GPII 1995 Insegnamenti 842

Giovanni Paolo II conferisce l'Ordinazione presbiteriale a quarantuno Diaconi della Diocesi di Roma - Città del Vaticano

Titolo: Il sacerdote è il ministro dell'amore divino tra gli uomini



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1. "Gloria Dei vivens homo" (S. Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4,20,7).

Carissimi neo-presbiteri! Nel giorno della vostra ordinazione desidero ricollegarmi alle parole di sant'Ireneo. Come sacerdoti siete infatti chiamati a compiere insieme con tutta la Chiesa l'"opus gloriae", la grande "opera della gloria", che si esprime in modo particolare nella liturgia del tempo pasquale, come ben viene sottolineato anche dal salmo responsoriale: "Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli. Dicano la gloria del tuo regno e parlino della tua potenza" (Ps 144(145], 10-11).

L'uomo quasi presta la sua voce alle creature, esprimendo con le proprie parole ciò che esse manifestano con la ricchezza e bellezza della loro stessa esistenza. E in questo modo egli diventa come il "sacerdote" dell'intera creazione, quasi il ministro dei misteri che Dio ha posto nel mondo creato. Nello sforzo di conoscere sempre più pienamente tali misteri, sottomettendo a sé tutta la terra, l'uomo porta a compimento la propria vocazione nel mondo visibile, quella cioè di essere stato creato ad immagine e somiglianza di Dio.

L'uomo è dunque "sacerdote" per tutta la creazione, ma diviene sacerdote in senso pieno e completo quando, segnato dal carattere del sacerdozio sacramentale, cammina nel mondo per annunziare agli uomini la magnificenza della gloria del Regno di Dio. Regno di tutti i secoli, nel quale si esprime, mediante la storia di ogni generazione, il "paterno" regnare di Dio stesso: "Paziente e misericordioso è il Signore, lento all'ira e ricco di grazia. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature" (Ps 144(145], 8-9).

Carissimi Fratelli! Le parole dell'odierna liturgia si inscrivono in modo particolare nella vostra ordinazione sacerdotale. Questo giorno rimarrà per sempre impresso nella vostra memoria. Come si potrebbe dimenticare un tale giorno? Ve ne resteranno impressi tutti i dettagli! Vi ricorderete specialmente di quanto Dio in questo giorno vi ha detto, sia mediante la parola interiore della coscienza, sia con gli accenti della liturgia durante la quale vi è stata conferita l'Ordinazione sacerdotale. E questo vi dico anche per la mia propria esperienza.

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2. Ciascuno di voi, partecipando al sacerdozio di Cristo, è chiamato ad essere mediatore tra Dio e gli uomini. Si potrebbe applicare a lui ciò che la Chiesa proclama nella seconda lettura odierna, tratta dall'Apocalisse di san Giovanni: "Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno il suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro"" (
Ap 21,1-3).

Il sacerdote vive profondamente il mistero dell'Emmanuele, del "Dio con noi". Quante volte nel suo ministero apostolico egli ripete le parole: "Il Signore sia con voi". Esse esprimono proprio il mistero dell'Emmanuele, cioè del Dio che è venuto ed ha abitato in mezzo agli uomini. Esprimono il mistero di Dio che viene costantemente e desidera dimorare in mezzo agli uomini per condividerne la sorte terrena con le sue gioie e le sue sofferenze. Infatti, che cosa sono il pane e il vino, che il Popolo di Dio porta all'altare, se non l'espressione simbolica di tutte le gioie e le sofferenze, di tutte le speranze e le attese, di cui l'uomo vive ogni giorno? Il sacerdote accetta questi doni dalle mani e dai cuori del Popolo di Dio, e li offre a Dio sull'altare, certo nella fede che essi saranno assunti da Cristo nel mistero dell'offerta eucaristica.

Quando sotto le specie del pane e del vino si rinnova il Sacrificio della croce, nei doni dell'uomo si rende realmente presente Cristo, il Buon Pastore, per condurre l'umanità verso il "nuovo cielo" e la "nuova terra" (cfr. Ap 21,1), dove Dio asciugherà ogni lacrima, dove non ci saranno più né morte, né lutto, né grida di dolore, né fatica. In quel giorno passeranno le realtà di questo mondo e Dio, per opera di Cristo, farà nuove tutte le cose (cfr. Ap 21,4-5). Il sacerdote dunque è, in un certo senso, il ministro della discesa di Dio verso l'uomo ed insieme dell'ascesa dell'uomo verso Dio per mezzo di Cristo.

Mediatore, partecipe dell'unico Mediatore, che è Cristo.

