GP2 Discorsi 1996 165


AI MEMBRI DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE


DI ARCHEOLOGIA SACRA


Sala del Concistoro - Venerdì, 7 giugno 1996




Illustri Signori e Signore,
Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Rivolgo il mio cordiale saluto a tutti voi, responsabili, membri e maestranze della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra che, insieme ai direttori delle cinque catacombe aperte in Roma, avete voluto quest’oggi rendermi visita.

Ringrazio l’Arcivescovo, Mons. Francesco Marchisano, Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa oltre che della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, per le parole che mi ha poc’anzi rivolto anche a nome vostro. Esprimo riconoscenza a tutti voi per il lavoro che svolgete con dedizione, consapevoli dell’alto significato storico e spirituale che i monumenti, dei quali avete la cura, rivestono.

166 Mi compiaccio con voi per l’opera che la Pontificia Commissione, di cui siete parte, svolge nel custodire, sistemare e studiare le catacombe cristiane del bacino mediterraneo. Il suo impegno più cospicuo riguarda l’Italia, e in special modo Roma e dintorni. Basta pensare, per rendersi conto della vostra meritoria attività, alle cinque catacombe romane di San Callisto, San Sebastiano, Santa Domitilla, Santa Priscilla, Sant’Agnese, attualmente aperte al pubblico e meta significativa di tanti pellegrini che giungono nella Città eterna.

2. Visitando questi monumenti, si viene a contatto con suggestive tracce del Cristianesimo dei primi secoli e si può, per così dire, toccar con mano la fede che animava quelle antiche Comunità cristiane. Percorrendo le gallerie delle catacombe, si scorgono non pochi segni dell’iconografia della fede: il pesce, simbolo del Cristo; l’àncora, immagine della speranza; la colomba, rappresentazione dell’anima credente e, accanto ai nomi sui sepolcri, frequentissimo l’augurio "in Christo". Sono altrettante testimonianze del fervore spirituale che animava le prime generazioni cristiane. Accostando quel mondo, i cristiani di oggi possono trarre utili incoraggiamenti per la loro vita e per un più incisivo impegno nella nuova evangelizzazione.

Come non commuoversi dinanzi alle vestigia, umili ma così eloquenti, di questi primi testimoni della fede? Come non rimanere edificati, ad esempio, davanti al sepolcro della giovane Agnese sulla via Nomentana o a quello del diacono Lorenzo nelle catacombe del Verano?

Sin dall’inizio del Cristianesimo, i miei predecessori hanno avuto a cuore le catacombe. Il papa Zefirino, per primo, ne volle creare una sulla via Appia per la comunità di Roma, affidandone la cura al diacono Callisto, il quale, una volta divenuto Papa, legò il suo nome a quello che divenne il più grande complesso catacombale romano.

Il papa san Damaso, durante il suo pontificato, ricercò le tombe dei martiri per decorarle, e per esse compose splendide epigrafi metriche esaltanti le gesta di quegli ardimentosi testimoni del Vangelo.

Anche quando, in seguito alle invasioni barbariche, le catacombe conobbero una sorta di forzato abbandono, alcune di esse restarono ininterrotta meta di pellegrinaggi. Le aree, ove si conservavano i sepolcri dei martiri, divennero, durante i secoli dell’alto medioevo, luoghi di devozione per i pellegrini provenienti dall’Italia, dall’Europa e dal bacino mediterraneo.

3. La riscoperta delle catacombe, come oggetto di studio e di riflessione spirituale, avvenne però a partire dalla fine del 1500, quando un gruppo di eruditi formò un attivo circolo culturale attorno alla grande personalità di san Filippo Neri. Il "Cristoforo Colombo delle catacombe romane" - come venne definito - fu l’archeologo maltese Antonio Bosio, che individuò ben trenta dei sessanta cimiteri cristiani dell’Urbe.

Da allora l’interesse per le catacombe non venne mai meno e toccò il suo vertice verso la metà dell’800, quando, per il felice incontro di due grandi personalità, il Pontefice Pio IX e l’archeologo romano Giovanni Battista de Rossi, nacquero l’Archeologia Cristiana, come disciplina storica e scientifica, e la Commissione di Archeologia Sacra, istituita il 6 gennaio del 1852 per una più efficace tutela e sorveglianza dei cimiteri e degli antichi edifici cristiani di Roma e del suburbio, e per una sistematica escavazione ed esplorazione degli stessi cimiteri.

