GPII 1995 Insegnamenti 406

Ai membri del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali - Città del Vaticano

Titolo: La vera arte è verità, bontà e bellezza

Eminenze, Eccellenze, Cari Amici in Cristo,

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1. E sempre un piacere per me incontrare i membri del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali in occasione della vostra Assemblea Plenaria. Saluto il vostro Presidente Emerito, il Cardinale Deskur, e ringrazio l'Arcivescovo Foley per le sue parole di presentazione. Il vostro Consiglio, come uno dei primi frutti visibili del Concilio Vaticano Secondo, merita particolare gratitudine da parte mia. Il Pontificio Consiglio ha reso un grande servizio al ministero dei Papi che si sono succeduti negli ultimi tre decenni rendendo possibile all'insegnamento papale e alle iniziative pastorali del Papa di raggiungere un ampio pubblico internazionale, cattolico e non. Ma anche più significativamente, un apprezzamento è dovuto per la guida e l'incentivo che il Pontificio Consiglio fornisce a singoli cattolici ed istituzioni coinvolte nel vasto e complesso mondo dei mezzi di comunicazione.

Infatti, poiché la Chiesa esiste per proclamare la Buona Novella della salvezza in Gesù Cristo, essa non può mancare di porre particolare attenzione ai meravigliosi strumenti della comunicazione, di massa che il genio umano ha prodotto e che, avendo uno straordinario peso sullo spirito umano, possono e dovrebbero essere mezzi altamente efficaci di progresso spirituale e culturale (cfr.
IM 1).

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2. Quest'anno, un anniversario significativo offre spunti di riflessione per la vostra Assemblea Plenaria. Mi riferisco al centenario della cinematografia. Come certamente ben saprete, questo centenario fornisce il tema per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni di quest'anno: "Cinema: strumento di comunicazione, di cultura e di valori". Questa commemorazione ha una speciale importanza per voi, non solo perché il vostro Consiglio ha la responsabilità della videoteca vaticana, ma anche e specialmente, perché voi avete un ruolo specifico nell'incoraggiare la presenza della Chiesa nel mondo del cinema.

Sin dal momento in cui la prima platea assistette a Parigi alle immagini in movimento preparate dai fratelli Lumière nel dicembre 1895, l'industria cinematografica è divenuta un mezzo di comunicazione universale che esercita una profonda influenza sullo sviluppo degli atteggiamenti e delle scelte della gente, e che possiede una notevole capacità di influenzare la pubblica opinione e la cultura attraverso tutte le frontiere sociali e politiche. Il giudizio globale della Chiesa su questa forma di arte, come su tutta la vera arte, è positivo e pieno di speranza. Abbiamo visto che capolavori della produzione cinematografica sono in grado di porre delle sfide allo spirito umano, di trattare in profondità soggetti di grande significato e importanza da un punto di vista etico e spirituale. Sfortunatamente, alcune produzioni meritano critica e disapprovazione, anche severe. E questo il caso in cui i films distorcono la verità, opprimono la vera libertà, o mostrano scene di sesso e violenza offensive per la dignità umana.

E un errore dei produttori di films fare questo in nome della libera espressione artistica.

La libertà è un bene umano indivisibile. Essa non può essere invocata per giustificare il male morale o per assolvere comportamenti degradanti, specialmente in considerazione del modo acritico in cui la maggior parte della gente accetta l'influenza potente e persuasiva del cinema. Nell'incoraggiare e riconoscere i films che rafforzano e elevano lo spirito umano e nello scoraggiare la produzione e la visione di films che dipingono e sembrano sancire la depravazione umana, la Chiesa non cerca di limitare la creatività ma di liberare il talento creativo e di sfidarlo a perseguire i più alti ideali di questa forma d'arte.

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3. La vera arte è verità, bontà e bellezza. I1 suo scopo deve essere quello di servire il benessere integrale di coloro a cui si rivolge. Ricordo le parole che i Padri del Concilio Vaticano Secondo indirizzarono agli artisti nella sessione di chiusura: "Questo mondo in cui viviamo ha bisogno di bellezza in modo da non sprofondare nella disperazione. E la bellezza, come la verità, che porta gioia ai cuori della gente ed è il frutto prezioso che resiste al logorio e all'impeto del tempo, che congiunge le generazioni e le rende capaci di condividere le cose nell'ammirazione". Mentre noi dobbiamo sperare che il centenario del cinema in qualche modo farà si che l'industria cinematografica in tutto il mondo rifletta sulle sue potenzialità e assuma le sue importanti responsabilità.

