GP2 Discorsi 1996 126


AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO ORGANIZZATO


DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA


E DAL PONTIFICIO ISTITUTO PER STUDI


SU MATRIMONIO E FAMIGLIA


Giovedì, 9 maggio 1996




Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Fratelli e Sorelle nel Signore!

127 1. Sono lieto di accogliervi per questa Udienza in occasione del Congresso col quale avete voluto sottolineare una ricorrenza per voi - ed anche per me - tanto significativa.

Saluto e ringrazio il Cardinale Alfonso López Trujillo che, nell’interpretare i vostri sentimenti di affetto e di devozione, ha pure illustrato la particolare ragione di questo nostro incontro. Saluto poi Mons. Angelo Scola, attuale Preside del Pontificio Istituto per Studi su Matrimonio e Famiglia, e Mons. Carlo Caffarra, che lo è stato per molti anni prima di lui. Con loro saluto sia i Docenti dell’Istituto che gli Officiali del Pontificio Consiglio per la Famiglia, intervenuti a questa Udienza. Per loro tramite il mio saluto si estende a tutti coloro che in qualche modo contribuiscono alla vita dei due Organismi, di cui oggi ricordiamo il XV anniversario di costituzione.

2. I fatti sono noti. Il mio predecessore Paolo VI scelse la famiglia come tema del Sinodo ordinario del 1980. Una scelta riconfermata successivamente da me e attuata con grande profitto per tutta la Chiesa. Tra i frutti più immediati che ne scaturirono vi fu, nel 1981, la creazione sia del Pontificio Consiglio per la Famiglia che dell’Istituto per studi su matrimonio e famiglia. Il trascorrere degli anni ha mostrato quanto opportuna sia stata tanto l’una quanto l’altra istituzione per venire incontro alle sfide rivolte nel nostro tempo alla famiglia. Si tratta di due Istituzioni sotto vari aspetti complementari tra loro, chiamate a svolgere un servizio particolarmente rilevante per la vita della Chiesa in questa fine di secolo e di millennio.

Magna Charta del Pontificio Consiglio per la Famiglia è sicuramente l’Esortazione Apostolica Familiaris consortio: essa è stata il punto di riferimento costante della sua attività di promozione pastorale della famiglia. Le riflessioni dei Padri sinodali hanno offerto una messe ricchissima di indicazioni e di prospettive pastorali, sottolineando come soggetti principali dell’apostolato familiare siano le famiglie stesse, alle quali deve quindi andare tutto l’appoggio dei Pastori.

3. Nell’attuazione di queste linee pastorali il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha avuto, in questi anni, come interlocutori primari i Vescovi e le Conferenze Episcopali; insieme con loro ha cercato di promuovere una pastorale d’insieme centrata sulla famiglia. Diventa infatti sempre più chiaro che una pastorale settoriale non basta: la famiglia deve essere posta al centro dei piani diocesani o nazionali, perché "l’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia" (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio
FC 86).

Come non vedere indicata in questa espressione della Familiaris consortio tutta la rilevanza storica, politica, sociale delle famiglie per l’intera umanità? Possono i popoli attendersi un domani sereno se la famiglia subisce colpi distruttivi che impediscono la sacra missione dei genitori? Occorre oggi più che mai stimolare le famiglie affinché scoprano le risorse e le energie di cui sono portatrici e si facciano protagoniste responsabili del loro destino.

La centralità della famiglia è apparsa in modo concreto in occasione dell’Anno Internazionale della Famiglia, durante il quale si è presa più acuta coscienza del fatto che, nella difesa dei valori primordiali umani e cristiani della società, la famiglia resta elemento decisivo. Recenti vicende, purtroppo, ci hanno messo di fronte al paradosso di istanze pubbliche, a cui spetterebbe il compito di difendere la famiglia come prima cellula della società, che assumono invece decisioni atte piuttosto a minacciarla e a distruggerla.

4. Gli altri interlocutori del Pontificio Consiglio per la Famiglia, oltre ai Vescovi e alle Conferenze Episcopali, sono i movimenti, i gruppi e le associazioni che hanno come finalità la difesa della famiglia e della vita. È veramente provvidenziale che oggi sorgano nella Chiesa tante iniziative con questi scopi. Non vi è forse in questo la conferma dell’intuizione, fatta propria dalla Familiaris consortio, secondo cui le famiglie stesse devono sentirsi chiamate ad essere le vere protagoniste dell’evangelizzazione delle famiglie?

