il punto sulle riflessioni e sugli impegni delle precedenti Conferenze che, su temi analoghi, sono state tenute a Bucarest (1974) ed a Città del Messico (1984). Ma l'opinione pubblica attende soprattutto dall'incontro de Il Cairo orientamenti per il futuro, cosciente delle grandi sfide che il mondo ha dinanzi, quali il benessere e lo sviluppo dei popoli, l'incremento demografico nel mondo, l'invecchiamento della popolazione in alcuni paesi industrializzati, la lotta contro le malattie, l'esodo forzato di intere popolazioni.

La Santa Sede, fedele alla sua missione e con gli strumenti che le sono propri, volentieri si associa a tutti questi sforzi, posti al servizio della grande famiglia umana. Anche per la Chiesa Cattolica, il 26 dicembre scorso, è iniziato un "Anno della Famiglia", che invita tutti i fedeli ad una riflessione spirituale e morale su tale realtà umana, fondamento della vita degli individui e delle società.

Io stesso ho voluto rivolgermi personalmente a tutte le famiglie mediante una Lettera. Essa ricorda a ciascuno che ogni essere umano "è chiamato a vivere nella verità e nell'amore" (n. 16) e che il focolare domestico resta quella scuola di vita, dove le tensioni tra autonomia e comunione, tra unità ed alterità sono vissute ad un livello privilegiato ed originale. Vi è li, io credo, una sorgente di umanità da cui sgorgano le migliori energie creatrici del tessuto sociale, che ogni Stato dovrebbe gelosamente preservare. Senza invadere l'autonomia di una realtà che esse non possono né produrre, né sostituire, le Autorità civili hanno il dovere di cercare di favorire lo sviluppo armonioso della famiglia, non solamente dal punto di vista della sua vitalità sociale, ma anche di quello della sua salute morale e spirituale.

Ecco perché il progetto di documento finale della prossima Conferenza de Il Cairo ha attirato la mia attenzione. E' stata per me una dolorosa sorpresa.

Le innovazioni che contiene, a livello sia di concetti che di terminologia, ne fanno un testo molto differente dai documenti delle Conferenze di Bucarest e di Città del Messico. Non si può non aver paura degli sbandamenti morali, che potrebbero trascinare l'umanità verso una sconfitta, la cui prima vittima sarebbe proprio l'uomo.

Si noterà, per esempio, che il tema dello sviluppo, iscritto all'ordine del giorno dell'incontro de Il Cairo, con la problematica molto complessa del rapporto tra popolazione e sviluppo che dovrebbe costituire il cuore del dibattito, passa invece quasi inosservato, tanto ridotto è il numero delle pagine ad esso dedicate. L'unica risposta alla questione demografica e alle sfide poste dallo sviluppo integrale della persona e delle società sembra ridursi alla promozione di uno stile di vita le cui conseguenze, se esso fosse accettato come modello e piano d'azione per l'avvenire, potrebbero rivelarsi particolarmente negative. I responsabili delle nazioni hanno il dovere di riflettere in profondità e secondo coscienza su tale aspetto della realtà. Inoltre, la concezione della sessualità sottesa a questo testo è totalmente individualista, nella misura in cui il matrimonio appare ormai superato. Ma un'istituzione naturale così fondamentale ed universale come la famiglia non può essere manipolata da nessuno.

Chi potrebbe dare un tale mandato ad individui o ad istituzioni? La famiglia appartiene al patrimonio dell'umanità! La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, d'altronde, afferma senza equivoci che la famiglia è "l'elemento naturale e fondamentale della società" (art. 16,3). L'Anno Internazionale della Famiglia dovrebbe dunque costituire l'occasione privilegiata, perché la famiglia riceva, da parte della società e dello Stato, la protezione che la Dichiarazione Universale riconosce doverlesi garantire. Non farlo sarebbe tradire i più nobili ideali dell'ONU.

Ancora più gravi appaiono le numerose proposte di un riconoscimento generalizzato, su scala mondiale, del diritto all'aborto senza restrizione alcuna: il che va ben al di là di quanto purtroppo consentono già diverse legislazioni nazionali.

