GP2 Discorsi 1997 166


AI PARTECIPANTI AD UN INCONTRO INTERNAZIONALE


SULLE ALTERAZIONI CEREBRALI PROMOSSO


DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA


Venerdì, 13 giugno 1997




Signor Cardinale,
amatissimi Fratelli nell'Episcopato,
illustri Signore e Signori.

Sono lieto di ricevervi, egregi partecipanti all'Incontro di questi giorni su «La famiglia davanti alle alterazioni cerebrali dei propri figli ». Desidero innanzitutto ringraziare per le cordiali parole rivoltemi il Cardinale Alfonso López Trujillo, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia che, insieme alla benemerita Istituzione CEFAES (Centro Educazione Familiare Speciale) ha promosso una così lodevole iniziativa, in unione anche con il Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Operatori Sanitari, il cui Presidente, Monsignor Javier Lozano Barragán, partecipa a questa Udienza.

La famiglia, come ambito integratore di tutti i suoi membri, è una comunità solidale dove l'amore diventa più responsabile e sollecito anche verso coloro che, per la loro particolare situazione, hanno bisogno di un'attenzione più costante, paziente e affettuosa da parte di tutti i membri e soprattutto dei genitori. In seno alla società vi è un insieme di compiti e di mediazioni sociali che la famiglia può e deve svolgere con particolare competenza ed efficacia, in unione con altre istituzioni. Spesso la partecipazione della famiglia come soggetto sociale apre molte porte e crea fondate speranze per il recupero dei figli. È questo l'ambito preciso che voi state affrontando, con la collaborazione di ricercatori, di esperti e di persone impegnate in questo campo. Sono quindi lieto di incoraggiare il vostro lavoro e la preoccupazione che vi anima nell'aiutare le famiglie con questi bisogni.

La famiglia, luogo dell'amore e della sollecitudine verso i membri più bisognosi, può e deve essere la migliore collaboratrice per la scienza e la tecnica al servizio della salute. A volte alcune famiglie vengono messe alla prova - a dura prova - quando giungono figli con alterazioni cerebrali. Sono situazioni che richiedono dai genitori e dagli altri membri della famiglia una forza e un solidarietà particolari.

Il Signore della vita sta accanto alle famiglie che accolgono e amano i propri figli con alterazioni cerebrali serie, e che sanno quanto è grande la loro dignità. Riconoscono anche che all'origine della loro dignità di persone umane vi è quella di essere figli prediletti di Dio, che li ama personalmente e con amore eterno. Sostenuta e protetta dall'amore divino, la famiglia diviene luogo di dono di sé e di speranza dove tutti i membri fanno convergere le proprie energie e cure per il bene dei figli bisognosi. In effetti, voi siete i testimoni privilegiati e al contempo la testimonianza di tutto ciò che il vero amore può ottenere.

Come mostrano i programmi che state svolgendo nelle diverse nazioni - ad esempio il «Programma Leopoldo » -, attraverso un'attenzione paziente, laboriosa e aperta alle possibilità offerte dalla scienza in seno alle famiglie, si stanno facendo progressi sorprendenti nel recupero di bambini nati ciechi, sordi o muti. È come un miracolo dell'amore che non solo permette uno sviluppo cerebrale progressivo ma che pone anche il figlio al centro delle loro attenzioni. Con questo aiuto e con la collaborazione di tutti cresce questa comunità d'amore e di vita che è la famiglia, formatasi al cospetto e sotto lo sguardo paterno di Dio. È Lui che infonde a tanti focolari domestici nuove energie nel dolore e serenità nella sofferenza, per accettare la malattia e, in non pochi casi, per cercare i rimedi e i mezzi più adeguati.