Ecco la ragione per cui, spinto anche da tante esperienze fatte nel mio precedente ministero sacerdotale ed episcopale, ho voluto incoraggiare questo necessario lavoro con le famiglie, invitando a farne il centro della pastorale nelle parrocchie, nelle diocesi, nelle stesse Conferenze Episcopali. Per questo stesso motivo, col Motu proprio Familia a Deo instituta, ho trasformato il precedente Comitato in Pontificio Consiglio per la Famiglia e sono lieto di constatare come esso svolga con dinamica intraprendenza il lavoro che, come Successore di Pietro, ho voluto affidargli.

5. A questa attività pastorale occorreva pure offrire l’apporto di un impegno di approfondimento accademico impostato con rigore scientifico. Proprio per questo è stato creato l’"Istituto per studi su matrimonio e famiglia". È certamente di grave ed urgente necessità oggi la formazione sistematica dei pastori in queste materie secondo una visione corretta dell’antropologia umana, illuminata dal Vangelo. Tra queste materie i trattati su matrimonio e famiglia traducono, nella vita ordinaria degli uomini, le verità che ispirano la visione cristiana dell’uomo. Perciò occorreva dare alla pastorale familiare un sostegno filosofico-teologico che reagisse alla visione atea e materialista della vita. Occorreva un Istituto a livello superiore dove gli allievi ricevessero una preparazione specifica per poter, a loro volta - sia come professori sia come animatori della pastorale familiare nelle diverse aree geografiche - contribuire ad arricchire la vita dei fedeli facendo loro scoprire la vocazione alla santità dei coniugi e degli altri membri della famiglia.

A quindici anni dalla sua fondazione è giusto riconoscere che l’Istituto per studi su matrimonio e famiglia ha ampiamente superato la prova. In esso gli allievi, oltre ad acquistare una formazione dottrinale a livello universitario nelle diverse discipline, hanno l’opportunità di compiere una ricerca per la laurea in un tema specifico, traendone maturità scientifica quale s’addice a futuri operatori pastorali e docenti.

128 Non a caso la nuova istituzione universitaria è andata espandendosi, in questi anni, con la creazione di numerose filiali in diversi Paesi e continenti. È stato così facilitato l’accesso degli studenti e si è inoltre resa possibile una maggiore vicinanza ai problemi concreti delle distinte aree geografiche, pur conservando unità di intenti e di direzione grazie alla disponibilità di un corpo di professori che garantisce la solidità dottrinale dell’insegnamento e la sua fedeltà al Magistero della Chiesa.

Sono molte finora le diocesi che hanno beneficiato di sacerdoti e di studenti formati in questo Istituto, ed è auspicabile che anche altri Vescovi rafforzino la pastorale familiare delle loro diocesi inviando studenti all’Istituto così da poter domani disporre di collaboratori competenti in quest’area centrale della pastorale. È motivo di conforto vedere quante diocesi si stiano aprendo ad una pastorale più partecipata e in consonanza con le sfide attuali.

6. Vada quindi un riconoscimento cordiale a tutti voi che avete lavorato in questi anni, raccogliendo frutti così promettenti. A voi rivolgo, al tempo stesso, un caldo incoraggiamento a continuare la vostra opera in un campo tanto importante per il bene della Chiesa.

Affido a Maria Santissima, Regina della famiglia, il vostro impegno e quello di tutti i vostri collaboratori. A Lei chiedo di accompagnare con la sua protezione i vostri sforzi e di renderli fecondi per il bene delle singole famiglie, della Chiesa e della stessa società.

Con questi voti a tutti imparto, in pegno di costante affetto, una speciale Benedizione.


AL SEMINARIO FILOSOFICO


TEOLOGICO INTERNAZIONALE «GIOVANNI PAOLO II»


Venerdì, 10 maggio 1996




Venerati Fratelli nell’Episcopato
e nel sacerdozio!
Carissimi Seminaristi!

1. Con grande gioia vi accolgo e porgo a ciascuno di voi un saluto cordiale. In particolare saluto il Rettore, Mons. Piero Paracchini, e Mons. Stanislao Andreotti che ringrazio per le espressioni rivoltemi poc’anzi a nome di tutti voi.

Dieci anni or sono nasceva in Roma lo Studentato "Giovanni Paolo II", eretto tre anni dopo in Seminario Filosofico Teologico Internazionale. Al termine del primo decennio di vita dell’Istituto, è molto opportuna questa sosta per rendere grazie al Signore di quanto è stato possibile realizzare, per riflettere sul cammino compiuto e per approfondire le motivazioni che stanno alla base dell’opera.

