GPII 1995 Insegnamenti 265

A studenti e professori dell'Ecumenical Istitute of Bossey - Città del Vaticano

Titolo: La comunione tra i cristiani dev'essere visibile

Cari Amici, Sono lieto di incontrare ancora una volta i professori e gli studenti della Graduate School dell'Istituto ecumenico di Bossey in occasione della vostra visita annuale a Roma. Vi saluto con le parole dell'apostolo Paolo ai primi cristiani di questa Città: "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo" (Rm 1,7).

Il tema del vostro programma di studi - "Educazione alla Koinonia" - richiama la comunione che unisce tutti coloro che, attraverso il battesimo e la fede, condividono la dignità di appartenere al Popolo di Dio, "un popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (LG 4). Questa comunione è anzitutto un dono di Dio. Per sua esatta natura, essa richiede espressione visibile; infatti l'unità visibile dei discepoli di Cristo costituisce la Chiesa come il sacramento di salvezza, il segno vivente della riconciliazione e della pace ottenute per noi per mezzo del sangue della Croce. Nell'Ultima Cena Cristo ha pregato per questa unità proprio "perché il mondo creda" (Gn 17,21).

Spero e prego perciò, cari amici, affinché Dio vi conceda l'aiuto di cui avete bisogno per essere strumenti dell'unità voluta da Cristo. Nei prossimi anni, mentre ci prepariamo all'alba del Terzo Millennio cristiano dobbiamo implorare sempre più ardentemente la grazia dell'unità tra tutti i discepoli del Signore (cfr. TMA 34). Solo in questo modo saremo in grado di rispondere alla pressante sfida di fronte alla quale sono posti tutti i cristiani, ossia di rendere testimonianza a Dio davanti al mondo "a colui che in tutto ha il potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare secondo la potenza che già opera in noi. A lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen" (Ep 3,20-21).

Su tutti voi invoco cordialmente le benedizioni divine di gioia e pace.

(Traduzione dall'inglese]

Data: 1995-02-09 Data estesa: Giovedi 9 Febbraio 1995

Udienza: il discorso di Giovanni Paolo II in occasione dell'apertura dell'Anno giudiziario della Rota Romana - Città del Vaticano

Titolo: La persona umana sia sempre collocata al centro del vostro ufficio



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1. Le sono vivamente grato, Monsignor Decano, per le espressioni con cui si è fatto interprete dei sentimenti augurali del Collegio dei Prelati Uditori e degli Officiali del Tribunale della Rota Romana, come pure dei componenti dello Studio Rotale ed agli Avvocati Rotali. Tutti saluto con affetto.

Sono sempre molto lieto di accogliervi in occasione dell'apertura dell'Anno Giudiziario, che mi offre la gradita opportunità, anzitutto, di incontrarvi e di manifestarvi il mio riconoscente apprezzamento e, poi, di incoraggiarvi nel vostro peculiare servizio ecclesiale.

Le riflessioni che Ella ha svolto nel suo indirizzo, Mons. Decano, mi suggeriscono di soffermarmi, quasi a continuazione di quanto ebbi a dire lo scorso anno, su due argomenti, fra loro in qualche modo complementari. Alludo all'urgente necessità, da una parte, di collocare la persona umana al centro del vostro ufficio, più propriamente del vostro "ministerium iustitiae"; e, dall'altra, al dovere di tener conto delle esigenze derivanti da una visione unitaria che abbracci insieme giustizia e coscienza individuale.

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2. Non vi è dubbio che l'uomo, creato a immagine di Dio, redento dal sacrificio di Cristo e a Lui fatto fratello, sia l'unico destinatario di tutta l'opera evangelizzatrice della Chiesa e quindi anche dello stesso ordinamento canonico. A ragione quindi il Concilio Vaticano II, ribadendo l'altissima vocazione dell'uomo, non ha esitato a riconoscere il "divinum quoddam semen in eo insertum" (
GS 3). "L'immagine divina - ci ricorda anche il Catechismo della Chiesa Cattolica - è presente in ogni uomo. Risplende nella comunione delle persone, a somiglianza dell'unione delle persone divine tra loro" (CEC 1702; cfr. CEC 27 CEC 1701 CEC 1703), così che - per riprendere l'insegnamento conciliare - "omnia quae in terra sunt ad hominem, tamquam ad centrum suum et culmen, ordinanda sunt" (GS 12).

"Quid est autem homo?", si domanda immediatamente il Concilio. La questione non è oziosa. Sulla natura dell'essere umano vi sono infatti opinioni tra loro divergenti. Consapevole di ciò, il Concilio si è impegnato ad offrire una risposta nella quale "vera hominis condicio delineetur, explanentur eius infirmitates, simulque eius dignitas et vocatio recte agnosci possint" (GS 12).

