GPII 1995 Insegnamenti 1153

L'omelia del Papa alla Santa Messa celebrata presso la Grotta di Lourdes, nei Giardini Vaticani - Città del Vaticano

Titolo: L'Eucaristia contiene in sè la forza per affrontare le prove più dure

Carissimi Fratelli e Sorelle!

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1. Sono lieto di poter celebrare quest'Eucaristia insieme a voi e vi saluto cordialmente. Rivolgo un saluto particolare alle Suore dell'Ordine di San Basilio, che stanno tenendo in questi giorni il loro Capitolo Generale.

Carissime Sorelle Basiliane, rendo grazie al Signore di poter celebrare quest'oggi con voi l'Eucaristia. In particolare sono lieto della partecipazione delle Suore rappresentanti delle Comunità della Romania, dell'Ucraina, della Slovacchia e dell'ex Jugoslavia, che più di tutte hanno sofferto persecuzione.

Proprio l'Eucaristia, memoriale della Pasqua di Cristo, contiene in sé il senso delle prove più dure e la forza per affrontarle.

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2. La pericope evangelica dell'odierna liturgia ci invita a riflettere sulla persona e sulla missione di Gesù. "Chi sono io secondo la gente?", domanda Gesù agli Apostoli. Ed essi rispondono: "Per alcuni sei Giovanni il Battista; per altri Elia; per altri uno degli antichi profeti che è risorto".

Dalla loro risposta si percepisce che la gente stimava e venerava Gesù e lo paragonava a personalità assai illustri del popolo di Israele, ma non era ancora ben convinta della sua vera e autentica identità messianica.

Gesù si rivolge poi direttamente agli Apostoli: "Ma voi chi dite che io sia?". E Pietro, a nome di tutti, risponde deciso: "Tu sei il Cristo di Dio", e cioè: Tu sei il Messia, il "mandato da Dio" secondo la promessa e l'Alleanza stretta da Dio con il popolo di Israele.

Alla professione di fede di Pietro, Gesù fa seguire la chiarificazione essenziale circa la sua missione di Messia: "Il Figlio dell'uomo dovrà molto soffrire, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, per essere messo a morte e risorgere il terzo giorno".

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3. La stessa domanda viene ancora oggi riproposta a ciascuno di noi: "Chi è Gesù per la gente del ventesimo secolo? Chi è Gesù per ciascuno di noi?".

Carissimi Fratelli e Sorelle! La risposta di Pietro sia anche la nostra: professiamo con gioia che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, il Verbo divino che si è fatto uomo per redimere l'intera umanità. Il mondo ha bisogno di Cristo. L'uomo del nostro tempo avverte non di rado un vuoto e vive nell'inquietudine. Cerca certezze ed ha sete di risposte adeguate ai suoi profondi interrogativi esistenziali. In Cristo, solo in Lui, può trovare la pace e l'appagamento autentico di ogni sua intima aspirazione. Cristo conosce il cuore dell'uomo.

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4. Dice Gesù: "Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua". La fede in Cristo implica logicamente la sua imitazione. Ciascuno è chiamato a seguirlo portando la propria croce: la croce intellettuale che piega la ragione umilmente davanti ai misteri di Dio; la croce della Legge morale, per cui bisogna osservare tutti i Comandamenti; la croce del proprio dovere, delle situazioni contingenti, delle sofferenze e delle prove, che esigono pazienza, fiducia nella Provvidenza. Mai bisogna dimenticare che "chi perderà la propria vita per Cristo, la salverà". Solo Gesù ha parole di "vita eterna".

Carissimi Fratelli e Sorelle, abbandoniamoci a Lui, ripetendo con il Salmista (cfr. Sal. resp.): "O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia".

Questa sete, che anche stamane portiamo all'altare, sarà da Lui saziata nel "lauto convito" dell'Eucaristia. perciò "esultiamo di gioia all'ombra delle sue ali" e con animo lieto e fiducioso riprendiamo il cammino della nostra testimonianza in mezzo ad un mondo che troppo spesso appare "come terra deserta, arida, senz'acqua".

Data: 1995-06-25 Data estesa: Domenica 25 Giugno 1995

Udienza: il discorso di Giovanni Paolo II alla federazione italiana delle comunità terapeutiche - Città del Vaticano

Titolo: L'autentico rapporto con Dio costituisce un sostegno straordinariamente efficace nel cammino di recupero di situazioni disperate

Carissimi Fratelli e Sorelle!

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1. A tutti voi, responsabili e operatori delle varie Associazioni aderenti alla Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche, che accolgo volentieri nella Giornata Mondiale indetta dalle Nazioni Unite contro la droga, va il mio più cordiale benvenuto! Nel rivolgere un riconoscente pensiero alla vostra Presidente per le cortesi parole che, a nome di tutti, ha poc'anzi pronunciato, saluto con affetto ciascuno dei presenti, in particolare i giovani ex tossicodipendenti ed i loro familiari. Uno speciale pensiero va al caro don Mario Picchi, fondatore del Centro Italiano di Solidarietà ed instancabile animatore della vostra benemerita Organizzazione.