La Chiesa, che ha sempre patrocinato il meglio dell'arte e della cultura, ha l'obbligo di favorire la qualità morale di quella che forse è la forma artistica più capace di influenzare. Voi, come membri del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, così come i membri delle organizzazioni internazionali cattoliche delle comunicazioni, avete il compito e la responsabilità di incoraggiare e promuovere la visione morale che da a questa arte un contenuto autentico e un'espressione ispiratrice. In questo modo il cinema sarà un fattore sempre più positivo nello sviluppo degli individui e uno stimolo per la coscienza della società nel suo insieme, come è accaduto nel caso di molte produzioni di valore nel corso del primo secolo della sua esistenza.

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4. La vostra Assemblea Plenaria sta anche ponendo l'attenzione su altre importanti questioni, in particolare sul ruolo e le responsabilità di laici zelanti, uomini e donne impegnati nel mondo della stampa, della radio, del cinema e della televisione, così come nel settore, in rapido sviluppo, delle comunicazioni elettroniche. Una parte vitale dei vostri sforzi deve essere diretta ad incoraggiare e guidare tali professionisti cattolici, e ad aiutare la Chiesa a porsi al loro servizio in un modo sempre più efficace poiché essi sostengono la sfida quotidiana di essere veri comunicatori di cultura e di valori.

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5. In conclusione, osservo che in questo anno cade anche il ventennale della teletrasmissione mondiale via satellite delle cerimonie papali di Natale e Pasqua, organizzata dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e reso possibile grazie alla generosità dei Cavalieri di Colombo. Nell'esprimere la mia personale gratitudine, prego che Dio ricompensi gli sforzi di tutti coloro che hanno sostenuto questo importante apostolato.

Possa Dio Onnipotente rafforzare il vostro intendimento di servire il Vangelo della vita e dell'amore attraverso le vostre attività nell'ambito delle comunicazioni sociali. Possano i vostri sforzi portare avanti abbondanti frutti di verità, bontà e solidarietà in quella particolare area della missione evangelizzatrice della Chiesa. Affido voi tutti alla intercessione di Maria, Madre del Redentore, e del vostro Santo Patrono San Francesco di Sales. Come segno della mia stima e vicinanza spirituale, volentieri imparto la mia Benedizione Apostolica.

(Traduzione dall'inglese]

Data: 1995-03-17 Data estesa: Venerdi 17 Marzo 1995

Udienza: il Santo Padre ai giovani corifei umbri di ritorno da Madrid, Barcellona e Montserrat - Città del Vaticano

Titolo: La Fiaccola benedettina "imparentata" con la Croce pellegrina delle "Giornate della gioventù"



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1. Grazie per la vostra visita! Accolgo con gioia tutti voi, carissimi, che recate la Fiaccola Benedettina, proveniente da Madrid, Barcellona e Montserrat.

Porgo un cordiale benvenuto agli Abati di Montecassino, di Subiaco e Norcia. Saluto le Autorità civili presenti, i cittadini delle città benedettine e la delegazione dei tedofori, che rappresentano la schiera di giovani ai quali è affidata la Fiaccola lungo il suo itinerario.

Berlino, Praga, Budapest, Varsavia, Londra, quest'anno Madrid: la Fiaccola Benedettina va tracciando di anno in anno una singolare rete di itinerari, che conducono attraverso il continente europeo alla culla della Famiglia e della spiritualità benedettina, uno dei pilastri portanti della cultura europea. Quest'anno, carissimi, la vostra iniziativa acquista un particolare significato nella prospettiva del Giubileo del 2000: anche la Fiaccola di Benedetto, infatti, invita ad affrettarsi verso la soglia del terzo millennio "tenendo alta la parola di vita" (
Ph 2,16).

Lo spirito che vi anima si ricollega idealmente con quello che spinse, dopo Benedetto, numerosi missionari pellegrini a percorrere le strade d'Europa per annunziare il Vangelo. Penso ai Santi Cirillo e Metodio, a San Colombano, a San Bernardo... Penso al popolo cristiano incamminato sulle vie di Roma e di Santiago de Compostela... Il Cristianesimo è una forza che affratella, che unisce e che rende liberi. Il Vangelo è la forza della vera libertà e della civiltà dell'amore.

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2. Guardandovi, carissimi giovani, il pensiero va naturalmente alle Giornate Mondiali della Gioventù, che nell'ultimo decennio han dato vita ad un universale pellegrinaggio giovanile, guidato dalla "croce pellegrina". Si: la vostra Fiaccola è imparentata a quella croce: è dalla croce di Cristo che scaturisce la luce dalla libertà, della giustizia, della verità e dell'amore. E' la croce di Cristo la fonte di speranza e di pace per tutti i popoli: essa è il segno della vittoria dell'amore di Dio su ogni forma di violenza e di sopraffazione.

A Manila, nel gennaio scorso, i giovani cantavano: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (
Jn 3,16). Nella sua epoca, Benedetto diceva: "Non anteponete nulla all'amore di Cristo", affermando con chiarezza il primato assoluto della parola di Dio e dell'amore di Cristo. Egli visse questo ideale in prima persona e lo propose ai suoi seguaci. Anche oggi siamo chiamati ad accogliere quel medesimo invito, un invito singolarmente opportuno nel Tempo quaresimale.