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3. Non è quindi sufficiente richiamarsi alla persona umana e alla sua dignità, senza essersi prima sforzati di elaborare un'adeguata visione antropologica, che, partendo da acquisizioni scientifiche certe, resti ancorata ai principi basilari della filosofia perenne e si lasci insieme illuminare dalla vivissima luce della Rivelazione cristiana.

Ecco perché, in un precedente incontro con codesto Tribunale, ebbi a riferirmi ad "una visione veramente integrale della persona" e ad ammonire contro certe correnti della psicologia contemporanea, le quali "oltrepassando la propria specifica competenza, s'inoltrano in tale territorio e in esso si muovono sotto la spinta di presupposti antropologici non conciliabili con l'antropologia cristiana" (Discorso ai Membri della Rota Romana, n. 2: AAS 79 (1987] p. 1454). Tali presupposti, infatti, presentano un'immagine della natura e della esistenza umana "chiusa ai valori e significati che trascendono il dato immanente e che permettono all'uomo di orientarsi verso l'amore di Dio e del prossimo come sua ultima vocazione" (IB 4, AAS 79 (1987] p. 1455).

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4. Non è inutile, pertanto, richiamare ancora una volta l'attenzione dei Tribunali ecclesiastici sulle inammissibili conseguenze che da erronee impostazioni dottrinali si riverberano negativamente sull'amministrazione della giustizia ed in modo particolare, ancor più gravemente, sulla trattazione delle cause di nullità del matrimonio. Già da molti anni del resto, la specifica normativa canonica, disponendo in fatto di consultazione di medici specialisti ed esperti nella scienza e pratica psichiatrica, aveva espressamente ammonito: "cauto tamen ut excludantur qui sanam (catholicam) doctrinam hac in re non profiteantur" (Instr.

"Provida Mater Ecclesia", art. 151: AAS 28 (1936] p. 343).

Soltanto una antropologia cristiana, arricchita dal contributo dei dati raggiunti con certezza dalla scienza anche in tempo recente nel campo psicologico e psichiatrico, può offrire una visione completa, e perciò realistica, dell'uomo.

Ignorare che egli "ha una natura ferita, incline al male - ammonisce il Catechismo della Chiesa Cattolica - è causa di gravi errori nel campo dell'educazione, della politica, dell'azione sociale e dei costumi" (
CEC 407; cfr. CEC 410 ss.).

Ugualmente fuorviante sarebbe dimenticare che l'uomo è stato gratuitamente redento dal sacrificio di Cristo e reso capace, anche in mezzo a condizionamenti del mondo esterno e di quello a lui interiore, di operare il bene e di assumere impegni per l'intera sua esistenza.

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5. Tutto questo non può condurre che ad una sempre maggiore considerazione della altissima nobiltà dell'uomo, dei suoi diritti intangibili, del rispetto a lui dovuto, anche quando i suoi atti e il suo comportamento diventano oggetto di esame giudiziale da parte della legittima autorità in genere e di quella ecclesiale in specie.

E' ben noto l'apporto che, soprattutto negli ultimi decenni, l'elaborazione giurisprudenziale della Rota Romana ha offerto ad una conoscenza sempre più adeguata di quell'interior homo da cui nascono, come dal proprio centro propulsore, gli atti consapevoli e liberi. In ciò è del tutto lodevole il ricorso fatto alle discipline umanistiche in senso lato, e a quelle medico-biologiche od anche psichiatriche-psicologiche in senso stretto. Ma una psicologia puramente sperimentale, non coadiuvata dalla metafisica né illuminata dalla dottrina morale cristiana, porterebbe ad una concezione riduttiva dell'uomo che finirebbe per esporlo a trattamenti decisamente degradanti.

In realtà l'uomo, aiutato e corroborato dalla grazia soprannaturale, è capace di superare se stesso: pertanto certe esigenze del Vangelo, che in una visione delle cose puramente terrena e temporale potrebbero apparire troppo dure, non soltanto sono possibili, ma riescono apportatrici di benefici essenziali per la crescita dell'uomo stesso in Cristo.