129 2. Sullo sfondo dell’attuale stagione ecclesiale, mentre il popolo di Dio, arricchito e come "fermentato" dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II, si proietta ormai verso il terzo millennio cristiano, risalta con maggior evidenza la specificità del vostro Seminario. Essa si può riassumere nell’impegno di formare a Roma sacerdoti provenienti da Chiese particolari del mondo intero, talora meno provviste di mezzi, perché siano ministri della nuova evangelizzazione.

Nel Decreto conciliare Presbyterorum Ordinis, di cui l’anno scorso è stato commemorato il trentennale, si trova un’affermazione, che riveste particolare valore per il progetto educativo del vostro Seminario: "Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto - dice il Concilio - non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì ad una vastissima e universale missione di salvezza, "fino agli estremi confini della terra" (
Ac 1,8), dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli" (Presbyterorum Ordinis PO 10).

Giustamente, pertanto, nel vostro Seminario ci si preoccupa di formare i candidati al presbiterato in uno spirito "veramente cattolico, che li abitui a guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito, e ad andare incontro alle necessità della Chiesa intera, pronti nel loro animo a predicare dovunque il Vangelo" (Optatam totius OT 20). Il fatto di accogliere seminaristi provenienti da Paesi meno fortunati costituisce un segno di fattiva solidarietà ecclesiale ed una prima espressione di quella "fraternità sacramentale" che tutti i presbiteri sono chiamati ad esercitare nel corso del loro ministero.

3. Carissimi, vi incoraggio a proseguire in questa impostazione, restando sempre attenti alle necessità della Chiesa, docili alle sollecitazioni della Santa Sede e consapevoli che l’intero progetto formativo-apostolico di un seminario poggia sulla dimensione spirituale, cioè sul rapporto personale con Cristo nello Spirito Santo.

A tale riguardo, risulta provvidenziale che il vostro Seminario sia posto sotto il segno del mistero dell’Annunciazione di Maria. In questo mese di maggio la tradizione della Chiesa ci invita a contemplare con più frequenza e fervore l’esempio della Madre di Dio. Meditare sul suo "Sì", per assimilarne la singolare esemplarità, costituisce una sorgente inesauribile di ispirazione. L’"eccomi" della Vergine rispecchia pienamente l’"eccomi" di Cristo nell’atto di venire nel mondo. Esso è dunque un "eccomi" sacerdotale, che trova il suo pieno compimento sotto la croce. E proprio sotto la croce la maternità di Maria, donata dal Figlio crocifisso ai discepoli, diventa maternità universale.

Carissimi seminaristi, è dalla contemplazione di Maria che voi potete attingere abbondante linfa spirituale per la vostra vocazione di futuri sacerdoti al servizio della nuova evangelizzazione. E voi, sacerdoti dell’Opera Missionari di Gesù Eterno Sacerdote che assicurate la formazione in questo Seminario, lasciatevi sempre rigenerare da questa linfa soprannaturale.

Vi assicuro a tal fine un costante ricordo nella preghiera ed imparto di cuore a voi qui presenti ed ai vostri cari la mia affettuosa Benedizione.


AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA GENERALE


DEL CONSIGLIO SUPERIORE


DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE


Sala Clementina - Sabato, 11 maggio 1996




Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Carissimi Fratelli e Sorelle!

130 1. A tutti ed a ciascuno porgo il mio cordiale e caloroso saluto, cominciando dal Signor Cardinale Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che ringrazio per le gentili espressioni rivoltemi a nome di tutti e per le interessanti informazioni circa le attività delle Pontificie Opere Missionarie.

Estendo il mio grato pensiero a Mons. Charles Schlecht, Segretario aggiunto di codesto Dicastero e Presidente del Consiglio Superiore delle Pontificie Opere Missionarie, ai Segretari Generali, ai Direttori Nazionali ed a quanti prestano la loro opera a servizio delle Pontificie Opere Missionarie.

L’odierno incontro si svolge nel contesto dell’Assemblea annuale del Consiglio Superiore delle Pontificie Opere Missionarie, a cui è affidato, come è stabilito negli Statuti, il compito di promuovere "lo spirito missionario universale in seno al Popolo di Dio... mediante una cooperazione spirituale e materiale all’opera di evangelizzazione. Esse creano un fondo centrale di solidarietà per sostenere un programma di assistenza universale" (Statuti, Cap. I, n. 3). Venendo dai vari continenti, voi vi fate interpreti delle attese dei popoli ai quali, attraverso le Pontificie Opere Missionarie, vi sforzate di far pervenire il Vangelo "fino agli estremi confini della terra" (
Ac 1,8).