Carissimi, come il Padre ha mandato Cristo, così Cristo invia noi a portare nel mondo il messaggio del suo amore (cfr. Jn 20,21). Ecco la luce di cui l'umanità ha bisogno. Siate voi, giovani, le fiaccole che la recano agli uomini del terzo millennio.

Vi accompagni Maria Santissima e protegga il vostro cammino San Benedetto! A tutti voi, alle vostre Comunità e alle vostre famiglie imparto di cuore l'Apostolica Benedizione.

Data: 1995-03-18 Data estesa: Sabato 18 Marzo 1995

Udienza: il Papa alla Penitenzieria Apostolica, ai Padri Penitenzieri e ai partecipanti al Corso sul tema del "foro interno" - Città del Vaticano

Titolo: Lucidità di giudizio e carità pastorale per una dedizione sempre più generosa nel servizio penitenziale



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1. Riesce sempre caro al mio cuore l'incontro con i fedeli di ogni condizione sociale e canonica, in questa preziosa e pur familiare dimora del Vaticano, accanto al "trofeo" del Pescatore di Galilea, qui ove oggi egli è glorificato, ma un giorno subi il martirio, unito, anche nella forma di esso, al sacrificio salvifico del Redentore. L'universale paternità di Pietro e dei suoi successori è infatti per eccellenza radicata nella croce e, in virtù della croce, è feconda di vita eterna.

Ma questa mia gioia ha una particolare intensità, quando i figli che vengono "videre Petrum" sono i sacerdoti e i candidati al sacerdozio: essi infatti, per la missione di cui sono o saranno presto investiti, sono partecipi delle ansie, delle gioie, dei dolori, della dedizione della Chiesa Madre, la quale, applicando l'efficacia redentrice della croce, opera nei fedeli, anzi, in tutto il genere umano, il dono divino della conversione e della santità.

Rendo perciò grazie al Signore per l'odierno incontro con voi, componenti della Penitenzieria Apostolica, Penitenzieri delle Basiliche Patriarcali di Roma, e cari giovani, novelli sacerdoti o alunni prossimi alla sacra Ordinazione, che avete fruttuosamente preso parte presso la stessa Penitenzieria al consueto corso di studio sul foro interno.

Desidero cogliere questa opportunità per continuare una meditazione, scandita nelle analoghe allocuzioni degli anni scorsi, svolgendo in ulteriori aspetti l'inesausto tema del sacramento della Riconciliazione.

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2. Il sacerdote, come ministro del sacramento della Penitenza, deve modellarsi, in questo sublime e vitale compito, su Gesù, maestro di verità, medico delle anime, delicato amico, che non tanto rimprovera, quanto corregge e incoraggia, giustissimo e nobilissimo giudice, che penetra nel vivo della coscienza e ne custodisce il segreto. A Gesù assimilato, il sacerdote confessore deve poter concludere il suo colloquio con il penitente con un fondato auspicio riecheggiante l'infinita misericordia del Signore: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più" (
Jn 8,11).

In vista appunto di questa stabile emenda del penitente il confessore, da una parte deve offrirgli motivi di ragionevole e soprannaturale fiducia, che rendano atta la sua anima a recepire fruttuosamente l'assoluzione e garantiscano la continuazione dei buoni propositi in una vita serenamente cristiana, dall'altra deve assegnargli una congrua soddisfazione, o penitenza, che in primo luogo ripari, nella misura possibile alla limitatezza umana, l'offesa recata dal peccato alla maestà di Dio, Creatore, Signore e Legislatore; quindi, come farmaco spirituale, rafforzi, unitamente alla accennata fiducia, i buoni propositi di virtù e, anzi, faccia esercitare le virtù, cooperando con la grazia santificante, restituita o aumentata nel sacramento della Penitenza, che offre anche valida difesa contro le tentazioni più dure.

Per quanto concerne la fiducia da infondere nel penitente in rapporto al suo futuro, si consideri che nel processo della giustificazione, esposto dal Concilio di Trento con mirabile chiarezza, devono concorrere sia il timore che la speranza: "... peccatores se esse intelligentes, a divinae iustitiae timore, quo utiliter concutiuntur, ad considerandam Dei misericordiam se convertendo, in spe eriguntur, fidentes, Deum sibi propter Christum propitium fore" (Conc. Tridentino, Sess. VI, cap. 6 DS 1526).

