GP2 Discorsi 1996 80


VISITA PASTORALE ALL'ARCIDIOCESI

DI SIENA-COLLE DI VAL D'ELSA-MONTALCINO


AI RAPPRESENTANTI DEL MONDO DEL LAVORO


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Colle di Val d'Elsa - Sabato, 30 marzo 1996




Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di trovarmi finalmente tra voi, per questo incontro dedicato al mondo del lavoro. Era fissato per il 19 marzo, festa di san Giuseppe lavoratore, ma possiamo realizzarlo soltanto oggi. L’attesa lo ha reso anche più desiderato. Rendo perciò grazie al Signore che mi ha concesso finalmente la gioia di venire tra voi.

A tutti porgo il mio saluto più cordiale. Un particolare pensiero rivolgo ai Vescovi qui convenuti e in special modo al Pastore della vostra Arcidiocesi, Mons. Gaetano Bonicelli, che ringrazio per i sentimenti espressi a nome di tutti. Ringrazio anche il Signor Franco Lucherini, Presidente del Consiglio di Amministrazione della Cristalleria Artistica La Piana per avermi accompagnato nel visitare gli impianti dell’Azienda come pure per le parole che mi ha poc’anzi indirizzato. Uguali sentimenti esprimo ai rappresentanti degli operai che hanno voluto manifestare le loro speranze e le loro attese. Saluto e ringrazio anche le Autorità civili e militari, che si sono unite a noi per questo incontro.

Carissimi Fratelli e Sorelle che lavorate in questa fabbrica e in altre industrie della Regione, voi rappresentate il mondo del lavoro di questa Città e della Toscana. Sono davvero lieto di incontrarvi e di rendere omaggio alle vostre capacità imprenditoriali ed operaie che hanno reso illustre il nome di questa terra ben oltre i confini d’Italia. Attraverso la lavorazione dei pregiati cristalli, noti nel mondo intero, gli artigiani di Colle di Val d’Elsa continuano a far vivere le loro secolari tradizioni artistiche, che ebbero nell’arte di Arnolfo di Cambio una insuperata espressione.

A questa nobile storia di cultura e d’arte si unisce l’eredità di un forte impegno sociale che, nel corso di questo secolo, ha trovato nel Vescovo Alessandro Toti, pioniere della diffusione della dottrina della Rerum Novarum in Toscana, e nel Sacerdote salesiano don Nino Raineri, significativi punti di riferimento.

2. Il ricordo di san Giuseppe, patrono dei lavoratori, ci offre l’opportunità di riflettere insieme sulla realtà del lavoro e sulle esigenze di giustizia e di solidarietà che ne promanano in ordine all’affermazione del primato della persona.

Tali esigenze, oggetto costante del Magistero della Chiesa, diventano più pressanti ed urgenti di fronte all’attuale sviluppo dell’economia e ai problemi ad essa legati. La Chiesa non può non sentirsi interpellata da questa nuova fase della "questione sociale", che ha ovvi risvolti etici e chiama in causa la sottostante concezione dell’uomo.

Uno speciale stimolo di riflessione è offerto dall’approssimarsi del Grande Giubileo dell’anno Duemila, che la Chiesa proclama per la remissione dei peccati, per la riconciliazione tra le persone, per la conversione e la penitenza. Cosa domanda al mondo del lavoro questo "anno di grazia"?

Nella tradizione biblica, il giubileo "doveva restituire l’uguaglianza tra tutti i figli d’Israele, schiudendo nuove possibilità alle famiglie che avevano perso la loro proprietà e perfino la libertà personale . . ." (Giovanni Paolo II, Tertio Millennio adveniente
TMA 13). Alla base di tale prassi v’era la profonda consapevolezza che i beni della terra sono creati da Dio e a Lui appartengono. "Chi possedeva questi beni come sua proprietà ne era in verità soltanto un amministratore, cioè un ministro tenuto ad operare in nome di Dio, unico proprietario in senso pieno, essendo volontà di Dio che i beni creati servissero a tutti in modo giusto. L’anno giubilare doveva servire proprio al ripristino anche di questa giustizia sociale" (Ivi, n. 13).