Il servizio da voi svolto si rivolge ad uno dei fenomeni che possono essere considerati caratteristici della cultura attuale: l'assunzione e la dipendenza dalle droghe. La droga in realtà - e voi ne fate esperienza ogni giorno - è sintomo di una debolezza e di un malessere più profondi, che toccano specialmente le generazioni più giovani ed esposte ai pericoli di una cultura povera di autentici valori. In un tempo come il nostro, nel quale l'uomo riesce a piegare alla propria volontà le stesse leggi della natura, la tossicodipendenza, con la sua capacità di intaccare la forza di volontà della persona, costituisce un ostacolo che rivela l'intima fragilità dell'essere umano ed il suo bisogno d'aiuto da parte dell'ambiente che lo circonda e, più radicalmente, da parte di Colui che solo può agire nel profondo della sua psiche in difficoltà. Il rapporto con Dio, vissuto in atteggiamento di autentica fede, costituisce un sostegno straordinariamente efficace nel cammino di ricupero da situazioni umanamente disperate: chi ne ha fatto l'esperienza lo sa bene e può testimoniarlo.

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2. Determinante resta comunque il risanamento dell'equilibrio interiore della persona. Giustamente, pertanto, al centro dei programmi e delle attività dei vostri Organismi federati voi ponete l'essere umano con l'intoccabile dignità che gli è propria, anche quando la sua bellezza è offuscata dalla sofferenza e dal male. Si, carissimi Fratelli e Sorelle, quando il volto di chi bussa alle vostre porte è segnato da esperienze drammatiche, proprio allora occorre saper cogliere la scintilla di luce divina che, pur nascosta dai detriti delle tristi vicende attraversate, rimane in lui. Questa incancellabile dignità della persona umana è il fondamento del suo riscatto ed il segno del suo insopprimibile bisogno dell'incontro con Dio. Sappiate rispondere con rispetto e pazienza alla domanda di aiuto di questi fratelli in difficoltà, cercando di individuare i bisogni reali di ciascuno per rispondervi con programmi educativi e terapeutici adeguati, tenendo conto dei contesti specifici in cui le vostre Associazioni si trovano ad operare.

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3. Anche se diverse per programmi e per iniziative concrete, le vostre Associazioni ispirano la propria attività ad un patrimonio comune di valori, che hanno il loro centro nell'uomo e nella sua dignità. Per questo, in ogni fase dei programmi terapeutici, voi intendete valorizzare le residue capacità di autodeterminazione e di responsabilità personale dei giovani coinvolti nell'uso della droga. Inoltre, cercate di fare appello alle risorse positive derivanti dal lavoro di gruppo come pure da un rinnovato rapporto con la famiglia di origine del giovane e con il suo ambiente sociale. A questo scopo mira anche la gradualità del vostro intervento, attento nel rispettare le tappe e i momenti del cammino di liberazione dalla schiavitù della dipendenza, evitando pericolose scorciatoie.

Le caratteristiche poi del mondo del disagio sociale in cui operate vi mette ogni giorno a confronto con la mancanza di valori, la ricerca affannosa dei significati profondi del vivere, il vuoto di idealità e di spirito in cui spesso si dibatte la società in cui viviamo. Si tratta di acute problematiche nelle quali molto spesso cadono gli stessi giovani, per i quali l'assunzione di droghe diviene una specie di anestetico tra i disagi della fatica di vivere.

Con il servizio e la testimonianza di volontariato che offrite, voi non solo vi ponete accanto all'uomo ferito e, come il buon Samaritano (cfr.
Lc 10,30-37), versate sulle sue piaghe l'olio della speranza ed il vino della fraterna solidarietà, ma siete voi stessi in prima persona invitati a cercare nella vostra esistenza le motivazioni ed i valori che illuminano il significato profondo del vivere umano.

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4. Carissimi Fratelli e Sorelle, so bene quanto ardua sia la vostra missione e vorrei per questo incoraggiarvi a proseguirla con generosità, senza mai perdervi d'animo dinanzi alle difficoltà. Mantenete sempre viva in voi la capacità di stupirvi dinanzi al mistero della redenzione dell'uomo, operando con costanza ed umiltà al servizio di ogni persona sofferente, consapevoli dei rischi e dei vostri limiti, ma anche delle grandi possibilità che Dio ha posto nelle vostre mani.

Anche di fronte alle più grandi difficoltà siate in ogni caso annunciatori di speranza, di quella speranza che non delude.

Invoco sulle vostre persone e sul vostro importante servizio la continua protezione della Vergine Santa, Madre del Redentore e Madre nostra. Vi accompagni anche la Benedizione Apostolica, che di cuore imparto a voi qui presenti, agli operatori ed ai volontari delle vostre Associazioni e a quanti incontrate nel vostro quotidiano servizio.