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3. Per eccesso di fiducia, se così si può dire, v'è chi non ricava positiva e stabile emenda, pur confessandosi con verità ed esattezza, perché il non superato orgoglio lo porta a confidare troppo in se stesso, o, ben peggio, a confidare in se stesso anziché nella grazia di Dio. Fenomeno inverso, ma ugualmente grave, è quello di chi fa si il debito spazio alla grazia di Dio, ma presume alla leggera di ottenerla senza la corrispondenza e la collaborazione, che Dio richiede da parte dell'uomo.

Al contrario, per difetto di fiducia v'è chi o addirittura non si accosta al sacramento della Penitenza, o accostandosi non si pone nelle disposizioni necessarie affinché il rito possa concludersi efficacemente con l'assoluzione, perché, edotto dal suo passato circa la propria debolezza, si ritiene certo di future cadute e, identificando erroneamente il giudizio intellettuale, diciamo pure la previsione di altre cadute, con la volontà di cadere e con l'attuale difetto di sincero proposito di non cadere, si perde d'animo e così dichiara al confessore di non essere debitamente disposto. Sarebbe veramente triste se in tale errore, indice anche di poca conoscenza dell'animo umano, cadesse persino qualche confessore.

A queste disposizioni estreme il confessore deve opporre appropriato antidoto: a coloro che presumono inculchi l'umiltà, che è verità, secondo il monito della divina parola "chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere" (
1Co 10,12) e "attendete alla vostra salvezza con timore e tremore" (Ph 2,12). A coloro che sono paralizzati da quella sfiducia, che non è il debito salutare timore, ma una raggelante paura, spieghi che la consapevolezza della propria infermità non vuol dire quiescenza alla medesima, ma anzi può e deve essere spinta a reagire, perché, anche questa è parola di Dio: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza" (2Co 12,9). In merito non sarà fuori luogo ricordare che la fede insegna la possibilità di evitare il peccato con l'aiuto della grazia (cfr. Concilio di Trento, Sessione VI, can.18 DS 1568).

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4. Quanto alla salutare penitenza da assegnare, criterio necessario è quello di una equa misura e, soprattutto, di una saggia opposizione ai peccati rimessi e quindi di corrispondenza agli specifici bisogni del penitente.

Ascoltiamo anche qui il richiamo della Sacra Scrittura: "Non esser troppo sicuro del perdono tanto da aggiungere peccato a peccato" (
Si 5,5), e, per quanto attiene alla stessa struttura del sacramento, di cui la penitenza è parte integrante, sentiamo il Concilio Tridentino: "Si quis negaverit, ad integram et perfectam peccatorum remissionem requiri tres actus in paenitente quasi materiam sacramenti paenitentiae, videlicet contritionem, confessionem et satisfactionem, quae tres paenitentiae partes dicuntur; aut dixerit duas tantum esse paenitentiae partes, terrores scilicet incussos conscintiae agnito peccato, et fidem conceptam ex Evangelio vel absolutionem, qua credit quis sibi per Christum remissa peccata: anathema sit" (DS 1704).

Sulla scorta di questi insegnamenti e considerando da una parte l'economia della grazia, che accompagna, sostiene ed eleva l'operare dell'uomo, e dall'altra le leggi della psicologia umana, risulta evidente che la soddisfazione sacramentale deve essere innanzitutto preghiera: essa infatti loda Dio e detesta il peccato come offesa a Lui irrogata, confessa la malizia e la debolezza del peccatore, chiede umilmente e fiduciosamente l'aiuto, nella consapevolezza dell'incapacità dell'uomo a qualunque gesto salutare se non lo dispone a ciò l'aiuto soprannaturale del Signore (Concilio di Trento, Sessione VI, can.1 DS 1551, che appunto con la preghiera si implora; ma se si implora vuol dire che si ha la speranza teologica di ottenerlo, e con ciò quasi si esperimenta la bontà di Dio e ci si educa al colloquio con Lui. Sarà cura del confessore aiutare il penitente a comprendere tutto ciò, quando questi sia di modeste risorse spirituali. E' quindi evidente che, accanto a una proporzione in certo senso quantitativa tra il peccato commesso e la soddisfazione da compiere, occorre tener presente il grado di pietà, la cultura spirituale, la stessa capacità di comprensione e di attenzione e, eventualmente, la tendenza allo scrupolo del penitente. Pertanto, mentre bisogna profittare della penitenza sacramentale per invogliare i penitenti alla preghiera, ci si dovrà attenere ordinariamente anche al principio che è meglio una penitenza modica, ma eseguita con fervore, piuttosto che una ingente, ma non eseguita, o eseguita con animo infastidito.