167 La famiglia è una comunità insostituibile per queste situazioni, e non solo per i costi ingenti che certe cure richiedono dalle Istituzioni sanitarie, ma anche per la qualità, l'atteggiamento e la tenerezza delle cure sollecite che solo i genitori sanno prestare con abnegazione ai propri figli. Queste famiglie, senza essere sostituite nell'attenzione ai figli, dovrebbero ricevere dalla comunità circostante e da tutta la società gli aiuti necessari per rendere questa attenzione effettiva. In tal senso, occorre sottolineare l'importanza delle associazioni di genitori che mirano a mettere insieme esperienze, aiuti e mezzi tecnici al servizio delle famiglie con simili bisogni.

Programmi e azioni come quelli che svolgete voi, contando sull'appoggio della Chiesa, sono un prolungamento del Vangelo della vita a partire alla famiglia stessa. Continuate, pertanto, a volgere il vostro sguardo alla famiglia di Nazaret, il cui centro è il Dio Bambino. In effetti nella Santa Famiglia non fu assente la spada del dolore (cfr
Lc 2,35), illuminato dalla speranza che viene dall'alto. Come Maria, che con animo contemplativo serbava e ponderava tutto nel suo cuore (cfr Lc 2,19-51), obbediente alla volontà di Dio, anche voi con fede e carità ardenti, portate la speranza in tante altre famiglie, con il vostro impegno e con la vostra esperienza.

Con questi vivi sentimenti e invocando abbondanti doni del Signore sulle vostre persone e sulle vostre attività in questo ambito così importante della vita familiare, vi imparto con affetto la Benedizione Apostolica.


AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE


DELLA NAMIBIA IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


Sabato, 14 giugno 1997

Cari Fratelli nell'Episcopato,


1. Nell'amore del Salvatore, saluto cordialmente tutta la Chiesa di Dio in Namibia, e vi do il benvenuto, Pastori dell'Arcidiocesi di Windhoek, della Diocesi di Keetmanshoop e del Vicariato Apostolico di Rundu. In veste di Conferenza Episcopale è la prima volta che venite a Roma in occasione di una visita ad Limina Apostolorum: per venerare le tombe dei beati martiri, Pietro e Paolo, il cui sangue ha suggellato il servizio unico di questa «grandissima e antichissima Chiesa» (Sant'Ireneo, Adversus haereses, 3.3.2.), per «vedere Pietro» (cfr Ga 1,18) nella persona del suo Successore e per rendere conto della vostra amministrazione (cfr Lc 16,2). Possiamo di nuovo gioire insieme perché il seme buono del Vangelo sta producendo un abbondante raccolto nel vostro Paese, tanto promettente nel suo vigore giovanile. Il riordinamento della gerarchia nel 1994, l'instaurarsi delle relazioni diplomatiche fra la Namibia e la Santa Sede nel 1996, e la recente formazione della Conferenza dei Vescovi Cattolici della Namibia sono segni positivi del fatto che il Signore ha iniziato la sua buona opera in voi e la porterà a compimento (cfr Ph 1,6).

Come Pastori della Chiesa, siete i guardiani e i costruttori della comunione ecclesiale, la cui fonte più profonda è la condivisione da parte dei credenti della vita intima della Trinità. Un forte senso di comunione ecclesiale vi permetterà di realizzare il vostro ministero pastorale in uno spirito di amorevole cooperazione con i sacerdoti, i religiosi e i laici. Come Pastori saggi avete il dovere di promuovere i diversi doni e carismi, le diverse vocazioni e responsabilità che lo Spirito affida ai membri del Corpo di Cristo. Allo spesso tempo, dovete individuare con fervore e prudenza l'autenticità delle azioni dello Spirito (cfr Giovanni Paolo II, Christifideles laici CL 24) e operare per la comunione e la cooperazione affettiva ed effettiva di tutti. Il vostro ministero è volto a riunire il popolo di Dio in una fraternità ispirata dalla carità, saldamente ancorata al suo unico fondamento, la presenza viva di Gesù Cristo, lo stesso ieri, oggi e sempre (cfr He 13,8).