Partendo da tali premesse, la Chiesa ha riaffermato costantemente il primato dell’uomo di fronte ai beni della terra, come criterio per la soluzione dei conflitti sociali ed economici e per la costruzione di una convivenza più giusta ed equa. Come ricordavo nella Laborem exercens: "Bisogna sottolineare e mettere in risalto il primato dell’uomo nel processo di produzione, il primato dell’uomo di fronte alle cose . . . L’uomo come soggetto del lavoro, ed indipendentemente dal lavoro che compie, l’uomo, egli solo, è una persona" (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens LE 12).

82 Agli imprenditori, ai politici, alle forze sindacali, ai lavoratori e alle lavoratrici viene offerta con il Giubileo una nuova opportunità d’interrogarsi sulle proprie responsabilità di fronte ad un millennio che inizia, per eliminare le ingiustizie e stringere, anche nel settore del lavoro, rapporti nuovi, caratterizzati da fraternità, giustizia e solidarietà.

Mi è particolarmente gradito indicare tali traguardi ai protagonisti del mondo del lavoro di questa Città, teatro in passato di dure lotte sindacali e talora anche di incomprensioni tra la Chiesa e il mondo operaio, ma oggi caratterizzata da un clima di dialogo e di impegno.

3. Le profonde trasformazioni tecnologiche, economiche e socio-culturali del tempo presente coinvolgono profondamente il mondo del lavoro che, pur manifestando alcuni aspetti positivi, presenta purtroppo nuovi e gravi problemi. Emerge su tutti il doloroso fenomeno della disoccupazione, sempre più diffuso e non solo fra i giovani in cerca di prima occupazione.

Non meno serio è il problema della sottoccupazione, o del cosiddetto "lavoro nero", che colpisce soprattutto le fasce sociali deboli e meno protette: i giovani in cerca di primo impiego, le donne, gli immigrati e, talora, persino i bambini. Questa realtà di sfruttamento del lavoro umano non può lasciarci indifferenti.

Un altro dato preoccupante è costituito dai problemi della sicurezza sul lavoro, che la razionalizzazione tecnologica, spesso dominata dalla ricerca del puro profitto, non ha saputo ancora eliminare: tante, troppe sono le vittime di incidenti sul lavoro! Il sangue che viene versato nei cantieri e nelle fabbriche deve impegnare tutti a trovare gli opportuni rimedi, perché tali luttuosi eventi non si ripetano più.

4. Questo scenario, che diventa immensamente più drammatico su scala planetaria guardando ai Paesi in via di sviluppo e ai milioni di uomini, donne e bambini costretti ad una vita grama e condannati persino a morire di fame, ci obbliga a una riflessione coraggiosa e corale per individuare e rimuovere le cause di simili situazioni.

E la prima causa è senza dubbio l’offuscarsi della coscienza morale, frutto anche dell’esclusione di Dio dall’orizzonte del cuore umano e della società. Se si smarrisce il senso del dovere e della responsabilità, se ci si ispira a una visione puramente materialistica ed edonistica della vita, è ben difficile che alla logica degli interessi particolari subentri quella del bene comune e si avverta l’esigenza di rispettare, servire e promuovere tutto l’uomo in ogni uomo, specialmente in quello più debole e indifeso.

5. Estremamente attuale risulta pertanto l’ammonimento di san Paolo: "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio!" (
2Co 5,20). Con queste accorate parole l’Apostolo invita ciascuno a convertirsi alla logica liberante del Vangelo. Quanto più l’uomo si lascia rinnovare dalla grazia, tanto più diventa possibile conciliare le ragioni della persona con quelle della comunità, la politica con il bene comune, l’economia con l’etica, il capitale col lavoro, il processo produttivo con l’ecologia, il benessere materiale con quello spirituale, i diritti di ciascuno con i bisogni di tutti.

In questo contesto emerge nella sua vera identità il lavoro umano, che non può essere visto solo come il mezzo per procurarsi il necessario per vivere. "Il lavoro è un bene dell’uomo - un bene della sua umanità - perché con esso l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo, ed anzi, in un certo senso, "diventa più uomo"" (Giovanni Paolo II, Laborem exercens LE 9). Partecipazione all’opera creatrice di Dio e fattore di crescita personale, il lavoro è, altresì, servizio al bene comune, attenzione alle necessità degli altri, strumento di cultura e di civiltà.