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5. Quando la penitenza deve consistere non solo in preghiere, ma anche in opere, si debbono scegliere quelle in forza delle quali il penitente si eserciti con successo nella virtù e in ordine a questa acquisisca, accanto all'abito soprannaturale, infuso con la grazia, anche una connaturale propensione e in tal modo egli sia facilitato nell'operare il bene e nel fuggire il male. In materia deve ordinariamente applicarsi un certo "contrappasso", quasi una medicina degli opposti, cosa questa tanto più necessaria, o almeno utile, quanto più il peccato è stato lesivo di beni fondamentali: per esempio, al crimine dell'aborto, oggi tragicamente tanto diffuso, potrebbe essere appropriata risposta penitenziale l'impegno nella difesa della vita e nell'aiuto ad essa, secondo tutte le forme che la carità sa escogitare in rapporto ai bisogni sia dei singoli che della società: idonea risposta in relazione ai peccati contro la giustizia, che oggi tanto avvelenano i rapporti tra le persone e inquinano la società, potrebbe essere, presupposta la doverosa restituzione del maltolto, la larghezza della carità in modo da superare la misura del danno inflitto al prossimo, sull'esempio di Zaccheo, che disse a Gesù: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto" (
Lc 19,8); e non sarà difficile, quando si è giudicati dai criteri della fede, trovare analoghe risposte per gli altri peccati.

A questo punto sarà utile una riflessione su eventuali penitenze che siano fisicamente afflittive. Fermo restando che la penitenza anche corporale è doverosa in termini generali, anzi santa, ricordo che nel Catechismo della Chiesa Cattolica questo tipo di penitenze, in rapporto al sacramento della Riconciliazione, è riassunto nel termine "digiuno" (cfr. CEC 1434). Invero, salvo casi di malattia o di debolezza, una ragionevole limitazione del cibo è normalmente possibile, e tanto più lodevole, quando il corrispettivo di ciò che si sottrae alla propria soddisfazione viene erogato in carità; ma è necessaria da parte del confessore ogni cautela prima di assegnare o anche semplicemente permettere pratiche penitenziali tormentose. In questo campo offre occasione di generosa penitenza il lavoro, specialmente quello materiale, dotato come è anche di una virtù educatrice del corpo, o che il lavoro stesso si debba svolgere per dovere professionale, o che si assuma liberamente: infatti il Creatore ha prescritto per il primo uomo, e per tutti gli uomini, il lavoro come penitenza: "Con il sudore del tuo volto mangerai il pane" (Gn 3,19); il lavoro, infatti, non è condanna in sé e per sé - anzi la natura umana lo esige come necessario mezzo di sviluppo e di elevazione - ma, divenuto gravoso a causa del peccato, assurge in chi lo compie soprannaturalmente al valore di espiazione.

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6. Questi pensieri, che immediatamente rivolgo a voi, partecipanti all'Udienza, ma che propongo a tutti i sacerdoti del mondo, mentre nella Chiesa è già incominciata la riflessione sui temi dell'Anno Santo, enunziati nella Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente, vogliono sottolineare mezzi e fini, impegni e speranze, perenni nella Chiesa, ma particolarmente significativi per il prossimo Giubileo.

Insieme preghiamo ora Gesù, Sacerdote Eterno, affinché ci conceda lucidità di giudizio e carità pastorale per una dedizione sempre più generosa nel servizio penitenziale a vantaggio di tutti i fratelli. Di questa implorata grazia sia pegno per tutti voi l'Apostolica Benedizione, che ben di cuore vi imparto.

Data: 1995-03-18 Data estesa: Sabato 18 Marzo 1995

La benedizione della prima pietra del Centro biomedico ad alta specializzazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore - Campobasso

Titolo: Scienza e tecnologia hanno bisogno di un'anima per servire la persona nella sua verità integrale



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1. Sono particolarmente lieto di benedire la posa della prima pietra del "Centro di Ricerca e Formazione ad alta tecnologia nelle scienze biomediche", che l'Università Cattolica del Sacro Cuore, d'intesa con la Regione Molise, s'appresta a realizzare qui a Campobasso.

Saluto le numerose ed illustri Autorità presenti, in particolare i Signori Ministri della Sanità e dell'Università e della Ricerca Scientifica, l'Ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, il Prefetto e il Sindaco di Campobasso, come pure il Rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, il Presidente dell'Istituto Toniolo, il Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia del Policlinico Gemelli e le altre Autorità accademiche. Un particolare pensiero rivolgo poi all'Arcivescovo di Campobasso, Monsignor Ettore Di Filippo. E con lui saluto cordialmente l'intera popolazione di Campobasso. Mi congratulo con voi per questa giornata un po' rigida, ma piena di sole. Devo dire che venendo da Roma ho visto tante nuvole. Ma qui c'è un bel sole. E' un buon segno.

Si può essere legittimamente orgogliosi di iniziative come questa. Il Centro che qui sta per sorgere sarà infatti in grado di offrire un'assistenza di elevata qualità scientifica e tecnologica, alla quale - ne siamo certi - non mancherà l'indispensabile "anima" capace di fare di una struttura altamente specializzata un'autentica casa di cura e di formazione sanitaria a dimensione umana.

