GPII 1994 Insegnamenti - Pasqua di Risurrezione: l'omelia durante la celebrazione eucaristica presieduta nella "Notte Santa" - Città del Vaticano (Roma)

Pasqua di Risurrezione: l'omelia durante la celebrazione eucaristica presieduta nella "Notte Santa" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Veglia pasquale: una chiamata alla gioia




1. "Non abbiate paura!" (Mc 16,6).

Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome sentono queste parole all'ingresso del sepolcro nel quale è stato deposto il corpo di Gesù. Giunte notano il masso del sepolcro rotolato via e la tomba vuota. Sono prese da spavento e stupore. Stupore che cresce all'udire dalla profondità del sepolcro le parole: "Voi cercate Gesù Nazareno, il Crocifisso. E' risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto" (Mc 16,6-7). Le donne sono sconvolte e fuggono dal sepolcro, paurose di riferire a qualcuno quanto hanno visto.


2. E' proprio questo il momento del mistero pasquale, a cui ci avviciniamo prendendo parte alla solenne veglia della notte di Pasqua. L'evento, descritto dall'evangelista Marco, è semplice e, in pari tempo, sconvolgente.

Per questa ragione la liturgia della veglia pasquale fa riferimento alle forze della natura. In questa notte bisogna richiamarle, perché proprio esse hanno allora reagito. S'è mossa la terra, che ha tremato quando Cristo ha lasciato il sepolcro. Un terremoto ha scosso il masso che ostruiva il sepolcro (cfr. Mt 28,2).

In questa notte la liturgia si rivolge al fuoco, che possiede una potenza misteriosa, potenza benedetta, ma anche potenza che distrugge. Il fuoco consuma e divora ciò che incontra sulla sua strada, ma può essere anche forza benefica per gli uomini. Hanno infatti bisogno del fuoco le membra del corpo umano per riscaldarsi. Il fuoco, poi, illumina scacciando le tenebre e in questa notte la Chiesa lo accende per attingere da esso la luce che, in seguito, accompagna l'assemblea liturgica nel tempio con il canto: "Lumen Christi". La luce della fiamma diventa simbolo della Risurrezione. La liturgia di questa notte riserva lo spazio maggiore alla forza dell'acqua. L'acqua può essere anche segno della morte.

Secondo san Paolo essa è simbolo della morte di Cristo (cfr. Rm 6,3-4) e per passare attraverso questa morte è necessario essere immersi nell'acqua. Immersione nella morte di Cristo che serve non solo per essere lavati, bensi, ed ancor più, per essere vivificati. L'acqua zampillante dalla fonte è refrigerio per il corpo affaticato, di cui ravviva le forze; per questa ragione l'acqua è diventata il segno sacramentale della rinascita per mezzo del battesimo. Con questo sacramento la Chiesa partecipa oggi alla Risurrezione di Cristo.

Per mezzo del battesimo partecipate alla Risurrezione di Cristo voi, fratelli e sorelle, che questa notte riceverete questo sacramento. Il Vescovo di Roma vi saluta cordialmente, mentre vi apprestate ad entrare nella nuova vita.

Saluta le Nazioni dalle quali provenite: Corea, Filippine, Giappone, Guatemala, Hong Kong, Italia, Perù, Portogallo, Slovacchia, Spagna e Svizzera.


3. La nuova vita è sempre fonte di gioia. Abbiamo sentito la gioia della Chiesa nelle parole cantate poc'anzi dal diacono. La prima parola dell'annunzio pasquale è "Exsultet": una chiamata alla gioia.

La gioia di questa notte è più grande del timore delle donne di Gerusalemme: è la gioia per la vittoria sulla morte e sul peccato. Non esita la Chiesa a cantare: "Felice colpa"; felice perché hai trovato in questa notte il Redentore; perché nella sua morte sei stata vinta. Cristo è risorto ridonando la vita a tutti i discendenti di Adamo.


4. così dunque la Chiesa, già adesso, durante questa ammirabile veglia pasquale, ci invita tutti alla gioia. Rallegriamoci perché in Cristo la vita è più forte della morte e la salvezza è più forte del peccato.

"Annuntio vobis gaudium magnum, quod est - Alleluia!".

Siate testimoni nel mondo di oggi della gioia della Pasqua!

Data: 1994-04-03 Data estesa: Domenica 3 Aprile 1994





Regina Caeli, il "Lunedi dell'Angelo" - Palazzo Pontificio, Castelgandolfo (Roma)

Titolo: Maria fu la prima a ricevere l'annuncio della Risurrezione

Vorrei salutare tutti i presenti e, secondo una tradizione buona, dire qualche parola sulla giornata di oggi, Lunedi dopo Pasqua, chiamato anche Lunedi dell'Angelo.

Perché è chiamato così? Mi sembra che è molto ben inventato questo "Lunedi dell'Angelo". Si deve dare un certo spazio a questo Angelo che era capace di dire dalla profondità del sepolcro: "E' risorto!".

Questa parola - "Risorto" - era così difficile da dire, da esprimere, alla persona umana. Anche le donne che sono andate al sepolcro l'hanno trovato vuoto, ma non potevano dire: "E' risorto", ma solo che il sepolcro era vuoto.

