GP2 Discorsi 1996 143

143 4. Proprio in questa direzione la Slovenia ha fatto un grande e promettente passo con la reintegrazione della Facoltà di teologia in seno all’Università. Inserita nel quadro delle altre discipline la teologia, mentre mostra di accettare pienamente la sfida della razionalità, non può non provocare la razionalità stessa ad aprirsi al Mistero che la trascende. Nell’adempimento poi del suo compito - la proposta e l’approfondimento della "verità del Vangelo" (Ga 2,5) - essa getta luce anche sul senso della vita e della storia, recando così un insostituibile contributo all’edificazione del mondo e alla promozione della convivenza fra gli uomini. La sua "efficacia" non può essere certo misurata con i criteri della "razionalità tecnologica", ma non deve per questo essere considerata meno reale né meno necessaria.

5. Nella prospettiva elaborata dalla teologia, la scienza stessa può incontrare alle sue frontiere un nuovo orizzonte e riconoscere di aver bisogno di un "compimento" al di là di esse. È un incontro, questo, che nell’attuale fase della cultura sembra particolarmente decisivo per le sorti della stessa speranza terrena. È noto, infatti, come la caduta delle grandi ideologie abbia messo a dura prova l’ottimismo di un certo umanesimo laico che ha dominato a lungo la scena culturale. Oggi la tentazione prevalente non è più quella di fondare ogni cosa sulla ragione umana, ma di rinunciare alla prospettiva stessa di una qualsiasi fondazione, per abbandonarsi ad una pericolosa deriva scettica, all’insegna della stanchezza e della frustrazione.

In questo contesto di profonda crisi culturale riemerge in molti scienziati la persuasione che scienza e fede non si possono più ignorare, e che è necessario costruire un ponte tra l’una e l’altra. Non si tratta di un avvicinamento dettato solo da ragioni contingenti. In realtà, la domanda religiosa non può essere soffocata nel cuore dell’uomo, e la stessa visione del mondo offerta dalla scienza non può non rimandare a interrogativi radicali: perché la natura è razionalmente conoscibile? Perché è ordinata e non caotica? Il dinamismo armonico del cosmo solleva la questione della causalità metafisica e della finalità ultima di tutto ciò che esiste. Conclusasi l’epoca dello scientismo, si vede con maggior chiarezza che la prospettiva della fede non si oppone a quella dell’autentico sapere scientifico. Al contrario, ci si rende conto che tra esse, pur nella distinzione dei piani e delle rispettive competenze, si può instaurare un dialogo fecondo.

6. È un dialogo che si presenta particolarmente urgente soprattutto in relazione a problemi molto concreti della vita individuale e sociale. Si tratta di problemi complessi, a volte drammatici. Molti di essi sono connessi col riconoscimento del carattere trascendente della persona umana e dei suoi diritti inalienabili, a partire dal suo concepimento fino al suo naturale tramonto. Il mondo della scienza e della cultura è chiamato ad un impegno speciale in questo ambito, soprattutto attraverso la scuola e le altre istituzioni educative. Mi rivolgo, pertanto, a voi, portatori di grandi responsabilità nella vita pubblica: non spegnete la fiamma della fede nelle giovani generazioni; alimentate in esse l’attaccamento a quei valori che possono proteggerle dallo scetticismo, dall’egoismo, dalla violenza, dalla droga. Voi, pensatori, scienziati, artisti, voi che avete dato a suo tempo un contributo decisivo alla difesa dei diritti umani nel vostro Paese, continuate a mantenere alta la guardia, perché nessuno di essi venga in qualche modo insidiato. In particolare, fatevi paladini del diritto di professare la fede in privato e nella vita pubblica.

La Chiesa, da parte sua, non ha altra ambizione che quella di annunciare all’uomo la salvezza in Gesù Cristo. Non abbiate paura di Cristo! Non abbiate paura della Chiesa! Essa è al fianco di quanti hanno a cuore la dignità dell’uomo e la sua autentica libertà. Essa è stata e continuerà ad essere fedele custode della vostra memoria storica e delle tradizioni più nobili della nazione slovena.

7. Signore e Signori! È di fondamentale importanza promuovere e sviluppare la cultura e la scienza. Lo è per la crescita integrale dei singoli uomini, lo è anche per la vita dei popoli. Solo una cultura nazionale viva e ricca vi proteggerà dal pericolo di confondervi e quasi di "sparire" in un mondo esposto al rischio del livellamento in una piatta uniformità. Al tempo stesso, essa faciliterà il vostro inserimento, su piede di perfetta parità con gli altri Paesi, nella nuova Europa, recando il vostro specifico contributo nel concerto delle Nazioni.

Guidi il vostro impegno la consapevolezza che la Slovenia, nella sua lunga e non facile storia, ha avuto nella fede cristiana una componente essenziale della propria cultura. Rispettare e conservare la fede ricevuta 1250 anni fa, riconoscere alla Chiesa il posto che le spetta nella vita pubblica, senza privarla dei mezzi necessari per lo svolgimento della sua missione, non è solo un’esigenza di giustizia in uno Stato di diritto, ma anche una delle condizioni per la salvaguardia della vostra stessa identità.