Data: 1995-06-26 Data estesa: Lunedi 26 Giugno 1995

A una riunione promossa dal "Co Unum" - Città del Vaticano

Titolo: La voce dei poveri non può aspettare

Signori Cardinali, Amati Fratelli nell'Episcopato, Cari sacerdoti e laici,

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1. Con gioia questa mattina ricevo voi che partecipate all'incontro promosso dal Pontificio Consiglio "Co Unum", che si svolge qui a Roma per coordinare e sostenere in modo sempre più adeguato l'aiuto umanitario prestato al caro popolo di Cuba. Nel darvi il benvenuto, ringrazio innanzitutto per le gentili parole che il Signor Cardinale Roger Etchegaray ha voluto indirizzarmi.

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2. Il Pontificio Consiglio "Co Unum" è un organismo della Curia Romana che ha fra le sue funzioni principali quella di promuovere ed avviare le iniziative delle istituzioni cattoliche in favore delle popolazioni più bisognose. A questo riguardo mi fa piacere constatare che la popolazione cubana è stata sempre presente in tali obiettivi e che non si sono lesinati sforzi per appoggiare molti progetti in quella cara Nazione, nella misura in cui le circostanze lo hanno permesso.

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3. In collaborazione con "Co Unum", molte organizzazioni, alcune delle quali sono qui oggi rappresentate, hanno risposto con generosità impegnandosi in piani ed iniziative diversi, cosa che ha contribuito molto ad alleviare situazioni dolorose in campi assai vari come la lotta alla denutrizione, l'assistenza agli anziani; le strutture sanitarie, eccetera. Il Papa, nel cui cuore trovano eco le angosciose richieste che si elevano da tanti luoghi della terra, vi ringrazia di ciò. A questo proposito vorrei ricordare a queste organizzazioni le parole che rivolsi ai Vescovi di Cuba in occasione della loro ultima visita "ad limina", un anno fa: "Desidero unirmi alla vostra azione solidale in favore dei più indifesi, e allo stesso tempo, esorto gli organismi ecclesiali internazionali di aiuto umanitario e di assistenza affinché, nell'ambito della imprescindibile libertà di svolgere la loro opera, continuino a contribuire generosamente a soddisfare i bisogni di tanti nostri fratelli privi del necessario per condurre una vita autenticamente umana" (Ai Vescovi di Cuba in visita "ad limina", 25 giugno 1994, n. 10).

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4. Nell'anno 1991 si creo la CARITAS CUBA; ciò si è rivelato un passo significativo i cui frutti già si percepiscono, tanto per la specializzazione e la formazione del suo personale, quanto per essere un valido strumento di dialogo con le diverse istanze interessate. Dal 1993 la CARITAS ha iniziato ad organizzare, con competenza e serietà, programmi propri di assistenza agli anziani e alle famiglie con problemi; cura dei bambini e dei giovani portatori di handicap; sistemi di approvvigionamento di acqua per piccoli centri e interventi di urgenza in zone che abbiano subito catastrofi naturali, eccetera. La voce dei poveri non può aspettare, per questo voglio dare una parola di coraggio a tutti coloro che collaborano con questa istituzione ecclesiale, tanto impegnata in campo assistenziale e alla quale auguro un futuro promettente.

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5. Tutto il panorama della vostra riflessione di questi giorni mostra la grande preoccupazione della Chiesa per la situazione di quelle persone che patiscono ristrettezze e spesso mancano del necessario. A questo riguardo sono confortanti le diverse iniziative esistenti in ogni diocesi cubana, anche tenendo presente il ridotto spazio di libertà di cui godono, per rispondere alle necessità dei poveri.

I Vescovi di Cuba sono ben coscienti che la preoccupazione per il sociale "fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa" (
SRS 41), dal momento che l'evangelizzazione tende alla liberazione integrale della persona (cfr. Discorso inaugurale, IV Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano, 13). Voglio incoraggiare i cattolici cubani, animati dai loro Pastori, così come le persone di buona volontà, perché tenendo presente il ricco e sempre attuale patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, promuovano e favoriscano, nei modi possibili e senza scoraggiamenti, iniziative adeguate indirizzate a superare situazioni di povertà e di emarginazione che colpiscono tanti fratelli bisognosi.

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6. Nel ringraziare per la vostra presenza qui, e in special modo per l'abnegazione e gli sforzi realizzati fino ad oggi, formulo i miei migliori auguri per il futuro e vi raccomando tutti alla protezione della Vergine della Caridad del Cobre, Patrona di Cuba e avvocata celeste di quanti la invocano, e con affetto vi imparto la mia Benedizione Apostolica.