La storia di tante città della vostra Regione è la dimostrazione evidente di quale grande valore sia per l’uomo il lavoro. In esse, infatti, la dedizione alla propria attività, coniugata con una visione della vita largamente ispirata al cristianesimo, ha realizzato non solo una solida economia cittadina, ma ha prodotto, al tempo stesso, cultura, solidarietà, arte, educando i cittadini alla consapevolezza e all’esercizio dei diritti democratici.

6. La concezione del lavoro, incentrata sul primato della persona e ancorata all’etica della solidarietà, esige il superamento dell’antagonismo tra le ragioni del capitale e quelle del lavoro che tanti conflitti ha prodotto nel corso del ventesimo secolo (cf. Laborem exercens LE 13).

83 In tale contesto occorre ripensare l’impresa, considerandola non come luogo di interessi conflittuali, ma come comunità di lavoro, mirante al conseguimento del bene comune per tutti i suoi membri. In essa l’avanzante mondializzazione dell’economia deve trovare il giusto contrappeso di un ambiente di vita, dove i rapporti umani non siano soffocati dall’anonimato e dal decisionismo autoritario, ma sia fatto spazio, in qualche modo, alla possibilità di offrire un contributo creativo da parte della persona umana ai diversi livelli di responsabilità.

Accanto a questo primo obiettivo, non meno importante è la riconciliazione tra lavoro e ambiente. Ciò comporta l’armonizzazione delle esigenze produttive con la salvaguardia del territorio, bene prezioso da consegnare integro alle nuove generazioni. Occorre, inoltre, fare del principio di solidarietà il criterio costante e qualificante delle scelte di politica economica. Purtroppo ancora oggi non manca chi crede che la più ampia libertà di mercato, favorendo l’iniziativa e la crescita economica, si traduca automaticamente in ricchezza per tutti. Ma la storia e la realtà sotto i nostri occhi mostrano a sufficienza che non è così. Assistiamo anzi a momenti di espansione produttiva che, anche a motivo dell’innovazione tecnologica, si accompagnano ad aumento di disoccupazione e relativo disagio sociale. Bisogna dunque trovare un conveniente punto di equilibrio tra le esigenze della libertà economica, che non può essere ingiustamente penalizzata, e quella "cultura delle regole" che da una parte garantisce i benefici della leale competizione e dall’altra si pone a tutela dei diritti del lavoro e, primo fra essi, del diritto al lavoro per tutti. La ricerca di tale equilibrio non è facile, ma è una sfida a cui ciascuna componente sociale non si può sottrarre.

7. È dunque l’ora di una nuova politica di solidarietà sociale, che non ha nulla a che vedere con l’assistenzialismo di comodo, dannoso alla lunga per gli stessi assistiti, ma che si basa piuttosto su interventi miranti a stimolare, nella prospettiva del principio di sussidiarietà, il senso di responsabilità e operosità delle categorie più deboli, assicurando loro al tempo stesso la possibilità concreta di esprimere le proprie capacità.

Ciò esige la valorizzazione delle potenzialità locali, nonché la convergenza delle iniziative dei diversi soggetti istituzionali - dagli enti pubblici, a quelli economici, sociali e culturali - creando le condizioni di un’intesa per lo sviluppo, che consenta di utilizzare al meglio le risorse disponibili nel territorio.

Sono a tal proposito di attualità e valide per tutti le parole che Santa Caterina rivolgeva ai governanti: "Voi avete il desiderio di riformare la vostra città; ma io vi dico che questo desiderio non si adempirà mai se non vi sforzate di abbattere l’odio e il rancore che regna tra voi a causa dell’amor proprio, ossia se non vi sforzate di attendere al bene universale di tutta la città e non solamente al vostro bene privato. Colui che ha autorità... non è costituito in autorità per attendere al bene proprio, ma al bene universale di tutta la città" (Dal "Dialogo della Divina Provvidenza").

8. Carissimi Fratelli e Sorelle! San Giuseppe, "uomo giusto", che la Provvidenza divina ha posto accanto a Gesù ed a Maria perché provvedesse alla Santa Famiglia con la sua quotidiana fatica, ci ricorda che le vie della salvezza passano anche attraverso il lavoro umano e invita tutti a cogliere le potenzialità in esso racchiuse.