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3. "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (
Jn 13,34-35). Queste parole dell'odierna liturgia si iscrivono nel giorno della vostra Ordinazione sacerdotale; parlano anch'esse di ciò che appartiene alla vostra vocazione. Il sacerdote è, infatti, un uomo che ha la profonda consapevolezza di essere amato da Dio. E' un amore che egli stesso sperimenta in prima persona, insieme con tutta l'umanità, in Cristo crocifisso e risorto.

Se compito del sacerdote è l'"opus gloriae", questo può essere adempiuto soltanto mediante l'"opus caritatis". Consapevole di quanto sia stato amato egli stesso da Dio, il presbitero deve a sua volta diventare ministro dell'amore divino tra gli uomini. Risponde all'amore con l'amore. Ognuno di noi dovrebbe sempre ricordare le parole di san Giovanni della Croce: "Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore" (Parole di luce e di amore, 57).

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4. Carissimi neo-presbiteri della Diocesi di Roma! Bisogna dunque che fin dall'inizio del ministero abbiate una visione chiara dei compiti che nella vostra missione sacerdotale derivano dal comandamento dell'amore di Cristo.

E' necessario diventare sempre più ministri di questo amore! Ministri, innanzitutto, dell'amore vicendevole tra gli stessi sacerdoti, in una singolare fratellanza tipica della vocazione e del ministero presbiterale. Ministri dell'amore verso ogni essere umano, specialmente verso i più bisognosi. Ministri capaci di imprimere lo spirito dell'amore alla vita delle comunità umane: delle famiglie, delle parrocchie, dei vari ambienti sociali. Per adempiere ad un compito così vasto e diversificato ognuno deve aprirsi alla luce dello Spirito Santo, per comprendere che cosa Cristo attende da lui e rispondere alla chiamata del suo Signore e Maestro. Di fatto, dipende in larga misura dai sacerdoti, se gli uomini riconosceranno nelle nostre comunità cristiane i discepoli di Cristo che si amano gli uni gli altri.

Preghiamo, carissimi Fratelli e Sorelle, senza sosta per ottenere i doni dello Spirito Santo, che servono al ministero sacerdotale. Esso è uno spirituale ministero d'amore da esercitare in ogni ambiente sociale, nel quale i Neo-ordinati dovranno compiere il loro servizio. Come sono eloquenti, al riguardo, le parole della prima lettura presa dagli Atti degli Apostoli, dove Paolo e Barnaba rendono conto di quanto Dio ha operato per mezzo loro (cfr.
Ac 14,21-27)!

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5. "Mysterium fidei".

A partire da oggi voi, cari neo-sacerdoti, ogni giorno pronuncerete queste parole nel cuore del Sacrificio eucaristico, al momento culminante della vostra vita e del vostro ministero sacerdotale: "Mysterium fidei". Mistero dell'azione di Dio negli uomini e per mezzo degli uomini. Mistero dell'opera salvifica di Dio per mezzo della croce e della risurrezione di Cristo e mistero dell'azione divina, compiuta mediante il ministero del sacerdote.

Invoco su di voi, cari neo-presbiteri, la materna protezione di Maria, Madre della Chiesa, Madre di noi sacerdoti, e vi auguro con tutto il cuore che le parole della liturgia conservino sempre nella vostra esistenza la stessa freschezza e forza che possiedono oggi.

Vorrei ancora congratularmi con la Chiesa di Roma per questo giorno delle ordinazioni sacerdotali: gran giorno per la vita di ogni Diocesi, di ogni Chiesa. Voglio congratularmi con il Cardinale Vicario, con i Vescovi suoi collaboratori, con tutto il Presbiterio di Roma, con tutto il popolo di Dio che vive in Roma. Vorrei congratularmi soprattutto con voi famiglie, padri e madri, che siete qui per partecipare a questa grande giornata della ordinazione sacerdotale dei vostri figli.

"Gloria Dei vivens homo".

Amen! Sia lodato Gesù Cristo!

Data: 1995-05-14 Data estesa: Domenica 14 Maggio 1995

Il "Regina Caeli" del Papa al termine del solenne rito - Città del Vaticano

Titolo: Il Popolo di Dio aspetta dai presbiteri la testimonianza di una profonda coerenza di vita, fino all'eroismo

Carissimi Fratelli e Sorelle!

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1. Ho avuto questa mattina la gioia di ordinare 41 sacerdoti, chiamati dal Signore ad essere fedeli pastori del suo popolo, pronti a rendere il loro servizio dovunque egli vorrà. Il loro è un servizio di verità, perché ad essi è chiesto innanzitutto di farsi annunciatori del Vangelo; servizio di santificazione, per aiutare i fratelli, specie attraverso i sacramenti, ad aprirsi alla grazia di Dio; servizio di carità, in quanto dovranno adoperarsi a far crescere nell'amore la comunità cristiana e l'intera società, chinandosi in modo speciale verso i più umili e deboli.