L'Angelo dice di più: "non è qui, è risorto!" Questo lo poteva dire solamente l'Angelo, così come aveva potuto dire una volta a Maria: "concepirai un figlio, sarà figlio di Dio". Non era pensabile per la persona umana, un Dio-uomo, un Dio fattosi uomo. Doveva essere un Angelo inviato dal Padre per dire questo a Maria.

E' interessante che al sepolcro, la domenica di Pasqua, vanno le donne, ma non va Maria. Uno scrittore polacco dice che probabilmente era molto affaticata dagli avvenimenti, dalle preghiere comuni, e nel momento in cui uscivano queste tre donne per andare al sepolcro, Maria non poteva andare insieme.

Ma lo stesso scrittore aggiunge che lei certamente è la prima che ha ricevuto quella grande notizia. Lei per prima ha ricevuto l'annuncio dall'Angelo della Incarnazione e lei è anche la prima a ricevere l'annuncio della Risurrezione.

Non parla di questo la Scrittura, ma è una convinzione basata sul fatto che Maria era la Madre di Cristo, Madre fedele, Madre prediletta, e che Cristo era il Figlio fedele a sua Madre. Cristo sapeva bene quanto la sua morte, la sua passione, è costata a sua Madre, non voleva lasciarla sola e così, sotto la Croce, ha pensato subito a dare a sua Madre un altro figlio, un figlio per proteggerla, per difenderla.

Certamente lo stesso Cristo nel momento della Risurrezione pensava prima di dare questa notizia, questo annuncio, a sua Madre.

Una convinzione che ci lascia dire, recitare, pregare, oggi e durante tutto il periodo pasquale: "Regina Caeli laetare". Questo dice la Chiesa, ma questo "Regina Caeli laetare", possiamo dire, era il primo annuncio della Risurrezione fatto a Maria da parte di un Angelo. così si spiega il nome, la terminologia, dell'odierna seconda giornata della Pasqua, il Lunedi dell'Angelo.

(Dopo la recita della preghiera mariana del "Regina Caeli", Giovanni Paolo II ha salutato i pellegrini presenti a Castel Gandolfo. Ecco le sue parole:) Voglio ancora salutare non solamente le Salesiane di Maria Ausiliatrice, ma il gruppo "Nuova Gamma" venuto dalla Sicilia: Palermo, Catania, Siracusa, Caltanissetta, Ragusa. Mi dicono che il 1 maggio devo andare in Sicilia di nuovo.

Così ho salutato i siciliani, ho preparato la strada in Sicilia con questo saluto.

Poi ci sono gli altri, non solo gli italiani. Certamente c'è il parroco di Nowa Huta. Poi gli altri, non so, gli spagnoli. Allora evviva Castel Gandolfo.

Sia lodato Gesù Cristo! Prima vi era sempre un solo Vescovo ad Albano, adesso sono due: vi è anche un Ausiliare. Si vede che la Chiesa cresce.

Buona Pasqua!

Data: 1994-04-04 Data estesa: Lunedi 4 Aprile 1994





Messaggio per la morte del prof. Gérôme Lejeune - Città del Vaticano

Titolo: Ringraziamo Dio di tutto ciò che egli ha fatto per difendere la vita

Al Signor Cardinale Jean-Marie Lustiger Arcivescovo di Parigi "Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore, vivrà" (Jn 11,25).

Queste parole di Cristo ci vengono in mente di fronte alla morte del Professor Jérôme Lejeune. Se il Padre dei cieli lo ha chiamato da questa terra lo stesso giorno della Risurrezione di Cristo, è difficile non vedere un segno in questa coincidenza. La Risurrezione di Cristo costituisce una grande testimonianza resa alla Vita che è più forte della morte. Illuminati da queste parole del Signore, vediamo in ogni morte umana come una partecipazione alla morte di Cristo e alla sua Risurrezione, soprattutto quando una morte si verifica lo stesso giorno della Risurrezione. Una morte simile rappresenta una testimonianza ancora più forte alla vita alla quale l'uomo è chiamato in Gesù Cristo. Nel corso di tutta l'esistenza del nostro fratello Jérôme, questo richiamo ha costituito una linea portante. Nella sua qualità di biologo, si è appassionato alla vita. Nel suo campo è stato una delle massime autorità a livello mondiale. Molti organismi lo invitavano a tenere delle conferenze e sollecitavano il suo parere. Era rispettato anche da quanti non ne condividevano le convinzioni più profonde.

Desideriamo oggi ringraziare il Creatore, "dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome" (Ep 3,15), per il particolare carisma del defunto. Bisogna parlare in questo caso di carisma perché il Professor Lejeune ha sempre saputo far uso della sua profonda conoscenza della vita e dei suoi segreti per il vero bene dell'uomo e dell'umanità e solo per questo. E' divenuto uno degli arditi difensori della vita, soprattutto della vita dei bambini prima della nascita che, nella nostra civiltà contemporanea, è spesso minacciata a tal punto che si può pensare ad una minaccia programmata. Oggi questa minaccia si estende anche agli anziani e agli ammalati. Le istituzioni umane, i parlamenti democraticamente eletti, usurpano il diritto di poter determinare chi ha diritto alla vita e chi può invece vedersi privato di questo diritto senza alcuna colpa da parte sua. In diversi modi, il nostro secolo ha sperimentato questo comportamento, soprattutto durante la seconda guerra mondiale, ma anche dopo la fine della guerra. Il Professor Jérôme Lejeune si è assunto pienamente la responsabilità specifica dello scienziato, pronto a diventare un "segno di contraddizione" senza tener conto di pressioni esercitate dalla società permissiva né dell'ostracismo di cui era oggetto.