I risultati vennero a confortare gli sforzi generosi. Il papa Pio IX, colpito dalle importanti scoperte effettuate dal de Rossi in quegli anni nel complesso di san Callisto - dove era stato rinvenuto il cubicolo che accoglieva le tombe di molti Pontefici del III secolo -, volle personalmente visitare gli scavi e, sostando in preghiera dinanzi a quelle sante tombe, si commosse sino alle lacrime.

Fu il Papa Pio XI a definire, con un Motu Proprio del 1925, le competenze della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, la cui azione relativamente alle catacombe fu poi precisata con norme opportunamente concordate con l’autorità italiana (cf. AAS, Inter Sanctam Sedem et Italiam Conventiones, 18 feb., 15 nov. 1984, Città del Vaticano 1985, art. 12, 2).

4. Lo sguardo si proietta ora verso lo storico appuntamento del Grande Giubileo, durante il quale le catacombe di Roma assurgeranno a luogo privilegiato di preghiera e di pellegrinaggio. Percorrendo le gallerie di questi luoghi sacri, i visitatori potranno avvertire l’atmosfera delle prime conversioni al Vangelo; potranno sostare in raccoglimento davanti alle tombe dei primi testimoni di Cristo e del suo messaggio di salvezza.

167 Affinché ciò possa realizzarsi appieno, voi avete già iniziato a lavorare in collaborazione con altre istituzioni, quali il Comune di Roma e la Soprintendenza Archeologica, in perfetta sintonia con i progetti e l’attività del Comitato Centrale per il Grande Giubileo del 2000.

Insieme alle grandi basiliche romane, le catacombe dovranno rappresentare una meta irrinunciabile per i pellegrini dell’Anno Santo. Sono grato alla vostra Pontificia Commissione di Archeologia Sacra che si sta alacremente impegnando per questo. In particolare essa sta facendo il possibile per rendere accessibili nuove catacombe ed altri monumenti. Colgo volentieri l’occasione per manifestare vivo apprezzamento ai responsabili ed ai membri della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, come pure ai Direttori delle catacombe di Roma, con uno speciale pensiero per le maestranze, i "fossori", che con perizia e dedizione svolgono il loro delicato lavoro.

A tutti va l’espressione della mia viva riconoscenza. Grazie per i vostri sforzi e per il contributo qualificato che, con questa vostra attività, offrite all’evangelizzazione.

Affido voi ed il vostro operato alla materna protezione di Maria, Regina dei Martiri, mentre di cuore imparto a ciascuno di voi e alle vostre famiglie una speciale Benedizione Apostolica.

AI PELLEGRINI PROVENIENTI DALLA REPUBBLICA CECA

Sabato, 8 giugno 1996




Signor Cardinale,
Carissimi Confratelli Vescovi e Sacerdoti,
Religiosi e Religiose, miei Fratelli e Sorelle
di Boemia, Moravia e Slesia!

1. Vi sono molto grato per la vostra presenza tanto numerosa e gradita. Voi siete venuti a "restituire la visita" che, un anno fa, e precisamente nei giorni dal 20 al 22 maggio, ho compiuto nella vostra Patria.

Vi saluto tutti cordialmente, come in un grande abbraccio, con le stesse parole che vi ho indirizzato dopo aver posto piede, per la seconda volta, nella vostra Terra. Superabundo gaudio, vi dissi allora: "sovrabbondo di gioia nel ritrovarmi con voi, carissimi fedeli Boemi e Moravi: sacerdoti, religiose e religiose, seminaristi, diaconi permanenti, membri di Istituzioni laicali, giovani, e padri e madri di famiglia. Tutto il variegato mondo della Chiesa si è ampiamente dispiegato in questi anni, dando prova della tradizionale vitalità dei cristiani di questa terra generosa" (Giovanni Paolo II, Cerimonia di benvenuto all'aeroporto di Praga, 20 maggio 1995: Insegnamenti di Giovanni Poalo II, XVIII, 1 (1995) 1355). Sì, anche oggi, superabundo gaudio, sovrabbondo di gioia!

168 Saluto il Cardinale Miloslav Vlk e lo ringrazio per le parole che ha voluto rivolgermi a nome di tutti voi. Invio il mio deferente omaggio al Presidente della Repubblica, Signor Václav Havel, che ancora ringrazio per le molte attenzioni avute verso di me, sia nel 1990 che nello scorso anno. Saluto le Autorità qui presenti e quelle trattenute in Patria dai loro doveri.