2. A questo proposito è particolarmente importante promuovere fra tutti i cattolici in Namibia un vivo senso di responsabilità comune per la missione e per l'apostolato della Chiesa. Siate sempre desiderosi di ascoltare i vostri sacerdoti e il vostro popolo, di dare cauti consigli e, riguardo ai laici, di sostenerli nella loro vocazione a «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (Lumen gentium LG 31). Confido nel fatto che per il bene della Chiesa compirete ogni sforzo per formare un laicato maturo e responsabile in «appositi centri e scuole di formazione biblica e pastorale» dove si presta la dovuta attenzione a una «solida formazione nella dottrina sociale della Chiesa» (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, n. 90). Incoraggiate i fedeli laici nella testimonianza che intendono offrire di onestà nella pubblica amministrazione, di rispetto per la legge, di solidarietà con i poveri, di promozione della pari dignità delle donne e di difesa della vita umana dal concepimento fino al momento della morte naturale.

3. Voi costituite una comunità di Chiese particolari con l'aiuto soprattutto di coloro che san Paolo chiama «collaboratori di Dio» (1Co 3,9 cfr 1Th 3,2) ossia i sacerdoti, con i quali avete vincoli di fraternità apostolica forgiata dalla grazia degli ordini sacri. Sebbene troppo pochi per soddisfare tutte le vostre esigenze, stanno portando avanti l'opera di Dio con impegno generoso, lottando onestamente per offrire un'immagine nitida di Cristo, il Sommo Sacerdote (cfr Pastores dabo vobis PDV 12). Presbiteri detti Fidei donum continuano a evidenziare «in modo singolare il vincolo di comunione tra le Chiese» (Redemptoris missio RMi 68) e io prego affinché il loro impegno per la Namibia si rafforzi. Più numerosi sono i sacerdoti religiosi la cui presenza è una grande fonte di arricchimento. Le tradizioni spirituali e apostoliche dei loro Istituti offrono un inestimabile contributo alla vostra vita ecclesiale. Sempre fedeli ai loro carismi fondanti, uomini e donne consacrati mostrano il loro amore autentico per la Chiesa operando «in piena comunione con il Vescovo nell'ambito della evangelizzazione, della catechesi, della vita delle parrocchie» (Vita consecrata VC 49).

L'insufficienza numerica di sacerdoti e di religiosi, che significa anche che molte comunità sono prive della regolare celebrazione della messa domenicale e degli altri sacramenti, dovrebbe suscitare nelle famiglie, nelle parrocchie e in altri Istituti di Vita Consacrata una fervente preghiera al Signore delle messi (cfr Mt 9,38) per una crescita delle vocazioni. Che l'Arcidiocesi di Windhoek stia per fondare un seminario è un segno certo di crescita della maturità ecclesiale. Le mie preghiere si uniscono a quelle della Chiesa in Namibia affinché possiate contare su sacerdoti più numerosi che imitino fedelmente Cristo il Capo, Pastore e Sposo della Chiesa, cosicché possiate essere agenti di evangelizzazione sempre più efficienti. Parimenti mi unisco a voi nel chiedere al Signore delle messi di inviare molti più religiosi, uomini e donne, per soddisfare le necessità dei fratelli.

4. So che cercate di promuovere una feconda cooperazione ecumenica e vi incoraggio, in questa nuova fase della vostra vita nazionale, ad ascoltare con attenzione la voce dello Spirito (cfr Ap 2,7) che sta promuovendo nuove iniziative ecumeniche. L'azione unita dei Cristiani della Namibia per la riconciliazione e per la promozione di saldi valori familiari e sani principi morali è una forma potente di proclamazione che rivela il volto di Cristo nella vostra nazione (cfr Mt 25,40). Essa ha «il trasparente valore di una testimonianza resa insieme al nome del Signore» (Ut unum sint UUS 75).