Nello svolgimento del suo compito, san Giuseppe si presenta come l’uomo capace di fare sintesi tra la fede e la vita, tra le esigenze di Dio e quelle dell’uomo, tra i bisogni personali e il bene di tutti.

Auspico che, sull’esempio di così grande Santo, ciascun protagonista del mondo del lavoro si senta impegnato ad essere promotore di armonico sviluppo e di giustizia solidale.

Nell’affidare alla Vergine Maria, sposa del santo Carpentiere di Nazaret e madre di Gesù, divino Lavoratore, le vostre persone e le vostre famiglie, insieme a quelle dei lavoratori di tutto il mondo, imparto di cuore a ciascuno la mia Benedizione.

Al termine dell’incontro con il mondo del lavoro, Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai presenti, ha aggiunto le seguenti parole:

"Grazie per questi doni stupendi. Ho imparato un po’ come si producono i cristalli, ma naturalmente è stata una scuola troppo breve. Nella mia vita ho fatto anche l’esperienza del lavoratore, ma non in una cristalleria. Dovrei ricominciare. Per il momento auguro a tutti una Buona Pasqua perché è molto vicina. Abbiamo spostato questo incontro da San Giuseppe ad oggi e quindi siamo quasi alla Settimana Santa. Auguro Buona Pasqua a tutti: alla vostra stupenda azienda, alla città di Siena, a tutta la Toscana e a tutta l’Italia.

84 Poco dopo, il Santo Padre ha aggiunto:

Ho cercato di stringere tutte le mani possibili. Se ne manca qualcuna cercherò di stringerla. Grazie anche al coro. Buona continuazione a tutti.

                                                                       Aprile 1996


AI PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE


DELLA SOCIETÀ SALESIANA DI SAN GIOVANNI BOSCO


Lunedì, 1° aprile 1996




Carissimi Capitolari
della Società Salesiana
di San Giovanni Bosco!

1. Sono molto lieto per questo atteso incontro con voi, che rappresentate i Salesiani sparsi in tutto il mondo. Voi testimoniate, con la vostra numerosa presenza, la meravigliosa espansione dell’opera di San Giovanni Bosco, il cui carisma permane vivo e vitale nel mondo contemporaneo.

Mi congratulo anzitutto, unendomi alla vostra gioia, con il Rettore Maggiore, don Juan Edmundo Vecchi, che voi avete eletto ad assumere la responsabilità della vostra Famiglia spirituale, chiamandolo a succedere al compianto don Egidio Viganò, tanto benemerito per l’opera svolta con tanta chiarezza di pensiero e con totale dedizione al bene della Chiesa e dell’Istituto. Prego il Signore perché accompagni il nuovo Rettore Maggiore e i suoi collaboratori nel loro importante compito, così che possano introdurre la Società e la Famiglia Salesiana nel nuovo millennio con l’ardore apostolico di San Giovanni Bosco e con tutta la freschezza del suo carisma.

2. In questa prospettiva di futuro ed avendo davanti agli occhi le sfide del mondo contemporaneo, desidero innanzitutto esprimere grato apprezzamento per l’attiva e fedele partecipazione della vostra Famiglia alla missione della Chiesa. Voi vi sentite parte viva della comunità ecclesiale, pienamente inseriti in essa e al suo totale servizio, nelle diverse parti del mondo.

Sulle orme del vostro Fondatore, che vi ha trasmesso questo "sensus Ecclesiae" come sua preziosa eredità, voi svolgete la vostra missione in un settore di straordinaria importanza: l’educazione della gioventù, "questa porzione la più delicata e la più preziosa dell’umana società", come diceva Don Bosco. Nella Lettera Iuvenum Patris, che vi ho inviato in occasione del centenario della morte del Santo, vi ricordavo che "la Chiesa ama intensamente i giovani: sempre, ma soprattutto in questo periodo ormai vicino all’anno Duemila, si sente invitata dal suo Signore a guardare ad essi con speciale amore e speranza, considerando la loro educazione come una delle sue primarie responsabilità pastorali" (n. 1). Vi esorto, perciò, a perseverare in questo nobile e delicato compito, che è certamente al centro dell’attenzione del vostro Capitolo Generale, dal momento che - come dicono le vostre Costituzioni - voi "come Don Bosco, siete chiamati tutti e in ogni occasione ad essere educatori della fede" (n. 34).

