GP2 Discorsi 1996 49


AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE


ORGANIZZATO DALL'ISTITUTO DI BIOETICA


DELL'UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE


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Sabato, 17 febbraio 1996




Venerato Fratello nell’Episcopato,
Chiarissimi Docenti, Illustri Relatori,
Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Benvenuti a quest’incontro! Sono lieto di accogliere tutti voi, che avete voluto celebrare con il Congresso Internazionale su "Le radici della Bioetica", il decennale del Centro di Bioetica della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Ringrazio Mons. Elio Sgreccia, Fondatore e Direttore del Centro e dell’Istituto di Bioetica, per le amabili espressioni che ha voluto rivolgermi. Con lui saluto i Collaboratori e quanti generosamente si pongono al servizio di così benemerita Istituzione. Un pensiero affettuoso rivolgo anche al Rettore dell’Università Cattolica, Professor Adriano Bausola, per la cui salute assicuro uno speciale ricordo nella preghiera.

Colgo volentieri quest’occasione per dire a Voi, illustri Docenti, impegnati nell’attività accademica e nella ricerca, tutto il mio apprezzamento per il lavoro che svolgete in un ambito tanto delicato e complesso. Ad appena dieci anni dalla sua istituzione, il vostro Centro, affiancato in seguito dalla Cattedra e dall’Istituto di Bioetica che ne costituiscono il necessario supporto accademico, ha raggiunto significativi traguardi: le molteplici iniziative in campo scientifico, la qualificata attività didattica e le numerose pubblicazioni ne fanno oggi, in Italia e all’estero, un punto di riferimento per gli studiosi e per quanti si occupano di problematiche legate all’ambito biomedico e biogiuridico.

2. Il progresso scientifico e tecnologico pone quotidianamente l’uomo di fronte a scoperte sorprendenti che, mentre suscitano la sua ammirazione, lo portano nel contempo a interrogarsi, talora con sgomento, sulle incognite del futuro. Egli scopre sempre più che la dimensione etica della ricerca legata alla vita rappresenta un patrimonio indispensabile per garantire la sua stessa sopravvivenza.

La bioetica, posta com’è al crocevia di grandi realtà umane, quali la persona, la famiglia, la giustizia sociale, la difesa dell’ambiente, sa di dover affrontare questioni che toccano le frontiere stesse della vita, per garantire il rispetto della natura secondo le esigenze etiche di una cultura umanistica. Avvalendosi dei necessari apporti delle discipline giuridiche, socio-economiche ed ambientali e, soprattutto, dell’antropologia, essa ha il compito di indicare al mondo della medicina, della politica, dell’economia e alla società nel suo insieme, l’orientamento morale da imprimere all’attività umana ed alla progettazione del futuro.

I temi dell’ingegneria genetica, del rispetto del genoma umano, della procreazione responsabile, insieme alla definizione dei compiti e dei fini dell’organizzazione sanitaria e ai problemi legati agli interventi biomedici sulla corporeità, sul malato e sul morente, sono oggetto non solo di dibattito culturale e scientifico, ma di attenzione crescente da parte dei Parlamenti nazionali e delle Assemblee internazionali, come è avvenuto di recente nelle Conferenze del Cairo, di Copenaghen e di Pechino.

Nella cultura contemporanea, di fronte alla vastità e alla molteplicità degli interrogativi posti dalle scienze biomediche, affiora con crescente insistenza l’esigenza di guide sicure e di maestri affidabili. Appare, pertanto, urgente che la bioetica rifletta sulle radici ontologiche e antropologiche delle norme che devono orientare scelte di così decisiva importanza.

51 Cogliendo queste attese, il vostro Congresso si è soffermato ad esaminare i criteri fondativi della bioetica in un confronto esigente ed aperto tra esponenti di diverse correnti di pensiero, sviluppando non solo gli aspetti di carattere storico, ma anche e soprattutto le problematiche filosofiche, etiche e religiose, nella convinzione che l’albero della riflessione etica, per conservare la sua vitalità e dare frutti, deve porre saldamente le radici nella verità ontologica dell’essere umano, creato ad immagine e somiglianza di Dio e redento da Cristo.

3. Notevole è il contributo derivante, in questo ambito, alla ricerca bioetica dalla Rivelazione e dal Magistero della Chiesa, che ne è custode e interprete. Come ricorda il Concilio Ecumenico Vaticano II, "solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo" (Gaudium et spes
GS 22). Infatti "la risposta decisiva ad ogni interrogativo dell’uomo, in particolare ai suoi interrogativi religiosi e morali, è data da Gesù Cristo, anzi è Gesù Cristo stesso" (Giovanni Paolo II, Veritatis splendor VS 2).

Sorta con il nobile intento di garantire la sopravvivenza e lo sviluppo dell’umanità di fronte alle smisurate forze di cambiamento messe in campo dalla ricerca scientifica e tecnologica, la bioetica costituisce il terreno privilegiato di un sincero e proficuo dialogo tra la Chiesa e la scienza. È infatti nella verità dell’uomo e nella sua ontologica dignità, percepita dalla ragione e pienamente rivelata da Cristo, che possono essere trovate risposte adeguate alla domanda etica emergente dalla genetica, dai processi di procreazione, dalla vita morente, dai problemi dell’ambiente e del futuro dell’umanità. A questa ricerca la Chiesa intende offrire il suo specifico contributo, come ha fatto di recente con le Encicliche Veritatis splendor ed Evangelium vitae, indicando nell’antropologia illuminata dalla fede e nella morale fondata sulla trascendente dignità dell’uomo la solida base di una bioetica di grande respiro metafisico e sociale.