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2. Più ancora che per le sue caratteristiche tecniche, il progetto che oggi prende corpo intende distinguersi per alcuni criteri ispiratori. Prima di tutto, vorrei richiamarne la motivazione di fondo: questo Centro medico vuole essere al servizio dell'uomo, della persona del malato. L'Università Cattolica ha fatto di questa scelta di valore l'asse portante dell'intera sua attività scientifica e culturale.

Ciò vale in modo specifico per la Facoltà di Medicina e Chirurgia e per il Policlinico "Agostino Gemelli".

A questo proposito, la presente circostanza mi offre l'occasione di ribadire che la persona umana, con la dignità e i diritti che le sono propri, pur rivelandosi nelle sue funzioni, non si esaurisce in esse; radicalmente essa è costituita da quella identità ontologica, insieme spirituale e corporea, che ne fa un "soggetto", nel quale i credenti riconoscono l'immagine di Dio. Esistono infatti nella vita delle fasi e condizioni nelle quali l'uomo e la donna non sono in grado di intendere, di volere e di operare autonomamente, ma non per questo essi cessano di essere persone.

Il Centro che qui nasce vuole porsi appunto al servizio della persona umana, colta nella sua verità integrale e nella concretezza delle sue situazioni esistenziali.

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3. Meritano, poi, di essere sottolineati i criteri di metodo che hanno orientato l'ideazione e la progettazione del Centro: essi sono in qualche modo esemplari dal punto di vista della dottrina sociale cristiana.

Anzitutto, in base al principio di solidarietà, si è privilegiata una zona carente, come purtroppo tante altre aree del Meridione d'Italia, di strutture ospedaliere ad alta specializzazione. In secondo luogo, in linea col principio di sussidiarietà - che, mentre sollecita l'intervento dello Stato quando è necessario, stimola insieme la società civile ad una adeguata iniziativa -, la realizzazione del progetto è stata affidata all'Università Cattolica del Sacro Cuore, vale a dire ad una Istituzione non statale, ben nota per il servizio che rende all'intera comunità civile.

Affidiamo quest'incipiente opera e la sua futura attività alla protezione di San Giuseppe, di cui oggi ricorre la Festa, e della Madonna Addolorata, Patrona del Molise, nel cui Santuario di Castelpetroso mi rechero tra poco. Con tali auspici, volentieri imparto a voi qui presenti, come pure ai vostri cari, la Benedizione Apostolica, estendendola a quanti offrono il loro contributo affinché il Centro biomedico di Campobasso possa funzionare presto e bene.

(Alla fine della cerimonia di benedizione della prima pietra il Papa ha aggiunto:] Mi congratulo con Campobasso per questa iniziativa e per questa giornata. Cerchiamo adesso di proseguire verso il santuario di Castelpetroso e poi, questo pomeriggio verso l'incontro con il mondo del lavoro del Molise. Anche io sono contento di venire nel Molise nel giorno dedicato a San Giuseppe. E' vero è domenica, la III Domenica di Quaresima, ma è il 19 marzo cioè il giorno tanto legato a San Giuseppe, Patrono del lavoro e delle famiglie. Che sia sempre vicino alle vostre famiglie. Sia lodato Gesù Cristo.

Data: 1995-03-19 Data estesa: Domenica 19 Marzo 1995

L'omelia durante la concelebrazione della Santa Messa davanti al Santuario della Madonna Addolorata - Castelpetroso

Titolo: Il lavoro deve contribuire allo sviluppo dell'uomo e non al soffocamento servile della sua dignità

"Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe" (Ex 3,6).

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1. La liturgia di questa III Domenica di Quaresima ci introduce profondamente nel mistero dell'Alleanza di Dio con l'uomo. La prima lettura, tratta dal Libro dell'Esodo, ci colloca nell'ambiente del deserto, simbolo tipico del tempo quaresimale, ed ha per protagonista Mosè. E' il racconto del "roveto ardente", uno tra i più suggestivi e ricchi di significato dell'intera Scrittura santa, capace di alimentare in ogni tempo la meditazione dei credenti. Dal misterioso roveto, che arde senza consumarsi, Dio parla a Mosè: lo chiama, si fa conoscere a lui e lo incarica di condurre gli Israeliti fuori dall'Egitto. Infine, Dio rivela il proprio nome: "Io sono colui che sono - Jahvè - il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe" (cfr.
Ex 3,14-15).

Questo episodio, che ebbe luogo alle pendici del monte Oreb, "monte di Dio" (Ex 3,1), costituisce come un nuovo inizio dell'antica Alleanza di Dio col suo popolo. In conformità coll'annunzio dato a Mosè, Dio guiderà Israele fuori dall'Egitto, dalla condizione di schiavitù, per condurlo attraverso il deserto nella Terra promessa. L'avvenimento dell'Oreb introduce l'intera azione salvifica di Dio nei riguardi di Israele: essa culminerà nel Patto del Sinai, il cui contenuto sarà il Decalogo.