2. L’animazione missionaria, che costituisce il vostro compito primario, è dunque importante e quanto mai urgente. Voi vi prendete cura degli evangelizzatori, sostenete l’azione coraggiosa dei missionari e non trascurate alcuna occasione per trasmettere a tutti la consapevolezza della missione. In particolare, vi dirigete ai piccoli per infondere in loro, "fin dall’infanzia, uno spirito veramente universale e missionario" (Ad gentes AGD 38).

Carissimi Fratelli e Sorelle, proseguite in questo sforzo apostolico valorizzando ogni apporto per l’opera dell’evangelizzazione e prestando singolare attenzione alla preghiera dei piccoli ed al contributo prezioso di quanti soffrono. Il primo servizio che possiamo rendere alla diffusione del Regno di Dio, come l’esempio della vostra patrona S. Teresa del Bambino Gesù rende ben visibile, è la preghiera.Gesù ha chiesto "di pregare il padrone della messe, perché invii operai nella sua messe" (cf. Mt Mt 9,37). Riceviamo da lui la fede, come il dono più prezioso. È dono che va custodito gelosamente e responsabilmente approfondito; dono che si conserva e cresce nella misura in cui viene condiviso e comunicato ai fratelli.

A tal proposito, risulta indispensabile il compito dei missionari giacché, come ricorda san Paolo, "la fede dipende dalla predicazione" (Rm 10,17). Attraverso ogni mezzo a disposizione suscitate, carissimi Fratelli e Sorelle, vocazioni generose per la missione; incoraggiate e sostenete quanti il Signore chiama a consacrarsi per la propagazione del Regno di Dio. Il mondo ha fame e sete di Cristo e del suo amore misericordioso. L’organizzazione delle vostre quattro Opere contribuisce notevolmente a far prendere coscienza a tutti i cristiani che "ciascuno, in realtà, è chiamato a cooperare a tale missione" (Discorso all’Udienza generale, 19 aprile 1995).

3. Sono nate proprio per questo le Pontificie Opere Missionarie. I loro fondatori e fondatrici intesero operare per il bene delle Chiese locali di tutto il mondo; si dettero da fare perché ogni Comunità ecclesiale potesse giungere ad una fede adulta, fosse provvista di clero autoctono ed organizzata in strutture rispondenti alla cultura del luogo. Voi continuate a camminare in questo solco, con dedizione e lungimiranza. E vi preoccupate anche di assicurare i mezzi finanziari indispensabili per la realizzazione dei vostri progetti.

Nei vari stadi dell’attività missionaria che il Decreto conciliare Ad gentes descrive (cf. n. 6), possono vedersi in qualche modo rispecchiate le finalità che le vostre diverse Opere intendono perseguire. La Pontificia Opera della Santa Infanzia si preoccupa dell’inizio o plantatio della coscienza missionaria; l’Opera della Propagazione della Fede rivolge la sua attenzione all’educazione nella vita di fede; l’Opera di San Pietro Apostolo si dedica alla formazione della comunità locale, con clero e membri di vita consacrata originari del luogo. Lo sviluppo delle vocazioni sacerdotali e religiose, come pure la creazione di strutture utili alla cooperazione missionaria mediante il lavoro di sacerdoti e di consacrati, è affidato alle fatiche dell’Unione Missionaria.

Ringrazio il Signore per quello che voi avete compiuto e vi incoraggio a intensificare le iniziative e gli sforzi missionari. Ampio è infatti il lavoro da svolgere considerando i territori in cui la Chiesa non è stata ancora fondata, o in cui il numero di cristiani è molto esiguo. Sottolineavo nell’Enciclica Redemptoris missio, che "il numero di coloro che ignorano Cristo e non fanno parte della Chiesa è in continuo aumento, anzi dalla fine del Concilio (Vaticano II) è quasi raddoppiato" (n. 3). Nella recente Esortazione post-sinodale Ecclesia in Africa, ho avuto modo di richiamare "l’esplicita raccomandazione dei Padri sinodali perché si stabiliscano le quattro Pontificie Opere Missionarie in ciascuna Chiesa particolare e in ciascun Paese, come mezzo per realizzare una solidarietà pastorale organica in favore della missione "fino agli estremi confini della terra"" (n. 135). Sì, carissimi Fratelli e Sorelle, il vostro compito non è ancora terminato: la Chiesa ha bisogno di voi! Andate avanti nella vostra attività. Essa - lo so bene - non è facile, ma ricca di speranze.