Siamo oggi di fronte alla morte di un grande cristiano del XX secolo. di un uomo per il quale la difesa della vita è diventata un apostolato. E' chiaro che, nella situazione attuale del mondo, questa forma di apostolato dei laici è particolarmente necessaria. Vogliamo oggi ringraziare Dio, Lui che è l'Autore della vita, di tutto ciò che è stato per noi il Professor Lejeune, di tutto quello che ha fatto per difendere e promuovere la dignità della vita umana. Vorrei in particolare ringraziarlo per aver preso l'iniziativa della creazione della Pontificia Accademia "Pro Vita". Membro della Pontificia Accademia delle Scienze da molti anni, il Professor Lejeune ha preparato tutti gli elementi necessari a questa nuova fondazione e ne è divenuto il primo Presidente. Siamo sicuri che pregherà ormai la Saggezza divina per questa Istituzione così importante che gli deve in gran parte la propria esistenza.

Cristo dice: "lo sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà...". Crediamo che queste parole si siano realizzate nella vita e nella morte di nostro fratello Jérôme. Che la verità sulla vita costituisca anche una fonte di forza spirituale per la famiglia del defunto, per la Chiesa di Parigi, per la Chiesa in Francia e per tutti noi, cui il Professor Lejeune ha lasciato la testimonianza veramente radiosa della sua vita di uomo e di cristiano.

Nella preghiera, mi unisco a tutti coloro che partecipano alle esequie e invio a tutti, tramite il Cardinale Arcivescovo di Parigi, la mia Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 4 aprile 1994.

IOANNES PAULUS PP. II

Data: 1994-04-04 Data estesa: Lunedi 4 Aprile 1994








Udienza: ai rappresentanti delle Comunità ebraiche giunti a Roma per il concerto commemorativo della "Shoah" - Sala del Concistoro, Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'umanità non può permettere che si ripetano gli orribili crimini causati dall'anti-semitismo e dall'odio razziale

Signore e Signori, Questo è senza dubbio un incontro molto importante, e sono particolarmente lieto di dare il benvenuto all'insigne gruppo di responsabili ebrei e di organizzatori del Concerto commemorativo della "Shoah", che avrà luogo questa sera nell'Aula Paolo VI in Vaticano. In particolare, do il benvenuto ai superstiti della terribile esperienza dei campi di concentramento che ci onorano con la loro presenza. Rivolgo un saluto anche al Maestro Gilbert Levine, che ha fatto così tanto perché questa manifestazione potesse avere luogo.

La vostra visita non può non ricordarmi il periodo del mio pellegrinaggio ad Auschwitz e a Dachau. Durante il primo anno del mio Pontificato mi sono recato di nuovo ad Auschwitz, e davanti alla lapide commemorativa con iscrizione ebraica ho tentato di esprimere la forte emozione suscitata in me dal "ricordo del Popolo i cui figli e le cui figlie erano destinati allo sterminio totale". Come dissi in quell'



"Questo Popolo ha la sua origine da Abramo, che è "padre della nostra fede" (cfr. Rm 4,12), come si è espresso Paolo di Tarso. Proprio questo popolo, che ha ricevuto da Dio il comandamento: "non uccidere", ha provato su se stesso in misura particolare che cosa significa l'uccidere. Davanti a questa lapide non è lecito a nessuno di passare oltre con indifferenza" (Discorso al campo di concentramento di Brzezinka, 7 giugno 1979, n. 2). Ho usato le stesse parole nel 1986 quando ho visitato la Sinagoga di Roma.

Anche in questa città la comunità ebraica ha pagato un prezzo elevato con il sangue per il solo motivo di essere ebrea. Come in quell'occasione, così anche oggi esprimo "una parola di esecrazione per il genocidio decretato durante l'ultima guerra contro il popolo ebreo e che ha portato all'olocausto di milioni di vittime innocenti" (Discorso presso la Sinagoga di Roma, 13 aprile 1986, n. 6).

Il concerto di questa sera è una commemorazione di quei terribili eventi. Le candele che arderanno mentre ascolteremo la musica ci ricorderanno la lunga storia di antisemitismo che ha avuto il suo culmine nella Shoah. Tuttavia non è sufficiente ricordare, poiché nel presente, purtroppo, si verificano nuove e numerose manifestazioni di antisemitismo, di xenofobia e di odio razziale che sono stati i semi di quegli indicibili crimini. L'umanità non può permettere che ciò accada di nuovo. La nostra comune speranza è che la musica che ascolteremo insieme confermi la nostra decisione di consolidare i buoni rapporti fra le nostre due comunità, affinchè con l'aiuto di Dio Onnipotente possiamo operare insieme per impedire il ripetersi di tale atroce male.