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6. Verso quest'uomo occorre tenere un atteggiamento di riverente considerazione anche nella conduzione dei processi. A tal fine questa Sede Apostolica non ha mancato di dare, secondo le circostanze e i tempi, opportune direttive. così è avvenuto, ad esempio, quando si è trattato di dover ricorrere ad indagini peritali, che avrebbero potuto in qualche modo ledere il senso di una comprensibile e necessaria riservatezza (cfr. Resp. S. Officii diei 2 augusti 1929, AAS 21 (1929) p. 490; - Art. 150 cit. Instr. S.C. Sacram., AAS 28 (1936) p.343; - Decretum S. Officii diei 12 iunii 1942, AAS 34 (1942) p. 200; - Allocutio PII PP. XII diei 8 octobris 1953, AAS 45 (1953) pp. 673-679).

Parimenti, quando le condizioni psichiche di una parte non garantiscono una consapevole e valida partecipazione al giudizio, la legge canonica vi provvede con l'istituto della rappresentanza tutoria o di curatela (cfr.
CIC 1478-1479; CIO 1136-1137).

Altrettanto risulta da tutta la normativa in fatto di difesa. Di questa si garantisce in primo luogo l'effettiva presenza sia con la scelta privata che con l'assegnazione d'ufficio di competenti patroni (cfr. CIC 1481; CIO 1139); se ne tutela poi il libero esercizio giungendo fino a prevedere la possibile nullità di decisioni giudiziarie nelle quali tale libertà risultasse lesa (CIC 1620, n. 7 CIC; CIO 1303,7). Tutto ciò sta a dimostrare la concreta considerazione della dignità dell'uomo, da cui è ispirata la disciplina canonica.

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7. A questo proposito, desidero richiamare la vostra attenzione su un punto di natura processuale: esso riguarda la disciplina vigente circa i criteri di valutazione delle affermazioni fatte in giudizio dalle parti (
CIC 1536-1538 CIC 1679 CIO 1217-1219 CIO 1365).

E' indubitato che le supreme istanze di una vera giustizia, quali sono la certezza del diritto e l'acquisizione della verità, devono trovare il loro corrispettivo in norme procedurali, che mettano al riparo da arbitri e leggerezze inammissibili in ogni ordinamento giuridico, ed ancora meno in quello canonico. Il fatto tuttavia che la legislazione ecclesiale riponga proprio nella coscienza del giudice, e cioè nel suo libero convincimento, pur dedotto dagli atti e dalle prove (CIC 1608,3 CIO 1291,3), il criterio ultimo e il momento conclusivo del giudizio stesso, prova come un inutile ed ingiustificato formalismo non debba mai sovrapporsi fino a soffocare i chiari dettami del diritto naturale.

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8. Questo ci porta ad affrontare in modo diretto l'altro argomento, al quale facevo riferimento all'inizio: il rapporto fra una vera giustizia e la coscienza individuale.

Scrivevo già nell'Enciclica "Veritatis Splendor": "Il modo secondo cui si concepisce il rapporto tra la libertà e la legge si collega intimamente con l'interpretazione che viene riservata alla coscienza morale" (
VS 54).

Se ciò è vero nell'ambito del cosiddetto "foro interno", non vi è dubbio pero che una correlazione fra la legge canonica e la coscienza del soggetto si pone anche nell'ambito del "foro esterno": qui il rapporto si instaura fra il giudizio di chi autenticamente e legittimamente interpreta la legge, sia pure nel caso singolo e concreto, e la coscienza di chi all'autorità canonica ha fatto appello: fra il giudice ecclesiastico quindi e le parti in causa del processo canonico.

A tale riguardo scrivevo nella Lettera Enciclica Dominum et vivificantem: "La coscienza non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano" (DEV 43). E nell'enciclica Veritatis Splendor ho aggiunto: "L'autorità della Chiesa, che si pronuncia sulle questioni morali, non intacca in nessun modo la libertà di coscienza dei cristiani... anche perché il Magistero non porta alla coscienza cristiana verità ad essa estranee, bensi manifesta le verità che dovrebbe già possedere sviluppandole a partire dall'atto originario della fede. La Chiesa si pone solo e sempre al servizio della coscienza, aiutandola a non essere portata qua e là da qualsiasi vento di dottrina secondo l'inganno degli uomini (cfr. Ep 4,14), a non sviarsi dalla verità circa il bene dell'uomo, ma, specialmente nelle questioni più difficili, a raggiungere con sicurezza la verità e a rimanere in essa" (VS 64).

Un atto aberrante dalla norma o dalla legge oggettiva è, dunque, moralmente riprovevole e come tale deve essere considerato: se è vero che l'uomo deve agire in conformità con il giudizio della propria coscienza, è altrettanto vero che il giudizio della coscienza non può pretendere di stabilire la legge; può soltanto riconoscerla e farla propria.