168 Vi invito a unirvi a tutta la Chiesa che si prepara a varcare la soglia del terzo millennio cristiano. Vi esorto a «elevare insistenti preghiere e per ottenere i lumi e gli aiuti necessari nella preparazione e nella celebrazione del Giubileo ormai prossimo... (lo Spirito) non mancherà di muovere gli animi perché si dispongano a celebrare con fede rinnovata e generosa partecipazione il grande evento giubilare» (Tertio Millennio adveniente TMA 59). Vi ringrazio per gli sforzi indefessi che compite in nome del Vangelo e prego affinché Dio confermi voi, tutti i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i catechisti, le famiglie, i giovani e i laici nelle vostre Chiese particolari, nella fede, nella speranza e nella carità (cfr Lc 22,32). Affidandovi a Maria, Madre del Redentore, prego affinché per sua intercessione lo Spirito Santo ravvivi «il dono di Dio che è in te» (2Tm 1,6) e vi colmi di gioia e di pace.

Con la mia Benedizione Apostolica.

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

IN OCCASIONE DEL 50° DI FONDAZIONE

DEL PONTIFICIO COLLEGIO SAN PIETRO APOSTOLO


Sabato, 14 giugno 1997




Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio!

1. Sono lieto di accogliervi, in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione del Pontificio Collegio San Pietro Apostolo, ricorrenza celebrata lo scorso 22 febbraio, festa della Cattedra di San Pietro.

Un saluto tutto particolare rivolgo ai Signori Cardinali Bernardin Gantin e Francis Arinze, che sono stati alunni del Collegio. Saluto inoltre il Cardinale Jozef Tomko, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, dalla quale il Collegio dipende. Il mio pensiero va poi al Rettore, Padre Manfred Müller, e nella sua persona desidero esprimere un fervido ringraziamento a tutti i Padri e Fratelli Verbiti, che in questi decenni hanno cooperato alla conduzione dell'Istituto; come pure ringrazio le Religiose per il loro prezioso contributo.

2. Nei primi anni Quaranta Mons. Celso Costantini, Presidente della Pontifica Opera di San Pietro Apostolo, promosse la costruzione di un Collegio urbano per i sacerdoti provenienti dai Paesi di missione, inviati a Roma a perfezionare gli studi ecclesiastici. Il nuovo Istituto venne eretto canonicamente dalla Sacra Congregazione "de Propaganda Fide" il 18 gennaio 1947. L'anno successivo, alla vigilia della Solennità dei santi Pietro e Paolo, il Papa Pio XII, proprio in occasione dell'inaugurazione del Collegio, indirizzò ai sacerdoti indigeni di tutti i territori di missione una speciale Esortazione apostolica. Tre anni più tardi, nell'Enciclica Evangelii praecones, parlando degli sviluppi dell'apostolato missionario, il mio venerato Predecessore menzionò anche il "Collegio Petriano sul Gianicolo", "nel quale - scriveva - i sacerdoti indigeni si formano in modo più approfondito e più adatto alle sacre discipline, alla virtù, all'apostolato" (Pio XII, Evangelii praecones, 2 giugno 1951, AAS XLIII [1951], 500).

3. Non mi è stato possibile, carissimi, venire ad incontrarvi nel Collegio, come sarebbe stato mio vivo desiderio e come fece il Papa Paolo VI per il venticinquesimo della fondazione, quando vi celebrò una memorabile Messa di Pentecoste. In quella singolare circostanza, egli così si rivolse agli studenti: "Noi vediamo in voi, Fratelli e Figli carissimi, candidati al ministero missionario, rappresentato il coro dei Popoli, in realtà ed in promessa, che all'unisono e ciascuno con la propria voce, annuncia la salvezza in Cristo Signore" (Paolo VI, Omelia, 21 maggio 1972: Insegnamenti di Paolo VI, X (1972) 538). Nel clima della Pentecoste, il Collegio San Pietro Apostolo appariva nella pienezza della sua vocazione "cattolica": "casa piena di carità e di verità, costruita per l'annuncio della nostra Fede al mondo intero; . . . Fede . . . attuale e viva, unica ed universale, dinamica ed apostolica" (Ibid.).