Nel rispetto della legittima autonomia della ricerca scientifica e filosofica, la Chiesa invita gli studiosi a restare sempre in ascolto delle istanze più profonde dell’umanità e a proporre soluzioni pienamente rispettose dell’uomo e del suo destino. Coloro che operano in questo delicato settore non devono temere la verità sull’uomo che la Chiesa, per mandato di Cristo, non si stanca di proclamare. Il confronto sincero e costruttivo con un’antropologia ispirata dalla fede porterà a progettare il futuro dell’umanità, non sulla sabbia del relativismo morale o su convenzioni utilitaristiche di corto respiro, ma su fondamenti certi e oggettivi, che non potranno non favorire il consolidarsi di un mondo più accogliente nei confronti della vita umana.

4. All’interno della sfida che sul terreno della bioetica la cultura contemporanea rivolge ai credenti, un ruolo speciale è riservato ai teologi. Nel confronto con le acquisizioni della scienza e con le istanze della filosofia, essi sono chiamati ad esprimere la comune responsabilità che lega i credenti dinanzi alla vita di ogni uomo e ai destini dell’intera umanità. È loro compito, in particolare, illustrare e motivare il legame che esiste tra libertà e verità; legame fondamentale per una corretta visione etica e per l’autentico progresso dell’umanità.

Ricordavo nell’Enciclica Evangelium vitae che nel mondo contemporaneo "le radici della contraddizione che intercorre tra la solenne affermazione dei diritti dell’uomo e la loro tragica negazione nella pratica, risiedono in una concezione della libertà che esalta in modo assoluto il singolo individuo e non lo dispone alla solidarietà, alla piena accoglienza ed al servizio dell’altro" (n. 19).

Agli scienziati, ai legislatori e agli uomini di cultura i cristiani intendono offrire il loro specifico contributo di valori e di fede, per costruire insieme una società rispettosa di tutti, soprattutto dei più deboli.

5. In dieci anni di vita, il vostro Centro di Bioetica è diventato palestra di confronto e di dialogo tra cultori delle scienze biomediche, operatori sanitari, giuristi, filosofi e teologi. Ringrazio con voi il Signore per tutto questo. Lo ringrazio altresì perché la vostra benemerita Istituzione ha saputo offrire apporti significativi alla difesa della piena dignità dell’essere umano dal momento della fecondazione fino alla sua morte naturale, difendendo il diritto alla vita di ogni individuo, anche se infermo o portatore di handicap.

Nell’esprimere vivo compiacimento per la preziosa attività finora svolta, auguro al vostro Centro di Bioetica di diventare sempre più una "scuola della vita", formando operatori, docenti e animatori. Nei Paesi ricchi, come in quelli in via di sviluppo, questi esperti in umanità sappiano diffondere uno stile di servizio alla vita ispirato al Vangelo.

Con questi voti imparto di cuore a ciascuno di voi ed a quanti incontrate nella quotidiana vostra attività l’Apostolica Benedizione.


ALLA COMUNITÀ DEL SEMINARIO ROMANO MAGGIORE


Sabato, 17 febbraio 1996




52 Signor Cardinale, fratelli nell’episcopato, nel sacerdozio, carissimi seminaristi e giovani, ospiti tutti del Seminario Romano:

È per me sempre motivo di gioia incontrarmi con la comunità del Seminario Romano. Il clima di questo nostro annuale appuntamento è insieme di famiglia e di preghiera. Ai piedi della Madonna della Fiducia rinnoviamo i sentimenti di singolare affetto che legano il Papa a questo Seminario e gustiamo al tempo stesso momenti di intensa meditazione favorita dalle esecuzioni dell’orchestra e del coro della diocesi guidati da Mons. Marco Frisina. Ed è bello che a tali momenti siano invitati a partecipare i giovani della scuola di preghiera che qui si svolge nel corso dell’anno. A ciascuno rivolgo un saluto cordiale, al Cardinale vicario, al Vice Gerente, al Rettore e ai suoi collaboratori e specialmente a voi, cari seminaristi, che colmate di vita e di entusiasmo questo grande e storico Seminario. Anche a voi, familiari dei seminaristi, e giovani amici delle varie parrocchie e scuole di Roma, a voi tutti va il mio saluto insieme con un sentito "Grazie": è infatti anche per il vostro contributo che il Seminario riesce ad essere "famiglia" e "comunità giovanile". Ma non si possono dimenticare gli artisti... Grazie al loro contributo noi abbiamo sentito questo splendido oratorio, l’"Oratorio di Santa Caterina da Siena"; vi sono diversi motivi per sentire e meditare appunto questo tema, questa figura nell’anno presente.

In occasione delle mie precedenti visite ho avuto modo di riflettere per così dire ad alta voce con voi su molteplici aspetti dell’esperienza cristiana e vocazionale, prendendo spunto sempre dall’oratorio eseguito per la circostanza. Quest’anno sono venuto tra voi con un’idea in mente: quella del 30° anniversario del Concilio Vaticano II, una ricorrenza che con soddisfazione ho notato essere a voi ben presente. Ma dopo aver assistito con viva risonanza interiore all’oratorio di S. Caterina da Siena, voglio dire che c’è una felice convergenza tra il carisma di Caterina e, diciamo così il carisma del Vaticano II, che potremmo definire passione per Cristo e, in lui, per il mistero della Chiesa.

Il 2 dicembre 1965, sei giorni prima della solenne chiusura, il mio venerato predecessore e Servo di Dio, Paolo VI, venne qui al Seminario Romano Maggiore nel quarto centenario della sua fondazione. In quella visita egli coronò l’immagine della Madonna della Fiducia, inaugurò ambienti restaurati e nuovi e, ciò che ora maggiormente ci interessa, parlò del Concilio, ne parlò e ne affidò gli insegnamenti all’attenzione della comunità del Seminario, presentandoli come "Il codice di rinnovamento della vita ecclesiastica, destinato a far sentire la sua corroborante autorità in ogni settore della Chiesa, anche, in modo particolare, nei seminari" (Insegnamenti di Paolo VI, III 1965, p. 689).