Il mio affettuoso pensiero va ancora a tutti i vostri concittadini che non sono potuti venire a Roma, ma che sento spiritualmente presenti: in special modo i bambini, gli anziani, i malati. Chvála Kristu!

2. La vostra presenza rinnova in me la memoria di quella breve, ma pur intensa permanenza tra di voi: il primo saluto all’aeroporto di Ruzynì; l’incontro ecumenico, nella Nunziatura Apostolica, con i rappresentanti delle varie Chiese e denominazioni cristiane; e la grande assemblea dei fedeli di tutte le diocesi della Boemia, riuniti in intensa e gioiosa preghiera nel grande stadio di Strahov, a Praga.

Ripenso con spirituale letizia alla canonizzazione, ad Olomouc, di Zdislava di Lemberk, santa educatrice, sposa e madre esemplare, taumaturga insigne, e protettrice dell’Ordine Domenicano, fin dai suoi primi inizi in terra Boema, e di Jan Sarkander, sacerdote e martire del sacramento della confessione, invitto assertore della fede nell’Eucaristia e dell’unità della Chiesa.

Ricordo ancora l’entusiasmante incontro con la gioventù, sulla collina di Svaty Kopecek, che, tornando dal Viaggio Apostolico nella vostra Patria, definii "uno degli incontri più belli ed originali che io abbia avuto con i giovani". In quella occasione, continuavo, "ho voluto consegnare ai giovani la preghiera del Signore, il "Padre nostro", quasi a segnare la tappa di un catecumenato della gioventù in quel Paese. Solo Cristo, infatti, può dare ai giovani ciò di cui hanno tanta sete, cioè il senso pieno e gioioso dell’esistenza" (Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 24 mag. 1995: Insegnamenti di Giovanni Poalo II, XVIII, 1 (1995) 1416).

Infine, dopo l’intensa giornata passata nella nuova diocesi di Bielsko-Zywiec, in Polonia, mi ritorna in mente l’ultimo incontro avuto con voi all’aeroporto di Ostrava, prima della mia partenza dalla Repubblica Ceca. Sono state brevi giornate di fede condivisa, di gioia spirituale, di generosa riconferma delle radici cristiane del vostro amatissimo popolo.

3. Nel mio pellegrinaggio in Terra ceca ho inteso ribadire alcuni punti essenziali per una rinnovata presenza della fede cristiana nel vostro popolo:

- l’urgenza della nuova evangelizzazione nelle terre che hanno ricevuto il primo annuncio della fede dai santi Cirillo e Metodio;

- l’esigenza, anche se sofferta, di una maggiore intesa e comprensione fraterna tra i cristiani delle diverse Chiese, purtroppo ancora divisi, anche se accomunati dalla fede in Cristo; rimane vivo nel mio cuore l’invito accorato che ho rivolto da Olomouc agli amati fratelli delle altre Comunità cristiane, per un reciproco perdono delle colpe passate e per una rinnovata presa di coscienza delle comuni responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini;

- un altro punto di cui ho sottolineato l’importanza è stata la santità della famiglia, che esige fedeltà coniugale, maternità e paternità responsabili, rispetto della vita dal concepimento al tramonto, come testimonia l’esempio di santa Zdislava;

- e poi il primato della verità e della carità, verso Dio e verso i fratelli, specie i più deboli e sofferenti, di cui la vita dei due vostri nuovi santi fu paradigma eloquente e accattivante;

169 - infine, la necessità della preghiera, affinché le nazioni di Europa ritrovino la loro coesione interiore nella forza che proviene da Dio.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle! Il vostro pensiero è ormai orientato verso il prossimo anno, in cui celebrerete il primo millennio del martirio di Sant’Adalberto, gloria di Praga e della vostra Terra, come anche della mia Polonia e di altri Paesi europei.

Sarà per voi la conclusione del "Decennio del rinnovamento spirituale", voluto dal grande e indimenticabile Cardinale Frantisek Tomásek: una intuizione profetica che poneva le primissime basi della trasformazione radicale, che, due anni dopo, avrebbe portato alla caduta del totalitarismo. Nel corso di tale itinerario spirituale, poi, la canonizzazione di Agnese di Boemia, nel novembre 1989, con i primi pellegrinaggi venuti dall’allora Cecoslovacchia, segnava il prodromo dell’auspicato rinnovamento come segno dell’irrefrenabile movimento del popolo verso una nuova vita.