La fedeltà a questa cultura, permeata di fede cristiana, è la migliore garanzia per il vostro futuro. Ve lo auguro ricco di speranza, segnato dalla benedizione di Dio, mentre ci avviamo con trepidazione e fiducia verso il terzo Millennio ormai alle porte.

Grazie per il vostro ascolto attento e cordiale. Iddio benedica le vostre persone ed il vostro lavoro!

VISITA PASTORALE IN SLOVENIA

CERIMONIA DI CONGEDO

DISCORSO DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II


Aeroporto di Maribor - Domenica, 19 maggio 1996




Signor Presidente!
144 Carissimi Cittadini della Repubblica Slovena!

1. La permanenza in mezzo a voi, in questi brevi giorni, è stata per me motivo di intima e crescente gioia. Grazie per la vostra accoglienza e per le vostre costanti premure. Ho potuto ammirare come la Slovenia sia patria di straordinarie personalità che, per fede e rettitudine di vita, per magnanimità, sapere e creatività, costituiscono il patrimonio spirituale e culturale dell’intera comunità nazionale. Ho avuto modo, soprattutto, di rendermi conto, nelle celebrazioni liturgiche e negli altri incontri, che la Slovenia ha voluto e saputo mantenersi saldamente radicata nella sua millenaria fedeltà a Cristo e alla Chiesa.

Un vostro grande poeta, cantando le bellezze di questo Paese, ha detto che esso offre l’immagine di un paradiso: s’adagia sulle coste dell’Adriatico, s’inerpica sul Carso fino ai piedi delle cime innevate, s’adorna di colli ricoperti di ubertosi vigneti, s’espande in fertili pianure; è ricco di corsi d’acqua e di estese foreste.

Mantenete intatto il volto di questa Terra stupenda che Dio vi ha affidato; non permettete che venga meno la nobile tradizione civile e spirituale che ha caratterizzato la storia del vostro popolo! Proseguite con coraggio e tenacia sulla strada del progresso, portando sempre con voi i valori del vostro ricco patrimonio culturale.

Slovenia, lo straniero che qui giunge possa godere dell’aria pura dei tuoi monti e delle tue valli, dissetarsi alle acque incontaminate dei tuoi rivi, ricrearsi nella contemplazione riposante dei tuoi meravigliosi paesaggi. Ma più ancora possa tonificarsi spiritualmente al contatto con la bontà ospitale dei tuoi abitanti, con la cristallina onestà dei costumi, col messaggio di ottimismo e di speranza che sgorga dalla fede cristiana vissuta con austera semplicità.

2. Nel corso di questo mio breve soggiorno, ho potuto notare gli sforzi che il popolo di Slovenia non risparmia per realizzare un progresso autentico a beneficio di tutti. Se è vero che non è possibile risolvere d’un tratto le difficoltà economiche ereditate dal passato, è pur certo che con la pazienza, la disponibilità al dialogo, la capacità di perdono e di riconciliazione sarà possibile per tutti guardare con fiducia verso l’avvenire. Insieme, infatti, si possono più facilmente affrontare le sfide dell’ora attuale ed elaborare proposte di soluzione soddisfacenti.

Fratelli e Sorelle della Slovenia, siate sempre un popolo unito e concorde: una famiglia di famiglie, fra le quali regnano l’amore e l’aiuto vicendevole. Le trasformazioni sociali e culturali del momento presente toccano certo anche la vita e le abitudini familiari, ma non devono creare per esse conseguenze nefaste. Perché ciò non avvenga, occorre che in ogni casa si cerchi di tutelare e trasmettere con coerenza e convinzione il patrimonio di fede e di civiltà ereditato dagli antenati.

Chi potrebbe, infatti, mettere in dubbio l’apporto determinante che alla costruzione di una famiglia prospera ed unita arreca l’accettazione convinta dei valori evangelici? Una famiglia che pone in Cristo e nella sua parola il proprio riferimento essenziale trova lì il fondamento sicuro per quell’intesa stabile ed armoniosa che tanta importanza riveste per la crescita di figli felici e buoni.

3. Signor Presidente, carissimi Fratelli e Sorelle, nel momento in cui mi accingo a lasciare quest’accogliente Terra, vorrei manifestare a tutti la mia commossa gratitudine. A questa Nazione ed ai suoi cittadini affido simbolicamente la lampada della Fede accesa 1250 anni fa: in tutti questi secoli, pur tra vicende drammatiche, la lampada non si è mai spenta, anzi ha suscitato sentimenti e iniziative che fanno onore ai vostri antenati.