Oggi vorrei riprendere e riproporre tale consegna, di fronte a una nuova generazione di seminaristi e mentre è ormai prossimo il Giubileo del duemila. Vorrei in questo incontro riconsegnare a voi, cari alunni del Seminario Romano Maggiore, e a tutti voi giovani presenti, l’eredità di quello che è stato l’evento principale della storia della Chiesa in questo secolo, autentico "Portale di ingresso" nel Terzo Millennio cristiano. Ho dedicato ai documenti conciliari gli "Angelus" di questi mesi e, come sapete, già in altre occasioni ho consegnato simbolicamente il Concilio alle nuove generazioni.

In modo particolare nel settembre scorso, al termine del pellegrinaggio dei giovani d’Europa a Loreto, al quale so che anche alcuni dei presenti hanno preso parte, ho affidato ai giovani la costituzione "Gaudium et spes", invitandoli a leggerla e a meditarla ("Osservatore Romano", 11-12 sett. 1995, p. 7). A voi che state vivendo un tempo forte e specifico di formazione e di discernimento consegno invece la "lezione" del Concilio nella sua integralità, nella varietà e complementarietà dei suoi documenti. Tra questi i decreti "Optatam Totius" sulla formazione sacerdotale e "Presbyterorum Ordinis" sul ministero e la vita dei presbiteri vi sono naturalmente più familiari. Quest’ultimo, in particolare, conserva una fortissima carica spirituale e pastorale, com’è emerso anche nei convegni svoltisi nei mesi scorsi per commemorarne la promulgazione.

Ma in questo momento vorrei esortarvi a considerare il Vaticano II con uno sguardo che miri al suo nucleo profondo, al suo principio ispiratore, a quello che Paolo VI nella visita del ‘65 chiamò il suo "punto focale", cioè la sua meditazione sulla Chiesa.

Voi che vi preparate a servire la Chiesa come ministri di Cristo imparate a scrutarne il mistero. Nel volto della Chiesa sappiate riconoscere i lineamenti di Cristo per appassionarvene, un amore appassionato per Cristo e per la Chiesa: questo è anche il messaggio che scaturisce dalla testimonianza di S. Caterina da Siena ripresentataci quest’anno dall’oratorio.

Un sentito apprezzamento ed un grazie cordiale va ancora una volta a Marco Frisina, agli attori e ai membri del coro e dell’orchestra che hanno riproposto in una sintesi vibrante l’esperienza spirituale della Patrona d’Italia.

Al centro di tale esperienza, il fuoco che ha santificato Caterina è proprio il suo amore per Cristo e per la Chiesa. La divina Provvidenza volle che ella sperimentasse misticamente tutta l’intensità di questo sentimento, senza tuttavia perdere il contatto con la concretezza della vita e della storia del popolo di Dio.

Fu così che Caterina si ritrovò a svolgere una parte da protagonista nella vita ecclesiale del suo tempo. E io ho pensato anche: "Cosa mi dice, cosa mi dice Caterina: devo viaggiare di più o di meno . . .?". E la risposta mi è venuta: "Sì, viaggiare puoi, ma non trasferire mai la sede, la Santa Sede, da Roma... viaggiare sì. Ma sempre tornare...!".

53 Lo spirito di amore che agì in maniera singolare in S. Caterina da Siena ha ispirato nei nostri tempi l’evento del Concilio Vaticano II. Lo stesso spirito agisce anche in questo vostro Seminario, come negli altri seminari sparsi per il mondo, per farne cenacoli in cui si rinnova la Pentecoste nella gradualità del quotidiano attraverso le pene e le fatiche di cui è intessuto il cammino della formazione sacerdotale.

In questi cenacoli si avverte in modo speciale la presenza di Maria, Regina degli Apostoli, e guida di ogni itinerario vocazionale. E qui, in questo Seminario Romano, Maria è sinonimo di "fiducia", di abbandono confidente e responsabile alla volontà di Dio. Alla sua materna protezione affido ciascuno di voi: vi ottenga ella un appassionato amore per Cristo, per servire la Chiesa sulle vie della nuova evangelizzazione.

Per questo prego e di cuore vi benedico.

Prima di congedarsi dalla comunità del Seminario Romano Maggiore, al termine della visita, Giovanni Paolo II ha voluto offrire ai giovani seminaristi la sua personale esperienza sacerdotale, invitandoli a prepararsi all’ordinazione nella gioiosa fedeltà al Mistero dell’Eucaristia:

Grazie per questa ultima parola. Sulla torta hanno scritto "cinquanta" per ricordare il mio cinquantesimo di sacerdozio che sarà il 1° novembre prossimo.

Le mie prime tre Messe le ho celebrate nella Cappella sotterranea della Cattedrale del Wawel a Cracovia. In questi cinquanta anni, dodici anni sono stato sacerdote, prete diocesano, vice-parroco per tre anni, poi docente di filosofia a Cracovia e a Lublino e poi anche cappellano degli studenti universitari a Cracovia. Con questa missione sono legate molte memorie, molti ricordi.

Dopo dodici anni l’Arcivescovo mi chiese: allora che cosa vuoi fare? Vuoi fare il cappellano o vuoi studiare? Vuoi fare la tesi di abilitazione? Allora io ho detto che la Diocesi aveva investito in me per gli studi a Roma e quindi dovevo continuare. E ho fatto questa tesi di abilitazione, così si chiamava allora, su Max Scheler. Ho cominciato ad insegnare a Cracovia e a Lublino.