5. Riandando a quei fatti, che rimangono scolpiti nel vostro cuore come nel mio, desidero sottolineare la parte che, in quegli anni bui, ha avuto la Chiesa, operando "in spe contra spem" (
Rm 4,18) per la difesa e il recupero della dignità e della libertà umana.

In quello storico processo, essa ha giocato un ruolo di primissimo piano dopo aver portato, durante l’oppressione, il suo enorme contributo di vittime, di sangue, di silenzio e di impegno nascosto all’affermazione dei valori dello spirito e alla costruzione di un futuro migliore. Voi vivete tuttora di quella eredità spirituale. Non abbiate paura! Come nel passato, la Chiesa deve continuare ad essere forza viva, operante, sinceramente preoccupata del bene dell’intera società.

Alla luce della rinnovata presenza della Chiesa nella vostra Patria, vanno affrontati, nel rispetto delle competenze ecclesiali e statali, alcuni problemi che attendono tuttora di essere risolti, come: l’insegnamento della religione in tutte le scuole; l’assistenza spirituale ai cattolici membri delle Forze armate e quella negli ospedali e nelle carceri; la restituzione dei beni ecclesiastici, ingiustamente sottratti dal passato regime, indispensabili per lo svolgimento dell’attività pastorale della Chiesa. Questi ed altri aspetti di comune interesse attendono di essere risolti con sincera buona volontà da ambedue le parti. Nell’incoraggiare la Conferenza Episcopale a continuare nelle trattative ai competenti livelli, faccio appello altresì alla volenterosa, aperta e sincera collaborazione delle istanze politiche, trattandosi di settori che interessano non solo la Chiesa, ma tutti i cittadini. Avendo ricevuto da Cristo l’incarico di essere "fermento" ed elemento di sana inquietudine nel cuore dell’umanità, la Comunità ecclesiale, di fronte alle tentazioni dell’individualismo, dell’edonismo e del consumismo, non può non impegnarsi per recare il proprio fattivo contributo alla promozione del bene comune nel vostro Paese.

6. Carissimi Fratelli e Sorelle, siate fermento evangelico nella vostra cara Patria! Manifestate apertamente e serenamente le vostre convinzioni, la vostra fede, l’aspirazione ad un continuo miglioramento, in tutte le sfere della convivenza umana: a tanto vi invita la preparazione del Grande Giubileo dell’anno 2000! Come ricordavo nell’Udienza generale di un anno fa, la data dell’Anno 2000 costituisce un importante punto di riferimento non solo per il cristianesimo e per la Chiesa, ma anche per l’Europa, che, dopo la caduta dei sistemi totalitari, cerca di diventare sempre di più una grande Patria delle patrie (cf. loc. cit., n. 4). Possa il ricordo di quanto avvenne nel IX secolo, quando attraverso la Grande Moravia entrò nei Paesi slavi il primo annuncio di Cristo e del suo Vangelo, rianimare l’impegno dei cristiani di oggi. L’eredità dei santi Cirillo e Metodio, arricchita lungo i secoli da quelle stupende figure di santi e sante, sacerdoti e laici, che hanno segnato in profondità la vostra storia, sia religiosa che civile, rimanga sempre viva tra voi!

Nel darvi appuntamento per il 1997, che nel triennio in preparazione al terzo millennio è l’anno dedicato dalla Chiesa ad una più profonda conoscenza di Cristo, mentre pregusto la gioia di quel nuovo incontro, mando il mio saluto affettuoso ai cari cittadini della Repubblica Ceca, a me tanto vicini.

Affido la vostra Patria alla protezione della Madre di Dio, perché vi conduca per le vie della convivenza pacifica, operosa e fraterna, verso nuovi e più alti traguardi di progresso e di benessere.

A presto! Na shledanou! S Pánem Bohem!

A tutti la mia Benedizione Apostolica.


AI MEMBRI DELLA COMMISSIONE PER I PROFUGHI


E I RIFUGIATI DELLA BOSNIA ED ERZEGOVINA


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Sabato, 8 giugno 1996




Illustre Professoressa Saulle,
Egregi Signori,

Mi è grato accogliere oggi la vostra Commissione per i reclami sui beni dei profughi e dei rifugiati della Bosnia ed Erzegovina, che tiene una sua importante riunione a Roma. Quest’incontro mi dà l’occasione di condividere con voi "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce... di tutti coloro che soffrono" (Gaudium et spes
GS 1), a causa del conflitto che ha dilaniato la Bosnia ed Erzegovina.