4. Oggi, guardando a questi cinquant'anni che costituiscono la seconda metà del ventesimo secolo, viene spontaneo pensare: quanti cambiamenti nel mondo e nella Chiesa! Al tempo stesso, alle soglie del terzo millennio, mentre l'umanità appare più che mai bisognosa di verità, di giustizia e di speranza, la Chiesa rinnova il suo immutabile messaggio: "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!" (He 13,8). Ecco allora più che mai valide ed attuali le motivazioni che spinsero a creare questo Istituto. Esso si presenta oggi come prezioso strumento al servizio della nuova evangelizzazione, di quella Redemptoris missio che, "affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento", anzi, "è ancora agli inizi", e chiede di "impegnarci con tutte le forze al suo servizio" (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio RMi 1).

Per rispondere in modo fedele e adeguato al mandato di Cristo, i ministri del Vangelo hanno bisogno di ambienti adatti alla formazione, come fu indispensabile il Cenacolo per il gruppo dei Dodici. Il Collegio San Pietro Apostolo è un autentico Cenacolo di formazione apostolica, in cui sacerdoti di ogni parte del mondo si impegnano a fondo nella preghiera, nello studio, nella vita fraterna, perché il loro ministero sia pienamente conforme alle esigenze della missione della Chiesa ed il Vangelo prosegua la sua corsa fino agli estremi confini della terra.

169 E' questo, carissimi, il mio pensiero ed il mio auspicio, nel guardare oggi a voi. E' questa la mia preghiera, per intercessione della Regina e del Principe degli Apostoli. E mentre affido al Signore i quasi duemila sacerdoti che in questi cinquant'anni si sono formati entro le mura ospitali del Collegio San Pietro Apostolo, di cuore imparto a voi, formatori e studenti di oggi, e a tutti i presenti la mia Benedizione.




AI PARTECIPANTI ALLA RIUNIONE


DELLE OPERE PER L'AIUTO ALLE CHIESE ORIENTALI


Giovedì, 19 giugno 1997




Signor Cardinale,
Venerati Confratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari Membri ed Amici della ROACO!

1. Rivolgo a tutti voi il mio cordiale benvenuto in occasione della vostra annuale riunione tra membri della ROACO ed Officiali della Congregazione per le Chiese Orientali. Saluto, anzitutto, il Sig. Cardinale Achille Silvestrini, che ringrazio per le cordiali parole con cui ha interpretato i comuni sentimenti di affettuosa devozione ed ha accennato alle molteplici attività nelle quali siete impegnati. Con lui saluto il Segretario della Congregazione, l'Arcivescovo Mons. Miroslav Marusyn e il Sotto-Segretario P. Marco Brogi. Mi è pure gradito salutare l'Arcivescovo Datev Sarkissian, venuto in rappresentanza di Sua Santità Karekin I, Catholicos di tutti gli Armeni, al quale invio per suo tramite un fraterno saluto, nel ricordo sempre vivo dei cordiali incontri dello scorso dicembre. Saluto infine tutti voi, qui convenuti, ed esprimo a ciascuno compiacimento e gratitudine per il lavoro svolto.

Sono contento d'incontrarvi oggi, alla conclusione del vostro Convegno, perché mi è dato di rilevare che, nonostante le attuali difficoltà economiche, non è diminuito l'impegno di generosità che anima le Opere che voi rappresentate. Come ricordavo nella Lettera apostolica Orientale Lumen, "le comunità d'Occidente sono pronte a favorire in tutto l'intensificazione di questo ministero di diaconia, mettendo a disposizione di tali Chiese l'esperienza acquisita in anni di più libero esercizio della carità. Guai a noi se l'abbondanza dell'uno fosse causa dell'umiliazione dell'altro o di sterili e scandalose competizioni. Da parte loro le comunità d'Occidente si faranno un dovere anzitutto di condividere, ove possibile, progetti di servizio con i fratelli delle Chiese d'oriente o di contribuire alla realizzazione di quanto esse intraprendono al servizio dei loro popoli" (Giovanni Paolo II, Orientale Lumen, n. 23).