Dopo dodici anni sono diventato Vescovo ausiliare di Cracovia, poi Vicario Capitolare, alla fine Arcivescovo Metropolita: ho servito l’Arcidiocesi di Cracovia per vent’anni. A Roma sono da diciassette anni, anzi questo è già il diciottesimo anno di Pontificato.

Ritorno sempre qui in questo Seminario Romano, ogni anno, nell’ultimo sabato prima della Quaresima, per ascoltare l’Oratorio di Mons. Marco Frisina, per salutare tutti i seminaristi e alla fine per avere anche una cena solenne.

Per questo ringrazio le nostre buone suore. Meritano un applauso più grande.

Se si parla della mia esperienza nel Seminario, questa è stata molto atipica: almeno la metà degli anni della teologia li ho passati da operaio nella fabbrica. È stata una buona esperienza. Ricordo sempre come gli operai che lavoravano con me erano molto buoni, potevo anche studiare durante il tempo di lavoro. Poi quando i tedeschi hanno abbandonato Cracovia si poteva cominciare il Seminario e l’università. Allora i miei anni da seminarista sono un po’ specifici: due anni nella fabbrica, poi più o meno due anni nel Seminario di Cracovia, poi ancora due anni qui giù per fare la laurea nel Collegio Belga a Roma.

54 Voi siete privilegiati perché potete studiare per tutti i sei anni nel Seminario Romano, provenendo dalle diverse Diocesi. Ma si vede che anche con quell’altro metodo si può arrivare a qualche risultato.

Vi auguro di arrivare a quello che il Signore vuole per ciascuno di voi, di trovare la vostra strada, di arrivare all’ordinazione sacerdotale perché quella è la cosa più importante di tutte. Anche se uno è Vescovo, è Cardinale, è Papa, la cosa più importante sempre è che ogni giorno celebra l’Eucaristia.

E anche il fatto che può confessare. Questo è importantissimo. Quando si segue l’esempio del Santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, si vede quanto importante è il confessionale. Per questo devo dire che le mie possibilità sono molto ridotte, ma sempre qualche cosa ci rimane.

Auguro a tutti di amare il sacerdozio, di prepararvi bene, di essere convinti della vostra vocazione e lo auguro in particolare al gruppo dei quindici che in aprile riceveranno l’ordinazione.

Sono tanto necessari i sacerdoti nella Chiesa, dappertutto. Incontro tanti Vescovi in occasione delle visite "ad limina" e sempre se uno ha qualche vocazione è contento. Davanti a questi Seminari in Europa che sono molto ricchi, questo Romano, anche in Polonia e a Cracovia, ringraziamo il Signore per questa sua bontà, per la generosità con cui ci dà le vocazioni.

Domani c’è la visita della parrocchia: la 245ma, allora non è tanto male.

Vi auguro buon anno accademico e buon anno seminaristico.


AI PARTECIPANTI ALLA 18ª ASSEMBLEA NAZIONALE


DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI


Sabato, 17 febbraio 1996

Carissimi Fratelli e Sorelle!


1. Sono particolarmente lieto di accogliervi in occasione della 18a Assemblea Nazionale della vostra Federazione. Con questi giorni di studio volete porvi in sintonia col pellegrinaggio spirituale che tutta la Chiesa va compiendo verso il nuovo Millennio. Sulla scorta dell'invito espresso nella Lettera Apostolica « Tertio Millennio Adveniente », state riflettendo e vi interrogate sull'anelito alla santità, che costituisce la vocazione universale dei fedeli, proponendo gli Esercizi spirituali come utilissima esperienza per tale itinerario ascetico.

Ringrazio Monsignor Salvatore De Giorgi, Presidente Nazionale della vostra Federazione, per le cortesi parole che mi ha rivolto. Interpretando i sentimenti di tutti, egli ha ribadito le finalità della Federazione Italiana Esercizi Spirituali, come pure gli obiettivi che continueranno a guidarla e i propositi ai quali essa intende rimanere fedele. Rivolgo, poi, il mio saluto agli altri Presuli presenti ed a tutti voi, Delegati regionali e diocesani, Direttori e Direttrici dei vari Centri di Spiritualità e delle Case di Esercizi, come pure a quanti dettano i corsi di Esercizi e guidano le scuole di preghiera: la vostra presenza, così numerosa e varia, sottolinea l'ampiezza e la capillarità della vostra azione all'interno delle Comunità cristiane d'Italia, ed indica, inoltre, quel sempre più diffuso desiderio di ricerca religiosa che voi intendete accogliere, orientare e incoraggiare.

55 2. Il Concilio Vaticano II ha posto con singolare forza l'accento sulla chiamata universale alla santità, quando ha affermato: « Tutti i fedeli sono invitati e tenuti a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato ».(1) E, nell'evidenziare le vie ed i mezzi per il raggiungimento della santità, ha indicato la necessità di « ascoltare volentieri la Parola di Dio », di « compiere con le opere la sua volontà », di « partecipare frequentemente ai Sacramenti, soprattutto a quello dell'Eucaristia », di « applicarsi costantemente alla preghiera, all'abnegazione di se stesso, all'attivo servizio dei fratelli e all'esercizio di ogni virtù ».(2) Tali suggerimenti costituiscono le finalità, i contenuti, le risorse e le vie degli Esercizi spirituali stessi. Essi sono un incontro personale con il Signore, e propongono e propiziano la ricerca e la scoperta della propria identità nella luce di Dio.

Gli Esercizi spirituali hanno la loro radice e, direi quasi, l'anticipazione nella Bibbia. Nell'Antico Testamento vengono narrati alcuni emblematici incontri che rivelano lo stile tipico di Dio nel far conoscere la sua volontà. Egli « attira a sé e conduce nel deserto per parlare al loro cuore »(3) le persone che sceglie e che intende deputare ad una particolare missione.