Con nelle mani questa stessa lampada, cristiani di Slovenia, dirigetevi ora coraggiosamente, quali pellegrini di speranza, verso il terzo Millennio cristiano per costruire una società riconciliata che garantisca pace e concordia ai vostri figli. È questo il cordiale augurio che vi rivolgo in quest’ora tanto significativa: lo rivolgo a voi, cari bambini, che portate ancora intatto nel cuore lo stupore per il mondo e per la vita; a voi, giovani e ragazze, che guardate verso l’avvenire con trepidante attesa; a voi, donne e uomini, che costituite le colonne portanti della Nazione slovena; a voi, anziani, che, nonostante il declino delle forze, potete ancora offrire tesori di saggezza per il bene della comunità; a voi, malati, che partecipando alla croce di Cristo contribuite alla salvezza del mondo; e infine a voi, Sloveni, venuti da diverse parti del mondo per salutarmi nella vostra terra d’origine e rendere con me gloria a Dio per la libertà ritrovata.

A tutti va il mio saluto affettuoso, che estendo ai cristiani della Chiesa ortodossa, della Comunità evangelica, ai membri di altre Comunità ecclesiali, nonché ai fedeli musulmani. Saluto pure i membri delle minoranze etniche, i profughi della guerra e coloro per i quali la Slovenia è la patria o solo il luogo di una dimora temporanea. Il mio cordiale ricordo giunga agli Sloveni che si trovano oltre confine e in ogni angolo del mondo; ad essi auguro di conservare intatta la fede in Dio e la fedeltà alla Patria.

145 Un sincero ringraziamento per la squisita ospitalità rinnovo a Lei, Signor Presidente della Repubblica Slovena, alle Autorità civili, ai diversi organismi di vigilanza, di servizio d’ordine e di pronto soccorso, come pure a quanti hanno reso possibile questa mia Visita.

Rinnovo un fraterno saluto ai Confratelli nel ministero episcopale che, insieme al Metropolita Alojzij Šuštar, operano nella Chiesa che è in Slovenia in stretta collaborazione con i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i laici.

A tutti di cuore, grazie!

Dio benedica la Slovenia, i suoi abitanti ed il loro impegno per la giustizia, la solidarietà, la pace!


AI PELLEGRINI DELLA DIOCESI DI BIELSKO-ZYWIEC


Aula Paolo VI - Giovedì, 23 maggio 1996




1. "Te Signore lodiamo, in Te Signore confidiamo ( . . . ) Te loda l’esercito candido dei Martiri". Queste parole provenienti dall’inno di ringraziamento "Te Deum", accompagnarono il mio incontro con la Chiesa di Bielsko-Zywiec a Skoczòw. Oggi le ripeto a Roma, alla soglia degli Apostoli, come saluto a un gruppo così numeroso di pellegrini di quella diocesi. Saluto con gioia il caro S.E. Mons. Tadeusz, ordinario della diocesi di Bielsko-Zywiec, il suo collaboratore S.E. Mons. Janusz e i sacerdoti che rappresentano tutto il presbiterio della diocesi. Saluto i rappresentanti del voivodato e delle città. Do il benvenuto e saluto cordialmente tutti i pellegrini qui radunati. Tramite voi voglio salutare anche gli assenti, a noi congiunti spiritualmente. Quando mi trovavo sul colle di "Kaplicówka" abbracciavo con lo sguardo e con il cuore la terra di Bielsko, Zywiec, la Slesia di Cieszyn, Oswiecim, Kety e Andrychów. Oggi dal colle Vaticano il mio sguardo si dirige verso tutta la Polonia meridionale. Essa rimane sempre vicina al mio cuore per le mie radici, per la nostalgia della sua struggente bellezza, ma soprattutto per la testimonianza antica e attuale della sua fedeltà al Vangelo e alla Chiesa, della quale mi sono nutrito abbondantemente sin dagli anni della prima giovinezza.

Vi saluto con le parole del "Te Deum" perché siete venuti qui a rinsaldare, insieme con il Papa e con tutta la Chiesa, il sentimento di gratitudine per il dono del Santo martire Jan Sarkander e del Santo martire Melchior Grodziecki, figli della terra di Cieszyn. So che questo è un ringraziamento costante. Il vostro pellegrinaggio a Roma è stato preceduto da lunghi preparativi, con incontri di preghiera mensili nelle vostre parrocchie.

Nello stesso tempo desidero ringraziare calorosamente Mons. Tadeusz per la sua introduzione, così cordiale e approfondita, che facilita la nostra reciproca comprensione durante questo odierno incontro.

2. Cari fratelli e sorelle! Siete una Chiesa giovane. Nella gioventù si trova quel dinamismo grazie al quale si possono intraprendere e affrontare senza paura sfide sempre nuove. Bisogna che la Chiesa di Bielsko-Zywiec con tenacia e volontà compia lo sforzo di formare il suo presente e il suo futuro. Di fronte a una simile sfida si trovarono i discepoli di Cristo all’inizio della storia della Chiesa. Gli Atti degli Apostoli raccontano della vita quotidiana delle prime comunità cristiane. Possiamo anche oggi imparare da loro che cosa fare per poter usare questa vitalità interna di una Chiesa giovane al fine del suo sviluppo. "Essi partecipavano assiduamente alle istruzioni degli apostoli, alla vita comune, allo spezzare del pane e alle preghiere. (...) Tutti i credenti poi, stavano riuniti insieme e avevano tutto in comune: le loro proprietà e i loro beni li vendevano e ne facevano parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano assidui nel frequentare insieme il tempio, e nelle case spezzavano il pane, prendevano il cibo con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo" (Ac 2,42-47).