(Traduzione dallo spagnolo]

Data: 1995-06-26 Data estesa: Lunedi 26 Giugno 1995

Messaggio al nuovo Catholicos armeno della Grande Casa di Cilicia - Città del Vaticano

Titolo: Ci uniscono gli stessi sacramenti, lo stesso sacerdozio e la stessa Eucarestia

A Sua Santità, il Catholicos armeno della Grande Casa di Cilicia Circa tre mesi or sono ho avuto la gioia di inviare un messaggio di felicitazioni al suo predecessore sul Seggio di Antélias, Sua Santità Karékine I, divenuto Catholicos di tutti gli Armeni presso la Santa Sede di Etchmiadzine. Oggi mi è gradito rivolgerLe il mio saluto fraterno nell'amore di Cristo in occasione della sua intronizzazione quale nuovo Catholicos armeno della Grande Casa di Cilicia. Desidero inoltre formulare voti di pace e di prosperità per la sua Chiesa e per tutta la nazione armena.

Il Catolicossato di Cilicia è stato per lungo tempo il centro dell'unità della Chiesa armena, nel corso della Diaspora e di tutti questi anni di emigrazione forzata e di innumerevoli difficoltà. Possa il Catolicossato sotto la Sua illuminata guida continuare a essere quel centro vitale di costante rinascita che è diventato sotto i Suoi venerati predecessori! Da quaranta anni lo Spirito Santo guida i suoi figli nella ricerca ecumenica, grazie al dono di una rinnovata e netta coscienza dei legami di comunione presenti tra loro. Questa comunione deriva dal fatto che condividiamo gli stessi sacramenti e in particolare, in virtù della successione apostolica, lo stesso sacerdozio e la stessa eucaristia (cfr. Concilio Vaticano II, decreto conciliare Unitatis Redintegratio, UR 15). E su queste solide basi che la Chiesa cattolica ha sviluppato i suoi rapporti, fraternamente sinceri e fiduciosi, sia con il Catolicossato di Cilicia che con la Santa Sede di Etchmiadzine. Fin dal 1967, allorché sulla scia del Concilio Vaticano II il movimento ecumenico trovo nuovo slancio, Sua Santità Khoren I è stato il primo capo di una Chiesa orientale ortodossa a far visita a Papa Paolo VI e a scambiare con lui il bacio della pace.

Anche il suo successore, Sua Santità Karékine II, il nuovo Supremo Patriarca di tutti gli Armeni, dopo essere stato un attento osservatore a quello stesso Concilio insieme a Sua Eccellenza, l'Arcivescovo Ardavatz Terterian, il recente locum tenens, è venuto a Roma e serbo ancora il vivo ricordo di quella visita, nel corso della quale abbiamo sottolineato insieme "l'urgenza della piena comunione delle nostre Chiese in vista della loro missione fondamentale: la salvezza dell'umanità d'oggi" (Comunicato congiunto, n. 2, 19 aprile 1983).

Abbiamo dunque la responsabilità di procedere insieme per manifestare in modo ancor più visibile la realtà spirituale della comunione che lega nell'unità le nostre Chiese particolari nel mondo e che ci fa riconoscere Chiese sorelle. "Se oggi, alle soglie del terzo millennio, noi cerchiamo il ristabilimento della piena comunione, è all'attuazione di questa realtà che dobbiamo tendere ed è a questa realtà che dobbiamo fare riferimento" (Lett. enciclica UUS 57).

Mi auguro pertanto, di tutto cuore, che questa comunione così reale, ma, purtroppo, ancora incompleta, trovi una sua prima realizzazione nell'ospitale terra del Libano, in Siria, in Iran e in tutto il Medio Oriente. I fedeli delle nostre due Chiese, insieme a tutti il loro altri fratelli cristiani, devono avere un solo cuore e una sola anima, al servizio della pace e della riconciliazione che Cristo stesso ci ha ottenute. Devono collaborare attivamente perché questa regione possa nuovamente adempiere alla sua vocazione di fraternità e di accoglienza, e possa tornare ad essere un luogo in cui i valori spirituali rappresentino ancora una volta una solida base per un dialogo rispettoso e un'efficace cooperazione tra le varie famiglie religiose. L'Assemblea del Sinodo dei Vescovi per il Libano potrebbe essere un'occasione concreta ed immediata.

E con questi sentimenti di grande speranza che mi preme esprimerLe la mia profonda stima e il mio sincero affetto. Auspico che lo Spirito Santo ci aiuti a proseguire insieme il cammino che condurrà alla piena unità e alla concelebrazione eucaristica.

Dal Vaticano, 26 giugno 1995.

IOANNES PAULUS PP. II (Traduzione dal francese]

Data: 1995-06-26 Data estesa: Lunedi 26 Giugno 1995

Le parole di benvenuto di Giovanni Paolo II a Sua Santità Bartholomaios I e al suo seguito - Città del Vaticano

Titolo: "Ci incamminiamo insieme verso il Grande Giubileo delll'Anno Duemila"

"Benedetto colui che viene nel nome del Signore" (Ps 117,26).