In realtà, la lettura di questo documento che, è vero, costituisce solo un progetto, lascia l'amara impressione di un'imposizione: quella di uno stile di vita tipico di certe frange delle società sviluppate, materialmente ricche, secolarizzate. I paesi più sensibili ai valori della natura, della morale e della religione accetteranno senza reagire una simile visione dell'uomo e della società? Guardando all'anno Duemila, come non pensare ai giovani? Che cosa viene loro proposto? Una società di "cose" e non di "persone". Il diritto di fare liberamente tutto fin dalla più giovane età, senza freni, ma con il massimo della "sicurezza" possibile. Il dono disinteressato di sé, il controllo degli istinti, il senso della responsabilità sono nozioni considerate legate ad un'altra epoca.

Sarebbe auspicabile, ad esempio, trovare in queste pagine qualche considerazione per la coscienza e per il rispetto dei valori culturali ed etici, che ispirano altri modi di concepire l'esistenza. V'è da temere che domani questi stessi giovani, divenuti adulti, chiederanno conto ai responsabili di oggi per averli privati di ragioni di vita, avendo omesso di indicare loro i doveri propri di un essere dotato di cuore e di intelligenza.

Rivolgendomi a Vostra Eccellenza, non ho soltanto voluto farLa partecipe della mia inquietudine dinanzi ad un progetto di documento. Ho voluto soprattutto attirare la Sua attenzione sulle gravi sfide, che i partecipanti alla Conferenza de Il Cairo hanno il dovere di raccogliere. Questioni tanto importanti come la trasmissione della vita, la famiglia, lo sviluppo materiale e morale delle società hanno bisogno sicuramente di un approfondimento maggiore.

Ecco perché faccio appello a Lei, Signor Presidente, che ha a cuore il bene dei Suoi concittadini e di tutta l'umanità. E' importante non indebolire l'uomo, il senso che egli ha del carattere sacro della vita, la sua capacità di amare e di sacrificarsi. Si toccano qui alcuni punti sensibili attraverso i quali le nostre società si costruiscono o si distruggono.

Prego Dio di ispirarLe discernimento e coraggio, perché Le sia dato di tracciare, con la collaborazione di molti uomini di buona volontà nel Suo Paese e nel mondo, strade nuove, dove tutti possano camminare mano nella mano e costruire insieme quel mondo rinnovato che sia veramente una famiglia, la famiglia dei popoli.

Dal Vaticano, 19 marzo 1994.

Data: 1994-03-19 Data estesa: Sabato 19 Marzo 1994





Visita pastorale: l'omelia alla Santa Messa per i fedeli della parrocchia romana di San Cirillo Alessandrino - Roma

Titolo: "Cristo sta gridando: "Fermatevi! Non distruggete voi stessi con le guerre, con l'odio, con il peccato""

Sia lodato Gesù Cristo, Voglio ancora una volta salutare tutta la comunità della Parrocchia di San Cirillo Alessandrino. L'ho già salutata all'inizio della Messa, ma voglio salutarla ancora insieme con il Cardinale Vicario di Roma, Camillo Ruini, con Monsignor Mani, Vescovo di questa zona, e poi voglio salutare insieme a voi tutti i nostri ospiti di Francia.

Vi è uno speciale legame tra questa parrocchia e Marsiglia. Marsiglia è stata una strada per il cristianesimo in Gallia, nella Francia, è presente qui, a Roma, attraverso questa comunità che costituisce qui il corpo dei pastori.

Salutiamo soprattutto il vostro antico pastore che ora è Arcivescovo di Monaco, in Francia. Insieme a lui salutiamo tutti i membri di questa comunità apostolica presbiterale.


1. Noi oggi ci avviciniamo già alla Settimana Santa. Per vivere la Settimana Santa si dovrebbe andare a Gerusalemme perché là tutto ciò che appartiene al suo contenuto sacro si è realizzato. A Gerusalemme dovremmo andare e ripercorrere passo dopo passo, momento dopo momento, tutto quello che Gesù ha vissuto, ha detto, ha sofferto. Facciamo questo con la mente e con il cuore fissi su Gerusalemme. E lo fanno tutti i fedeli nel mondo, anche se sono molto lontani come in Nuova Zelanda, come in Giappone, come in Argentina: tutti si ritrovano idealmente a Gerusalemme durante queste giornate sacre, durante questo Triduo Sacro. Passano per il Cenacolo, per il Getsemani, e poi passano attraverso i tribunali, poi attraversano la tremenda notte di prigionia di Gesù, poi passano da Ponzio Pilato, da Erode, alla flagellazione, all'incoronazione di spine, e poi seguono la Via Crucis e la Crocifissione. E riascoltano le ultime parole di Gesù: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34).