La tradizione apostolica che la Chiesa recepiva era il messaggio della salvezza, della vita, della morte e della resurrezione di Cristo. Era anche il messaggio per quell’uomo che riconosce che Cristo è morto per lui e perciò non vuole rimanere indifferente a questo amore redentore. Era anche appello alla fedeltà. Sono cambiati i tempi, sono cambiate le situazioni, si sono succeduti i regnanti, ma i discepoli di Cristo fedelmente "perduravano nell’insegnamento degli Apostoli". Ad alcuni questa fedeltà è costata cara, spesso in nome di essa donavano la propria vita.

A Skoczòw dicevo: "La testimonianza dei martiri per noi è sempre una sfida che provoca e costringe alla riflessione. Chi preferisce donare la propria vita piuttosto che mettersi contro la voce della propria coscienza può suscitare ammirazione oppure odio, ma sicuramente non indifferenza per la sua scelta. I martiri ci chiedono soprattutto il resoconto della fedeltà alla nostra coscienza". Oggi ripeto queste parole perché questa fedeltà è la prima condizione dell’esistenza e dello sviluppo della Chiesa. Se i figli della Chiesa portano nelle loro coscienze una consapevolezza viva della loro identità, la comunità ecclesiale non deve temere alcun pericolo. Oggi riscontriamo nella Polonia tentativi atti a ridicolizzare la religione e a mettere in discussione l’autorità della Chiesa attraverso manipolazioni dell’informazione o disinformazione mirata della società sul tema dei rapporti tra Chiesa e Stato. Sono pericolosi i tentativi di depravazione delle giovani generazioni attraverso la promozione di uno stile di vita privo di senso di responsabilità verso la dignità e la forma della propria vita e di quella degli altri. Il principio che regnava ai tempi di Jan Sarkander: "Cuius regio eius religio", sembra che oggi prenda una forma di vita programmata ateisticamente.

146 3. Di fronte a questa realtà diventa particolarmente attuale il richiamo di S. Leone Magno Papa "Conosci, cristiano, la tua dignità!". Il discepolo di Cristo dovrebbe sapere che è chiamato a portare con dignità il nome di cristiano. Questo senso della propria dignità è un obbligo. Esso richiede una retta coscienza. (Ricordo quello che dicevo a Skoczòw: Essere uomo di coscienza vuol dire "ascoltare la propria coscienza in ogni situazione senza soffocarne la voce"; "impegnarsi nel bene e moltiplicarlo in sé e alzarsi dalle proprie cadute"; "impegnarsi nella costruzione del regno di Dio, regno di verità e di vita, di giustizia e di pace").

Oggi la Polonia ha nuovamente bisogno di gente che dia testimonianza del valore della verità. Oggi in un’epoca di cambiamenti, la Polonia ha bisogno di gente che si faccia guidare dai principi della giustizia sociale affinché non ci siano sfruttatori e sfruttati, perché la preoccupazione per i più poveri tracci le direzioni dello sviluppo economico e culturale. Oggi la Polonia nuovamente ha bisogno di gente che con competenza e con coraggio difenda la vita dal momento del concepimento fino alla morte naturale. La Polonia ha bisogno di gente di coscienza.

L’ambiente nel quale la coscienza si forma più profondamente è la famiglia. La famiglia ha costituito sempre il valore ritenuto concordemente inalienabile e fondamentale per lo sviluppo umano e per la felicità. Oggigiorno il significato della famiglia purtroppo viene messo in discussione. La Chiesa tutela la famiglia, ma anche la famiglia stessa deve difendere la propria esistenza e i diritti che le competono per la sua natura. La famiglia cristiana stessa deve dare testimonianza di quale grande importanza siano per l’uomo l’amore, la fedeltà, l’indissolubilità del matrimonio e l’amore per la vita.

4. Leggiamo negli Atti degli Apostoli che i primi cristiani "restavano in comunità". La Chiesa per potersi sviluppare adeguatamente ha bisogno di unità. Questa è l’esigenza che risulta dall’eterno amore del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, che dovrebbe rispecchiarsi nella Chiesa. Bisogna fare tutto il possibile, affinché i disegni di Dio intrapresi da tutta la comunità della Chiesa uniscano tutti i suoi membri l’unità del Vescovo con i sacerdoti e con i fedeli, l’unità del collegio presbiterale, l’unità dei gruppi laici della vita apostolica, sono il segno dell’unione con Cristo, che lo Spirito Santo ininterrottamente realizza nella Chiesa fin dalla Pentecoste.

La Chiesa di Bielsko-Zywiec, formata da una parte delle vecchie Chiese di Kraków e Katowice, costruisce questa unità in base a uno scambio di tutti i beni spirituali prodotti da intere generazioni di fedeli in entrambe le diocesi. (Si presenta la necessità di costruire le strutture sociali della nuova diocesi. Ciò esige molte forze e mezzi soprattutto una buona preparazione dei sacerdoti e dei laici per nuovi compiti che si affacciano dai profondi cambiamenti sociali, economici e ideologici verificatisi in Polonia e nel mondo. La costruzione delle strutture deve camminare di pari passo con lo sviluppo spirituale di tutti quelli che costruiscono questa società). C’è bisogno di un nuovo dialogo con la cultura della formazione delle elites religiose e laiche perché queste devono diventare base per il rinnovo degli ambienti vecchi e per la creazione di ambienti nuovi della vita religiosa.