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2. "Tutte queste cose - avverte l'apostolo Paolo -... sono state scritte per ammonimento nostro" (
1Co 10,11), affinché facciamo "opere degne della conversione" (Lc 3,8) e non siamo come la pianta della parabola evangelica, sterile e priva di frutti (cfr. Lc 13,6-7). Infatti, "ogni albero che non porta buon frutto sarà tagliato e gettato nel fuoco" (Lc 3,9 cfr. Jn 15,6).

Il tempo di Quaresima che stiamo vivendo, carissimi Fratelli e Sorelle, dobbiamo intenderlo come una rinnovata offerta di Alleanza da parte di Dio, il quale è "buono e pietoso, lento all'ira e grande nell'amore" (Salmo resp.). La grazia del Signore, la sua infinita misericordia ci impegna - come singoli e come comunità - a coltivare la "pianta" della vita spirituale, a "zapparvi attorno" con la penitenza, a "mettervi il concime" della parola di Dio, affinché "porti frutto per l'avvenire" (cfr. Lc 13,8-9).

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3. Oggi, 19 marzo, la Chiesa venera San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria, anche se quest'anno la solennità liturgica verrà celebrata domani. E' per me motivo di grande gioia trovarmi proprio oggi a Castelpetroso, in questo bell'ambiente, rigido ma bello e suggestivo, in questo bel Santuario dell'Addolorata, proclamata Patrona del Molise dal mio venerato predecessore, il servo di Dio Paolo VI. Qui, dove novant'anni or sono venne un gruppo di pellegrini dalla lontana Cracovia, giunge ora il Papa figlio di quella città e della terra polacca, che un singolare vincolo di fede e di sofferenza lega alla Madre Addolorata.

Vorrei rivolgere un saluto cordiale e riconoscente ai venerati Fratelli Cardinali qui presenti, all'Arcivescovo Metropolita, Mons. Ettore Di Filippo, e agli altri Presuli della regione ecclesiastica Abruzzo-Molise e il Nunzio Apostolico in Italia Monsignor Colasuonno. Saluto i Prefetti di Campobasso e di Isernia, i Presidenti della Giunta e del Consiglio Regionale, il Sindaco di Castelpetroso e quelli di tutti i paesi della Regione, oltre ai Parlamentari e agli Amministratori della Regione e delle Provincie di Campobasso e d'Isernia, alle altre Autorità civili, militari della cultura e del lavoro che hanno voluto presenziare a questo rito. Saluto abbracciandoli i miei fratelli Sacerdoti e i diaconi qui convenuti, come pure quelli anziani e ammalati, che sono in questo momento uniti a noi nella preghiera. Saluto le Piccole Discepole di Gesù con le bambine del villaggio, i Frati Francescani e le Suore Francescane dell'Immacolata, che curano il servizio liturgico e pastorale nel Santuario.

Ringrazio quanti hanno collaborato alla preparazione e all'organizzazione dell'odierna mia Visita, e tutti voi, Religiosi, Religiose e laici, che prendete parte a questo significativo evento spirituale. Vorrei esortare ciascuno a rimanere fedele alle tradizioni cristiane di questa terra, con quel fervore che spinse i vostri padri a contribuire generosamente all'edificazione del Santuario, offrendo anche il rame per la copertura del tetto.

Carissimi Fratelli e Sorelle, sappiate anche voi offrire al Signore le gioie e le fatiche quotidiane, in comunione con Cristo e per intercessione della Madre sua, qui venerata mentre presenta al Padre il Figlio immolato per la nostra salvezza. Sappiate offrire in particolare l'impegno per una profonda e fattiva unità: unità nelle Comunità familiari, unità nelle parrocchie, unità particolarmente fra il clero. Mai il cuore della Madre debba addolorarsi per le divisioni dei suoi figli! Trovandomi poi vicino alla patria del mio venerato predecessore Celestino V, di cui si è celebrato lo scorso anno il settimo centenario dell'elezione al Pontificato, invio un caro saluto alla Comunità diocesana di Isernia ed al suo Pastore, Mons. Andrea Gemma. Auspico di cuore che, seguendo l'esempio di san Celestino, essa cresca nella fedeltà a Cristo e nella testimonianza evangelica.