Dobbiamo essere profondamente grati a tutti coloro che operano per garantire un riconoscimento più ampio e più completo del "vincolo" e del "comune patrimonio spirituale" che esistono fra gli ebrei e i Cristiani (cfr. DH 4). In passato, questi vincoli hanno ispirato azioni di coraggiosa solidarietà. A questo proposito, in quanto evento storico, non si può dimenticare che nel mio Paese d'origine, così come in altri Paesi e anche qui a Roma, nei terribili giorni della Shoah, molti cristiani, con i loro Pastori, hanno lottato per aiutare i loro fratelli e le loro sorelle della comunità ebraica, anche a costo della propria vita. Di fronte ai pericoli che minacciano i figli e le figlie della generazione attuale, i cristiani e gli ebrei hanno molto da offrire ad un mondo che lotta per distinguere il bene dal male, un mondo chiamato dal Creatore a difendere e a tutelare la vita, ma anche vulnerabile alle voci che diffondono valori che portano soltanto morte e distruzione.

Che questa sera, ascoltando insieme la musica che verrà eseguita per noi, possiamo tutti essere ispirati a ripetere nei nostri cuori il Canto delle Ascensioni di Davide: "Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!" (Ps 133,4).

Questo è ciò che auspico per gli ebrei e per i cristiani di ogni luogo.

Questa speranza ravviva la mia preghiera per la pace nella Terra Santa che è così vicina a tutti i nostri cuori.

Data: 1994-04-07 Data estesa: Giovedi 7 Aprile 1994





Alla presenza di sopravvissuti ai campi di sterminio, commemora l'olocausto di milioni di Ebrei - Aula Paolo VI, Città del Vaticano (Roma)

Titolo: ""Non dimenticateci". Raddoppiamo gli sforzi per liberare l'uomo dagli spettri del razzismo, dell'esclusione e della xenofobia"




1. Le melodie e i canti che sono risuonati in quest'Aula erano espressione di una comune meditazione e di una condivisa preghiera. Voci diverse si sono unite in un concerto di suoni e di armonie che ci hanno intimamente toccati e coinvolti.

Abbiamo pregato sapendo che il Signore, se invocato, risponde per risollevare il capo di chi dispera, spezzare le catene dell'oppresso, disperdere le ombre che si annidano nelle valli oscure della vita.

Tra coloro che sono con noi questa sera vi è chi ha vissuto nella propria carne un'orribile esperienza, ha attraversato un oscuro deserto in cui pareva inaridita la sorgente stessa dell'amore.

Molti allora hanno pianto ed il loro lamento risuona ancora. Lo udiamo anche qui; non è morto con loro, ma si leva forte, struggente, accorato, e dice: "Non dimenticateci". Si rivolge a tutti e a ciascuno.


2. Noi siamo dunque riuniti questa sera per commemorare l'olocausto di milioni di Ebrei. Le candele, accese da alcuni sopravvissuti, vogliono simbolicamente mostrare che questa sala non ha limiti angusti. Essa contiene tutte le vittime: padri, madri, figli, fratelli, amici. Nel ricordo, tutti sono presenti, sono con voi, sono con noi.

Abbiamo un impegno, l'unico capace, forse, di dare un senso ad ogni lacrima versata dall'uomo a causa dell'uomo, e di giustificarla.

Noi abbiamo visto con i nostri occhi, noi siamo stati e siamo testimoni della violenza e dell'odio che troppo spesso si accendono nel mondo e rapidamente lo infiammano.

Abbiamo visto e vediamo la pace derisa, la fratellanza beffata, la concordia negletta, la misericordia disprezzata.


3. Eppure, l'uomo tende alla giustizia. Egli è l'unico essere del creato capace di concepirla. Salvare l'uomo non significa soltanto non ucciderlo, non mutilarlo, non torturarlo. Significa anche dare alla fame e sete di giustizia che è in lui la possibilità di essere saziata.

Ecco il nostro impegno. Rischieremmo di far morire nuovamente le vittime delle più atroci morti, se non avessimo la passione della giustizia e se non ci impegnassimo, ciascuno secondo le proprie capacità, a far si che il male non prevalga sul bene, come è accaduto nei confronti di milioni di figli del popolo ebraico.

Occorre dunque raddoppiare gli sforzi per liberare l'uomo dagli spettri del razzismo, dell'esclusione, dell'emarginazione, dell'asservimento, della xenofobia; per estirpare anche le radici di questi mali, che si insinuano nella società e minano le fondamenta della pacifica convivenza umana. Il male si presenta sempre sotto nuove forme; i suoi volti sono tanti e molte sono le sue lusinghe. Spetta a noi smascherarne il pericoloso potere e, con l'aiuto di Dio, neutralizzarlo.


4. Avrei voluto menzionare uno per uno, per quanto possibile, tutti coloro che hanno promosso e incoraggiato questa iniziativa: coloro che l'hanno sostenuta e sono qui con noi ora; i numerosi rappresentanti delle comunità e delle organizzazioni ebraiche di tutto il mondo; i sopravvissuti alla Shoah, personaggi e rappresentanti eminenti della sfera civile e religiosa; tutti coloro che hanno accettato l'invito ad assistere a questo concerto, e coloro che lo hanno eseguito sotto l'abile direzione del Maestro Gilbert Levine.

Li ringrazio di tutto cuore poiché hanno contribuito a conferire significato e importanza a questo evento commemorativo.

La loro presenza rafforza il nostro impegno comune.


5. Le melodie evocative che abbiamo ascoltato echeggiano l'angosciata supplica al Signore, la speranza in colui che ascolta coloro che lo cercano, per accoglierli e consolarli. Nei nostri cuori rimane questa profonda impressione che rievoca ricordi e ci esorta a pregare.