Grande mistero e grande dono di Dio è il sacerdozio. Voglio pertanto ringraziare Dio per questo dono; ringrazio anche i nuovi presbiteri per la generosità con cui hanno risposto alla divina chiamata. Ringrazio i loro genitori e le loro famiglie, che li hanno incoraggiati e seguiti nel cammino. Ringrazio i loro educatori, che li hanno aiutati a sviluppare i vari aspetti della loro formazione.

Ringrazio poi i loro coetanei e mi congratulo con tutti i giovani di Roma per questa odierna ordinazione sacerdotale, perché i nuovi ordinati vengono da questa generazione. Mi congratulo con la Chiesa di Roma, mi congratulo in modo speciale con questa giovane Chiesa di Roma con cui ho avuto modo di incontrarmi specialmente nella Domenica delle Palme.

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2. Desidero inoltre invitare tutta la comunità cristiana a pregare per la santificazione dei sacerdoti.

E mi ricordo anche il giorno della mia ordinazione sacerdotale. Di nuovo esprimo la mia gratitudine a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo per questa grazia che mi ha offerto quasi quarantanove anni fa.

La santità è una vocazione comune a tutti i credenti. Ma il sacerdote, dovendo essere la guida dei fratelli, ha un motivo in più per farsi santo. Non si sbaglia dunque il popolo di Dio, e la stessa opinione pubblica, quando dai sacerdoti si aspetta la testimonianza di una profonda coerenza di vita, magari fino all'eroismo.

Non si deve pero dimenticare che la santità va implorata da Dio, essendo un cammino per sua natura arduo, nel quale i sacerdoti portano, non meno degli altri uomini, il segno della loro fragilità.

Occorre dunque che la comunità cristiana li sostenga con la sua preghiera. Per questo, nella mia Lettera ai Sacerdoti per il Giovedi Santo di quest'anno, ho suggerito a tutte le Diocesi del mondo di celebrare una "Giornata per la Santificazione dei sacerdoti", in cui invocare il Signore perché tutti i suoi ministri vivano nella conformazione sempre più piena al cuore del Buon Pastore.

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3. Alla Vergine Santa affidiamo questi novelli presbiteri, e con loro tutti i sacerdoti del mondo, specialmente i più sofferenti, i più soli, i più provati, perché, sostenuti dalla sua tenerezza materna, possano vivere la gioia piena della loro missione.

(Il Santo Padre ha quindi rivolto l'appello di pace per la Bosnia ed Erzegovina e per la Liberia:] Mentre con gioia ho appena conferito l'Ordinazione presbiterale ad un buon numero di diaconi, non posso non pensare agli operai del Vangelo scomparsi di recente in tragiche circostanze.

Ieri sera è giunta la dolorosa notizia dell'assassinio, a Banja Luka, in Bosnia Erzegovina, di un sacerdote e di una religiosa, i cui corpi sono stati rinvenuti carbonizzati.

Questo è il funesto epilogo di una serie di attentati che hanno distrutto un convento e quattro chiese nella diocesi di Banja Luka. Il Vescovo, Monsignor Franjo Komarica, che mi ha detto tutta la sua sofferenza, ha implorato soccorso rivolgendosi anche a varie istanze nazionali e internazionali. Lo stesso ha fatto la Santa Sede.

Chi può rimanere silenzioso ed inerte di fronte a tanta barbarie? Chi può approvare tali efferatezze, da qualunque parte esse provengano? Con tutti coloro che soffrono o sono attanagliati dalla paura voglio dire: Basta con l'odio! Basta col sangue! Basta con la guerra! Chi è responsabile di tali atti e chi li pianifica dovrà rispondere davanti a Dio ed agli uomini.

Il Signore accolga nella sua gioia queste due vittime innocenti, doni consolazione alle loro famiglie ed a quella comunità ecclesiale e tocchi il cuore dei responsabili di questa tragedia.

Alla loro memoria voglio pure associare nella preghiera le suore vittime di una gravissima epidemia nello Zaire.

Che questo sacrificio della Chiesa sia seme di fraternità e di pace! Tra pochi giorni si terrà in Nigeria un'importante riunione dei Capi di Stato per cercare una soluzione di pace per la Liberia.

Il mio orante pensiero va alle numerose vittime di quel tragico conflitto ed a quanti ne pagano ancora oggi le tristi e pesanti conseguenze.