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9. Pur nella distinzione tra la funzione magisteriale e quella giurisdizionale, è indubbio che nella società ecclesiale anche la potestà giudiziaria emana dalla più generale "potestas regiminis", "quae quidem ex divina institutione est in Ecclesia" (
CIC 129 1), tripartita appunto "in legislativam, exsecutivam et iudicialem" (CIC 135 1). Ove pertanto sorgano dubbi sulla conformità di un atto (per esempio, nel caso specifico di un matrimonio) con la norma oggettiva, e conseguentemente venga posta in questione la legittimità od anche la stessa validità di tale atto, il riferimento deve essere fatto al giudizio correttamente emanato dalla legittima autorità (cfr. CIC 135 3), e non invece ad un preteso giudizio privato, tanto meno ad un convincimento arbitrario del singolo. E' principio, questo, tutelato anche formalmente dalla legge canonica, che stabilisce: "Quamvis prius matrimonium sit irritum aut solutum qualibet ex causa, non ideo licet aliud contrahere, antequam de prioris nullitate aut solutione legitime et certo constiterit" (CIC 1085 2).

Si situerebbe quindi fuori, ed anzi in posizione antitetica con l'autentico magistero ecclesiastico e con lo stesso ordinamento canonico - elemento unificante ed in qualche modo insostituibile per l'unità della Chiesa - chi pretendesse di infrangere le disposizioni legislative concernenti la dichiarazione di nullità di matrimonio. Tale principio vale per quanto riguarda non soltanto il diritto sostanziale, ma anche la legislazione di natura processuale. Di questo occorre tener conto nell'azione concreta, avendo cura di evitare risposte e soluzioni quasi "in foro interno" a situazioni forse difficili, ma che non possono essere affrontate e risolte se non nel rispetto delle vigenti norme canoniche. Di questo soprattutto devono tener conto quei Pastori che fossero eventualmente tentati di distanziarsi nella sostanza dalle procedure stabilite e confermate nel Codice. A tutti deve essere ricordato il principio per cui, pur essendo concessa al Vescovo diocesano la facoltà di dispensare a determinate condizioni da leggi disciplinari, non gli è consentito pero di dispensare "in legibus processualibus" (CIC 87 1).

10. Ecco i punti dottrinali che mi premeva oggi richiamare. Operando nell'ambito giuridico così delineato, i giudici dei Tribunali ecclesiastici, ed in primo luogo voi, Prelati Uditori di questo foro apostolico, non mancherete di recare grande vantaggio al Popolo di Dio. Vi esorto a cercare di svolgere sempre il vostro lavoro con quella adeguata conoscenza dell'uomo e con quell'atteggiamento di doveroso rispetto della sua dignità su cui vi ho oggi intrattenuto.

Confidando nel vostro sincero sentimento di disponibilità alle indicazioni del Magistero e persuaso del grande senso di responsabilità col quale esercitate l'altissima funzione a voi affidata per il bene della società ecclesiale ed umana, vi porgo il mio augurio affettuoso e di cuore vi imparto l'Apostolica Benedizione.

Data: 1995-02-10 Data estesa: Venerdi 10 Febbraio 1995

Angelus: la riflessione del Papa sulla testimonianza di donne "educatrici di pace" - Città del Vaticano

Titolo: Santa Caterina da Siena: intraprenedente e coraggiosa tessitrice di unità e di pace

Carissimi Fratelli e Sorelle!

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1. Continuando la riflessione sulla missione di pace della donna, desidero oggi proporre la testimonianza di Santa Caterina da Siena.

Ha qualcosa di incredibile la vita di questa donna, morta a soli 33 anni, dopo aver svolto un ruolo di primo piano nella Chiesa del suo tempo. Il segreto della sua eccezionale personalità era il fuoco interiore che la divorava: la passione per Cristo e per la Chiesa.

A Caterina, arsa da tale fuoco, la situazione della cristianità, in quel difficile periodo della seconda metà del Trecento, appariva insopportabile.

Considerava una sciagura che il Papa rimanesse lontano da Roma, sua sede naturale.

Le sembrava uno scandalo che dei principi cristiani non riuscissero a stare in pace tra di loro.

Ed eccola farsi messaggera di pace. La sua parola ardente corre in tutte le direzioni. E' parola dal timbro materno, caratterizzata da intrepida fermezza e persuasiva dolcezza. Intorno a lei avveniva quello che sembrava umanamente impossibile: si scioglieva la durezza dei cuori, e ciascuno ricominciava a gustare la gioia di famiglie o di intere comunità ricomposte nella pace. L'esperienza di Caterina da Siena costituisce un caso esemplare di quanto ho scritto nel Messaggio di inizio d'anno: "Quando le donne hanno la possibilità di trasmettere in pienezza i loro doni all'intera comunità, la stessa modalità con cui la società si comprende e si organizza ne risulta positivamente trasformata, giungendo a riflettere meglio la sostanziale unità della famiglia umana" (n. 9).