Prima di concludere questo incontro, desidero invitarvi a osservare un momento di silenzio, per lodare il Signore con le parole che suggerirà ai nostri cuori, e ascoltare ancora una volta la supplica: "Non dimenticateci".

Data: 1994-04-07 Data estesa: Giovedi 7 Aprile 1994





Udienza: il discorso ai partecipanti all'Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio "Co Unum" - Sala del Concistoro, Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Testimoni dell'amore di Cristo servendo gli uomini colpiti dalla tragedia della guerra

Signor Cardinale, Cari amici,


1. In questa settimana pasquale, l'Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio "Co Unum" prolunga in un certo senso naturalmente lo sforzo compiuto durante la Quaresima in tutta la Chiesa per mettere in opera la carità senza la quale il discepolo di Cristo "non è nulla", come dice San Paolo (cfr. 1Co 13,2). Ringrazio il Cardinale Roger Etchegaray, vostro Presidente, per le parole che mi ha appena rivolto per presentare i vostri lavori. E mi associo a voi nell'azione di grazia per la carità vissuta nella Chiesa: voi ne siete i testimoni e spesso gli ispiratori e gli animatori.

Posto nel cuore della Chiesa, il vostro Consiglio ha in effetti la missione di coordinare tutte le azioni concrete di aiuto alle diverse comunità, ispirate dall'amore fraterno. Con qualche riflessione, vorrei semplicemente sottolineare i tre aspetti più importanti dell'opera del Co Unum.


2. In primo luogo, vi dedicate a svolgere una catechesi della carità. Dovete ricordare costantemente l'autentica fonte delle azioni caritative, questo "amore (che) è da Dio", l'amore di cui siamo amati, e in nome del quale "anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri" (1Jn 4,7-11). Non possiamo svuotare queste parole del loro significato. Il Concilio Vaticano II ha ricordato a sua volta che, tra le vie della santità, si distingue particolarmente quella del "servizio attivo dei fratelli" (LG 42).

Senza sviluppare questo tema, che vi è familiare, insisto solo sulla necessità di non perdere mai di vista il fatto che, secondo San Paolo, è la fede che opera mediante la carità in Cristo (cfr. Ga 5,6), e allo stesso tempo che, secondo San Giacomo, le opere sono necessarie alla piena realizzazione di una vita di fede (cfr. Jc 2,14-26).

Nella diversità delle organizzazioni e dei programmi che siete chiamati a coordinare, una tale ispirazione deve sempre rimanere presente.

Le moderne esigenze tecniche e la ricerca di una migliore efficienza in una buona organizzazione non faranno dimenticare che le strutture non hanno altro fine che quello di essere dei canali per la carità del popolo di Dio. Come i semplici fedeli non devono disinteressarsi dell'azione che essi affidano a organismi specializzati, allo stesso modo i responsabili di questi gruppi non possono erigersi a padroni indipendenti dei loro progetti o a possessori assoluti dei loro mezzi. Mossi, essi stessi, da una generosità alla quale rendo omaggio, sono i servitori della carità che è chiamata a riflettere l'unità fraterna dei membri del popolo di Dio.


3. In ogni momento potete essere chiamati a rispondere a degli appelli urgenti, in seguito a catastrofi naturali o altre situazioni di crisi. E' questo il secondo aspetto importante della vostra missione. Ciò esige da Co Unum una vigilanza costante, al fine di venire a conoscenza subito delle più profonde situazioni di disperazione e di fornire i soccorsi urgenti più adeguati. In questi campi, al lato di organizzazioni che traggono altrove la loro ispirazione, la presenza della Chiesa è spesso stata riconosciuta per la sua efficacia reale, grazie ai vincoli costanti mantenuti tra le istituzioni caritative che agiscono nelle diverse regioni. In questo ambito, i cristiani rendono così una testimonianza importante e offrono un segno della solidarietà che dovrebbe essere naturale per tutta la famiglia umana. Al di là del carattere spettacolare di alcune azioni, a causa della eco prodotta dai mezzi di comunicazione sociale, spetta a voi seguire attentamente lo svolgimento dei vostri interventi, affinché la loro utilità sia durevole, e di farlo in totale intesa con le popolazioni coinvolte e le loro organizzazioni locali di mutuo soccorso.


4. L'animazione della carità implica la preoccupazione di far conoscere a tutto il popolo cristiano le dimensioni reali delle sofferenze da alleviare e delle povertà da soccorrere. Questo terzo aspetto della vostra missione vi consente, mediante l'informazione che raccogliete e i contatti che mantenete in tutto il mondo, di aiutare i membri della Chiesa a comprendere meglio i bisogni dei loro fratelli vicini e lontani. In tal modo, in questi ultimi decenni, i cristiani si sono preoccupati di prendere in considerazione le necessità dello sviluppo, come aveva chiesto Paolo VI nell'Enciclica Populorum progressio.