Santità, Amati fratelli che accompagnate il Patriarca ecumenico in visita alla Chiesa di Roma! Con sentimenti di personale e profonda riconoscenza al Signore sono lieto di offrirvi il mio più cordiale e fraterno benvenuto.

Vi sono particolarmente grato perché la vostra desiderata ed apprezzata visita rende più ricca di gioia la solennità dei Santi Pietro e Paolo, festa patronale della Chiesa di Cristo che è in Roma.

"Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!" (Ps 133,1).

L'incontro dei fratelli nell'amore reciproco non può non suscitare in ciascuno echi spirituali profondi. I fratelli sperimentano infatti la grazia dei doni comuni e avvertono la presenza misteriosa del Signore: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20).

Nella Sua persona, Santità, e in coloro che L'accompagnano, intendo salutare il Santo Sinodo del Patriarcato ecumenico e tutti gli ortodossi del mondo. La sua presenza è ai miei occhi espressione del ricchissimo patrimonio spirituale e della varietà di doni delle Chiese ortodosse. Nel nostro tempo, e dopo i grandi rivolgimenti degli ultimi anni, le Chiese ortodosse si dedicano con impegno a riorganizzare la loro vita pastorale e la loro opera evangelizzatrice.

Esse possono essere certe della nostra simpatia e della nostra disponibilità per una collaborazione a servizio dell'annuncio dell'unico Vangelo.

Ci incamminiamo insieme verso il Grande Giubileo dell'Anno Duemila che vorremmo celebrare più vicini, si da proclamare al mondo la nostra comune fede, protesi verso una comunione che sia tra noi sempre più salda e piena.

Anche per questo motivo, Santità, considero questo nostro incontro benedetto da Dio. E al Signore rivolgo la mia preghiera affinché Egli conceda a cattolici ed ortodossi, un segno eloquente della Speranza che ci anima. Renda questo nostro incontro, carissimo Fratello, un'occasione preziosa per progredire insieme, con la preghiera, il dialogo, la collaborazione, lungo la via della visibile unità.

La ringrazio di cuore per l'onore che mi ha fatto con questa Sua visita alla Sede di Roma e per la gioia che la Sua presenza reca tra noi.

Nel ripeterLe il mio più cordiale benvenuto, desidero assicurarLa che l'intera Chiesa cattolica e, in particolare, questa diocesi di Roma, L'accoglie con quell'amore che si nutre per i fratelli e con quella venerazione che è dovuta ai successori degli Apostoli. "Benedetto colui che viene nel nome del Signore".

Data: 1995-06-27 Data estesa: Martedi 27 Giugno 1995


L'omelia di Giovanni Paolo II alla Santa Messa celebrata con il Patriarca Bartolomeo I nella solennità dei santi Pietro e Paolo - Città del Vaticano

Titolo: "Non possiamo rimanere separati! Dobbiamo camminare insieme perché questa è la volontà del nostro Signore"



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1. "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (
Mt 16,16).

Oggi la Chiesa ritorna a questa confessione, pronunciata da Pietro nei pressi di Cesarea di Filippo. Questa è la fede del Collegio apostolico, a nome del quale Pietro parla. Questa è la fede di Paolo. Entrambi, Pietro e Paolo, resero ad essa testimonianza fino allo spargimento del proprio sangue. Ciò avvenne, secondo la tradizione, qui a Roma, ai tempi di Nerone, intorno all'anno 67 dopo la nascita di Cristo.

In modo particolare richiamiamo oggi alla memoria Andrea, fratello di Simon Pietro: colui che fu chiamato per primo (Protokletos) e condusse Simone a Cristo. Con intensa emozione evochiamo oggi la sua figura, perché in questo giorno solenne la Chiesa di Roma ospita il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, e la Chiesa da lui presieduta è in modo speciale unita alla persona e al martirio dell'apostolo Andrea.

Ogni anno il 30 novembre, Festa di Sant'Andrea, la Chiesa di Roma si unisce alla Chiesa Sorella nel rendere onore al suo Patrono. Oggi è per noi una gioia grande, nel glorioso ricordo di Simon Pietro, fratello di Andrea, poter ospitare a Roma il Patriarca ecumenico, Sua Santità Bartolomeo I di Costantinopoli, la prima Sede nell'ordine delle Chiese ortodosse nel mondo.

Insieme ad Andrea, Pietro pronuncia oggi queste parole: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).

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2. Questa confessione schiude davanti a noi il mistero di Dio Padre. Cristo, infatti, rispondendo alle parole di Pietro, disse: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli" (
Mt 16,17). Il Padre rivela il Figlio, perché soltanto il Padre conosce il Figlio, come solo il Figlio conosce il Padre (cfr. Lc 10,22). La Chiesa professa questa fede con le parole del simbolo Niceno-costantinopolitano: "Credo in un solo Dio, Padre onnipotente...".