85 3. Per il compimento di questa missione, il vostro Capitolo ha dedicato una particolare attenzione ai laici che, nella vostra Famiglia, collaborano in varie forme all’educazione della gioventù. Don Bosco stesso intuì l’importanza di avere dei collaboratori che, in modi diversi, fossero disponibili ad aiutarlo nella grande impresa educativa, condividendo con lui i principi e la prassi del suo sistema preventivo. Comprese, inoltre, l’importanza di avere delle persone che condividessero più a fondo lo spirito della Congregazione, facendosene portatori all’esterno nella Chiesa e nella società. Per questo fondò l’Associazione dei Cooperatori Salesiani, associata alla Società di san Francesco di Sales, col preciso scopo di cooperare alla sua missione di salvezza dei giovani. La riteneva "un’associazione importantissima, che è l’anima della nostra Congregazione" (Dai Verbali del 1° Capitolo Generale). Accanto ai Cooperatori, molti altri laici, legati in maniera più o meno forte alla Congregazione, si sono aggiunti nel vasto impegno dell’educazione e dell’evangelizzazione: ex-allievi, genitori, amici e benefattori, volontari, uomini e donne di buona volontà, tutti uniti nell’amore e nel servizio della gioventù.

Percorrendo la strada tracciata da san Giovanni Bosco e attenti ai segni della Chiesa del nostro tempo, in particolare alla luce del Concilio Vaticano II e della Esortazione Apostolica Christifideles laici, voi volete rilanciare il vostro impegno con i laici, crescendo insieme con loro nella comunione e condivisione dello spirito e della missione di Don Bosco. È questo certamente un tema rivolto al futuro, nell’ambito della nuova evangelizzazione, che aiuterà la Congregazione e l’intera Famiglia Salesiana ad entrare, con molte e valide forze, nel terzo millennio, ormai alle porte.

4. In questa prospettiva, nel vostro Capitolo voi vi siete proposto l’obiettivo di allargare il coinvolgimento, di promuovere la partecipazione e la corresponsabilità. Sì, è davvero questa la strada su cui camminare per unire tutte le forze del bene in una fattiva collaborazione nella quale ciascuno, secondo la propria specifica vocazione - sacerdotale, religiosa o laicale -, apporta le proprie ricchezze, in uno scambio reciproco di doni, per il compimento della missione educativa.

Da parte mia, voglio sottolineare l’impegnativo compito della formazione, che nell’Esortazione Christifideles laici ho presentato come uno degli aspetti fondamentali della vita e missione dei fedeli laici, come "la chiamata a crescere, a maturare in continuità, a portare sempre più frutto" (n. 57). Da una parte, occorre ricordare che quello della formazione è un impegno che coinvolge tutti insieme, perché reciprocamente ricevuto e donato da tutti, - e ciò tanto più in una Famiglia spirituale, dove la partecipazione allo stesso carisma e la collaborazione in una stessa missione esigono di attivare dei processi formativi condivisi. Ma, d’altra parte, occorre anche sottolineare la precisa responsabilità che compete a coloro che, per speciale dono dello Spirito, sono chiamati ad essere formatori dei formatori. Per voi, figli di san Giovanni Bosco, è questo un compito impegnativo: aiutare i vostri laici a formarsi come educatori della gioventù, nello spirito del Sistema Preventivo di san Giovanni Bosco.

5. Come vi ricordavo nel messaggio inaugurale all’inizio del vostro Capitolo, un punto importante su cui dovete far leva, in questo impegno formativo, è la proposta spirituale che scaturisce dall’esperienza di Don Bosco a Valdocco. Essa è allo stesso tempo sorgente e meta del cammino proposto a quanti - giovani e adulti - condividono il metodo educativo del Santo. Mi permetto di insistere sul primato di questa spiritualità, che permea la vostra vita e la vostra missione, e che deve brillare anzitutto nella vostra testimonianza di consacrati apostoli, "segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani", come dicono le vostre Costituzioni (n. 2). I laici, che condividono con voi lo spirito e la missione dell’esperienza salesiana, non possono non avvertire, per il compito di educatori che sono chiamati a svolgere, una simile esigenza. Nella necessaria gradualità, e rispettando le convinzioni di fede di ciascuno, voi siete chiamati ad aiutarli a crescere verso mete sempre più alte, nella scoperta della propria vocazione, fino a introdurli nelle vie dello Spirito del Signore.