Ogni anno vi affido il compito di diffondere un messaggio di quaresima che ponga l'accento ogni volta su un ambito particolare dove deve esercitarsi la solidarietà attiva della famiglia umana. così, abbiamo sottolineato recentemente la situazione dei rifugiati, la condivisione delle risorse del creato, i problemi dell'acqua e della desertificazione e ultimamente il ruolo della famiglia nell'esercizio della carità, chiedendo il sostegno della carità verso le famiglie più bisognose. Nella loro diversità questi pochi esempi sono sufficienti a ricordare l'ampiezza dei campi d'azione che si presentano oggi. Dobbiamo evidentemente unire strettamente gli appelli alla carità alle esigenze di giustizia e il dovere di assistenza alla definizione e alla tutela dei diritti dell'uomo. Ricordiamo le parole del Signore, secondo il profeta Geremia, quando invita il re a seguire l'esempio di suo padre: "Egli praticava il diritto e la giustizia... Egli tutelava la causa del povero e del misero.... questo non significa infatti conoscermi?" (Gr 22,15-16).

Il tema principale dei lavori della vostra assemblea riveste una particolare importanza nell'attuale situazione mondiale: "La testimonianza della carità di Cristo nell'azione umanitaria in tempo di guerra". Lo sappiamo, molti popoli subiscono oggi le conseguenze dei conflitti che provocano sofferenze drammatiche. Voi dovete guidare o consigliare l'azione umanitaria svolta dalla Chiesa, spesso in coordinazione con altre organizzazioni. Esiste un dovere di solidarietà che porta a difendere il diritto dei popoli a vivere degnamente nella pace. L'azione umanitaria deve essere condotta indipendentemente dai condizionamenti politici; bisogna ricordare, all'occasione, che la necessità di una assistenza è prioritaria rispetto alla competenza degli Stati quando sono in gioco la vita umana e la sua dignità. E' anche opportuno integrare nella riflessione non solo il punto di vista dei bisogni materiali di sopravvivenza, ma anche il punto di vista spirituale concernente i diritti umani, poiché si tratta di difendere i popoli con la loro cultura, la loro religione, le loro legittime strutture familiari e sociali.

Vi esorto a riprendere su questi punti la riflessione che ho già affrontato al cospetto dei rappresentanti della comunità internazionale (cfr. Discorsi 5 dicembre 1992 e 16 gennaio 1993). Dovete in particolare contribuire affinché sia praticato chiaramente il discernimento sempre necessario perché l'azione umanitaria dei fedeli rimanga una testimonianza della carità di Cristo, sia mediante l'autenticità della motivazione sia mediante un aiuto disinteressato dato a ogni fratello e a ogni sorella in umanità senza escludere nessuno.


5. Al termine di questo incontro, vorrei ringraziarvi nuovamente per essere infaticabili ispiratori dell'azione caritatevole nella Chiesa, adempiendo ai diversi compiti della vostra missione. In particolar modo aiutate il Successore di Pietro a rispondere a numerosi appelli. Vi sono anche grato per il fatto di poter presiedere alle due Fondazioni che vi ho affidato: la Fondazione per il Sahel che aiuta le popolazioni a lottare contro la desertificazione, e la Fondazione Populorum progressio, che sostiene i gruppi autoctoni più svantaggiati in America Latina. Queste due Fondazioni che riuniscono apporti generosi, inviano dei segnali al mondo, mediante azioni concrete, sostanziali e concertate con le persone coinvolte, affinché non si dimentichi lo stato di miseria, spesso tragico, di importanti gruppi di nostri fratelli in umanità.

Al di là dell'azione del vostro Consiglio e di tutti gli organismi rappresentati nella vostra Assemblea, vorrei trasmettere la gratitudine della Chiesa agli uomini e alle donne che sanno rispondere concretamente, con umiltà e con generosità al precetto dell'amore fraterno. Penso in particolare ai poveri che non esitano ad apportare il loro obolo a coloro che sono ancora più poveri: mediante l'apertura del loro cuore e la condivisione dei loro beni, essi testimoniano la carità di Cristo che dovrebbe ispirare coloro che potrebbero fare di più perché la solidarietà superi tutte le frontiere.

Che la luce della Pasqua illumini la vostra fede, che Cristo risorto rafforzi la vostra speranza e accresca la vostra carità! Che la Benedizione di Dio vi accompagni lungo le vie del mondo!

Data: 1994-04-08 Data estesa: Venerdi 8 Aprile 1994





L'omelia durante la celebrazione eucaristica per l'inaugurazione dei restauri degli affreschi di Michelangelo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Cappella Sistina esprime la speranza di un mondo trasfigurato




1. "Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili".

Entriamo oggi nella Cappella Sistina per ammirarne gli affreschi meravigliosamente restaurati. Sono opere dei più grandi maestri del Rinascimento: di Michelangelo innanzitutto, ma poi anche del Perugino, del Botticelli, del Ghirlandaio, del Pinturicchio e di altri. Alla conclusione di questi delicati interventi di restauro, desidero ringraziare tutti Voi qui presenti, e particolarmente coloro che, in vari modi, hanno dato il loro contributo a tale nobile impresa. Si tratta di un bene culturale di inestimabile valore, di un bene avente carattere universale. Di ciò rendono testimonianza gli innumerevoli pellegrini che, provenendo da ogni nazione del mondo, visitano questo luogo per ammirare l'opera di sommi maestri e riconoscere in questa Cappella una sorta di mirabile sintesi dell'arte pittorica.

Appassionati cultori del bello hanno poi dato prova della loro sensibilità con il concreto e cospicuo apporto messo a disposizione per restituire alla Cappella la sua originale freschezza di colori. Si è potuto inoltre contare sull'opera di esperti particolarmente versati nell'arte del restauro, i quali hanno eseguito i loro interventi avvalendosi delle tecnologie più avanzate e sicure. La Santa Sede esprime a tutti il suo cordiale ringraziamento per lo splendido risultato raggiunto.