Cari Fratelli e Sorelle, vi invito a pregare con me il Signore della Pace affinché illumini la mente e il cuore di tutti i responsabili. Possa quanto prima realizzarsi il desiderio di quelle popolazioni, così provate da tanti anni di guerra, di tornare alle normali condizioni di vita e di collaborare al benessere del Paese! (Segue un saluto in polacco] (Quindi ha salutato i gruppi di pellegrini italiani con queste parole:] Saluto cordialmente i pellegrini presenti a Roma e quanti sono uniti a noi mediante la televisione e ci seguono in famiglia. Un pensiero particolare rivolgo a tutte le mamme nel giorno della loro festa. Saluto, poi, il Gruppo vocale "Musica Insieme" della parrocchia di Sant'Andrea in Levanto (La Spezia), la Corale "San Giorgio" di San Giorgio al Tagliamento (Venezia), il Parroco e i fedeli della Santissima Annunziata in Giulianova (Teramo) e un gruppo di preghiera di Carpi. A tutti auguro una buona domenica.

(Dopo aver salutato i fedeli polacchi, il Papa ha aggiunto queste parole:] A tutti l'augurio di una buona domenica e di una buona settimana pasquale. Fra una settimana dovrei essere nella Repubblica Ceca. Allora manchero a questo appuntamento qui a Roma, ma la televisione lo trasmetterà.

Sia lodato Gesù Cristo!

Data: 1995-05-14 Data estesa: Domenica 14 Maggio 1995

Lettera a Monsignor Umberto Tramma

Titolo: Per il XVI centenario del ritiro di S.Paolino Nola

Al Venerato Fratello UMBERTO TRAMMA Vescovo di Nola

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1. E' sempre vivo in me il ricordo della visita compiuta a Nola il 23 maggio 1992.

Nella calorosa accoglienza ricevuta in codesta comunità cristiana m'è parso di sentir pulsare ancora, in qualche modo, il grande cuore di san Paolino.

Ringrazio il Signore, che mi ha concesso di pregare nello stesso luogo in cui egli visse, a Cimitile, e di venerarne poi i resti mortali custoditi nella Chiesa cattedrale. In codesta Città quasi si avverte sensibilmente la sua spirituale presenza. Aveva davvero ragione il vostro santo Patrono quando in uno dei suoi carmi cantava: "Omnia praetereunt, sanctorum gloria durat/ in Christo qui cuncta novat, dum permanet ipse" (Carme XVI, 3-4).

Sono perciò lieto, Venerato Fratello, di potermi unire alla gioia di codesta Chiesa per la celebrazione del XVI centenario del definitivo stabilirsi di Paolino a Nola. La ricorrenza merita di essere solennizzata, dal momento che tale scelta "residenziale" coincise con la decisione del Santo di dedicarsi pienamente a Cristo nella vita monastica.

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2. Ciò che i contemporanei soprattutto ammirarono in Paolino fu la radicalità della conversione, tanto più evidente, quanto più elevata era la condizione economica e sociale alla quale egli rinuncio. Nato a Bordeaux da aristocratica e ricchissima famiglia, finemente educato negli studi letterari, egli aveva percorso rapidamente il "cursus honorum", diventando senatore e governatore della Campania.

Proprio in questa veste stabili un primo rapporto con codesta Città, facendone la sua sede preferita. Qui lo attendeva la Grazia per toccargli il cuore. Davanti allo spettacolo di fede delle folle di pellegrini che, da una vasta area dell'Italia centro-meridionale, accorrevano alla tomba di san Felice, il giovane governatore, già in qualche modo credente ma non ancora battezzato, si senti spinto a rivedere la sua vita. Quasi portato per mano da san Felice, giunse alla pienezza dell'amore di Cristo: "inque tuo gaudens adamavi lumine Christum" (Carme XXI, 373). Ma prima dell'approdo definitivo, lo attendevano lunghi anni di appassionata ricerca e di prove, che furono come il crogiuolo purificatore della sua fede.

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3. Il battesimo, ricevuto nella sua città natale per le mani di Delfino, fu l'inizio di un cammino sempre più impegnativo. D'accordo con la pia moglie Terasia, decise di sbarazzarsi dei suoi immensi possedimenti per amore di Cristo.

E quella Roma che lo aveva ammirato nella toga del senatore, lo rivedrà, durante il viaggio verso Nola del 395, nel rude saio del monaco. Il contrasto non poteva essere più netto, suscitando opposti sentimenti di plauso o di sconcerto. Persino nell'ambiente ecclesiale non gli mancarono cocenti incomprensioni. Ma non si sbaglio l'istinto di fede del popolo di Dio nel riconoscere in lui un miracolo della Grazia. E se la comunità ecclesiale di Barcellona, pochi mesi prima della partenza per Nola, ne aveva chiesto entusiasticamente l'ordinazione presbiterale, non minore affetto gli fu tributato all'arrivo nella "sua" Campania, dove non solo i laici, ma tutti i Vescovi della Regione e persino quelli dell'Africa, personalmente o per lettera, vennero a fargli festa.