Spero che un ruolo importante svolgerà in questo campo l’Azione Cattolica che avete in un certo senso portato a Roma, per rafforzarla nella testimonianza apostolica dei Santi Pietro e Paolo, Altrettanto importante dimensione per il rafforzamento dell’unità della Chiesa è l’ecumenismo. Nella diocesi di ywiec nella quale la tradizione del dialogo con la Chiesa Evangelica è molto antica, avete un’occasione particolare per approfondire una comprensione reciproca. C’è bisogno della conoscenza reciproca, di un approfondimento della ricchezza della tradizione e della liturgia, di cercare ciò che unisce, perché la verità possa liberare dai pregiudizi e diventare fondamento dell’amore reciproco.

5. Uno scambio unificante di doni si svolge anche a livello materiale. Leggiamo negli Atti degli Apostoli: "avevano tutto in comune". La Chiesa di Bielsko-Zywiec è stata chiamata alla vita e si sviluppa in una situazione particolare. I cambiamenti sociali in Polonia sono collegati con una nuova situazione dell’economia e dei singolo cittadini. Si delinea sempre di più la divisione fra i ricchi e i poveri. La povertà tocca soprattutto famiglie con molti figli. Queste esigono un aiuto materiale e morale, immediato ed efficace. Questi problemi non possono essere estranei alla Chiesa. La comunità dei credenti che desidera svilupparsi in modo giusto deve circondare di cure particolari i bambini e i giovani. Tutti, religiosi e laici, siete chiamati a creare un ambiente nel quale il giovane possa trovare accoglienza e affetto e dove egli stesso possa esprimere la ricchezza della propria personalità. Soltanto allora il giovane, spesso privato delle prospettive, dei propri desideri e dei sogni, non perderà lo spirito di Dio e la speranza che deriva dalla fede.

6. Così la vita della Chiesa primitiva, descritta nelle pagine degli Atti degli Apostoli, traccia le linee direzionali dello sviluppo della giovane Chiesa della diocesi di Bielsko-Zywiec. Questo programma è impegnativo, ma a voi non manca lo Spirito che ravviva la fede e sprigiona i più profondi depositi di bene nei singoli e nella società. Diceva S. Paolo: "Rendete grazie, non spegnete lo Spirito" (
1Th 5,19). Credo che partecipando assiduamente allo spezzare del pane, come i primi discepoli di Cristo, custodirete incessantemente questo Spirito in voi stessi, Gli permetterete di guidarvi e scoprirete in Lui la pienezza della vocazione cristiana.

Che la Madre Santissima che venerate in numerosi santuari protegga la Chiesa di Bielsko-Zywiec e ottenga per essa da Dio tutte le grazie necessarie per il suo sviluppo interno ed esterno.

Con tutto il mio cuore benedico tutti i vostri sforzi nell’affrontare la nuova sfida.

Dio vi ricompensi per questa visita!


ALLE CAPITOLARI DELLE SUORE MINIME


DELLA PASSIONE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO


147
Sala Clementina - Venerdì, 24 maggio 1996




Carissime Sorelle in Cristo!

1. Sono lieto di incontrarvi a conclusione delle celebrazioni per il 1° Centenario della nascita di Madre Elena Aiello, la Venerabile vostra Fondatrice, testimone della carità di Cristo, secondo il modello di san Francesco di Paola.

Saluto cordialmente la nuova Superiora Generale, Suor Genoveffa Morrone, insieme con la precedente, Suor Celina Elisabetta Bevivino; saluto le Superiore Provinciali e tutte le Consorelle che hanno partecipato al Capitolo Generale delle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo.

2. La vostra Fondatrice, quartogenita di dieci figli, è certamente il frutto dell’educazione morale ed evangelica, ricevuta in seno ad una famiglia autenticamente cristiana. I suoi genitori, insieme con l’alimento quotidiano, ebbero viva premura di procurarle quello dello spirito. Così, la piccola Elena iniziò a camminare lungo i sentieri della vita, nutrita dalla preghiera offerta a Dio, all’interno della prima ed insostituibile palestra dello spirito che è la famiglia.

L’educazione religiosa ricevuta in casa aiutò a maturare in lei sentimenti di intimità col mistero della Croce, così che, fin dalla giovinezza, imparò l’austera pratica della mortificazione e della penitenza.

Dall’intimità con Dio, Elena fu interiormente spinta a fondare un Istituto di vita consacrata, per rivelare ai più piccoli la bontà di Dio, attraverso la carità sostenuta dal sacrificio e dalla penitenza.