Il vostro impegno mira a lenire, e, nella misura del possibile, a guarire le ferite del conflitto che per quasi quattro anni ha forzato metà della popolazione della Bosnia ed Erzegovina a trovare altrove accettabili condizioni di vita. Il profugo rimane una persona sradicata, alla ricerca di mezzi di sopravvivenza nella speranza di giorni migliori, quando gli sarà dato di poter tornare in patria, o, di mettere radici in nuovi luoghi di residenza e di lavoro.

Purtroppo, quando i legami sociali, culturali e perfino geografici, che per secoli avevano permesso a gruppi etnici e religiosi diversi di condividere importanti valori comuni, si spezzano, la ricostruzione di una società fraterna richiede come base imprescindibile un atteggiamento interiore di perdono e di riconciliazione.Le vittime della "pulizia etnica" non potranno riavvicinarsi ai loro focolari in Bosnia ed Erzegovina senza che abbia luogo una "purificazione delle menti", tanto di quelli rimasti in patria come di quelli che sperano di ritornarvi.

La vostra Commissione si fa l’artefice di questo "restauro" della convivenza sociale. Mi compiaccio di vedere che ne siete come il vivo simbolo, con la partecipazione di rappresentanti qualificati non solo delle tre componenti della società bosniaca in forma di due "enti", ma anche della comunità internazionale.

Invoco sul vostro difficile, ma quanto necessario e magnifico impegno la benedizione di Dio Altissimo, affinché sostenga questo lungo processo di pacificazione. Rinnovo pure un pressante appello ai profughi e sfollati, perché si lascino spronare dalla speranza di una vita nuova piuttosto che trascinare dalla disperazione, nel corrispondere ai programmi di assistenza da voi proposti. Infine, invito una volta di più i governi, le Organizzazioni internazionali, governative e non, perché diano una attenzione prioritaria nei programmi di assistenza al ricongiungimento delle famiglie, al rispetto delle libertà personali, alla promozione dei valori fondamentali della convivenza sociale.

ALLA COMUNITÀ DI VILLA NAZARETH

IN OCCASIONE DEL 50° DI FONDAZIONE


Villa Nazareth - Sabato, 8 giugno 1996

Signori Cardinali, Fratelli nell’Episcopato,

Signor Presidente Cossiga
171 Signor Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica,
Signor Sindaco di Roma,
Illustri Docenti e Personalità,
Carissimi Giovani!

1. A tutti rivolgo il mio saluto cordiale. Sono lieto che tante personalità abbiano voluto esprimere con la loro partecipazione il loro apprezzamento per questa istituzione. Saluto con affetto gli studenti, le famiglie venute da varie parti d’Italia, i laureati e i membri della Comunità, gli amici ed i sostenitori d’Italia e d’America.

Un pensiero particolare rivolgo al Signor Cardinale Achille Silvestrini, che da molti anni guida la Comunità Domenico Tardini con intelligenza e cuore di Pastore, alla Professoressa Angela Groppelli ed alle altre persone che offrono il loro generoso contributo nel delicato impegno del servizio formativo a Villa Nazareth.

I cinquant’anni che celebriamo rendono quanto mai viva la memoria del Fondatore, il Cardinale Domenico Tardini. Di lui è conosciuto ed ammirato il fedele, sagace servizio reso a tre Sommi Pontefici e, particolarmente, a Pio XII e Giovanni XXIII in anni decisivi per la storia della Chiesa e dell’umanità. Più riservata, quasi nascosta, è rimasta la profondità della sua spiritualità sacerdotale, nutrita di preghiera e pietà eucaristica, purificata dal sacrificio del quotidiano, intensissimo lavoro e dal totale abbandono a Dio. Viveva l’obbedienza come "palestra di umiltà e morte dell’amor proprio". Devotissimo di santa Teresa di Lisieux, da cui aveva appreso lo spirito dell’infanzia spirituale, ne amava illustrare la "piccola via" alle monache di Vetralla, dicendo che una Carmelitana può, con l’amore, "rendere grandi agli occhi del Signore le azioni più piccole".