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4. Da quel momento, Venerato Fratello, le vie di Paolino si confondono con quelle di codesta comunità. Con la moglie Terasia, vivente con lui in casta fraternità, ed altri amici che lo avevano seguito, egli prende dimora entro il complesso del Santuario di san Felice. Qui, da governatore, aveva già fatto costruire un ospizio per i poveri. Ora, sopra quell'ospizio, erige un secondo piano destinato alla convivenza monastica, non mancando di dare a tale assetto una suggestiva interpretazione: la preghiera dei poveri stava a rinsaldare le fondamenta della sua casa (Carme XXI, 391-394). Con ciò Paolino rovesciava un concetto tipico della società romana: più che sentirsi "patrono" dei poveri, egli elesse i poveri come suoi "patroni" ("patronos animarum nostrarum pauperes": Epist. 13,11), nella consapevolezza che il suo aiuto ai bisognosi non era un "dare", ma piuttosto un "ricevere", dal momento che Cristo ama restituire "con l'interesse" quanto riceve nella loro persona. Come non cogliere la bellezza di questo messaggio, in un tempo come il nostro in cui il mondo è ancora così scandalosamente diviso tra chi ha troppo e chi ha troppo poco, e spesso la "generosità" dei ricchi si limita alle briciole di una umiliante elemosina?

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5. Il ritmo di vita che Paolino impresse alla sua comunità era scandito dalla lode di Dio e dalla meditazione della sua Parola. Dimentico dei suoi antichi interessi letterari, egli viveva della Parola di Dio. Delle immagini bibliche non si stanca di cercare i sensi reconditi. A giudicare dalle frequentissime citazioni, si direbbe che egli amasse nuotare nell'oceano della Scrittura, scrutandone i fondali, con l'occhio stupito di un fanciullo avido di sempre nuove bellezze.

Desideroso di luce, si fece discepolo di quanti avevano il dono della sapienza.

Basti ricordare, tra i suoi amici e corrispondenti, Ambrogio di Milano, Girolamo, Agostino. Ma fu soprattutto quest'ultimo che egli scelse come "maestro", stabilendo con lui uno scambio epistolare, in cui il grande dottore africano, lungi dall'assumere il tono del "docente", si faceva volentieri a sua volta "discente". Ma perché porre domande all'amico nolano, che nella sua umiltà se ne schermiva? Agostino in verità riconosceva che Paolino "insegnava", proprio mentre "interrogava" ("quaerendo docuisti": Ag. Epist. 149,2): era, quella dell'asceta e pastore nolano, la "teologia vissuta" di un uomo ricco dello Spirito di Dio, espressa nei percorsi simbolici di un animo attratto dalla via della bellezza, più che da quella dell'astratta speculazione.

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6. Mentre si dedica all'ascesi, Paolino non manca di attendere al ministero. Per i numerosi pellegrini che affluiscono al Santuario costruisce nuovi ambienti di culto e di accoglienza, che fanno del complesso basilicale di Cimitile uno dei più importanti dell'antichità cristiana. Per la formazione dei più umili, oltre che per l'innato senso del "bello", Paolino sviluppa una illuminata catechesi visiva, con dipinti ispirati alla storia della salvezza. In lui si fondono mirabilmente il monaco e il pastore. Come dunque stupirsi, se alla morte del vescovo Paolo, in anni angosciati dall'incubo delle invasioni barbariche, tocco proprio a lui assumere la guida di codesta Chiesa? Purtroppo le notizie sul suo episcopato non sono abbondanti. Ma sia ciò che è storicamente accertato, sia quanto affiora dalla tradizione popolare, converge nel disegnare l'immagine di un pastore dal cuore immenso, che, dimentico di sé, si dona tutto per il suo popolo. Né meno significativo è lo stile che egli incarna come maestro della verità cristiana, difendendola con fermezza dall'errore, ma restando accogliente e paterno con gli erranti.