4. Grazie al vostro impegno, le Chiese di antica fondazione potranno dirigere la loro solidarietà verso i più urgenti campi dell’evangelizzazione. Nel secolo scorso, le Opere Missionarie europee sostennero le Chiese dell’allora Nuovo Mondo americano; oggi sono queste ultime ad aiutare le Comunità cristiane di recente fondazione. Così, il Popolo di Dio cresce e si sviluppa. Resta, però, l’esigenza della missione ad gentes, la quale "ha davanti a sé un compito immane che non è per nulla in via di estinzione" (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio RMi 35). Essa è addirittura ancora agli inizi (cf. Ivi, 40). È necessario, pertanto, un rinnovato fervore per rispondere adeguatamente alle sfide dell’epoca contemporanea. Al coraggio e all’audacia degli Apostoli si ispirarono i fondatori delle Opere Missionarie. Lo stesso entusiasmo sia vostro oggi, sapendo che l’attività missionaria rappresenta ancor oggi una grande sfida per la Chiesa (cf. Ivi, 40). Siate ardimentosi ed abbiate fiducia. Cristo ha assicurato: "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,19).

Vi accompagni in questo cammino la Vergine Santissima, Regina delle Missioni, e sostenga ogni vostra fatica nel promuovere la coscienza e la collaborazione missionaria.

131 Con tali sentimenti, mentre ringrazio voi e tutti quelli che cooperano a questa nobile causa, di cuore imparto a ciascuno l’Apostolica Benedizione.


AI PELLEGRINI DELLA DIOCESI DI LECCE


E DELLA DIOCESI DI FAENZA-MODIGLIANA


Aula Paolo VI - Sabato, 11 maggio 1996

Signori Cardinali,

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono molto lieto di accogliervi in occasione dell’odierna Udienza speciale, che si svolge nell’intenso clima di gioia e di festa caratteristico del tempo pasquale.

Mi rivolgo innanzitutto a voi, carissimi Fratelli e Sorelle dell’Arcidiocesi di Lecce, che con questo pellegrinaggio intendete ricambiare la mia Visita pastorale del 17 e 18 settembre 1994 alla vostra bella ed attiva Comunità diocesana. Allo stesso tempo, siete venuti a Roma anche per partecipare al lieto evento della beatificazione di Filippo Smaldone, un Sacerdote che ha seminato tanto bene nella vostra Arcidiocesi e nel Sud dell’Italia. Saluto con affetto il vostro caro Arcivescovo, Mons. Cosmo Francesco Ruppi, che ringrazio per le significative parole pronunziate poc’anzi. Il mio pensiero va inoltre ai Sacerdoti, ai Religiosi, alle Religiose ed a quanti partecipano a quest’incontro, che mi richiama alla mente il calore della squisita ospitalità della vostra Città e della vostra Regione.

Un cordiale benvenuto giunga anche a voi, cari fedeli della Diocesi di Faenza-Modigliana e care Suore Ospedaliere della Misericordia, che esultate per la prossima beatificazione di Maria Raffaella Cimatti! Saluto in particolare il Cardinale Pio Laghi, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, ed il Cardinale Achille Silvestrini, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, entrambi originari della ridente terra di Romagna. Un affettuoso pensiero rivolgo inoltre al Pastore della vostra Diocesi, Mons. Francesco Tarcisio Bertozzi, che non ha potuto essere presente all’odierno incontro a causa dell’infermità che l’ha colpito. Assicuro uno speciale ricordo nella preghiera per lui e, conoscendone la sollecitudine pastorale, anche per le vostre Comunità parrocchiali e religiose, affinché l’esempio e l’intercessione di Maria Raffaella Cimatti rafforzi in tutti l’adesione a Cristo ed alla sua Chiesa.

2. Desidero ora ritornare con la mente e con la parola alla Visita che ho compiuto a Lecce oltre un anno fa, durante la quale, oltre ad incontrare l’entusiasmo degli abitanti del Salento, ebbi anche la gioia di aprire il Sinodo diocesano e di inaugurare e benedire il nuovo Seminario con annessa la Casa del Clero.

So che il cammino sinodale è entrato nella fase preparatoria e che le diverse comunità stanno studiando i Lineamenta.Esprimo il mio compiacimento per tale importante evento ecclesiale e vi esorto a proseguire con coraggio e lungimiranza nell’itinerario intrapreso.

In questa fase preparatoria non solo le parrocchie, ma tutte le comunità religiose e le associazioni laicali sono chiamate a riflettere insieme sui temi proposti dal Sinodo, a perseverare nella preghiera, nello studio e, in particolare, nell’esperienza di comunione. Nessuno deve sentirsi isolato nella Chiesa! Ogni persona, ogni comunità cristiana è chiamata a dialogare con la realtà nella quale è inserita e, soprattutto, a riscoprire continuamente la gioia di servire il Vangelo insieme con tutte le componenti del Popolo di Dio.