Nel Nuovo Testamento, Gesù riprende questo stile quando si ritira tutto solo a pregare,(4) oppure invita gli Apostoli in disparte per riposarsi un po',(5) dopo averli inviati ad annunciare il Regno di Dio.

Nella bimillenaria storia della Chiesa tutto questo è continuato, a partire da quello straordinario « ritiro » di Maria Santissima con i Discepoli nel Cenacolo, in attesa ed in preparazione alla venuta dello Spirito Santo.(6) E, secondo le vane spiritualità ed esperienze, sono stati via via proposti metodi diversi. Tra gli altri, non posso non ricordare quello di sant'Ignazio di Loyola, che il mio predecessore, il Servo di Dio Paolo VI, ha indicato come il « paradigma meraviglioso e magistrale »(7) e che, come ha scritto il Papa Pio XI nell'Enciclica « Mens Nostra », « si affermò e impose... quale il più sapiente e universale codice di governo spirituale delle anime, quale sorgente inesauribile della pietà più profonda a un tempo e più solida, quale stimolo irresistibile e guida sicurissima alla conversione e alla più alta spiritualità e perfezione ».(8)

3. Carissimi Fratelli e Sorelle! Nella Chiesa - che « è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio »(9) - voi svolgete un ruolo singolare, in collaborazione con gli Ordini e le Comunità di vita contemplativa. La vostra azione e le vostre iniziative non fanno notizia: Maria, che non aiuta Marta nelle molte faccende, sembra inutile, infruttuosa, quasi insensibile di fronte alle urgenze; tuttavia Gesù afferma che ha scelto la parte migliore.(10) Vorrei che vi guidasse la certezza di questa « parte migliore » in ogni iniziativa che verrete prendendo, specialmente in vista ed in preparazione del Grande Giubileo del Duemila. Puntando sull'interiorità dell'avvenimento, cercate di ricondurre i fratelli e le sorelle agli inizi più profondi, misteriosi e sacri del fatto celebrativo, suscitando valenze inaspettate. Affiancandovi a quanti si rivolgeranno a voi, in quel colloquio intimo che Dio intraprende nel sacrario delle coscienze, sappiate sempre offrire giusti orientamenti e approdi al cammino verso la santità.

Siate confortati in questo dalla sicurezza che non c'è rinnovamento, anche sociale, che non parta dalla contemplazione, come ho avuto modo di sottolineare nel corso del recente Convegno ecclesiale di Palermo, e che « la santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano ».(11)

Il mio apprezzamento va per quanto avete fatto e intendete compiere ancora nella Chiesa e per la Chiesa, nella consapevolezza che la pratica degli Esercizi rientra nel quadro della pastorale organica delle Comunità ecclesiali.(12)

Possa il vostro personale anelito alla santità alimentarsi costantemente all'insegnamento del Vangelo, che è « il Libro » per eccellenza, attualizzato dal Concilio, da leggere sempre sulle ginocchia della Madre Chiesa. E possano quanti il Signore condurrà a sperimentare la pratica degli Esercizi spirituali vivere nella convinzione di essere chiamati alla santità e rispondere generosamente a questa vocazione.

Con tali voti, imparto di cuore a tutti ed a ciascuno la Benedizione Apostolica.

(1) Lumen Gentium, 42.

(2) Cfr. ibid.

56 (3) Cfr. Os. 2, 16.

(4) Cfr. Marc.1, 35.

(5) Cfr. ibid. 6, 31.

(6) Cfr. Act. 1, 12-14.

(7) Cfr. Pauli VI Allocutio I Coetui Nationali Foederationis Italicae Exercitiorum Spiratalium (FIES), die 29 dec. 1965: Insegnamenti di Paolo VI, III (1965) 1119 ss.

(8) Pii XI Mens Nostra: AAS 21 (1929) 703.

(9) Lumen Gentium, 1.

(10) Cfr. Luc.10, 38-42.

(11) Lumen Gentium, 41.

(12) Cfr. Statuto FIES, art. 1.



VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA

DI SAN VINCENZO PALLOTTI


AI BAMBINI DELLA PARROCCHIA


Domenica, 18 febbraio 1996




57 Sia lodato Gesù Cristo! Domenica scorsa, sette giorni fa, ero lontano da qui, non so di quanti chilometri, moltissimi chilometri. Ero in Venezuela. Voi sapete dove si trova? Sapete la geografia? Il Venezuela si trova in America Latina, dove tutti parlano spagnolo, non italiano. Anche il Papa parlava spagnolo. Ma prima di essere in Venezuela, sono stato in altri Paesi dell'America Centrale, come il Guatemala, El Salvador, Nicaragua. Ho visitato i popoli e ho visitato anche i bambini. Ho incontrato i bambini di questi Paesi che ho elencato, e tutti questi bambini vi dicono ciao! Anche voi salutate questi bambini, perché anche loro sono cristiani, cattolici. Essi sono di un'altra razza, non italiani, non europei, un po' indigeni, un po' meticci, ma sono come tutti i bambini. E se fossero qui, ci sarebbe la gioia di avere una comunità internazionale, perché i bambini si capiscono subito, anche se sono di diverse razze, di diverse nazionalità, di diverse lingue. I bambini sono una comunità internazionale, mondiale.