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7. Uomo di comunione, animo veramente "cattolico", Paolino coltivava una naturale sollecitudine per la Chiesa universale. A questa Sede Apostolica, poi, era particolarmente devoto, venendo ogni anno a Roma a visitare le tombe degli Apostoli. Ma con tanti altri pastori egli intrattenne cordiali e costanti rapporti. Si può dire che dall'Italia, dall'Africa, dalla Gallia, si guardasse a lui come ad un punto di riferimento. Dall'Est venne a fargli visita per ben due volte san Niceta, apostolo della Dacia. Che dire poi dei tanti altri - chierici, monaci e laici - che poterono godere della sua corrispondenza, sempre calda di affetto? Questa rara capacità di rapporti non era solo il frutto di un cuore sensibilissimo, ma affondava le radici nella viva esperienza dell'unità ecclesiale, sgorgante dalla Trinità. In tale mistero egli trovava le ragioni e lo spessore dell'amicizia spirituale, di cui fu particolarmente esperto e di cui si direbbe illuminato "dottore". Amava infatti spiegare, per esperienza vissuta, che l'unità mistica del Corpo di Cristo apre possibilità inaudite all'amore fraterno, ben oltre le frontiere dell'amicizia puramente umana. Per questo poteva scrivere ad Agostino, che pur non incontro mai di persona: "Non c'è da meravigliarsi se noi, pur lontani, siamo presenti l'uno all'altro e senza esserci conosciuti ci conosciamo, poiché siamo membra di un solo corpo, abbiamo un unico capo, siamo inondati da un'unica grazia, viviamo di un solo pane, camminiamo su un'unica strada, abitiamo nella medesima casa" (Epist. 6,2).

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8. Felice dunque la Chiesa nolana, che può vantare nella sua storia un così grande pastore! Il suo Messaggio, a distanza di tanti secoli, conserva intatta la sua freschezza. Possa codesta comunità trovarvi un'efficace ispirazione di rinnovamento e di testimonianza.

Mi congratulo di cuore anche per quanto essa, sotto la sua guida, Venerato Fratello, sta donando alla Chiesa con la pubblicazione di testi e la promozione di studi su Paolino. Voglia Dio che la riscoperta di questa figura, così ricca di spirituale sapienza, porti nella Chiesa frutti di approfondimento dottrinale e di autentica vita cristiana.

Con questo auspicio ed in pegno dei più eletti favori celesti, imparto a Lei, Venerato Fratello, e a tutta la comunità affidata alle sue cure, l'Apostolica Benedizione.

Dal Vaticano, il 15 maggio dell'anno 1995, diciassettesimo di Pontificato.


IOANNES PAULUS PP. II

Data: 1995-05-15 Data estesa: Lunedi 15 Maggio 1995

Visita "ad limina": ai Vescovi indiani - Città del Vaticano

Titolo: Occorre una risposta totale a Cristo

Cari Fratelli Vescovi,

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1. Saluto con grande gioia ognuno di voi, Pastori della Chiesa in India provenienti dalle regioni del Tamil Nadu e della Karnataka, durante la prima di questa serie di visite ad limina da parte dei Vescovi della vostra vasta regione.

Con le parole di San Paolo: "Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi" e chiedo "sempre nelle mie preghiere..." di "rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune" (
Rm 1,8ss). Quando nel 1986 ho visitato il vostro Paese mi sono rivolto ai Vescovi dicendo che: "Il nostro compito comune è quello di rendere operante il mistero della collegialità" (Discorso ai Vescovi, Nuova Delhi, 1° febbraio 1986). Siamo qui per professare, celebrare e rafforzare il mistero della comunione nel Collegio dei Vescovi. Tale comunione implica che siamo una sola mente e un solo cuore nell'amare nostro Signore Gesù Cristo, il Pastore della Chiesa e nell'obbedirgli (cfr. 1P 5,4) e realizziamo il ministero che ci è stato affidato per mezzo di un'unione di fede e di ordine ecclesiale vibrante e forte.

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2. La Costituzione Dogmatica Lumen Gentium ci ricorda che il Disegno di Dio consiste nel "salvare e santificare gli uomini non individualmente e senza alcun legame fra loro" (n. 9). Il testo del Concilio continua affermando che questo popolo messianico "ha per capo Cristo... questo popolo ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come nel suo tempio... Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati... E, finalmente, ha per fine il regno di Dio... che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento" (lbedem). Pertanto non si sottolineerà mai a sufficienza il fatto che la missione della Chiesa è trascendente e consiste soprattutto nel permettere agli uomini di partecipare al mistero attraverso il quale Dio comunica se stesso per mezzo della grazia.

Da questo dipendono tutti gli aspetti della vita della Chiesa.