2. Gli affreschi che qui contempliamo ci introducono nel mondo dei contenuti della Rivelazione. Le verità della nostra fede ci parlano qui da ogni parte. Da esse il genio umano ha tratto la sua ispirazione, impegnandosi a rivestirle di forme di ineguagliabile bellezza. Ecco perché soprattutto il Giudizio Universale suscita in noi il vivo desiderio di professare la nostra fede in Dio, Creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E, nello stesso tempo, ci stimola a ribadire la nostra adesione a Cristo risuscitato, che verrà nell'ultimo giorno quale supremo Giudice dei vivi e dei morti. Davanti a questo capolavoro noi confessiamo Cristo, Re dei secoli, il cui Regno non avrà fine.

Proprio questo Figlio eterno, a cui il Padre ha affidato la causa dell'umana redenzione, ci parla nella drammatica scena del Giudizio Universale.

Siamo davanti ad un Cristo insolito. Egli possiede in sé un'antica bellezza, che in un certo senso si discosta dalle rappresentazioni pittoriche tradizionali. Dal grande affresco Egli ci rivela prima di tutto il mistero della sua gloria legato alla risurrezione. Essere raccolti qui, durante l'Ottava di Pasqua, è da ritenere circostanza quanto mai propizia. Siamo di fronte, innanzitutto, alla gloria dell'umanità di Cristo. Egli verrà infatti nella sua umanità per giudicare i vivi e i morti, penetrando le profondità delle coscienze umane e rivelando la potenza della sua redenzione. Per tale ragione, accanto a Lui troviamo la Madre, l'"Alma socia Redemptoris". Cristo nella storia dell'umanità è la vera pietra angolare, di cui il Salmista dice: "La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d'angolo" (Ps 117/118,22). Questa pietra, dunque, non può essere scartata. Unico Mediatore tra Dio e gli uomini, Cristo dalla Cappella Sistina esprime in se stesso l'intero mistero della visibilità dell'Invisibile.


3. Siamo così al centro della questione teologica. L'Antico Testamento escludeva qualsiasi immagine o raffigurazione dell'invisibile Creatore. Tale, infatti, era il comando che Mosè aveva ricevuto da Dio sul monte Sinai (cfr. Ex 20,4), poiché esisteva il pericolo che il popolo, incline all'idolatria, si fermasse nel suo culto ad un'immagine di Dio che è inimmaginabile, in quanto al di sopra di ogni immaginazione e intendimento dell'uomo. L'Antico Testamento rimase fedele a questa tradizione, non ammettendo nessuna raffigurazione del Dio Vivo né nelle case di preghiera, né nel Tempio di Gerusalemme. Ad una simile tradizione si attengono i membri della religione musulmana, che credono in un Dio invisibile, onnipotente e misericordioso, Creatore e Giudice di ogni creatura.

Ma Dio stesso venne incontro alle esigenze dell'uomo il quale porta nel cuore l'ardente desiderio di poterlo vedere. Non accolse forse Abramo lo stesso Dio invisibile nella mirabile visita di tre misteriosi Personaggi? "Tres vidit et Unum adoravit" (cfr. Gn 18,1-14). Davanti a quelle tre Persone Abramo, il padre della nostra fede, sperimento in modo profondo la presenza del Solo e dell'Unico.

Questo incontro diventerà il tema dell'incomparabile icona di Andrei Rublev, culmine della pittura russa. Rublev fu uno di quei santi artisti, la cui creatività era frutto di profonda contemplazione, di preghiera e digiuno.

Attraverso la loro opera si esprimeva la gratitudine dell'anima al Dio invisibile che concede all'uomo di rappresentarlo in modo visibile.


4. Tutto ciò fu recepito dal Secondo Concilio di Nicea, l'ultimo della Chiesa indivisa, che respinse in modo definitivo la posizione degli iconoclasti, confermando la legittimità della consuetudine di esprimere la fede mediante raffigurazioni artistiche. L'icona non è allora soltanto opera di arte pittorica.

Essa è, in un certo senso, come un sacramento della vita cristiana, poiché in essa si fa presente il mistero dell'Incarnazione. In essa si riflette, in modo sempre nuovo, il Mistero del Verbo fatto carne e l'uomo - autore e, nello stesso tempo, partecipe - si rallegra della visibilità dell'Invisibile.

Non è forse stato lo stesso Cristo a porre le basi di tale spirituale letizia? "Signore, mostraci il Padre e ci basta" - chiede Filippo nel cenacolo, alla vigilia della passione di Cristo. E Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre... Non credi, che io sono nel Padre e il Padre è in me?" (Jn 14,8-10). Cristo è la visibilità dell'invisibile Dio. Per mezzo di Lui, il Padre compenetra l'intera creazione e l'invisibile Dio si fa presente tra noi e comunica con noi, così come i tre Personaggi, di cui parla la Bibbia, si sedettero a tavola e mangiarono con Abramo.