E' un testo venerando che insieme riconosciamo come espressione normativa e irrevocabile dell'unica fede della Chiesa. Nessuna confessione di fede propria ad una tradizione liturgica particolare può contravvenire a tale fondamentale espressione della fede trinitaria, insegnata e professata dalla Chiesa di tutti i tempi.

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3. Al riguardo, occorre dissipare un malinteso, che ancora proietta la sua ombra sui rapporti tra Cattolici ed Ortodossi. A questo fine è stata costituita una Commissione mista, che ha il compito di spiegare, alla luce della fede comune, il significato legittimo e la legittima portata di espressioni tradizionali diverse riguardanti l'origine eterna dello Spirito Santo nella Trinità, espressioni che appartengono ai nostri reciproci patrimoni dottrinali e liturgici. Da parte cattolica, c'è ferma volontà di chiarire la dottrina tradizionale del Filioque, presente nella versione liturgica del Credo latino, così che ne sia messa in luce la piena armonia con ciò che il Concilio ecumenico confessa nel suo simbolo: il Padre come sorgente di tutta la Trinità, unica origine e del Figlio e dello Spirito Santo.

Il Figlio consostanziale al Padre è il Verbo eterno, di cui scrive l'apostolo Giovanni nel Prologo del IV Vangelo, confessando il Verbo che "si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (
Jn 1,14). Secondo la tradizione, san Giovanni scrisse il Vangelo ad Efeso, divenendo in questo modo particolarmente caro a tutto l'Oriente cristiano. Il suo Vangelo è luce che illumina la Chiesa in tutto l'orbe terrestre.

Anche noi, Successori di Pietro e di Andrea, uniti oggi nella venerazione dei santi apostoli Pietro e Paolo, desideriamo illuminare il nostro incontro con la luce del Vangelo di Giovanni, affinché sia chiaro per tutti che la stessa verità sul Padre e sul Figlio viene da noi professata e in comune annunziata.

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4. "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (
Mt 16,16).

Così confessa Pietro e, insieme con lui, tutta la Chiesa edificata sugli Apostoli. Confessando Gesù di Nazaret come Cristo, la Chiesa annuncia indirettamente anche la verità sullo Spirito Santo. Il nome "Cristo", dall'ebraico "Messia", indica infatti colui che viene unto con lo Spirito di Dio. A tale verità diede voce il profeta Isaia, molti secoli prima di Cristo, con le parole che Gesù avrebbe proclamato e portato a compimento all'inizio della sua attività messianica: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio" (Lc 4,18).

Lo Spirito Santo, che il Padre manda nel nome del Figlio (cfr. Jn 14,26), è fonte della vita della Chiesa dal giorno di Pentecoste, conformemente alla promessa del Redentore: "Egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" (Jn 14,26). Lo Spirito, che guida la Chiesa e l'ammaestra, che consacra i Vescovi come successori degli Apostoli, è oggi in modo particolare con noi, come lo fu con Pietro e Paolo il giorno del loro martirio, quando essi resero la testimonianza definitiva a Cristo e sigillarono col sangue la loro missione, lasciandone l'eredità non soltanto a Roma, ma in tanti altri luoghi del mondo antico.

E quanti di questi luoghi sono proprio in Grecia! Basta elencare le Comunità destinatarie delle Lettere di san Paolo: dal "corpus paolino" emerge quasi una comune tradizione della Chiesa nell'Oriente e nell'Occidente. L'insieme, poi, delle Lettere apostoliche del Nuovo Testamento attesta la sollecitudine per tutte le Chiese, affidate da Dio agli Apostoli e ai loro successori sino alla fine dei tempi.

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5. "Tu sei Pietro e su questa pietra edifichero la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te daro le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (
Mt 16,18-19).

Sono parole sconvolgenti. L'autorità che Cristo trasmette agli Apostoli, quella delle chiavi del regno dei cieli e quella di legare e di sciogliere, è data ad essi nella persona di Pietro e in unione con lui. Insondabile mistero! L'odierna festa del martirio dei santi Apostoli rivela qual è il vero senso di tale autorità: essa è servizio. Pietro, Paolo ed Andrea servirono fino allo spargimento del sangue, come per primo aveva fatto Cristo stesso: "Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10,45). Gli Apostoli sono stati chiamati a partecipare al servizio del loro Maestro: servizio, per mezzo del quale hanno reso l'estrema testimonianza; servizio che è la loro vera forza, la loro gloria in Cristo morto e risorto.

Oggi vogliamo onorare coloro che nel corso dei duemila anni della nuova era hanno reso e continuano a rendere testimonianza a Cristo in ogni angolo della terra: ad Oriente e ad Occidente, al Nord e al Sud. Vogliamo specialmente onorare quanti hanno reso la loro testimonianza fino allo spargimento del sangue.