2. Qui a Roma noi abbiamo il nostro modo di vivere questi giorni, questa Settimana Santa, come dappertutto. Li viviamo attraverso la Liturgia. La Liturgia Romana è piena di contenuti stupendi, commoventi. Si comincia con la celebrazione di San Giovanni in Laterano per la memoria dell'Ultima Cena, della lavanda dei piedi. Si passa poi attraverso la notte di una Vigilia accanto a Cristo in prigione, già molto umiliato; poi si passa alla grande celebrazione del Venerdi Santo nella quale non celebriamo l'Eucaristia, non usiamo farlo: ricordiamo quello che è la fonte dell'Eucaristia, il sacrificio vero. E alziamo la Croce: è un momento molto commovente quando il celebrante, sia esso il Papa o il Vescovo o il sacerdote, canta "Ecce lignum crucis in quo salus mundi pependit. Venite adoremus". E tutta l'assemblea si mette in ginocchio adorando. Dobbiamo adorare la Croce perchè sappiamo bene che Cristo umiliato, Cristo Crocifisso è il Figlio di Dio e si è fatto crocifiggere per i nostri peccati, li ha presi su di sé. Ha preso su di sé questo peso incredibile, incomprensibile, incommensurabile di tutti i peccati dell'umanità. E così è andato alla "Via Crucis" fuori della porta di Gerusalemme.

Noi andiamo così al Colosseo, perché il Colosseo ricorda la Via Crucis di tanti cristiani. E' una testimonianza. Al Colosseo si dice a Gesù: "Non sei solo". Non sei solo. C'erano tanti con te, qui crocifissi e martirizzati nel tuo nome. E noi oggi, credenti, testimoni della fede siamo con te, siamo con te. La Via Crucis al Colosseo è un segno molto eloquente della nostra similitudine con Gesù che porta la croce. E' un'aspirazione della nostra unità intorno a lui, intorno a Cristo Crocifisso. In questo anno abbiamo la gioia che la meditazione per la Via Crucis è stata preparata dal Patriarca di Costantinopoli. E' un grande segno ecumenico. E poi sappiamo bene che il Venerdi Santo è la giornata in cui si prega per tutto il mondo, per tutta l'umanità, per tutti i popoli, per tutti i Cristiani e i non Cristiani, si prega in diverse lingue del mondo, asiatiche, europee, africane.

Perché Cristo ha redento tutti; tutto il mondo è stato redento da questa Croce di Gesù.

Poi lo portiamo al Sepolcro. Attorno a questo sepolcro comincia la nostra Veglia Pasquale: il Sabato Santo, la Messa... aspettiamo tutta la notte che giunga il mattino, quando questo Sepolcro si aprirà e le donne di Gerusalemme ascolteranno la parola "Non è qui. E' risorto" (Lc 24,6).


3. Volevo prepararvi, carissimi, a questa grande celebrazione della Settimana Santa ormai vicina. In questa Settimana Santa si sente un grande grido. E la Liturgia della domenica odierna ci parla di questo grande grido. Ce ne parla Giovanni nel Vangelo e ce ne parla Paolo: un grido, Cristo grida. Ma Cristo era silenzioso, non diceva nulla davanti ad Erode. Davanti a Pilato ha detto cose che sono quasi la chiave della sua missione. Taceva portando la croce, taceva flagellato, taceva incoronato di spine, taceva crocifisso. Taceva. Gridava solamente al Padre "Perdonali perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). E questo grido grande di Cristo è un grido per tutta l'umanità. Grida, sta gridando: Fermatevi! fermatevi! non andate avanti così! Non distruggete voi stessi con le guerre, con l'odio! Non distruggetevi ciascuno con il peccato! Fermatevi! Io sono la Pietra su cui potete edificare, costruire.

Carissimi, avvicinandosi la Pasqua di Cristo ci rendiamo conto che celebriamo nella fede un grande Mistero. Si, entriamo negli avvenimenti che si svolgono a Gerusalemme, che si svolgono a Roma, che si svolgono in tutto il mondo dove ci sono i cristiani; ma entriamo soprattutto nel grande Mistero tra Dio e l'uomo, un grande mistero d'amore. L'amore è più forte della morte. Il mistero dell'amore è più forte delle nostre debolezze, a lui dobbiamo affidarci, convertirci, confidarci.

Auguro a tutti voi questo spirito della Quaresima, della Settimana Santa.