Allora preghiamo per questi bambini che ho incontrato la settimana scorsa, e preghiamo per tutti i bambini del mondo. Preghiamo per sentirci uniti davanti allo stesso Padre. Che il Signore benedica tutti i bambini del mondo, tutti i Paesi, tutte le razze, tutti i Continenti, tutte le lingue, come adesso il Papa benedice i bambini di Roma, del vostro quartiere e della parrocchia San Vincenzo Pallotti. E saluto anche i vostri genitori qui presenti, saluto i maestri, le maestre, i Pastori, i sacerdoti. Sono molto contento di trovarmi oggi a Roma. Non più in America Latina, ma a Roma. Era contento di essere là, oggi di essere qui. Saluto anche la vostra suora. Ringrazio specialmente i vostri catechisti e catechiste. Mi ricordo che in Guatemala si e svolta una Celebrazione della Parola dedicata ai catechisti, ringraziando quei catechisti che hanno dato la vita per la causa del Vangelo. Vi auguro buona domenica, una buona settimana e vi auguro buona Quaresima!

Sia lodato Gesù Cristo!

VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA

DI SAN VINCENZO PALLOTTI


AL CONSIGLIO PASTORALE


Domenica, 18 febbraio 1996




Grazie per queste parole e per la vostra presenza. C'e una tradizione entrata nella Liturgia, che si chiama « osculum pacis ». Penso che qui abbiamo questa tradizione applicata anche all'incontro con il Consiglio Pastorale. « Osculum pacis »: pax è il frutto della carità. Allora vi auguro di raccogliere i frutti della carità per questo quartiere, per questa parrocchia, sotto la protezione di san Vincenzo Pallotti, apostolo di Roma. Vi raccomando anche le vostre preghiere. Accolto così bene, così cordialmente in questa comunità, spero di essere sostenuto dalle vostre preghiere.

VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA

DI SAN VINCENZO PALLOTTI


AI GIOVANI DELLA PARROCCHIA


Domenica, 18 febbraio 1996




Lo zaino è un simbolo di cammino. Bisogna camminare per portare qualche cosa con sé in questo zaino. Sono un camminatore, o almeno lo ero. Oggi lo sono meno. Piuttosto sono uno che viaggia in aereo. La settimana scorsa, domenica scorsa, ho incontrato a Caracas molta gioventù del Venezuela. Ora vi porto un saluto da parte loro, e spero che anche voi siate in comunione con i giovani venezuelani. È un bel simbolo questo « Arcobaleno ». L'arcobaleno è un segno dell'alleanza fra Dio e l'umanità, e anche dell'alleanza fra l'umanità e le sue diverse componenti e fra i diversi Continenti. Possiamo immaginarci questo arcobaleno fra Roma e Caracas. Lo interpreto così. E vi ringrazio per questo arcobaleno spirituale che certamente cercate di promuovere nella vostra comunità giovanile. E poi speriamo che con questo zaino si potranno fare altri viaggi, e che nascano altri arcobaleni.

Grazie a tutti e che il Signore vi benedica. Grazie agli scout, che sono molti, e a tutti i giovani della parrocchia, anche a quelli che hanno gridato in americano.


AI VESCOVI DELLA TANZANIA


IN VISITA « AD LIMINA APOSTOLORUM »


Martedì, 20 febbraio 1996




Cari Fratelli Vescovi,

1. È una grande gioia per me darvi il benvenuto, Vescovi della Chiesa in Tanzania in occasione della vostra visita ad Limina, che manifesta e rafforza i vincoli della fraterna comunione gerarchica che unisce ognuno di voi al Successore di Pietro. Con voi portate le speranze e le gioie, le difficoltà e le sofferenze di tutto il vostro popolo. Che le vostre preghiere sulle tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, il cui martirio ha fatto di questa Sede il centro della koinonia universale, rinnovino il vostro impegno nella sollecitudine per il gregge affidatovi dallo Spirito Santo (cf. At Ac 20,28), affinché i sacerdoti, i religiosi e i laici della Tanzania possano divenire sempre più "tempio santo nel Signore" (Ep 2,21).

58 Edificando sulle fondamenta della testimonianza e del sacrificio dei missionari che vi portarono il Vangelo più di cento anni fa, la famiglia di Dio in Tanzania, in unione con il resto della Chiesa, si sta preparando a varcare la soglia del nuovo millennio con rinnovato impegno nella causa del Vangelo. Il "nuovo avvento", il periodo di preparazione finale al grande Giubileo, è il tempo per il popolo di Dio di irradiare tutta la freschezza, l’entusiasmo e il coraggio che caratterizzano la vita di coloro che si sono rivestiti "del Signore Gesù Cristo" (Rm 13,14). La vocazione alla santità di vita, alla "vita eterna" della comunione con Padre, Figlio e Spirito Santo, è il dovere supremo in questo tempo di grazia, un dovere incombente su tutti i membri della Chiesa, e soprattutto sui Vescovi, che amministrano il Popolo di Dio come strumenti vivi dell’Eterno Sommo Sacerdote. Nel percorrere la via della conversione e del rinnovamento dobbiamo essere "modelli del gregge" (1P 5,3): "nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza" (1Tm 4,12). Non possiamo testimoniare la verità salvifica del Vangelo in una maniera più convincente che rendendo testimonianza di santità nella nostra vita.

2. Il Vescovo è lo sposo della sua Chiesa e deve essere fedelmente sollecito nei suoi confronti come fece il suo Maestro. Vi chiedo di amare, come un padre e un fratello maggiore, tutti coloro che Dio vi ha affidato: sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, catechisti, famiglie, tutti. Predicando con chiarezza e celebrando con riverenza i Sacramenti, suscitate in loro "un vero anelito alla santità, un desiderio forte di conversione e di rinnovamento personale" (Giovanni Paolo II, Tertio Millennio adveniente TMA 42).

Ogni membro della comunità deve essere formato secondo la mente di Cristo (cf. Gal Ga 2,5). Non possiamo trascurare l’importanza dei programmi di catechesi per tutti i gruppi nelle vostre Diocesi: bambini, giovani e adulti. Il fine di tali sforzi deve essere un’accurata formazione cristiana, una totale maturità umana, una stabilità dottrinale e una crescita spirituale. Due preziose fonti vi assisteranno nella promozione del valore incomparabile della conoscenza di Cristo Gesù, il Signore (cf. Fil Ph 1,8): il Catechismo della Chiesa cattolica, ora tradotto in lingua Kiswahili e l’Esortazione Apostolica Post-sinodale Ecclesia in Africa, che traccia la rotta della missione evangelizzatrice della Chiesa per il terzo millennio cristiano.