Nella lettera Iuvenum Patris rilevavo come nella figura di Don Bosco si abbia un mirabile interscambio tra educazione e santità: "Egli realizza - scrivevo - la sua personale santità mediante l’impegno educativo, vissuto con zelo e cuore apostolico, e sa proporre, al tempo stesso, la santità quale meta concreta della sua pedagogia" (n. 5). Cari Salesiani, vi auguro di saper imitare Don Bosco in questa sua capacità di trasmettere i valori del Vangelo, coinvolgendo in essi i collaboratori nella missione educativa e gli stessi giovani ai quali essa è diretta. Potrete così giungere a fare della comunità educativa una vera esperienza di Chiesa, l’ambiente adatto per un cammino di crescita verso un’autentica maturità cristiana.

6. La Settimana Santa, appena iniziata, riporta alla memoria il messaggio che lo scorso anno, proprio in questi giorni, il caro Rettore Maggiore, don Egidio Viganò, inviava alla Famiglia Salesiana. Il 14 aprile, Venerdì Santo, scriveva: "Mi sento specialmente unito a voi in questo sacro giorno di mistero e di sacrificio. È da settimane che sono in clinica e mai avevo provato l’esperienza del Venerdì Santo come giorno straordinario del carisma di Don Bosco. Sommergersi nel mistero dell’amore di Cristo, sopraffatti dalle sofferenze della carne: non si scopre un momento più proprio per stare con i giovani, per animare confratelli e consorelle, per intensificare la Famiglia Salesiana". Con questi sentimenti don Viganò porgeva a tutti gli auguri pasquali "nel Signore Vincitore".

A tale splendida testimonianza di fede e di ottimismo cristiano vi invito a guardare, carissimi Capitolari, per trarne ispirazione e coraggio nelle decisioni che siete chiamati ad assumere. La lezione che Don Viganò vi ha lasciato è ben chiara: nell’adesione senza riserve al Cristo crocifisso e risorto sta il segreto di un’azione apostolica coraggiosa e feconda.

Invoco su tutti voi la celeste protezione di Maria Ausiliatrice: Ella sia per voi, come lo fu per Don Bosco, Maestra e Guida nella vostra missione di educatori.

A voi, ai vostri confratelli, ai laici delle vostre comunità educative e a tutti i membri della Famiglia Salesiana imparto di cuore l’Apostolica Benedizione.


AI GIOVANI PARTECIPANTI AL CONGRESSO «UNIV '96»


Martedì, 2 aprile 1996




86 Carissimi universitari!

Sono lieto di incontrarvi anche quest’anno per il vostro consueto raduno. Vi siete riuniti a Roma dalle oltre quattrocento sedi universitarie del mondo alle quali appartenete per mettere in comune e discutere le conclusioni alle quali siete giunti, dopo un intenso lavoro di preparazione, sul tema: "Comunicare: imparare a vivere". E al vostro Congresso romano avete voluto che non mancasse un incontro col Papa. Perché? Perché desiderate comunicare con lui, per dare e ricevere, ascoltare e meditare, così da fare della verità di Cristo la guida della vostra vita.

Vi ringrazio per questa vostra visita molto gradita e vi saluto uno ad uno cordialmente. Desidero anch’io, in un certo modo, prendere parte al vostro Congresso, rinnovando a ciascuno l’annuncio della verità di Cristo, che è insieme verità su Dio e sull’uomo, verità che dona la vita e, al tempo stesso, impegna la vita. Annunciare Cristo costituisce il culmine della comunicazione e, allo stesso tempo, il modello di ogni comunione. Avete avuto modo di approfondire questo tema durante i giorni del vostro incontro.