(Ai bambini:) Si avvicina la Domenica delle Palme, un giorno molto importante anche per i bambini che una volta, a Gerusalemme, hanno portato le palme andando dietro a Gesù che si avvicinava alla città, e gridavano "Osanna, osanna al figlio di Davide. Beato colui che viene nel nome del Signore". Voi avete un titolo speciale per dire questo perché vi preparate ai sacramenti, soprattutto alla Prima Comunione ed aspettate Colui che viene, che deve venire. E vero che è venuto a Gerusalemme per istituire l'Eucaristia durante l'ultima Cena; ma così viene sempre, viene sempre. Per molti di voi viene per la prima volta: preparatevi bene.

E un momento molto importante nella vostra vita, nella vostra famiglia, per i vostri genitori e anche per la parrocchia che è una grande famiglia. Vi saluto molto volentieri, vi ringrazio per i vostri saluti e vi auguro tutto il bene specialmente nella previsione delle feste pasquali. Vi ringrazio anche per i fiori e vi lascio una benedizione per tutti: ai bambini, alle bambine, ai ragazzi, ai genitori, ai catechisti, al vostro parroco che si è molto italianizzato, come il suo collaboratore P. Alberto. Sono di Marsiglia ma si sentono tutti romani ed italiani.

(Al Consiglio Pastorale:) Non posso non ricordare che, in qualche senso parrocchiano della vostra parrocchia, era anche il Generale De Gaulle. Vi ha offerto una Statua della Madonna. E un segno di questa bella alleanza italo-francese. Portate insieme gli stessi impegni, le stesse responsabilità. Si tratta di una responsabilità non solo della propria comunità ma che è anche un po' responsabilità per il mondo, per l'Europa. così è costruita la Chiesa che dovunque è cristocentrica, dappertutto è mondocentrica, cosmocentrica e dappertutto è uomocentrica, antropocentrica. Questa è la sua costituzione divino-umana che viene da Cristo, dalla sua incarnazione, dalla sua redenzione. Tutto viene da lui.

Ringrazio la comunità parrocchiale intera. soprattutto il Consiglio Parrocchiale, perché veramente fanno un grande lavoro apostolico. Questo apostolato dei laici non è stato proclamato da Gesù ma ultimamente è stato ribadito dal Concilio Vaticano II. Si svolge soprattutto attraverso queste cellule, quelle come il Consiglio pastorale, dove si pensa, dove si prega insieme; insieme per vedere come migliorare la vita umana e cristiana degli altri, del quartiere, come fare questa Chiesa ancora più cristocentrica, ancora più antropocentrica e ancora più cosmocentrica. Siamo vicini alla Pasqua del Signore: voglio perciò augurarvi una buona Pasqua a voi e a tutto il quartiere.

Dio vi benedica.

(Ai giovani:) Voi non avete molte ricchezze. Di questo non dovete convincermi perché io ne sono convinto, lo ero già prima. Ma sono anche convinto che la Parola di Dio cammina con voi e che voi camminate con la Parola di Dio. E questa è la vostra ricchezza e così voi diventate anche la ricchezza, giorno per giorno. Crescendo nella Parola di Dio si cresce anche nella ricchezza spirituale, nella maturità umana. E questa è la vostra ricchezza.

Di questo sono convinto non solo per i giovani di questa parrocchia ma anche per i giovani di tutta Roma e di tutto il mondo. Per Roma abbiamo un incontro giovanile fissato per giovedi prossimo. E' un'altra tappa della preghiera per l'Italia. Un'altra ricchezza questa, perché la preghiera è una ricchezza già di per sé: chi sa pregare ha tutto ed ha dentro di sé la ricchezza spirituale di Cristo perché pregando prega con Lui, ha la sua Parola dentro di sé. Allora ci incontriamo giovedi prossimo per preparare la Pasqua, ci incontriamo soprattutto la Domenica delle Palme. Mi piacciono molto questi appuntamenti: la Domenica delle Palme, le visite in parrocchia, l'incontro di Roma, gli incontri nel mondo. Vi auguro di continuare su questa strada e vi auguro una buona Pasqua.

Data: 1994-03-20 Data estesa: Domenica 20 Marzo 1994






GPII 1994 Insegnamenti - Ad alcuni Dirigenti delle Scuole cattoliche di Toronto - Le scuole cattoliche devono incoraggiare un incontro vivo con Cristo