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2. "La donna, educatrice alla pace". Ben noto è il grido con cui Caterina si rivolge al Papa Gregorio XI per incoraggiarlo a farsi promotore di pace tra i cristiani: "Pace, pace, pace, babbo mio dolce, e non più guerra!" (Lettera 218).

Parole simili ella scriveva a sovrani e principi, e non esitava a intraprendere anche difficili viaggi per indurre i contendenti a sentimenti di riconciliazione.

Certo, bisogna riconoscere che anch'essa era figlia del suo tempo allorché, nel pur giusto zelo per la difesa dei luoghi santi, faceva sua la mentalità allora dominante, secondo cui tale compito poteva esigere persino il ricorso alle armi. Oggi dobbiamo essere grati allo Spirito di Dio, che ci ha portati a capire sempre più chiaramente che il modo appropriato, e insieme più consono al Vangelo, per affrontare i problemi che possono nascere nei rapporti tra popoli, religioni e culture, è quello di un paziente, fermo quanto rispettoso dialogo. Lo zelo di Caterina resta, tuttavia, un esempio di amore coraggioso e forte, uno stimolo ad investire il proprio impegno in tutte le possibili strategie di costruttivo dialogo per edificare una pace sempre più stabile e vasta.

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3. Invochiamo Maria Santissima, Regina della pace, perché la Chiesa si renda sempre più efficacemente sacramento di unità per tutto il genere umano: unità da costruire innanzitutto nei rapporti tra i discepoli di Cristo; unità da promuovere in tutti gli angoli del mondo provati da tensioni e da guerre. Ella susciti donne intraprendenti e coraggiose come Caterina da Siena, che si facciano, nella Chiesa e nella società, tessitrici di unità e di pace.

Data: 1995-02-12 Data estesa: Domenica 12 Febbraio 1995

Nella celebrazione della terza Giornata Mondiale del Malato

Titolo: Giovanni Paolo II unisce nel pensiero e nel cuore gli tinerari di fede dei giovani a Manila e dei sofferenti a Lourdes Due pellegrinaggi una sola Luce



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1. "Lumen ad revelationem...".

Oggi nuovamente la Basilica di San Pietro si riempie di luce: come pochi giorni fa, nella festa della Presentazione del Signore al Tempio, così oggi, memoria liturgica della Madonna di Lourdes. A portare la luce nella Basilica Vaticana questa volta siete voi, cari pellegrini, che avete scelto la Grotta di Massabielle, come meta di frequenti itinerari dello spirito. Oggi siete venuti nella Basilica di San Pietro per dar vita, in questa singolare assemblea ad un rinnovato pellegrinaggio spirituale.

Vi saluto tutti! Saluto voi, cari ammalati, protagonisti di questa Giornata, come pure voi, cari volontari, che in spirito di solidarietà cristiana portate aiuto ai fratelli e alle sorelle bisognosi di cure. Saluto il Cardinale Vicario di Roma che ha celebrato la S. Messa, i Vescovi presenti, i Presbiteri e i laici animatori dei pellegrinaggi di malati a Lourdes, soprattutto dell'UNITALSI e dell'Opera Romana Pellegrinaggi. Vi sono grato per queste iniziative e perché, mediante l'odierna celebrazione, permettete al Papa di prendere parte al vostro "peregrinare mariano".

Oggi, ci uniamo spiritualmente a quanti si trovano nel Santuario Mariano di Yamoussoukro in Costa d'Avorio, nel continente africano, dove si svolge quest'anno la celebrazione della III Giornata Mondiale del Malato. A presiederla ho delegato il Cardinale Fiorenzo Angelini, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari. Di questo Dicastero ricorre proprio oggi il decennale di istituzione. Colgo pertanto l'occasione per ringraziare il Cardinale Angelini e i collaboratori per il prezioso servizio che hanno svolto in questi anni, contribuendo a rendere manifesta ed attiva la sollecitudine della Chiesa verso gli infermi. I malati, i volontari e gli operatori sanitari qui presenti si sentono in modo particolare in comunione con fratelli e sorelle dell'Africa e del mondo intero e tutti insieme offrono sofferenze ed impegno implorando il dono della pace, come suggerisce il tema del Messaggio da me inviato per l'odierna Giornata.