132 3. Invito gli operatori pastorali e i responsabili delle comunità, gli adulti e i giovani a proseguire generosamente in tale direzione. Fra gli incontri avuti nel corso delle mia Visita, mi resta scolpito nel ricordo quello con i giovani, ai quali indicai la via evangelica della sequela di Cristo. Mi rallegro nel sapere che è in atto un forte risveglio vocazionale e che nella pastorale giovanile e familiare, accanto alla catechesi ed alla liturgia, voi, carissimi Fratelli e Sorelle, state mettendo in primo piano il tema delle vocazioni. Il cospicuo gruppo di seminaristi che attualmente studia teologia fa ben sperare, ed è degno della vitalità pastorale dell’intera comunità leccese.

Ai sacerdoti, che gioiscono per l’imminente beatificazione di un loro illustre Confratello, canonico della Cattedrale di Lecce, rinnovo l’invito a dedicarsi con generosità e con gioia al servizio della Chiesa. Il mondo ha bisogno, oggi più che mai, di santi sacerdoti che, come Filippo Smaldone, spendano con gioia la propria vita per l’evangelizzazione e per la testimonianza della carità.

4. Il clima festoso di questo nostro incontro non deve tuttavia far dimenticare i numerosi e gravi problemi che affliggono la vostra terra ed ai quali già feci cenno nel corso della Visita alla vostra Città. Sono i problemi della disoccupazione, del degrado civile e morale e dell’immigrazione, che gravano sul Salento, come del resto su altre regioni d’Italia.

Per quanto concerne, in particolare, l’immigrazione, si rende necessaria una mobilitazione generale che, unendo gli sforzi delle popolazioni, delle Autorità ecclesiastiche e di quelle civili, trasformi le vostre città in luoghi di accoglienza e d’incontro.Per il cronico problema, poi, della mancanza di occupazione una prospettiva di speranza è offerta ora dalla più viva coscienza che mostrano di averne i responsabili della pubblica amministrazione e dal dichiarato impegno che, al riguardo, hanno assunto le Autorità politiche. Passi concreti devono essere fatti con urgenza per favorire l’aprirsi di nuovi posti di lavoro dando così, soprattutto ai giovani, la possibilità di realizzare se stessi mediante un’onesta attività lavorativa.

5. La beatificazione di Filippo Smaldone, apostolo e testimone della carità, stimoli la Chiesa di Lecce, le Suore Salesiane dei Sacri Cuori, da lui fondate, e le stesse popolazioni del Salento ad un maggiore impegno nell’amare Dio e i fratelli, specialmente quanti si trovano in difficoltà.

Insieme con la Famiglia religiosa, che gioisce per la glorificazione del Fondatore traendone nuovo slancio per il suo servizio in Italia, in Brasile e in Rwanda, invito i Religiosi e le Religiose dell’Arcidiocesi di Lecce ad approfondire la recente Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata. Essa li aiuterà a vivere più in profondità la loro consacrazione secondo il carisma dei rispettivi Fondatori.

Incoraggio poi i fedeli laici a camminare generosamente sulle vie proposte dal Sinodo diocesano, portando il lievito del Vangelo in tutti gli ambiti della cultura e della società.

Un’ultima parola desidero rivolgere a voi, cari Seminaristi. Perseverate nella generosa risposta al Signore che vi chiama, ricordando che servire Lui è lo scopo più bello che possiate dare alla vostra esistenza.

Carissimi Fratelli e Sorelle, augurandovi un proficuo e fecondo cammino sinodale, vi esorto ad essere fedeli al vostro ricco patrimonio di fede, di testimonianza della carità, di fedeltà alla Cattedra di Pietro.

6. Mi rivolgo ora a voi, carissimi Fratelli e Sorelle della Diocesi di Faenza-Modigliana, che insieme con le care Suore Ospedaliere della Misericordia, siete venuti a Roma per partecipare alla beatificazione di Maria Raffaella Cimatti. La nuova Beata soleva dire che l’ospedale è il campo di battaglia della Suora ospedaliera, dove ella può esercitare tutte le virtù cristiane in grado eroico, acquistandosi la corona promessa da Dio alla fine dei nostri giorni, se abbiamo servito il fratello nelle sue necessità psicofisiche.

Impegnandosi con generosità eroica a curare le piaghe del corpo, ella cercava di alleviare anche le sofferenze dell’anima. Così poté raggiungere le vette di una vita evangelica totalmente consacrata al servizio del prossimo bisognoso non solo di cure fisiche ma di consiglio, di aiuto e di sostegno morale e spirituale.