5. Non ha tratto forse anche Michelangelo precise conclusioni dalle parole di Cristo "Chi ha visto me ha visto il Padre"? Egli ha avuto il coraggio di ammirare con i propri occhi questo Padre nel momento in cui proferisce il "fiat" creatore e chiama all'esistenza il primo uomo. Adamo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,26). Mentre il Verbo eterno è l'icona invisibile del Padre, l'uomo-Adamo ne è l'icona visibile. Michelangelo si sforza in ogni modo di ridare a questa visibilità di Adamo, alla sua corporeità, i tratti dell'antica bellezza.

Anzi, con grande audacia, trasferisce tale bellezza visibile e corporea allo stesso invisibile Creatore. Siamo probabilmente davanti ad un'insolita arditezza dell'arte, poiché al Dio invisibile non si può imporre la visibilità propria dell'uomo. Non sarebbe una bestemmia? E' difficile pero non riconoscere nel visibile ed umanizzato Creatore il Dio rivestito di maestà infinita. Anzi, per quanto l'immagine con i suoi intrinseci limiti consente, qui si è detto tutto ciò che era dicibile. La maestà del Creatore come quella del Giudice parlano della grandezza divina: parola commovente e univoca, come, in altro modo, commovente e univoca è la Pietà nella Basilica Vaticana, è il Mosè nella Basilica di San Pietro in Vincoli.


6. Nell'umana espressione dei misteri divini non è forse necessaria la "kenosis", come consumazione di ciò che è corporale e visibile? Una tale consumazione è fortemente entrata nella tradizione delle icone cristiano-orientali. Il corpo è certamente la "kenosis" di Dio. Leggiamo infatti in san Paolo che Cristo "spoglio se stesso, assumendo la condizione di servo" (Ph 2,7). Se è vero che il corpo rappresenta la "kenosis" di Dio e che nella raffigurazione artistica dei misteri divini deve esprimersi la grande umiltà del corpo, affinché ciò che è divino possa manifestarsi, è anche vero che Dio è la fonte della bellezza integrale del corpo.

Sembra che Michelangelo, a suo modo, si sia lasciato guidare dalle suggestive parole del Libro della Genesi che, a riguardo della creazione dell'uomo, maschio e femmina, rileva: "Erano nudi, ma non ne provavano vergogna" (Gn 2,25). La Cappella Sistina è proprio - se così si può dire - il santuario della teologia del corpo umano. Nel rendere testimonianza alla bellezza dell'uomo creato da Dio come maschio e femmina, essa esprime anche, in un certo modo, la speranza di un mondo trasfigurato, il mondo inaugurato dal Cristo risorto, e prima ancora dal Cristo del monte Tabor. Sappiamo che la Trasfigurazione costituisce una delle principali fonti della devozione orientale; essa è un eloquente libro per i mistici, come un libro aperto è stato per san Francesco il Cristo crocifisso contemplato sul monte della Verna.

Se davanti al Giudizio Universale rimaniamo abbagliati dallo splendore e dallo spavento, ammirando da un lato i corpi glorificati e dall'altro quelli sottoposti a eterna condanna, comprendiamo anche che l'intera visione è profondamente pervasa da un'unica luce e da un'unica logica artistica: la luce e la logica della fede che la Chiesa proclama confessando: "Credo in un solo Dio...

creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili". Sulla base di tale logica, nell'ambito della luce che proviene da Dio, anche il corpo umano conserva il suo splendore e la sua dignità. Se lo si stacca da tale dimensione, diventa in certo modo un oggetto, che molto facilmente viene svilito, poiché soltanto dinanzi agli occhi di Dio il corpo umano può rimanere nudo e scoperto e conservare intatto il suo splendore e la sua bellezza.


7. La Cappella Sistina è il luogo che, per ogni Papa, racchiude il ricordo di un giorno particolare della sua vita. Per me, si tratta del 16 ottobre 1978. Proprio qui, in questo spazio sacro, si raccolgono i Cardinali, aspettando la manifestazione della volontà di Cristo riguardo alla persona del Successore di san Pietro. Qui ho udito dalla bocca del mio rettore di un tempo Maximilien de Furstenberg le significative parole: "Magister adest et vocat te". In questo luogo il Cardinale Primate di Polonia Stefan Wyszynski mi ha detto: "Se ti eleggeranno, ti prego di non rifiutare". E qui, in spirito di obbedienza a Cristo e affidandomi alla sua Madre, ho accettato l'elezione scaturita dal Conclave, dichiarando al Cardinale Camerlengo Jean Villot la mia disponibilità a servire la Chiesa. così dunque la Cappella Sistina ancora una volta è diventata davanti a tutta la Comunità cattolica il luogo dell'azione dello Spirito Santo che costituisce nella Chiesa i Vescovi, costituisce in modo particolare colui che deve essere il Vescovo di Roma e il Successore di Pietro.

Celebrando oggi il sacrificio della Santa Messa nella stessa Cappella, nel sedicesimo anno del mio servizio alla Sede Apostolica, prego lo Spirito del Signore che non cessi di essere presente e operante nella Chiesa. Lo prego perché la introduca felicemente nel terzo millennio.

Invoco Cristo, Signore della storia, perché sia con tutti noi fino alla fine del mondo, come Egli stesso ha promesso: "Ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi" (Mt 28,20).

Data: 1994-04-08 Data estesa: Venerdi 8 Aprile 1994






GPII 1994 Insegnamenti - Pasqua di Risurrezione: l'omelia durante la celebrazione eucaristica presieduta nella "Notte Santa" - Città del Vaticano (Roma)