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2. Carissimi! Tra poco alzerete in alto i ceri accesi, che diffonderanno luce nei vasti spazi della Basilica. Questi ceri richiamano il Cero pasquale, portato durante la Veglia Pasquale processualmente dal celebrante al canto dell'antifona: "Lumen Christi". E' la luce di Cristo che, rinchiusa nel sepolcro dopo la crocifissione, diventa promessa di risurrezione nella liturgia del Sabato Santo.

Proprio questo annuncia il canto del diacono: "Lumen Christi". La luce della vita si accende fra le tenebre della morte. E la notizia della vittoria della vita sulla morte si diffonde dappertutto, incominciando da Gerusalemme, sino agli estremi confini della terra.

Oggi, voi portate questa luce da Lourdes. Ve l'ha consegnata la Madre di Cristo nel suo santuario, dove vi recate, fiduciosi, in pellegrinaggio. Andate pellegrini con la vostra sofferenza. Nel corso dell'esistenza terrena, la sofferenza apre all'uomo la prospettiva della morte e, anche se non è la morte stessa, tuttavia ne porta in sé i segni. Con la vostra sofferenza, cari ammalati, voi andate in pellegrinaggio a Lourdes chiedendo luce alla Madre di Cristo. Luce che ricevete dalle sue mani: luce che significa vittoria sulla sofferenza. L'uomo è chiamato a sconfiggere la sofferenza, a combattere contro la morte. A questo mira ogni cura medica ed infermieristica con la sua multiforme sollecitudine per i malati. Tutto ciò in qualche modo fa parte del pellegrinare a Lourdes.

L'esperienza di Lourdes annovera non pochi casi di malati guariti per intercessione della Madre di Dio. Inoltre i pellegrini sono testimoni del grande aiuto spirituale che i malati ottengono là per il superamento della sofferenza.

Voi che andate in pellegrinaggio a Lourdes, ne ritornate confortati dalla forza spirituale, che permette non soltanto di sopportare il dolore ma - addirittura - di scoprire quel valore salvifico che la sofferenza nasconde in sé. E' questa la luce di Cristo, che la Madonna di Lourdes consegna nelle vostre mani e riversa nei vostri cuori. Con tale luce voi tornate alle vostre case, negli ospedali e negli altri luoghi in cui soggiornate e vi curate. Oggi portate questa luce nella Basilica di San Pietro, per testimoniare la vittoria dell'amore di Cristo. La Chiesa che è in Roma vi ringrazia per la luce che recate da Lourdes: ringrazia voi, infermi, come ringrazia voi, fratelli e sorelle, che con generosità offrite a chi è nella prova il servizio del buon samaritano. La vostra comune testimonianza di malati e di volontari costituisce un dono per la Chiesa. E' vero apostolato e diffonde il Vangelo della salvezza.

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3. "Lumen ad revelationem...".

Come non ricordare in questa circostanza santa Bernardetta. Fu lei, ragazza di poco più di dieci anni, figlia della povera famiglia Soubirous, a diventare la confidente della Madonna di Lourdes. Fu a lei, per prima, che Maria affido la luce di Cristo, che doveva successivamente diffondersi così largamente in Francia e nel mondo intero. La esorto per prima alla preghiera del santo Rosario. A lei affido i suoi pensieri e i suoi progetti legati al futuro di Lourdes, come vasto luogo di preghiera nel quale sarebbero giunti i pellegrini di tutto il mondo, per avvicinarsi alla luce che è Cristo. Pensiamo agli infermi e alle guarigioni, ricordiamo pero anche le innumerevoli conversioni che nei quasi centocinquant'anni di esistenza del Santuario vi si sono verificate per intercessione della Madre di Dio.

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4. Mentre ricordo Bernardetta, mirabile confidente del mistero mariano e della missione di Cristo, il mio pensiero va ai suoi coetanei e coetanee di oggi. Penso per esempio a tutti i giovani che ho incontrato recentemente nel corso della Giornata Mondiale della Gioventù nelle Filippine, a Manila. Anch'essi, durante la grande veglia, tenevano nelle mani i ceri accesi simboli della luce di Cristo.

Quella luce l'avevano ricevuta dalle loro comunità, dalle famiglie, dalle parrocchie, dalle Chiese diocesane: nelle Filippine e nei vari paesi dell'Asia e degli altri Continenti.

Oggi, carissimi, mentre mi incontro con voi, vorrei congiungere nel pensiero e nel cuore questi due pellegrinaggi: quello dei giovani, tra i quali non mancavano gli infermi e gli handicappati, e il vostro peregrinare a Lourdes. può sembrare che ci siano soprattutto differenze tra voi, perché è notevole ciò che distingue un uomo anziano da un giovane, un uomo sano e un infermo. Ma nonostante tutte queste differenze, è più forte ciò che unisce. Vi unisce la luce di Cristo, che è una comune chiamata: la stessa chiamata che voi portate da Lourdes, i giovani partecipanti alla Giornata Mondiale della Gioventù l'hanno portata dall'incontro di Manila. Illuminati dalla luce ricevuta in quel momento, essi vedono meglio la loro vita, la loro vocazione e tutti i compiti che li attendono.