3. Alla luce dei nostri incontri, incoraggio di cuore la sollecitudine pastorale che state offrendo ai catechisti, ai giovani e alle famiglie. Mi unisco a voi nel lodare il Padre misericordioso poiché la dedizione dei catechisti sta sortendo buoni risultati nelle vostre Chiese. Queste donne e questi uomini generosi sono "evangelizzatori insostituibili" e costituiscono la forza fondamentale delle vostre comunità cristiane (cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio RMi 73). Dovete continuare ad assicurare che i catechisti siano ben preparati "per ogni opera buona" (2Tm 3,16) - preparati adeguatamente per affrontare le sfide lanciate dalle vane promesse e dagli insegnamenti erronei di certe sette che stanno provocando confusione fra le persone. Già lo state facendo offrendo opportunità per una formazione strutturata e sistematica attraverso particolari programmi per catechisti e attraverso giornate di preghiera e corsi di rinnovamento (cf. Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Guida per Catechisti , pp. PP 29-30).

Continuate ad aiutare i giovani tanzaniani a seguire con generosità gli ideali del Vangelo. In tutto il mondo ho visto giovani attendere che la Chiesa raccogliesse il loro gioioso entusiasmo sfidandoli senza compromessi ad essere degni dei nobili compiti ai quali Cristo li chiama. La pastorale della gioventù, che "deve essere esplicitamente presente nella pastorale complessiva delle diocesi e delle parrocchie" (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, n. 93), dovrebbe preparare i giovani tanzaniani a mettere i loro doni al servizio della Chiesa divenendo evangelizzatori dei loro simili e svolgendo il loro giusto ruolo nella parrocchia e nella vita diocesana.

4. Un’altra priorità del vostro ministero è la promozione della santità e della stabilità della famiglia, aiutando i coniugi cristiani a edificare la propria vita sulla solida base della grazia sacramentale che fa del matrimonio e della vita familiare la normale via della santità per la maggioranza dei fedeli. Le famiglie tanzaniane devono essere aiutate a preservare i loro nobili valori e le loro nobili tradizioni, in particolare il loro caratteristico spirito di condivisione e di ospitalità. Affinché una sollecitudine pastorale della famiglia sia efficace è necessaria un’adeguata preparazione matrimoniale.Ciò deve essere esplicitamente e convincentemente presente nell’insegnamento della Chiesa sull’unità e sull’indissolubilità del vincolo matrimoniale, così come nel suo insegnamento sulla procreazione responsabile e sull’uso dei metodi naturali di regolazione della fertilità (cf. Giovanni Paolo II, Evangelium vitae EV 97). Lo scopo delle vostre iniziative deve essere quello di aiutare le famiglie nelle vostre Diocesi ad adempiere alla loro vocazione di prime scuole di sequela di Cristo e di evangelizzazione, nelle quali i genitori siano i primi catechisti dei propri figli e nelle quali tutti i membri condividano la missione di "custodire, rivelare e comunicare" (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio FC 17).

5. Tutta la catechesi dovrebbe includere una sana formazione nella dottrina sociale della Chiesa, una formazione che permetta ai laici di compiere la loro specifica missione di "esercitare sul tessuto sociale un influsso volto a trasformare non soltanto la mentalità, ma le stesse strutture della società in modo che vi si rispecchino meglio i disegni di Dio sulla famiglia umana" (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, n. 54). Con l’aiuto di donne e di uomini laici bene preparati, dovete continuare ad affrontare le vitali questioni etiche e morali che influenzano lo sviluppo del vostro popolo: l’onestà nella vita pubblica, la giustizia nelle questioni economiche, il peso schiacciante della povertà, la tutela dei diritti dell’uomo e tutto ciò che mina la dignità dell’amore coniugale. Ascoltate il grido angoscioso dei poveri, e instillate nelle vostre comunità "fame e sete di giustizia" (Mt 5,6). Ogni Chiesa locale "deve essere testimone forte della giustizia e della pace nelle sue strutture e nelle relazioni tra i suoi membri" (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, n. 106).

Un’efficace testimonianza cristiana deve anche includere la cooperazione e il dialogo con altre tradizioni religiose. Le attività ecumeniche e interreligiose dovrebbero venir promosse affinché la comprensione e il rispetto reciproci possano portare le persone di buona volontà a uno sforzo comune volto a operare per il progresso e per lo sviluppo umano a tutti i livelli della società.

I più di settecentomila rifugiati dal Rwanda e dal Burundi sono i poveri più poveri fra voi. Vi chiedo di continuare a dimostrare loro compassione e generosità, con un profondo spirito di sacrificio che non esiti di fronte alle vostre limitate possibilità. Se Dio vorrà, in quei Paesi afflitti si ripristineranno condizioni di pace e di sicurezza, permettendo il ritorno dei rifugiati alle loro case e alle loro terre. Sono pienamente consapevole della gravità della loro situazione e non ho mancato di fare appello alla comunità internazionale in loro vece. Pur essendo loro grati per l’assistenza fornita, ci rattrista vedere che i migliori sforzi delle agenzie e dei volontari non riescono a soddisfare i bisogni urgenti di così tante persone. Siamo particolarmente amareggiati nel constatare che i responsabili della continua violenza sembrano ignorare la voce del diritto e della giustizia. Nonostante le difficoltà, vi chiedo di essere sensibili alle necessità di questi fratelli e di queste sorelle e lancio un particolare appello a favore delle Diocesi di Rulenge e Kigoma, le cui risorse umane e materiali risentono gravemente degli sforzi volti ad assistere i rifugiati. A nome della Chiesa vi ringrazio per ciò che avete fatto finora.