All'odierno incontro ci siamo preparati ripensando ai percorsi di tale testimonianza, quelli che sono passati attraverso il Colosseo romano e attraverso tanti altri "colossei" sparsi nel mondo. In tale riflessione comune ci è stata d'aiuto la Via Crucis dello scorso anno, i cui testi sono stati preparati proprio dal nostro Fratello Bartolomeo I.

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6. La liturgia di oggi, così solenne, si arricchisce di un ulteriore significativo rito: l'imposizione dei palli.

I palli, che il Vescovo di Roma impone oggi sulle spalle dei nuovi Metropoliti, sono espressione di uno speciale vincolo spirituale con la confessione e la testimonianza di san Pietro a Roma e col ministero del suo Successore.

Vi abbraccio con affetto, carissimi Fratelli Arcivescovi, e gioisco per il fatto che voi, inviati a presiedere Chiese Metropolitane in varie parti del mondo, riceverete il pallio in presenza del nostro Ospite, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli.

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7. La solennità dei santi Pietro e Paolo invita a riflettere sul cammino compiuto da Pietro e da Paolo seguendo Cristo, dal giorno della loro chiamata fino a quello del loro martirio qui a Roma. La prima lettura dagli Atti degli Apostoli ci ha mostrato san Pietro ancora a Gerusalemme, nella tappa iniziale del lungo pellegrinaggio della Chiesa.

Ascoltiamo insieme le parole di questo passo, che in un certo senso racconta la nostra storia, Venerato Fratello Bartolomeo I. L'ascoltiamo con profonda venerazione ed emozione, mentre l'anno 2000 dalla nascita di Cristo è ormai prossimo. Esso rappresenta una grande sfida per l'intera umanità e specialmente per tutti i cristiani. Quando penso a questo storico traguardo, mi viene alla mente quanto dice il Vangelo di san Luca, circa la missione dei discepoli: "Li invio a due a due" (
Lc 10,1). Dobbiamo meditare sul significato di tali parole. Non dicono forse che Cristo manda anche noi a due a due come annunciatori del suo Vangelo in Occidente e i Oriente? Cristo ci invia insieme, affinché insieme Gli rendiamo testimonianza.

Non possiamo dunque rimanere separati! Dobbiamo camminare insieme, perché questa è la volontà del nostro Signore. Il mondo deve ricuperare la fede, al termine di questo secondo millennio e all'inizio del terzo! Per questo dobbiamo moltiplicare gli sforzi; dobbiamo attivamente impegnarci per formare veramente una cosa sola, come egli, Cristo, è una cosa sola col Padre (cfr. Jn 17,22).

Presso l'altare della confessione, sopra la tomba di Pietro, preghiamo insieme per tale scopo. Insieme con noi prega tutta la Chiesa all'ovest e all'est, la Chiesa che Cristo ha affidato a noi, come un giorno l'affido a Pietro e ad Andrea, costituendola, sul fondamento degli Apostoli, via di salvezza eterna per ogni popolo e nazione, sino alla fine del mondo.

Data: 1995-06-29 Data estesa: Giovedi 29 Giugno 1995

Dichiarazione comune di Papa Giovanni Paolo II e del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I - Torre di San Giovanni in Vaticano

Titolo: Nella solennità dei Santi Pietro e Paolo la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa compiono un significativo passo verso l'unità

"Benedetto sia Iddio e Padre del Signore Nostro Gesù Cristo, il quale ci ha benedetti in Cristo dall'alto dei cieli con ogni specie di benedizione spirituale" (Ep 1,3).

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1. Ringraziamo Dio anche per questo nostro fraterno incontro, realizzato nel suo nome e con l'umile e convinto intento di obbedire alla sua volontà, affinché i suoi discepoli siano una cosa sola (cfr.
Jn 17,21). Questo nostro incontro è avvenuto nella scia degli altri grandi avvenimenti che hanno visto le nostre Chiese dichiarare la loro volontà di relegare nell'oblio le antiche scomuniche e di incamminarsi sulla via della ricomposizione della piena unità. I nostri venerati predecessori Athenagoras I e Paolo VI si sono fatti pellegrini verso Gerusalemme per incontrarsi nel nome del Signore, proprio là dove il Signore, con la sua morte e resurrezione, ha portato agli uomini il perdono e la salvezza. In seguito, i loro incontri al Fanar e a Roma hanno aperto questa nuova tradizione di visite fraterne per incoraggiare il vero dialogo di carità e di verità. Tale scambio di visite si è ripetuto durante il ministero del Patriarca Dimitrios, quando si è dichiarato, tra l'altro, aperto il dialogo teologico. La riscoperta fraternità nel nome dell'unico Signore ci ha portato alla discussione franca, al dialogo che ricerca la comprensione e l'unità.