A questa luce comprendono meglio anche la sofferenza, poiché Cristo, Luce del mondo, ha redento l'uomo proprio mediante la sofferenza e la croce.

Così dunque si incontrano le varie vie dei pellegrinaggi che partono da punti diversi, da molteplici luoghi dell'esistenza umana, per riconoscere in un'unica luce che Cristo è la via, la verità e la vita (cfr.
Jn 14,6), e per seguirLo.

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5. Cari fratelli e sorelle - malati e sofferenti, pellegrini tutti di Lourdes! Non cessate di pregare per la Chiesa! Non cessate di raccomandare a Cristo, attraverso sua Madre, in modo particolare la giovane generazione, cioè quei cristiani a cui sono affidati gli inizi del terzo millennio. Possano essi sentire il vostro amore! La vostra preghiera e il vostro sacrificio ottengano loro di maturare spiritualmente. Possano entrare in comunione con voi, per ricevere dalle vostre mani la fiaccola della fede e diffondere ovunque la luce di Cristo.

"Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (
Jn 3,16).

Data: 1995-02-12 Data estesa: Domenica 12 Febbraio 1995

Udienza: il discorso di Giovanni Paolo II al Sindaco e all'Amministrazione Capitolina - Città del Vaticano

Titolo: Il benessere spirituale, morale, sociale ed economico di Roma dipende dalla situazione delle famiglie che in essa vivono

Onorevole Signor Sindaco! Signori Rappresentanti dell'Amministrazione Capitolina!

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1. Con grande gioia vi incontro in questa tradizionale visita di inizio d'anno, con la quale si manifestano e si consolidano i vincoli di amicizia che da sempre legano l'Amministrazione della Città di Roma al Successore di Pietro.

Ringrazio il Signor Sindaco per le gentili parole che mi ha rivolto. Un particolare motivo di gratitudine mi è offerto quest'anno dall'iniziativa promossa dal Sindaco e dal Comune di Roma di assegnarmi il "Premio Roma per la pace e per l'azione umanitaria". E' un segno di stima e di affetto che apprezzo, soprattutto perché esso mi giunge nel nome della pace, una delle sfide più esigenti di questo difficile momento storico. E' pertanto con viva cordialità che saluto i componenti della Giuria di questo premio.

Istituendolo, il Comune di Roma si è fatto erede della migliore storia di questa Città e si è mostrato attento al segno indelebile che in essa ha posto il Cristianesimo. Non v'è dubbio infatti che è anche e soprattutto per questo suo rapporto speciale col centro della vita ecclesiale che Roma può realizzare la sua peculiare vocazione di "crocevia del dialogo tra i popoli".

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2. Il tema della pace ci invita a guardare all'orizzonte dell'umanità, così provata da guerre fratricide, da contrapposizioni e intolleranze culturali, da squilibri e ingiustizie economiche e sociali. La testimonianza a favore della pace, se vuole essere credibile, deve farsi concreta e operosa innanzitutto nella vita di questa nostra Città. La pace interpella ciascuno: essa poggia su uno stile di vita, che tocca le singole persone, le famiglie, i gruppi sociali, impegnandoli al rispetto reciproco e alla solidarietà operosa. La sua costruzione comincia dal basso, si radica nei valori profondi che vanno coltivati nell'intimo del cuore, s'esprime nell'apertura reciproca degli animi e nella capacità di sentire l'altro non come un concorrente ma come un fratello.

Sono sicuro che da questa cultura della pace nasce il premio che avete voluto attribuirmi. Con esso la Città di Roma, oltre a proporre il "valore della pace", intende promuovere una "pace dei valori", nella quale confluiscono tutti quei valori umani e cristiani che rendono possibile una convivenza serena e costruttiva.

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3. La promozione della pace si profila così, Signor Sindaco e Onorevoli Membri della Giunta Capitolina, come un terreno comune su cui la Comunità civile ed ecclesiale, pur nella chiara distinzione delle rispettive competenze, possono e debbono collaborare.

Molti sono gli impegni che su tale versante si aprono alla nostra considerazione. Oggi vorrei richiamare soprattutto quello che concerne la pace nelle famiglie e tra le famiglie. Non v'è dubbio che il benessere tanto spirituale e morale quanto sociale ed economico della Città dipende in maniera determinante dalla situazione delle famiglie che in essa vivono.