Accanto a lui voglio ricordare il Cardinale Antonio Samorè, per anni suo esperto e fedele collaboratore nel lavoro diplomatico, che è stato alla guida di Villa Nazareth dal 1961 al 1983, lasciando un esempio di dedizione e di autentico spirito sacerdotale.

Dobbiamo a questi insigni uomini di Chiesa, ed agli animatori ed educatori che si sono posti sulle loro orme, se questa istituzione si è resa così benemerita dell’educazione cristiana. Da essi riceviamo lo stimolo a misurarci seriamente con le esigenze della Parola di Dio.

2. Essa ci è stata ora proclamata nei due brani tratti dalla Prima Lettera ai Corinzi e dal Vangelo di Giovanni. È parola impegnativa, in un certo senso sconvolgente, ma per ciò stesso anche liberante. Ci addita una sapienza che non è di questo mondo, la sapienza della Croce. È la sapienza che ha nell’episodio della lavanda dei piedi una manifestazione di suggestiva espressività: "Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi" (
Jn 13,15). La sapienza di cui parla Paolo non è frutto dei pensieri umani, ma dello Spirito di Dio, di Colui che "scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio" e, abitando in noi, ci rende uomini spirituali, capaci di valutare e discernere le cose col "pensiero di Cristo".

Occorre fidarsi, carissimi, di questa sapienza che viene dall’alto. Essa non si oppone a quanto di vero, di bello, di giusto c’è nella cultura e nella scienza, che l’uomo va elaborando nel corso della storia. Piuttosto essa purifica, integra, porta alla pienezza gli sforzi più nobili dell’intelligenza e dell’operosità umana, sottraendoli alla prigionia dell’orgoglio e della logica di dominio, e aprendoli alla prospettiva dell’amore e del servizio.

172 Tutto ciò aveva ben compreso il Cardinale Domenico Tardini, che imitò il Signore nella sua dedizione ai più piccoli, ponendosi come Lui (cf. Mc Mc 10,21) accanto ai giovani per aiutarli nella fase cruciale delle scelte che investono la vita. Villa Nazareth è stata generata da questo "esempio" e di esso si è nutrita, fin dagli anni in cui il Fondatore ne poneva le basi. A tale ispirazione ha continuato a far riferimento anche quando la responsabilità dell’istituzione è passata ad un gruppo di giovani e di persone solidali con loro, che hanno voluto fare proprio il progetto scaturito dal cuore di quel grande sacerdote romano.

La Comunità Domenico Tardini è divenuta così garante dell’esistenza dell’Opera, promotrice di un ideale per la formazione dei giovani che entrano a Villa Nazareth ed impegnata, ad un tempo, a testimoniare essa stessa il medesimo ideale con la propria vita. La mia riflessione, stasera, vuole abbracciare ambedue questi aspetti: il significato della scelta di vita alla quale il Vangelo interpella i giovani e il sostegno a questa scelta, che nasce da una Comunità che nel Vangelo affonda le proprie radici.

3. Cari giovani, l’età vostra è il momento delle grandi scelte, il tempo in cui ciascuno imposta il proprio futuro, decidendo ciò che intende essere. È l’età più bella, non perché "spensierata", come si suol dire, ma piuttosto perché è la più ricca di pensieri, la più creativa; certo è la più decisiva fra tutte le stagioni dell’esistenza. Per chi ha avuto il dono della fede è il momento del grande confronto con Cristo. Anche Gesù maturò le sue scelte di vita dapprima nel lungo ritiro di Nazareth e poi nei quaranta giorni del deserto, imparando ad uniformarsi pienamente alla volontà del Padre fino al dono totale di sé. A Lui siete chiamati a guardare per "progettare" voi stessi ed il vostro domani. Non abbiate paura di confrontarvi con Cristo. Egli, Verbo di Dio, non è per questo meno uomo; è anzi pienezza di umanità, l’uomo per eccellenza! Pilato fu inconsapevole profeta quando lo presentò alla folla proclamando: "Ecco l’uomo!" (cf. Gv Jn 19,5).

4. Il problema di ogni giovane è semplice e arduo, al tempo stesso: che voglio essere? Per che cosa intendo vivere? In che modo posso fare di me un uomo vero, una vera donna? Dio vi doni la grazia di rispondere come Gesù: "Ecco io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà!" (He 10,7).