133 Maria Raffaella Cimatti è uno splendido esempio dello spirito che, nell’ottica cristiana, deve animare anche oggi l’assistenza ospedaliera: all’uomo sofferente ed ammalato occorre far scoprire la tenerezza e la misericordia di Dio. La nuova Beata costituisce perciò un prezioso modello non solo per le persone consacrate, ma anche per quanti, specialmente giovani, desiderano collaborare alla pastorale dei malati. Essa è inoltre insigne testimone dell’attenzione della Chiesa nei confronti del mondo della sofferenza, per portare tra i malati una parola ed un gesto di dolcezza e di conforto.

7. Carissimi Fratelli e Sorelle! Mentre ringraziamo con gioia il Signore per il dono di questi testimoni del Vangelo, siamo invitati a far tesoro della loro esperienza spirituale e degli esempi di eroica vita evangelica da loro offerti all’intera Comunità cristiana.

Vi do appuntamento alla solenne Liturgia di Beatificazione che si svolgerà domani, e vi invito, insieme a questi Servi di Dio, ad invocare Maria, sostegno e guida della nostra vita cristiana.

Con tali sentimenti, imparto di cuore a voi ed alle vostre Comunità di provenienza, in particolare agli ammalati, ai giovani ed alle famiglie, una speciale Benedizione Apostolica.


AI PELLEGRINI CONVENUTI A ROMA PER LA BEATIFICAZIONE


DEL CARDINALE ALFREDO ILDEFONSO SCHUSTER


Aula Paolo VI - Lunedì, 13 maggio 1996




Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Fratelli e Sorelle nel Signore!

1. Sono lieto di incontrarvi in questa occasione festosa ed insieme familiare, il giorno dopo la solenne Beatificazione del Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. Porgo a tutti il mio cordiale benvenuto. Saluto in modo particolare il vostro Arcivescovo, il Signor Cardinale Carlo Maria Martini, i Presuli presenti e, con loro, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, il Sindaco, le Autorità civili e tutti coloro che, in vario modo, hanno collaborato alla buona riuscita del vostro pellegrinaggio.

L’odierna circostanza vi offre l’opportunità di ritornare con grata memoria alla vita di colui che per 25 anni è stato amato e venerato Pastore della vostra Chiesa, sedendo sulla Cattedra episcopale che fu del santo patrono Ambrogio, del quale vi state preparando a celebrare solennemente il 16° centenario della morte, il 4 aprile del prossimo anno.

Del Card. Schuster tracciò un profilo incisivo il successore, l’allora Arcivescovo Giovanni Battista Montini, in occasione del suo ingresso nell’Arcidiocesi ambrosiana: "Noi, - disse - avidi di conforto e di speranza, rievochiamo ora la tutelare figura di lui, gracile e forte; assorto continuamente "nei pensieri contemplativi", ma rapido e sicuro a decifrare l’essenziale d’ogni scena esteriore; proteso sempre e frettoloso all’opera sua, ma sempre dolce e indulgente per ogni ricorso al suo consiglio e alla sua autorità; austero e libero".

134 2. Il Beato Alfredo Ildefonso fu uomo "austero e libero" insieme, grazie alla profonda e solida spiritualità maturata alla scuola di san Benedetto, del quale assunse il programma: "Ora, labora et noli contristari". Sotto la guida del Beato Placido Riccardi, egli formò la propria vita come studente, novizio, monaco ed abate nel più genuino spirito benedettino. Col passare degli anni la preghiera divenne sempre più importante per lui, consentendogli di immergersi in quel Dio che solo poteva colmare la sua sete di amore. Quando era davanti al tabernacolo, il suo sguardo era come rapito. Da questa unione con il Signore egli traeva forza per sostenere la fatica da cui era scandita la sua giornata e dare il meglio di sé in ogni momento. Ebbe a scrivere: "Non vi è altra cosa su questa terra che attendere all’unione con Dio. Tutto il resto è nulla" (Schuster, Lettere dell’amicizia, 83).

Egli si distinse anche per un’intensa capacità di lavoro: ne è testimonianza la dedizione agli studi di storia e liturgia, che continuò a coltivare anche tra gli impegni incalzanti del ministero episcopale. Tutto avveniva in un clima di profonda serenità e gioia, atteggiamento interiore al quale egli, da vero figlio di san Benedetto, attribuiva un significato soprannaturale.

Sorge quasi naturale la domanda: come ha egli potuto conciliare attività e contemplazione e conservare un armonico equilibrio tra ansia apostolica e pace interiore? Ciò fu possibile perché egli riconobbe il primato di Cristo, al cui amore - secondo la massima della Regola - nulla si deve anteporre (cf. 4,21; 72,11). Si comprende allora l’ampio spazio da lui dato alla contemplazione e, in modo speciale, alla Liturgia e al Testo Sacro, la cui lettura assidua - la "lectio divina"! -non si stancava di raccomandare soprattutto ai sacerdoti e alle persone consacrate.