A Roma, la famiglia, intesa come istituto naturale fondato sul matrimonio e come realtà santificata da un sacramento, conta una tradizione millenaria che - malgrado difficoltà e motivi di crisi- non è né esaurita né superata. Costituisce anzi tuttora una risorsa essenziale per qualsiasi sviluppo, che voglia rappresentare un autentico miglioramento della qualità della vita, personale e sociale.

A chi conosce davvero la realtà dei tanti quartieri di Roma, specialmente di quelli più periferici e disagiati, non sfugge come la famiglia sia il presidio fondamentale della conservazione e trasmissione di quei valori morali, di fedeltà, solidarietà, laboriosità, disponibilità al sacrificio, che sono alla base di una pacifica convivenza. E si può toccare con mano come proprio la famiglia si faccia carico per prima di quei problemi, e talvolta di quei drammi sociali, che rendono difficile la vita di larghe fasce della popolazione romana: tra questi la disoccupazione, soprattutto dei giovani, come pure la necessità dell'assistenza agli ammalati cronici, agli anziani non autosufficienti, agli handicappati.

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4. La Chiesa di Roma, applicando le indicazioni del recente Sinodo diocesano e stimolata dall'Anno della Famiglia, ha posto l'istituzione familiare al cuore del suo impegno pastorale.

Anche la società civile pero ha in questo campo una grande responsabilità. L'avete in particolare voi, responsabili amministrativi e politici. Non lesinate gli sforzi per migliorare la situazione abitativa, soprattutto in rapporto alla disponibilità di alloggi accessibili alle nuove famiglie e idonei a ospitare non solo gli sposi ma anche i figli. Abbiate cura che i trasporti, le scuole e i vari servizi sociali siano il più possibile rispondenti alle necessità delle famiglie, in particolare di quelle che hanno bambini o anziani da accudire. Cercate, per quanto rientra nelle vostre possibilità e competenze, di favorire la creazione di nuove occasioni di lavoro.

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5. La Chiesa è pronta a collaborare con l'Amministrazione cittadina. Tra i settori di tale collaborazione non si può passare sotto silenzio la preparazione al Grande Giubileo dell'anno 2000.

Per Roma, come Diocesi ma anche come Città, il prossimo Anno Santo rappresenta un dono singolare e nello stesso tempo un compito quanto mai impegnativo. La Chiesa di Roma è chiamata a mostrare visibilmente l'"esemplarità" che la deve contraddistinguere in quanto comunità affidata alla cura speciale del Successore di Pietro.

E' evidente, pero, che il grande Giubileo del 2000 chiama in causa anche la Città di Roma in tutte le sue componenti. Esso ne metterà alla prova la capacità organizzativa, le strutture e attrezzature, il volto urbano e civile, le attitudini ad ospitare un grande numero di pellegrini e ad assicurare loro adeguate possibilità di circolazione e ogni forma di assistenza.

Le stesse dimensioni dell'evento, e il fatto che esso coinvolgerà necessariamente non soltanto Roma, ma il Lazio e l'intera Italia, richiedono d'altronde una stretta collaborazione fra le Autorità locali e quelle nazionali, come pure, in forme diverse, fra i responsabili civili e quelli ecclesiastici.

Quanto meglio Roma e l'Italia si disporranno a vivere il Giubileo del terzo millennio, tanto più significative ne saranno le conseguenze positive di ordine spirituale, sociale e persino economico, sia in rapporto allo sviluppo interno che alla stima di questa Città e dell'intera Nazione nel mondo. Questo evento carico di mistero ci coinvolge dunque sotto ogni profilo, e ci sprona a bene operare, confidando non nelle nostre forze, ma nella potenza di salvezza che il Figlio di Dio è venuto a portare nel mondo.

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6. Grazie, dunque, Signor Sindaco e Signori Rappresentanti dell'Amministrazione cittadina, di quanto già state facendo e continuerete a fare per il raggiungimento di questi obiettivi.

Essi si inseriscono nel complesso quadro di impegni a cui siete chiamati dai vostri compiti istituzionali, e che ogni giorno vi domandano il servizio disinteressato della competenza, della dedizione al bene comune, della fermezza decisionale coniugata a una grande attitudine dialogica.

Vogliate sentirmi vicino, con l'incoraggiamento e la preghiera. A voi, alle vostre famiglie, all'intera Città di Roma affidata alla vostra responsabilità, il mio augurio di un anno sereno e ricco di pace.

Data: 1995-02-13 Data estesa: Lunedi 13 Febbraio 1995



GPII 1995 Insegnamenti 265