Discorso pronunciato in lingua spagnola:

2. Como hacen notar algunos estudiosos, existe una distinción entre « informar » y « comunicar »; en el primer caso se trata de la transmisión de datos objetivos y neutrales; en el segundo, se produce una propuesta de valores. Esta distinción tiene sín duda su fundamento, pero parece, en parte, abstracta. En efecto, el hombre lleva siempre consigo o dentro de sí mismo un bagaje de verdades, de ideales y de normas éticas que continuamente evalúa, profundiza y reformula en su confrontación con la realidad.

Se puede, pues, afirmar que el acercamiento a la realidad nunca es rigurosamente neutral. Desde este punto de vista la tesis según la cual quien informa debe actuar como simple espejo de la sociedad no parece realista; en cierto sentido podría incluso ser juzgada oportunista, y como un pretexto para evitar tener que asumir la propia responsabilidad moral en la relación con los demás. El cristiano, por el contrario, sabe que no puede ignorar nunca la propia conciencia en todos los actos que realiza y que lo ponen en relación con los otros hombres. Esto no excluye, por lo demás, el respeto a la objetividad.

La fe pone en la mente una especie de inclinación connatural a la verdad, que consiente ir más allá de los estratos intermedios y provisionales de lo real para llegar al nivel donde cada significado alcanza su propia plenitud.

Aquí la comunicación se desarrolla hasta llegar a ser comunión, donación de sí mismo, intercambio recíproco, participación profunda y vital en la que uno se da, y recibe del otro. Precisamente porque contrasta con este dinamismo interior, el individualismo debe ser considerado como incompatible con un auténtico cristianismo.

Comunicar, pues, es aprender a vivir según la lógica de la entrega personal, es decir, del amor. La verdad plena de la comunicación se encuentra en la comunión. Su modelo supremo es la Trinidad, comunión total del Padre con el Hijo en el Espíritu Santo, comunión que en la Redención se abre al hombre. Dios no se limita a comunicarle desde fuera algunas verdades o principios morales, sino que con la gracia se entrega a Sí mismo y hace al hombre partícipe de su propia vida. La Revelación, pues, es parte integrante de la Redención, de la cual representa como un primer paso. El hombre redimido, que acogiendo en sí la gracia de la salvación vive en Dios, está en condiciones de penetrar con la mirada de la fe en el misterio revelado.

Discorso pronunciato in lingua francese:

3. Chers amis, il importe de communiquer pour apprendre à vivre et de vivre dans la communion pour apprendre à communiquer. Transposé pour la vie spirituelle, cela signifie qu'il faut accueillir Dieu qui se donne et se donner à son tour à Dieu, en se mettant à l'école de Celui qui est l'Amour, pour vaincre tout égoïsme.

87 La contemplation de la Passion du Seigneur, à laquelle nous sommes invités par la liturgie des jours saints, nous aide à pénétrer dans le mystère de communion auquel Dieu nous appelle: mort sur la croix et ressuscité par la puissance de Dieu, le Christ nous plonge, par le baptême, dans sa mort, pour nous faire participer à sa résurrection. Dans le sacrement de Pénitence, par la grâce vivifiante du pardon, il vient au secours de nos faiblesses qui demeurent; dans l'Eucharistie, il se fait notre nourriture, pour nous soutenir dans notre marche sur les routes du monde et pour nous donner la force, afin que nous puissions rendre témoignage à l'Évangile. L'homme racheté est engagé dans une dynamique complexe. Dieu ne se contente pas d'une réponse partielle.

Il veut l'engagement de tout l'être. La communion à laquelle il nous invite ne se réalise pas seulement en paroles; elle ne peut pas non plus rester du domaine des sentiments; quelques gestes de générosité ne suffisent pas pour satisfaire les exigences qui surgissent pour celui qui a été régénéré ontologiquement par le Christ. Le discours de l'Apôtre Paul à ce sujet est très clair: par le baptême, nous avons été régénérés, « pour que nous menions une vie nouvelle, nous aussi, de même que le Christ, par la toute-puissance du Père, est ressuscité d'entre les morts » (
Rm 6,4).

Discorso pronunciato in lingua inglese:

4. This is the effective expression: a new life, the supreme law of which is the new commandment of love. But in order to learn to love we need to communicate with God.

In practice, we have to meditate on his word, pray, listen to what God is asking from each of us, so that our communion may grow ever stronger through responses of real love. It is necessary to receive the Sacraments frequently, because through them Christ shares his very life with those who believe.