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2. Questo dialogo - attraverso la Commissione mista internazionale - si è mostrato fecondo e ha potuto progredire sostanzialmente. Ne è emersa una comune concezione sacramentale della Chiesa, sostenuta e trasmessa nel tempo dalla successione apostolica. Nelle nostre Chiese la successione apostolica è fondamentale per la santificazione e l'unità del popolo di Dio. Considerando che in ogni Chiesa locale si realizza il mistero dell'amore divino, e che in tal modo la Chiesa di Cristo manifesta la sua presenza operante in ciascuna di esse, la Commissione mista ha potuto dichiarare che le nostre Chiese si riconoscono come Chiese sorelle, responsabili insieme della salvaguardia della Chiesa unica di Dio, nella fedeltà al disegno divino, in modo del tutto speciale per quanto riguarda l'unità.

Dal profondo del cuore ringraziamo il Signore della Chiesa perché con queste affermazioni fatte insieme non soltanto rende più spedito il cammino per la soluzione delle difficoltà esistenti, ma sin da ora abilita cattolici ed ortodossi a dare una comune testimonianza di fede.

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3. Ciò è particolarmente opportuno alla vigilia del terzo millennio, quando cioè, a duemila anni dalla nascita di Cristo, tutti i cristiani si apprestano a fare un esame di coscienza sulla vicenda del Suo annuncio di salvezza nella storia e tra gli uomini.

Celebreremo questo grande Giubileo mentre siamo in pellegrinaggio verso la piena unità e verso quel giorno benedetto, che preghiamo non sia lontano, quando potremo partecipare allo stesso pane e allo stesso calice, nell'unica eucaristia del Signore.

Invitiamo i nostri fedeli a fare spiritualmente insieme questo pellegrinaggio verso il Giubileo. La riflessione, la preghiera, il dialogo, il reciproco perdono e la mutua carità fraterna ci avvicineranno di più al Signore e ci aiuteranno a comprendere meglio la Sua volontà sulla Chiesa e sull'umanità.

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4. In questa prospettiva esortiamo i nostri fedeli, cattolici ed ortodossi, a rafforzare lo spirito di fraternità che proviene dall'unico battesimo e dalla partecipazione alla vita sacramentale. Nel corso della storia e del più recente passato vi sono state reciproche offese e atti di sopraffazione; mentre ci apprestiamo, in questa circostanza, a chiedere al Signore la sua grande misericordia, invitiamo tutti a perdonarsi reciprocamente e a manifestare una ferma volontà che si instauri un nuovo rapporto di fraternità e di attiva collaborazione.

Un tale spirito dovrebbe incoraggiare cattolici ed ortodossi, soprattutto là dove essi vivono gli uni accanto agli altri, ad una più intensa collaborazione nel campo culturale, spirituale, pastorale, educativo e sociale, evitando ogni tentazione di indebito zelo per la propria comunità a scapito dell'altra. Che sia il bene della Chiesa di Cristo a prevalere sempre! Il reciproco sostegno e lo scambio dei doni non può che rendere più efficace la stessa azione pastorale e più trasparente la testimonianza al Vangelo che si vuole annunciare.

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5. Riteniamo che una collaborazione più attiva e concertata potrà anche facilitare l'influsso della Chiesa per la pace e la giustizia nelle zone di conflitto per cause politiche o etniche. La fede cristiana ha inedite possibilità di soluzione per le tensioni e le inimicizie dell'umanità.

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6. Il Papa di Roma ed il Patriarca ecumenico, incontrandosi, hanno pregato per l'unità di tutti i cristiani. Nella loro preghiera hanno incluso tutti coloro che, battezzati, sono incorporati a Cristo ed essi hanno chiesto per le diverse comunità una fedeltà sempre più profonda al Suo Vangelo.

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7. Essi portano nel loro cuore la preoccupazione per l'intera umanità, indipendentemente da ogni discriminazione di razza, colore, lingua, ideologia e religione.

perciò incoraggiano il dialogo, non soltanto tra le Chiese cristiane, ma anche con le diverse religioni e soprattutto con quelle monoteistiche.

Tutto ciò costituisce, indubbiamente, un contributo e un presupposto per il consolidamento della pace nel mondo, per la quale le nostre Chiese pregano incessantemente. In questo spirito, dichiariamo, senza esitazioni, di essere a favore della concordia dei popoli e della loro collaborazione, specialmente per ciò che ci riguarda più direttamente; e preghiamo per la piena realizzazione, senza ritardi, dell'unione europea, auspicando che i suoi confini siano allargati verso l'Est.

Allo stesso tempo, rivolgiamo un appello affinché tutti, con la più grande attenzione, si impegnino per l'attuale, scottante problema ecologico, in modo da scongiurare il grande pericolo che il mondo attraversa oggi per l'uso perverso delle risorse che sono dono di Dio.

Voglia il Signore guarire le piaghe che oggi tormentano l'umanità e ascoltare le nostre preghiere e quelle dei nostri fedeli, per la pace nelle Chiese e in tutto il mondo.

29 giugno 1995

Data: 1995-06-29 Data estesa: Giovedi 29 Giugno 1995


GPII 1995 Insegnamenti 1153