In questo clima spirituale prese forma, nel 1929, la nuova fondazione religiosa, quando si unirono a lei alcune giovani, disponibili al sacrificio e ad una vita devota e laboriosa. Nacque così la Pia Associazione delle Terziarie Minime, divenuta in seguito l’Istituto delle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo.

3. Carissime Sorelle, il primato della carità è l’elemento qualificante della vostra famiglia religiosa: la carità è la vostra missione, in conformità al detto paolino: "L’amore del Cristo ci spinge" (
2Co 5,14).

Mentre vi invito a seguire con fedele generosità le orme della Venerabile Madre Elena Aiello, vi incoraggio a trarre costante energia spirituale per il vostro apostolato dall’Eucaristia. Vi sia sempre presente, a tal fine, l’insegnamento che ella era solita dare alle sue Consorelle: "Se vogliamo giovare alla salvezza del mondo dobbiamo essere anime eucaristiche". C’è qui un autentico programma di santità.

Il messaggio della carità, che sgorga dalla testimonianza di Madre Elena Aiello, non tramonta. Esso risuona vivo ed attuale per tutta la Chiesa, ma in modo singolare per voi, che ne avete fatto il sentiero della vostra consacrazione a Dio.

148 La carità sia per voi amore indiviso per Iddio e sollecita partecipazione alle esigenze dei fratelli più sventurati, quelli che il mondo spesso dimentica o addirittura rifiuta.

Rinnovate per questo quotidianamente la dimensione oblativa della vostra vita, nell’esercizio fedele e audace delle virtù evangeliche. Alla vostra consacrazione ben si addice la considerazione che: "Sull’albero della Croce si compie il Vangelo della vita" (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae
EV 50, AAS 87, 456).

In tale itinerario di perfezione evangelica, vi accompagni la Vergine Santa, perfetta cooperatrice del sacrificio di Cristo. A Lei vi affido, mentre di cuore imparto a voi, all’intero Istituto ed al vostro apostolato la mia Benedizione.


AI PARTECIPANTI AL SIMPOSIO


SU "EVANGELIUM VITAE E DIRITTO"


E ALL'XI COLLOQUIO INTERNAZIONALE


ROMANISTICO CANONISTICO


Venerdì, 24 maggio 1996




Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
Illustri Signori!

1. Sono lieto di porgere il mio cordiale benvenuto a ciascuno di voi.

Rivolgo il mio pensiero innanzitutto a quanti prendono parte al Simposio su Evangelium vitae e Diritto, organizzato dai Pontifici Consigli per la Famiglia e per l’Interpretazione dei Testi Legislativi, in collaborazione con la Pontificia Accademia per la Vita.

Saluto il Signor Cardinale Alfonso Lopez Trujillo e lo ringrazio per i sentimenti espressi a nome anche di quanti hanno partecipato ai lavori. Saluto, inoltre, Monsignor Julian Herranz, Monsignor Elio Sgreccia, i qualificati rappresentanti degli Atenei Pontifici dell’Urbe, nonché gli illustri Docenti e Ricercatori delle oltre duecento Università e Facoltà di Scienze giuridiche di tutto il mondo, intervenuti al Convegno.

Esprimo vivo compiacimento per l’iniziativa congiunta dei tre Organismi Pontifici, che hanno reso possibile l’incontro nel comune intento di approfondire un aspetto fondamentale dell’insegnamento proposto nella Lettera Enciclica Evangelium vitae, quello, cioè, dei rapporti tra "cultura della vita" e ambito del Diritto dal punto di vista della ricerca filosofica, dell’impegno docente e dell’operatività legislativa. È un tema complesso, sul quale mette conto di riflettere con impegno.

149 2. Saluto poi Monsignor Angelo Scola, Rettore della Pontificia Università Lateranense, ed i qualificati studiosi provenienti da ogni continente, che si sono dati convegno per discutere del rapporto tra Etica e Diritto nell’ambito della formazione dei moderni ordinamenti giuridici.

Questo tema costituisce una delle questioni fondamentali che, in ogni tempo, hanno messo alla prova le migliori energie del pensiero umano. Pertanto, studiare i moderni ordinamenti giuridici conduce a riformulare, con chiarezza, un adeguato e pertinente nesso tra etica e diritto, facendo costante riferimento ai principi fondamentali della persona umana, chiaramente puntualizzati nell’Enciclica Evangelium vitae.

3. L’Enciclica ha inteso infatti riaffermare la visione della vita umana che scaturisce con pienezza dalla rivelazione cristiana, ma che, nel suo nucleo essenziale, è attingibile anche dalla ragione umana. Lo ha fatto non senza tener conto degli arricchimenti che la riflessione razionale è venuta maturando nel corso dei secoli. Di fatto, riconoscere il valore della vita dell’uomo, dal concepimento alla sua fine naturale, è una conquista della civiltà del diritto che deve essere tutelata come un bene primario della persona e della società. Oggi, tuttavia, in non poche società non è raro assistere ad una sorta di regresso di civiltà, frutto di una incompleta e a volte distorta concezione della libertà umana, che spesso trova pubblica legittimazione nell’ordinamento giuridico statuale. Avviene cioè che al rispetto dovuto all’inalienabile diritto alla vita di ogni essere umano si contrappone una concezione soggettivistica della libertà, svincolata dalla legge morale. Questa concezione, fondata su gravi errori relativi alla natura stessa della persona e dei suoi diritti, è riuscita, avvalendosi delle regole maggioritarie, ad introdurre non di rado nell’ordinamento giuridico la legittimazione della soppressione del diritto alla vita di esseri umani innocenti non ancora nati.