Discorso pronunciato in lingua tedesca:

5. Die Gemeinschaft mit Gott führt zu einem unaufhaltsamen Dynamismus. Der Liebe kann man nicht Untätigkeit oder Stillschweigen auferlegen, wie es auch nicht möglich ist, der Lebensgemeinschaft eine Grenze zu setzen. Ihr Ziel ist ja in der Tat das Einswerden. Je näher wir Christus sind, desto mehr wächst in uns das Verlangen nach Gott und die Sehnsucht nach Heiligkeit. So wird man gewahr, daß der Herr sich unser bedienen will, um den Menschen seine Liebe mit zuteilen.

Wenn man in der Liebe Gottes lebt, wird es offensichtlich, daß Berufung und Sendung eine Einheit bilden. Der Gleichformung Christi, die durch die Sakramente in uns geschieht, muß die Zeugnisbereitschaft entsprechen, die wir mit unserem ganzen Sein leben.

Discorso pronunciato in lingua portoghese:

6. Lembrava o Beato Josemaria Escrivá que « quando se saboreia o amor de Deus, sente-se o peso das almas », e acrescentava: « Não se pode dissociar a vida interior do apostolado, como não é possível separar em Cristo o seu ser de Deus-Homem da sua função de Redentor ... Para o cristão, o apostolado é algo congênito: não tem nada de artificial, de justaposto, não é externo à sua atividade diária, à sua ocupação profissional » (B. Josemaría Escrivá de Balaguer, É Cristo que passa, n. 122).

Carissimi, sarà nei rapporti con i vostri amici, i vostri colleghi di studio e di lavoro, i vostri familiari che potrete in qualche modo, esprimere la comunione di vita con Gesù Cristo. Vi invito, pertanto, a trasformare la comunicazione umana in amicizia e ad elevarla a Dio. Solo in Lui, solo nel Cuore sacratissimo di Gesù e nel Cuore dolcissimo di Maria l’amore umano diventa comunione nel pieno senso della parola.

88 Vi affido alla protezione della Santissima Vergine che, in quanto Madre di Dio, rappresenta il vertice supremo a cui la creatura può giungere nella comunione con la Trinità e, in quanto Madre degli uomini, è il luogo in cui tale comunione si traduce in pienezza di condizione, di comprensione e di misericordia. "La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi" (2Co 13,13).

A tutti imparto di cuore la mia Benedizione.

VIA CRUCIS AL COLOSSEO

PAROLE DI GIOVANNI PAOLO II

Venerdì Santo, 5 aprile 1996

1. Ecce lignum Crucis . . . Ecco il legno della Croce, al quale fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo. Venite adoremus!


È davanti a noi il legno dell’ignominia, diventato, grazie al sacrificio di Cristo, segno di salvezza per il genere umano. Il Venerdì Santo è giorno che cambia il destino dell’umanità.

Immersa in un abisso di dolore e di amore, oggi la Chiesa non celebra l’Eucaristia, ma dopo aver ascoltato il racconto della Passione secondo Giovanni, resta in adorazione della Croce.

E questa sera, fedeli di Roma e pellegrini d’ogni continente si radunano accanto a questo luogo, il Colosseo, nel ricordo del sacrificio di tanti martiri dei primi secoli. Qui meditano sulla passione del Signore e sulla sofferenza di uomini e donne di tutte le epoche. Una lunga scia di dolore e di sangue percorre la storia.

Sangue e sofferenza segnano anche oggi le vicende del nostro tempo. Come non preoccuparsi, ad esempio, dinanzi all’impressionante "congiura contro la vita", con il moltiplicarsi e l’acutizzarsi delle minacce alle persone e ai popoli, soprattutto quando la vita è debole e indifesa? "Alle antiche dolorose piaghe della miseria, della fame, delle malattie endemiche, della violenza e delle guerre se ne aggiungono altre, dalle modalità inedite e dalle dimensioni inquietanti" (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae EV 3).

Ecce lignum Crucis. Venite adoremus!

2. Contempliamo in silenzio la Croce, che l’odierna liturgia invoca insistentemente:

"Croce della nostra salvezza, albero tanto glorioso,
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