Indipendentemente dall'urgenza di altri problemi, fra cui quelli dello sviluppo umano, della giustizia e della difesa della dignità umana, delle necessità dei poveri - e non si può certo negare che il vostro impegno in questi campi debba essere a un tempo concreto ed efficace - i Pastori non possono ignorare l'invito di Cristo stesso a cercare "prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (
Mt 6,33). Sarebbe sorprendente se proprio in India, la terra della Satyagraha (la "forza-verità" spirituale che conquista senza violenza) e dei Rishis (uomini santi), i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i laici impegnati, uomini e donne, non riuscissero a sviluppare tutto il potenziale spirituale della grazia salvifica del nostro Redentore. Per questo, in quanto Pastori, servitori dei misteri di Dio, nella vostra vita, nei vostri rapporti con i sacerdoti, con le donne e con gli uomini consacrati che portano insieme a voi il fardello dell'apostolato, nel vostro ministero verso i fedeli laici e nei vostri sforzi missionari volti a diffondere il Vangelo, uno degli aspetti che dovete sempre tener presente nel vostro cuore e nelle vostre azioni è quello della promozione della fede autentica e della santità di vita fra i membri della Chiesa.

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3. Essere guide spirituali e maestri del vostro popolo è un compito difficile e arduo. A livello personale esso implica da parte vostra una risposta totale al richiamo di Cristo. Poiché, come San Paolo ha scritto a Timoteo: "Il fine di questo richiamo è pero la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera" (
1Tm 1,5), "bisogna che il Vescovo sia irreprensibile" (1Tm 3,2). Senza un profondo impegno di fede, senza la preghiera costante e una "carità pastorale" che faccia dono di sé, non è possibile rappresentare il Buon Pastore che ha sacrificato la propria vita per il suo gregge (cfr. Jn 10,11).

Nell'ambito del vostro apostolato dovete affrontare molte sfide, non ultima quella del crescente secolarismo, tendenza dominante e diffusa che sta minando anche le tradizioni spirituali più profondamente radicate, caratteristiche della storia e della cultura dell'India. Il primo concetto vedico del rita, ordine, valido e giusto nell'universo e nella società umana, ha guidato la cultura indiana al desiderio di armonia, ad una morale di responsabilità nei confronti dell'ordine divino evidente in tutto ciò che esiste. Più tardi le Upanishad hanno sottolineato la nozione di dharma, ponendo dunque al centro delle attività della vita l'acquisizione della "rettitudine" attraverso l'osservanza della religione e il rispetto della legge e del dovere. Sulla base di queste attitudini, fondamentali per tutte le esperienze religiose, l'India è divenuta la culla di una civiltà ricca di valori religiosi e umani. Su questo terreno il seme della fede è stato piantato fin dall'inizio e ha prodotto fiorenti comunità sostenute, attraverso tutte le vicende storiche, dalla loro fede in Gesù Cristo, il Dio-Uomo, Crocifisso e Risorto, speranza dell'umanità che solo può rivelare pienamente la grandezza e la dignità autentiche della persona umana e del suo destino (cfr. Ai delegati della F.A.B.C., 15 gennaio 1995).

Attualmente, in molte coscienze si sta insinuando una certa indifferenza nei confronti delle verità e dei valori religiosi, considerati come irrilevanti per il progresso economico e tecnologico, e ciò sta indebolendo il fondamento spirituale e morale della società. La comunità cattolica non è immune da questo fenomeno. La Chiesa in India, come in tutte le altre parti del mondo, deve affrontare questa sfida facendo un grande sforzo di conversione e di rinnovamento spirituale.

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4. Da un rinnovato impegno per Cristo, l'unico intermediario fra Dio e l'uomo (cfr.
1Tm 2,5), e da una vita spirituale rivitalizzata scaturirà un senso più profondo di unità e di comunione fra tutti i membri della Chiesa. Nel subcontinente indiano, la comunità cattolica costituisce un'esigua minoranza, sebbene la sua presenza e il suo ruolo vadano al di là delle mere statistiche grazie alla vitalità della sua testimonianza e alla vastità del suo servizio.

Questa minoranza religiosa è a sua volta caratterizzata da una grande varietà: da diversità di riti, da storie di evangelizzazione diverse in ogni regione e, negativamente, dalla costante minaccia di frammentazione causata dalla continua e forte influenza della molteplicità etnica, culturale e sociale. A questo proposito la vostra missione di Vescovi implica uno sforzo determinato e incisivo per creare e rafforzare i vincoli di fraternità fra i membri della Chiesa.

Stiamo parlando dell'unità che scaturisce dal Dio Uno e Trino e il cui dinamismo deriva dalla grazia divina. La koinonia che voi tutti siete chiamati a promuovere non è nient'altro che una condivisione dell'autentica comunione esistente fra il Padre e il Figlio nello Spirito di Amore (cfr. 1Jn 1,3). E un'unità che trascende tutte le diversità umane e persiste di fronte a qualsiasi differenza di immagine o di comportamento poiché esistono "un solo corpo, un solo spirito... un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti" (Ep 4,46). Negli Atti degli Apostoli leggiamo che i membri della prima comunità cristiana "erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (Ac 2,42).