È utile pertanto mettere in rilievo, in prospettiva sia filosofica che giuridica, l’intimo rapporto che intercorre tra le Encicliche Veritatis splendor e Evangelium vitae: nella prima è posto in evidenza l’influsso che esercitano, nel sovvertimento dell’ordine morale e del diritto, "correnti di pensiero che finiscono per sradicare la libertà umana dal suo essenziale e costitutivo rapporto con la verità" (Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor
VS 4, AAS 85[1993], 1136). Nella Evangelium vitae, parlando della urgenza di promuovere una "nuova cultura della vita" e del "nesso inscindibile tra vita e libertà", viene ribadita la necessità di riscoprire "il legame costitutivo che unisce la libertà alla verità", perché "sradicare la libertà dalla verità oggettiva rende impossibile fondare i diritti della persona su una solida base razionale" (Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae EV 96, AAS 87[1995], 510).

Affermare un diritto della persona alla libertà, prescindendo dalla verità oggettiva sulla stessa persona, rende di fatto impossibile la stessa costruzione di un ordinamento giuridico intrinsecamente giusto, perché è proprio la persona umana - così come essa è stata creata - il fondamento e il fine della vita sociale a cui il Diritto deve servire.

4. La centralità della persona umana nel Diritto è espressa efficacemente dall’aforisma classico: "Hominum causa omne ius constitutum est". Ciò equivale a dire che il Diritto è tale se e nella misura in cui pone a suo fondamento l’uomo nella sua verità. Chi non vede come questo principio basilare di ogni giusto ordinamento giuridico sia seriamente minacciato da concezioni riduttive dell’essenza dell’uomo e della sua dignità, quali sono quelle di ispirazione immanentistica e agnostica? Simili concezioni hanno fornito, nel secolo che sta per concludersi, legittimazione a gravi violazioni dei diritti dell’uomo, in particolare del diritto alla vita.

In occasione del "Symposium" giuridico, promosso per celebrare il 10° anniversario della promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico, osservavo che "come al centro dell’ordinamento canonico c’è l’uomo redento da Cristo e divenuto con il battesimo persona nella Chiesa . . ., così le società civili sono invitate dall’esempio della Chiesa a porre la persona umana al centro dei loro ordinamenti, mai sottraendosi ai postulati del diritto naturale, per non cadere nell’arbitrio di false ideologie. I postulati del diritto naturale sono infatti validi in ogni luogo e per ogni popolo, oggi e sempre, perché dettati dalla recta ratio, nella quale, come spiega san Tommaso, sta l’essenza del diritto naturale: "omnis lex humanitus posita intantum habet de ratione legis, inquantum a lege naturae derivatur" (San Tommaso, Summa Theol., I-II, q. 95, a. 2)" (AAS 86[1994], 248). Questo concetto era già stato in antecedenza ben compreso dal pensiero giuridico classico. Cicerone così lo esprimeva: "Est quidem vera lex recta ratio, naturae congruens, diffusa in omnibus, constans, sempiterna quae vocet ad officium iubendo, vetando a fraude deterreat, quae tamen neque probos frustra iubet aut vetat, nec improbos iubendo aut vetando movet" (Cicerone, De re pubblica, 3, 33: LACT, Inst. VI, 8, 6-9).

5. Gli elementi costitutivi della verità oggettiva sull’uomo e sulla sua dignità si radicano profondamente nella recta ratio, nell’etica e nel diritto naturale: sono valori che precedono ogni ordinamento giuridico positivo e che la legislazione, nello Stato di diritto, deve sempre tutelare, sottraendoli all’arbitrio dei singoli ed all’arroganza dei potenti.

Di fronte all’umanesimo ateo, che misconosce o addirittura nega la dimensione essenziale dell’essere umano, connessa con la sua origine divina e col suo destino eterno, è compito del cristiano, e soprattutto dei Pastori e dei teologi, annunciare il Vangelo della vita, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, che, toccando con frase lapidaria il fondo del problema, ha affermato: "In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo" (Gaudium et spes GS 22).

Tale urgente impegno interpella in modo singolare i giuristi cristiani, spingendoli a far emergere, nei settori di loro competenza, il carattere intrinsecamente debole di un Diritto precluso alla dimensione trascendente della persona. Il fondamento più solido di ogni legge che tutela l’inviolabilità, l’integrità, la libertà della persona risiede, infatti, nel suo essere creata ad immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen Gn 1,27).

6. A tale riguardo, un problema che direttamente investe il dibattito fra biologi, moralisti e giuristi è costituito dai diritti fondamentali della persona, che devono essere riconosciuti ad ogni soggetto umano in tutto l’arco della vita, e particolarmente fin dal suo sorgere.