Ho ancora vivissimo nell'animo il ricordo della mia recente visita alle Chiese del Libano, alle quali ho consegnato l'Esortazione post-Sinodale "Una speranza nuova per il Libano". In essa ho ricordato che la missione ecclesiale presuppone l'impegno di tutti e la ferma volontà di valorizzare i carismi di ogni persona e le ricchezze spirituali di ogni comunità per essere fermento di unità e di fraternità. Ciò si realizza anche attraverso "uno scambio di doni fra tutti, con particolare attenzione per i più poveri, cosa che costituisce un servizio caratteristico della Chiesa cattolica nei confronti di tutti" (Giovanni Paolo II, Une Espérance Nouvelle pour le Liban, n. 118).

2. Nel futuro la ROACO si inserirà sempre più attivamente nell'opera che la Congregazione per le Chiese Orientali, spinta dai recenti mutamenti politici, ha iniziato: l'allargamento della prospettiva generale di servizio alle Chiese Orientali Cattoliche, attraverso un'opera di sostegno e promozione nel loro cammino in condizioni tanto diverse. Esse infatti, restituite a nuova libertà, si interrogano sempre più sistematicamente sul modo di vivere la loro specifica identità orientale nel contesto della Chiesa cattolica. In questo processo così importante, la Congregazione per le Chiese Orientali sente che è suo dovere mostrare la sollecitudine della Chiesa universale, ispirando e promuovendo, insieme, con esse, nuove iniziative nel campo degli studi, dell'approfondimento della liturgia, della spiritualità e della storia, nell'impegno formativo e nella pratica progettazione pastorale. Parallelamente, e in modo complementare, la Congregazione giustamente si impegna affinché anche la Chiesa in Occidente valorizzi con sempre maggiore sensibilità l'apporto delle Chiese Orientali Cattoliche, favorendo così una sempre più completa espressione della stessa cattolicità. Vi prego di sostenere ed assecondare la Congregazione in questa sua accresciuta attività, che diventerà sempre più esigente nel tempo.

Un esempio pratico di tali iniziative è costituito dal prossimo incontro dei Vescovi e dei Superiori Religiosi delle Chiese Orientali Cattoliche d'Europa, che si terrà ad Hajdúdorog, in Ungheria, dal 30 giugno al 6 luglio prossimi, ed avrà come tema l'identità degli Orientali cattolici. Si tratta di un evento davvero importante, che unisce nell'incontro, nella riflessione e nell'ascolto comune quanti operano nel Dicastero per le Chiese Orientali ed i responsabili di quelle Chiese che tanto hanno pagato per la loro fedeltà a Cristo e alla Sede romana e che per la prima volta si ritrovano tutte insieme, dopo decenni di separazione e di persecuzione. L'incontro, voluto dalla Congregazione, esprime bene quello stile pastorale che sempre maggiormente è richiesto ai Dicasteri della Curia Romana e si pone come occasione provvidenziale perché gli Orientali Cattolici possano ravvivare l'eredità dei loro martiri, crescere nella consapevolezza delle nuove esigenze pastorali ed affrontare con fede e generosità la non facile situazione dell'ecumenismo, nel quale il loro ruolo viene costantemente richiamato. Auguro all'iniziativa, che benedico di cuore, ogni successo ed abbondanza di frutti spirituali.

3. Desidero avvalorare anche quanto la Congregazione per le Chiese Orientali va facendo per i Seminaristi e per i Sacerdoti, per i Religiosi e le Religiose, che sono inviati a Roma dai loro Vescovi e Superiori per completare la loro formazione e portare a termine gli studi ecclesiastici. E' necessario che essi siano aiutati a trovare nei loro ambienti educativi e di studio un forte clima di fede, l'abitudine alla preghiera biblica, l'attenzione alla qualità della vita spirituale, la testimonianza di comunione e di stima tra tutti coloro che a vari livelli li accompagnano, la passione apostolica al servizio del Regno di Dio e delle loro Chiese di provenienza.