6. Cari Fratelli, con la vostra efficace guida gli Istituti di donne e di uomini consacrati nelle vostre Diocesi, in particolare quelli di più recente fondazione, devono essere aiutati a promuovere un impegno costante alla santità e una rinnovata dedizione all’apostolato. Solo se i religiosi approfondiranno la loro personale amicizia con Dio e testimonieranno concretamente la vita fraterna nella comunità - nella quale i membri sono "a servizio gli uni degli altri" (Ga 5,13) - saranno in grado di condividere con la Chiesa locale quel dono di grazia che è rappresentato dal carisma di ogni Istituto. La vita consacrata in Tanzania continuerà a dare testimonianza "in modo splendido e singolare" del fatto "che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini" (Lumen gentium LG 31), fino a quando i religiosi, uomini e donne, eviteranno le insidie rappresentate da uno stile di vita secolarizzato e, invece, infonderanno nella comunità cristiana il desiderio di conversione e di perfezione, l’amore per la preghiera, sia personale sia liturgica, e un fermo impegno nella solidarietà verso gli altri, in particolare verso i poveri. Corretti programmi di formazione permanente sono essenziali se i religiosi devono essere agenti efficienti di un’evangelizzazione basata su "un nuovo ardore di santità" (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio RMi 90). I Vescovi, come primi responsabili della vita ecclesiale, e con il dovuto rispetto per la legittima autonomia interna delle comunità religiose, dovrebbero contribuire ad assicurare che i candidati vengano selezionati attentamente e che ricevano una formazione iniziale che li prepari alla propria consacrazione totale a Dio e alla loro missione specifica nella Chiesa.

7. Come possiamo non menzionare il ministero devoto della grande maggioranza dei vostri sacerdoti, che vivono e operano realmente come autentici "ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio" (1Co 4,1)? Nei nostri incontri avete fatto riferimento alla profonda gioia che provate nel vedere il presbiterato fiorire grazie all’affluenza di nuovi membri. Quella gioia deve però essere accompagnata dal necessario discernimento, come avverte l’Apostolo Paolo: "Non aver fretta di imporre le mani a qualcuno" (1Tm 5,22). È sempre responsabilità personale del Vescovo controllare che i seminaristi vengano formati a somiglianza di Cristo, Sposo e Capo della Chiesa. Per questo, "risulta già quanto mai significativo della sua responsabilità formativa nei riguardi dei candidati al sacerdozio che il Vescovo li visiti spesso e in qualche modo "stia" con loro" (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis PDV 65). Allo stesso modo, vi esorto a essere particolarmente attenti nella scelta del personale dei vostri seminari. Tutti i responsabili della formazione dovrebbero essere persone di provata maturità umana e spirituale e di sicura dedizione.

59 Come sapete, l’autentica spiritualità sacerdotale implica lo sviluppo di atteggiamenti, di abitudini e di pratiche che continueranno dopo l’Ordinazione e questo deve essere lo scopo di tutti i vostri programmi di formazione. Tali programmi, sostenuti dalla forza e dalla sapienza di Cristo crocifisso (cf. 1Co 1,23-24), devono essere basati sulla fervida preghiera, sulla ferma disciplina, sull’obbedienza, sul servizio generoso agli altri, su un’attitudine missionaria e sulla castità del celibato. A proposito di questo ultimo punto, l’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi ha ricordato che i seminaristi devono acquisire "una vera maturità affettiva" e avere "idee chiare e un’intima convinzione sull’indissociabilità del celibato e della castità del sacerdote" (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, n. 95). Il celibato è un viaggio di assoluta fede in Dio che permette ai sacerdoti di servire Cristo e la sua Chiesa con cuore indiviso (cf. 1Co 7,32-34); è una chiamata alla sequela totale.

8. A ogni stadio della loro vita i vostri sacerdoti si aspettano da voi una guida pastorale chiara e una sollecitudine fraterna. I Vescovi dovrebbero incoraggiare i loro sacerdoti a essere modelli di vita semplice. Dovrebbero essere particolarmente vicini a quei sacerdoti che possono essere incerti nella fedeltà alla propria vocazione e non devono stancarsi di insistere sul fatto che il sacerdozio ministeriale non è una professione o un mezzo di avanzamento sociale. Esso è un ministero sacro, la configurazione interiore di un uomo che ha dunque il potere di agire in persona Christi. L’obbedienza al Vangelo esige che i Vescovi affrontino con sollecitudine, franchezza e determinazione tutte le situazioni che scandalizzano il gregge o minano la credibilità della testimonianza della Chiesa. Seguendo l’esempio di Cristo, il Buon Pastore (cf. Lc Lc 15,3-7), devono individuare coloro che si trovano o in difficoltà e con gentilezza ammonirli "come figli" loro "carissimi" (cf. 1Co 4,14). Soprattutto, i Vescovi devono pregare sempre per i loro sacerdoti affinché il dono di Dio che essi possiedono attraverso l’imposizione delle mani (cf. 2Tm 1,6) possa essere costantemente ravvivato.

9. Amati Fratelli in Cristo, avvicinandosi il giorno in cui la Chiesa varcherà la soglia del terzo millennio, essa rivolge il suo sguardo al Signore nelle cui mani è la storia e il destino di tutti i popoli e di tutte le nazioni. È tempo di "rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera" (Ep 4,24). Che Maria, Madre del Redentore, vi assista mentre guidate il popolo di Dio in Tanzania verso questo incontro salvifico!

Con la mia Benedizione Apostolica.

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