150 L’essere umano - come ha richiamato l’Istruzione "Donum Vitae" e riconfermato l’Enciclica "Evangelium Vitae" - "va rispettato e trattato come persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita" (Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae EV 60, AAS 87[1995], 469; cf. Istr. Donum Vitae, 1: AAS 80[1988], 79).

Questa affermazione trova piena corrispondenza nei diritti essenziali propri dell’individuo, riconosciuti e tutelati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art. 3).

Pur nella distinzione fra le scienze coinvolte e, riconoscendo che l’attribuzione del concetto di persona appartiene ad una competenza filosofica, non possiamo non assumere come punto di partenza lo statuto biologico dell’embrione che è un individuo umano, avente la qualità e la dignità propria della persona.

L’embrione umano ha dei diritti fondamentali, cioè è titolare di costitutivi indispensabili perché l’attività connaturale ad un essere possa svolgersi secondo un proprio principio vitale.

L’esistenza del diritto alla vita quale costitutivo intrinsecamente presente nello statuto biologico dell’individuo umano fin dalla fecondazione costituisce, pertanto, il punto fermo della natura anche per la definizione dello statuto etico e giuridico del nascituro.

La norma giuridica, in particolare, è chiamata a definire lo statuto giuridico dell’embrione quale soggetto di diritti, riconoscendo un dato di fatto biologicamente inconfutabile ed in sé evocatore di valori che non possono essere disattesi né dall’ordine morale né dall’ordine giuridico.

Per la stessa ragione, ritengo di dovermi ancora una volta fare interprete di questi diritti inviolabili dell’essere umano fin dal suo concepimento per tutti gli embrioni che non raramente sono sottoposti a tecniche di congelamento (crioconservazione), diventando in molti casi oggetto di pura sperimentazione o, peggio, destinati ad una programmata distruzione con l’avallo legislativo.

Ugualmente, confermo come gravemente illecito per la dignità dell’essere umano e del suo essere chiamato alla vita, il ricorso ai metodi di procreazione che l’Istruzione "Donum Vitae" ha definito come inaccettabili per la dottrina morale.

L’illiceità di questi interventi sull’inizio della vita e su embrioni umani è già stata affermata (cf.. Giovanni Paolo II, Donum Vitae, I, 5; II.), ma è necessario che vengano assunti anche a livello legale i principi sui quali si fonda la stessa riflessione morale.

Faccio quindi appello alla coscienza dei responsabili del mondo scientifico ed in modo particolare ai medici perché venga fermata la produzione di embrioni umani, tenendo conto che non si intravede una via d’uscita moralmente lecita per il destino umano delle migliaia e migliaia di embrioni "congelati", i quali sono e restano pur sempre titolari dei diritti essenziali e quindi da tutelare giuridicamente come persone umane.

La mia voce si rivolge anche a tutti i Giuristi perché si adoperino affinché gli Stati e le Istituzioni Internazionali riconoscano giuridicamente i diritti naturali del sorgere stesso della vita umana ed altresì si facciano tutori dei diritti inalienabili che le migliaia di embrioni "congelati" intrinsecamente hanno acquisito dal momento della fecondazione.

151 Gli stessi Governanti non possono sottrarsi a questo impegno, perché venga tutelato fin dalle sue origini il valore della democrazia, la quale affonda le proprie radici nei diritti inviolabili riconosciuti ad ogni individuo umano.

7. Illustri Signori, bastano questi brevi cenni per sottolineare quanto sia prezioso il vostro contributo per il progresso non solo della società civile, bensì e innanzitutto per la comunità ecclesiale, impegnata nell’opera della nuova evangelizzazione, alle soglie ormai del terzo millennio dell’era cristiana. È questa la grande sfida posta alla responsabilità dei credenti dall’impoverimento etico delle leggi civili nella tutela di certi aspetti della vita umana.

La concezione positivistica del diritto, insieme col relativismo etico, non solo tolgono alla convivenza civile un sicuro punto di riferimento, ma sviliscono la dignità della persona e minacciano le stesse strutture fondamentali della democrazia. Sono certo che con coraggio e chiarezza ciascuno saprà compiere quanto è nelle sue possibilità, affinché le leggi civili rispettino la verità della persona, la sua realtà di essere intelligente e libero, come pure la sua dimensione spirituale ed il carattere trascendente del suo destino.

Auspico di cuore che entrambi i Simposi, nei quali confluiscono i risultati delle ricerche compiute nei rispettivi Dicasteri e Istituzioni Accademiche, possano favorire la comprensione di come la dottrina della Chiesa, circa il rapporto tra Etica e Diritto, alla luce dell’Enciclica Evangelium vitae, sia esclusivamente al servizio dell’uomo e della società.

Auspico altresì, che grazie all’impegno di tutti la Chiesa possa "far giungere il Vangelo della vita al cuore di ogni uomo e donna e immetterlo nelle pieghe più recondite dell’intera società" (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae
EV 80).

Con tali voti imparto di cuore a voi, qui convenuti, ai vostri collaboratori ed a quanti vi sono cari la Benedizione Apostolica.


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