L'espressione "erano assidui" (proskarterein) denota una fedeltà costante e continua. Essa evoca una fede viva, l'entusiasmo nel vivere la propria vita in un rapporto totale con il Signore Risorto e lo zelo nel diffondere la Buona Novella.

E proprio questa attitudine interiore, assimilata completamente, che ci permette di vivere la koinonia, di sperimentare il senso vivo dell'appartenere alla comunità dei discepoli di Cristo e dell'essere responsabili per essa.

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5. L'amore è la forza edificante della comunione. San Paolo esprime l'intera "novità" dell'attitudine cristiana in questa breve frase: "L'amore di Cristo ci spinge" (
2Co 5,14). La vita di un Vescovo deve essere interamente guidata e ispirata dall'amore. Far si che le vostre parole e le vostre azioni siano ispirate dal comandamento totale dell'amore evangelico e dallo spirito delle Beatitudini, significa garantire che il vostro ministero produca autentici frutti di evangelizzazione e di crescita ecclesiale.

Vi esorto a esprimere l'amore evangelico prima di tutto fra di voi, nella stima e nel rispetto che nutrite l'uno per l'altro, nella cooperazione fraterna ed essenziale per il bene della Chiesa, nell'ambito della vostra Conferenza. Solo in questo modo sarete in grado di evangelizzare, ma soprattutto, è solo così che potrete affrontare le gravi difficoltà che sorgono all'interno della comunità cattolica quando si permette che in essa vengano diffusi insegnamenti errati circa le dottrine fondamentali della fede e le questioni morali della vita cristiana. Dovete affrontare queste difficoltà con intelligenza, coraggio e unione. Che non permettiate mai a criteri contrari al Vangelo, come le considerazioni circa le caste, le origini etniche o le culture tradizionali, di determinare i rapporti che intercorrono fra di voi. "Al di sopra di tutto poi vi sia la carità" (Col 3,14) e fate risplendere la vostra testimonianza congiunta in tutta la comunità come esortazione per i sacerdoti, i religiosi e i laici.

Create armonia e pace fra i vostri sacerdoti; prestate loro l'attenzione che hanno il diritto di ricevere da voi. Occupatevi delle loro necessità e delle loro aspirazioni, siate giusti nel trattare con loro. Se qualcuno si scoraggia, siate pronti ad aiutarlo. Qualora dobbiate rammentare loro quali sono i loro doveri sacerdotali, fatelo con amorevole sollecitudine paterna. Nei confronti delle donne e degli uomini religiosi, il cui apostolato è spesso di importanza decisiva per le vostre diocesi, fatevi guidare in tutte le occasioni da un profondo rispetto per la loro consacrazione e il loro carisma, agendo nei loro confronti con giustizia e verità, osservando con attenzione lo spirito del Documento Mutuae Relationes. Infine, possano i fedeli laici trovare nel loro Vescovo un uomo di Dio, una guida spirituale, un vero padre, un autentico fratello che abbia a cuore il loro bene e sia pronto a sacrificarsi per essere Buon Pastore del suo gregge.

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6. Cari Fratelli Vescovi, la vostra visita ad limina si svolge nel momento in cui tutta la Chiesa sta iniziando gli speciali preparativi per il Grande Giubileo dell'Anno 2000. Proprio in questo "Avvento" storico, mentre stiamo per commemorare il bimillenario della nascita di Nostro Signore Gesù Cristo, Egli - il Signore - ci chiama attraverso le parole del Concilio a seguire il suo esempio e, fattici conformi alla sua immagine, ad obbedire completamente alla volontà del Padre, consacrandoci con tutto il nostro animo al servizio del prossimo (cfr.
LG 40). Questa sintesi della vocazione cristiana è la grazia che io invoco su di voi e sui Fratelli Vescovi dell'India.

Nel rivolgermi a voi, non posso non sentirvi vicini e non esortarvi a edificare e rafforzare la Chiesa in India nell'unità della fede e nell'armonia dell'amore che scaturiscono dalla pienezza della vita cristiana vissuta secondo il modello del Vangelo. In quanto Vescovi, dobbiamo sempre ricordare che il Signore ci ha insegnato a individuare l'essenza dell'essere discepoli nel servizio umile e effettivo verso i fratelli (cfr. Jn 13,15). Vi affido all'intercessione di Maria, Madre del Redentore. Possa accompagnare ognuno di voi lungo il cammino della vita, nel servizio fedele al suo Figlio Divino. Con la mia Benedizione Apostolica.

Data: 1995-05-16 Data estesa: Martedi 16 Maggio 1995



GPII 1995 Insegnamenti 842