3. Il programma di san Benedetto "Ora, labora et noli contristari" può essere assunto come traccia per interpretare il suo lungo ministero episcopale a servizio del popolo ambrosiano.

"Ora", innanzitutto: la preghiera intensa, diffusa nella giornata, nutrita di respiro ecclesiale divenne il fondamento del suo instancabile ministero. Il popolo, vedendolo pregare, sentiva di trovarsi di fronte ad un santo.

L’altro punto del programma era il benedettino "labora": il Beato Alfredo Ildefonso volle che la sua vita fosse consumata dallo zelo pastorale, espresso in molteplici forme e modalità. Ricordo le cinque visite pastorali alle numerose parrocchie della vasta Arcidiocesi milanese; la partecipazione alla Santa Messa Capitolare della Cattedrale in ogni domenica e solennità; i cinque sinodi diocesani; il concilio provinciale nono; i sinodi minori, celebrati quasi ogni anno; i congressi eucaristici, mariani, catechistici, liturgici, delle Confraternite del Santissimo Sacramento e degli Oratori, vere testimonianze corali di fede; la celebrazione di particolari centenari, mezzo per appropriate catechesi; la presenza ovunque ci fosse da consolare o da portare aiuto, anche mediante concrete iniziative caritative ed assistenziali, soprattutto, ma non solo, durante il secondo conflitto mondiale, per la cui conclusione si adoperò con fiducioso coraggio e cristiana pietà; la costruzione di parecchie nuove chiese, per le necessità religiose sempre crescenti del popolo di Dio.

Sostenitore convinto del ruolo formativo degli oratori e della necessità dell’insegnamento della dottrina cristiana, volle che lo stesso zelo pastorale animasse il clero ed i laici, soprattutto coloro che appartenevano all’Azione Cattolica, da lui difesa con fermezza da ogni tentativo di ingerenza politica. Un’amorevole e vigile attenzione dedicò al Seminario diocesano, la cui sede principale di Venegono Inferiore, da lui voluta ed inaugurata, conserva con venerazione la stanza in cui concluse la sua vita terrena, stanza in cui anch’io ho avuto la grazia di sostare nel 1983.

Terzo elemento della sua spiritualità fu il "noli contristari": la gioia, la fiducia, la speranza, furono le componenti di un atteggiamento spirituale in lui così evidente da "contagiare" anche chi gli si avvicinava. Giunto al termine della sua laboriosa giornata terrena, scriveva ai giovani dell’Azione Cattolica: "Che dirvi, miei cari giovani, che già non vi ho detto? ... Dio ci benedica tutti e siate sempre ottimisti" ("Rivista Diocesana Milanese" 43 (1954), 269).

4. Tutta la sua esistenza si potrebbe riassumere nell’immagine di un cammino verso la santità. Ai seminaristi, pochi giorni prima della sua pia morte, disse: "La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione; ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega" (Scritti del Card. A. Ildefonso Schuster, Venegono Inferiore, 1959, 25). Ed i funerali, ai quali il popolo milanese prese parte in massa con commosso raccoglimento, offrirono delle sue parole un’eloquente testimonianza.

Carissimi Fratelli e Sorelle, possa la Beatificazione di questo figlio di Roma e Pastore della Chiesa Ambrosiana costituire per voi e per l’intera vostra Comunità Arcidiocesana uno straordinario evento di gioia. Sia spinta a sempre più coraggioso rinnovamento spirituale, per il quale non vi mancherà certo l’intercessione del nuovo Beato.

Ritornando alla vostra terra, al vostro bel Duomo che ne custodisce le spoglie mortali, insieme a quelle del mio e vostro patrono san Carlo Borromeo, del Beato Andrea Carlo Ferrari e di altri santi Vescovi milanesi, partecipate a tutti la gioia sperimentata in questi giorni. Soprattutto imitate la vita, lo spirito di preghiera, l’amore generoso, lo zelo apostolico del Cardinale Schuster.

135 Con questi auspici, imparto di cuore a voi ed alla veneranda ed attiva Arcidiocesi Ambrosiana una speciale Benedizione Apostolica.

Prima di concludere, vorrei ancora ringraziare il Cardinale Carlo Maria Martini, vostro Arcivescovo e successore del Cardinale Schuster, per aver voluto rievocare la misericordia divina manifestatasi, riguardo alla mia persona, quindici anni fa. Era il 13 maggio, come oggi

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