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4. Il nostro sguardo non può quest'oggi non soffermarsi sulla figura di San Giuseppe. Egli si colloca sulla soglia della Nuova Alleanza, che Dio ha stretto con l'umanità in Gesù Cristo, Figlio di Maria. Di questa Alleanza la Chiesa celebrerà tra pochi giorni il vero e proprio inizio, cioè l'Annunciazione. In questo mistero, nel quale la Vergine "piena di grazia" (
Lc 1,28), adombrata dallo Spirito Santo (cfr. Lc 1,35), pronuncia il suo "fiat" (Lc 1,38), il Verbo si fa carne (cfr. Jn 1,14), il Figlio di Dio prende la natura umana nel grembo di Maria: inizia così la Nuova e definitiva Alleanza di Dio con l'uomo.

In tale nuovo inizio, Giuseppe, promesso sposo di Maria, ha la sua parte. A dissipare in lui il legittimo sconcerto dovuto alla scoperta che la sua sposa attende un figlio, giunge anche a lui da Dio un messaggio chiarificatore, che nel suo contenuto essenziale è simile all'annuncio a Maria. L'angelo del Signore gli dice: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.

Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,20-21).

La liturgia, pertanto, loda l'obbedienza della fede di cui sia Maria che Giuseppe han dato prova, un'obbedienza simile a quella dimostrata da parte di Abramo, "nostro padre nella fede" (Canone romano).

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5. Ma cosa significa che Dio stringe alleanza con l'uomo? Come è possibile che ciò avvenga? E' possibile perché Dio ha creato l'uomo a propria immagine e somiglianza. Diversamente da tutte le altre creature, l'essere umano è in grado di parlare con Dio. E Dio vuole che questo rapporto sia vissuto nella forma del dialogo. così, sin dal principio, Dio affida all'uomo l'intero mondo creato, dicendo: "Soggiogate la terra" (cfr.
Gn 1,28), ed istituisce con tali parole l'ordine del lavoro umano, inscritto nel disegno dell'Alleanza. Lavorando gli uomini sottomettono la terra, ricavano dalle realtà create sempre nuove risorse, indispensabili per mantenere in vita loro stessi e le loro famiglie.

La Chiesa considera suo precipuo dovere annunziare il "vangelo del lavoro", che costituisce un aspetto essenziale della sua dottrina sulla giustizia sociale. E qui possiamo ritornare al Libro dell'Esodo ed alla missione liberatrice affidata da Dio a Mosè. Si tratta infatti di una liberazione anche in senso sociale. L'ingiustizia che i figli e le figlie di Israele sperimentano consiste nello sfruttamento del loro lavoro, anche allo scopo di distoglierli dalla vita familiare e dal servizio di Dio. Il faraone ritiene che in questo modo cesseranno di essere pericolosi per l'Egitto.

La strategia del faraone, di assoggettare mediante il lavoro, costituisce un significativo paradigma, entro il quale Mosè rappresenta quanti nel corso della storia non cessano di intraprendere la lotta per la giustizia sociale.

Questa consiste per un aspetto essenziale nel riconoscimento della giusta dignità del lavoro umano e in un'equa remunerazione, grazie alla quale il lavoratore possa mantenersi insieme con la propria famiglia. D'altra parte, essa richiede anche adeguati interventi a favore di coloro che, pur non volendolo, si trovano nella precaria e avvilente situazione di disoccupati.

Il lavoro deve contribuire allo sviluppo dell'uomo e non al soffocamento servile della sua dignità. Questo è il postulato fondamentale del "vangelo del lavoro". Gesù, impegnato accanto a Giuseppe al banco di lavoro, proclama questo vangelo mediante la sua stessa vita nascosta a Nazaret. La dottrina sociale cristiana e tutte le Encicliche sociali, cominciando dalla Rerum novarum, rappresentano la manifestazione di tale "sollicitudo rei socialis", di quella sollecitudine per la giustizia sociale, che la Chiesa non si stanca di promuovere e di attuare annunziando il Vangelo dell'Alleanza di Dio con l'uomo. E questa tematica deve essere sempre riproposta nella giornata festiva di San Giuseppe.

Questo umile carpentiere di Nazaret, accanto a Gesù di Nazaret, rappresenta anche la problematica della giustizia sociale per tutti noi, per il mondo del lavoro e per la Chiesa.

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6. Carissimi, da questo Santuario, espressione della fede di un popolo laborioso e tenace, affido alla Madre Addolorata le attese e le speranze dell'odierna società, in particolare le attese del mondo del lavoro. Colei che al Calvario è stata unita al Sacrificio redentore di Cristo, ottenga ai suoi figli di essere sempre fedeli al Dio dell'Alleanza. Ottenga di portare frutti abbondanti di giustizia e di pace, mangiando "lo stesso cibo spirituale" e bevendo "la stessa bevanda spirituale" di cui ci parla la liturgia di oggi.

I nostri Padri - ricorda san Paolo - bevevano "da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era Cristo" (
1Co 10,4). Cristo resta la roccia alle cui acque beviamo anche noi.

Amen!

Data: 1995-03-19 Data estesa: Domenica 19 Marzo 1995


GPII 1995 Insegnamenti 406