Supposto questo orientamento fondamentale, resta poi il problema del come attuarlo concretamente. È la domanda sulla vocazione personale, alla quale proprio in questi anni voi vi sentite impegnati a dare una risposta. Per questo è necessario che voi sappiate mettervi in ascolto, scrutare dentro di voi e intorno a voi per scoprire i segni attraverso i quali il Signore vi parla.

Questa ricerca chiede fede, preghiera, meditazione, silenzio, consiglio, libertà di spirito, così da essere pronti a dire di sì, qualunque sia la via sulla quale Dio voglia condurvi, da quella del ministero sacerdotale o della vita consacrata a quella del matrimonio e della famiglia.

5. È naturale che, nella vostra attuale condizione di studenti, in cima ai vostri pensieri ci siano i progetti circa il lavoro che vi attende alla conclusione dei vostri studi. Sappiate considerare anche la vostra futura professione alla luce di Dio. Vi guidi in ciò l’"esempio" di Cristo, quale emerge dall’episodio evangelico della lavanda dei piedi, nel brano giovanneo appena ascoltato. Gesù ci indica come si deve esercitare la missione, qualunque essa sia, che si è ricevuta dal Padre: non per essere serviti ma per servire.

Ecco, carissimi, questa è la sapienza cristiana: qualunque posto occuperete nella società, qualunque professione svolgerete, siete chiamati ad esercitarli come servizio, non in funzione di interessi egoistici o peggio prevaricando sugli altri. Ciò significa anche, inevitabilmente, "andare controcorrente", dato che la "sapienza del mondo" è orientata in ben altra direzione.

Il cristiano, operaio o magistrato, medico o agricoltore, commerciante o professore, si riconosce da come pratica il comandamento dell’amore per Dio e per i fratelli, facendosi attento alle loro esigenze ed ai loro bisogni.

6. Nella professione - come oggi nel vostro studio - voi realizzerete ogni giorno il vostro sacerdozio battesimale. "Offrite a Dio i vostri corpi": così ci esorta San Paolo (Rm 12,1). È come dire: offrite la concretezza della vita quotidiana, le cose che continuamente fate, la fatica delle mani e dell’intelligenza, tutto ciò che producete nel vostro lavoro. Tutto questo può e deve essere materia di un sacrificio da offrire a Dio, operando con tutta la dedizione che il lavoro richiede, mettendo tutte le risorse della propria intelligenza ed operosità al servizio dei fratelli.

Carissimi, voi siete attualmente impegnati nello studio, nei diversi campi della scienza e della ricerca umanistica, e sapete bene cosa vuol dire la perfezione di un’opera, nella correttezza dei suoi procedimenti e nella esattezza dei risultati. Quando l’impegno della volontà e il frutto dell’intelligenza raggiungono il loro fine, allora ci si presenta in tutta la sua bellezza un’opera che, posta al servizio dei fratelli, è degna di essere offerta a Dio. Così la ricerca e la conoscenza umana si coniugano con la sapienza di cui ci ha parlato san Paolo nella Lettera ai Corinti.

173 7. A coloro che sono già impegnati nella professione e nella vita adulta, vorrei dire: voi sapete, dalla felice esperienza fatta a Villa Nazareth, che la vostra crescita è avvenuta grazie ad un radicamento nella comunità. A voi è chiesto di custodire e alimentare le ragioni e le possibilità della vita comunitaria alla luce del mistero trinitario di Dio, nel quale le Persone divine vivono in una reciproca donazione d’amore. Il pensiero va alla prima comunità cristiana, i cui membri vivevano "assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (Ac 2,42). Così sia tra voi! Animati dalle stesse aspirazioni, aiutatevi reciprocamente a progredire verso la perfezione umana e cristiana. Solo così questa istituzione, che tanto ha contribuito alla vostra formazione, realizzerà pienamente il suo ideale.

Con questo auspicio affido la vostra Comunità ed il vostro impegno alla protezione di Colei che a Nazareth vegliò premurosamente sulla crescita umana del Verbo incarnato, e a tutti imparto la mia Benedizione.


AI MEMBRI DELLE ASSOCIAZIONI DELLE VITTIME


DEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI AUSCHWITZ-BIRKENAU


Lunedì, 10 giugno 1996




1. Voglio salutare la Delegazione guidata dal Signor Ministro della Cultura e dell’Arte. Saluto i rappresentanti del Consiglio per la Tutela della Memoria delle Lotte e del Martirio del Comitato Internazionale di Auschwitz, e in particolare i membri dell’Associazione dei Rom in Polonia e del Coordinamento delle Organizzazioni Ebraiche in Polonia.

Siete venuti per affidare al Vescovo di Roma i "Libri dei decessi di Auschwitz". Essi contengono l’elenco delle persone trucidate nel campo della morte che non sono rimaste anonime. Rappresentano la moltitudine incalcolabile di coloro dei quali non è rimasta alcuna traccia, all’infuori del ricordo dei loro cari. Ricevo questi Libri come Papa, a nome della Chiesa. È un atto significativo. La Chiesa infatti, portando in sé l’esperienza della morte in croce e della risurrezione di Cristo, è chiamata a mostrare il più profondo, salvifico senso della sofferenza umana e a introdurre tutti nel mistero della Divina Misericordia e nella nuova realtà della vita eterna. Comprendendo dunque tutte le vittime di quella guerra, la Comunità ecclesiale non cessa di chiedere in vari modi al Padre: "L’eterno riposo dona loro, Signore".

2. Molto tempo è passato dalla liberazione del campo di Auschwitz, e di nuovo torna e si ravviva il doloroso ricordo della sofferenza procurata in quel luogo all’uomo dall’uomo. Accettando questi Libri, la Chiesa dimostra ancora una volta di non esitare a riandare a questo tragico retaggio della storia, al fine di indicare alle generazioni contemporanee quali grandi valori sono la vita e la dignità della persona umana. Occorre che la memoria della sofferenza umana sia per tutti i tempi un avvertimento contro gli effetti che porta con sé la negazione della dignità dell’uomo come persona e dei suoi fondamentali diritti. I "Libri dei decessi di Auschwitz" vanno letti in questo spirito. Sembra non essere senza una ragione il fatto che questi documenti abbiano atteso così a lungo per essere pubblicati. C’era bisogno di questo mezzo secolo perché si rimarginassero almeno in parte le ferite apertesi per effetto di tragiche esperienze e perché questi Libri potessero essere accolti non come fomite di odio, ma come documento storico, segno di omaggio alle vittime conosciute e sconosciute dell’ultima guerra, come esortazione alla preghiera per la loro salvezza e alla costruzione nel mondo, di una pace duratura sulla base dell’amore fraterno dei figli dell’unico Padre.

3. A questo punto mi viene in mente una frase del Servo di Dio Romuald Traugutt: "È piaciuto a Dio avere le nazioni". Le persone i cui nomi sono contenuti in questi Libri, furono incarcerate, subirono supplizi e infine vennero private della vita nella maggior parte dei casi soltanto perché appartenevano ad una certa nazione piuttosto che ad un’altra. Il fatto di essere nati Polacchi, Ebrei, Rom o Russi e di aver mantenuto la propria identità nazionale, fu loro imputato come colpa meritevole di morte. Alla luce della fede, invece, vediamo che questa testimonianza di fedeltà eroica alla propria appartenenza nazionale è diventata l’olocausto che le ha unite a Dio nell’eternità, e per le generazioni future seme di pace. Accettiamo dunque i "Libri dei decessi di Auschwitz" come un’esortazione, affinché nella generazione che entra nel terzo millennio venga coltivato il senso della propria identità nazionale, venga destato il rispetto per la ricchezza della nativa tradizione culturale e per quei valori perenni, difesi in silenzio dai martiri di Auschwitz e di altri campi di sterminio. Ricordando i nomi di coloro che diedero la vita come figli della propria nazione, preghiamo affinché lo Spirito di Dio rinnovi in noi la consapevolezza che la fedeltà all’identità nazionale possiede anche un valore religioso. Preghiamo Dio affinché la giusta aspirazione all’unione delle società non significhi scindere l’uomo dalle sue radici, ma che sia il reciproco attingere dalla ricchezza spirituale delle singole nazioni.

Il Signore accolga il sacrificio offerto dai martiri dei campi di concentramento, conosciuti e sconosciuti, ed elargisca ad essi la sua pace eterna. Il frutto di questo sacrificio - la benedizione della pace - diventi eredità per gli uomini di tutto il mondo!

Dio Onnipotente benedica coloro che sono qui presenti e quanti hanno contribuito all’elaborazione scientifica dei "Libri dei decessi di Auschwitz".

AL CONSIGLIO DI PRESIDENZA

DELLA SOCIETÀ « DANTE ALIGHIERI »


Sala dei Papi - Giovedì, 13 giugno 1996




Cari amici,


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