170 Su di un altro aspetto mi piace attirare l'attenzione della ROACO e della Congregazione per le Chiese Orientali. Nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente, a varie riprese in ordine alle diverse scansioni temporali del Grande Giubileo, ho richiamato la Terra Santa. Essa è sempre stata oggetto di predilezione singolare in tutta la Chiesa.

Fin dall'inizio della fede cristiana la comunità di Corinto e le Chiese della Galazia, animate dallo zelo dell'apostolo Paolo, mettevano da parte "ciò che erano riuscite a risparmiare" e inviavano "il dono della loro liberalità a Gerusalemme" (cfr
1Co 16,1-4). La consuetudine di aiuto si solidificò in varie iniziative, fra cui particolare rilievo riveste oggi la "Colletta per la Terra Santa".

Se la terra di Gesù è nel cuore di tutti i fedeli, non può avvenire che quella comunità cristiana viva situazioni di disagio sociale e che a causa di alcune forme di indigenza quei fratelli giungano ad abbandonare il loro Paese alla ricerca di condizioni più dignitose di vita.

Invito quindi caldamente tutta la Chiesa a ricordare che quanto si fa in occasione, per lo più, del Venerdì Santo a favore della Terra Santa è un gesto di squisita e doverosa fraternità, che esprime in maniera reale che cosa è per tutti i cristiani la terra di Gesù.

4. Cari membri della ROACO, il Papa sa che vi dedicate alla formazione delle persone come alla messa a punto delle strutture, che avete a cuore la solidarietà tra i cristiani come i progetti di umanizzazione per popolazioni indigenti o provate dal sottosviluppo, che favorite le opere delle comunità cattoliche come il dialogo tra i cristiani e quello tra le diverse religioni. Vi esprimo il mio compiacimento per le risposte che date alle richieste che vi giungono, ma esprimo anche la riconoscenza di questi popoli e di queste comunità che, grazie all'opera della Congregazione per le Chiese Orientali e della ROACO, vedono aiutati i loro sforzi per una più intensa ripresa dell'iniziativa apostolica e sentono questi gesti di partecipazione come provenienti da un amore genuino e più universale.

La Vergine di Nazareth, Madre del Redentore, vi confermi nei vostri propositi e vi mantenga in costante ascolto della Sua voce materna: "Fate quello che Egli vi dirà" (Jn 2,5).

In pegno della divina assistenza, di cuore vi imparto la mia Benedizione, che molto volentieri estendo a tutte le Chiese e agli Organismi che rappresentate e a favore delle realtà così diverse per le quali operate.


IN OCCASIONE DELLA CONSEGNA DEL PREMIO


INTERNAZIONALE «PAOLO VI» A JEAN VANIER,


FONDATORE DELLA «COMUNITÀ DELL'ARCA»


Giovedì, 19 giugno 1997




Signori Cardinali,
carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Porgo il mio cordiale saluto a tutti voi, qui convenuti per la consegna del Premio che l'Istituto Paolo VI di Brescia conferisce in memoria del mio venerato Predecessore, nato a Concesio proprio cent'anni or sono. Si tratta di un Premio che sino ad ora è stato assegnato prevalentemente a personalità del mondo della cultura e dell'arte. Quest'anno esso viene conferito per la prima volta ad un rappresentante di quel mondo cattolico, che è attivamente impegnato - con motivata ispirazione anche teoretica - sul fronte della formazione umana e della carità, e sono particolarmente lieto di consegnarlo personalmente al Signor Jean Vanier, fondatore delle Comunità dell'Arca. Egli è un grande interprete della cultura della solidarietà e della "civiltà dell'amore", sia nel campo del pensiero che in quello dell'azione, nell'impegno a favore dello sviluppo integrale di ogni uomo e di tutto l'uomo.

171 Già due volte, nel 1984 e nel 1987, ho avuto il piacere di accogliere il Signor Vanier qui in Vaticano, insieme con rappresentanti delle comunità da lui fondate. L'odierna circostanza è assai appropriata per esprimere la riconoscenza della Chiesa verso un'opera che è al fianco delle persone portatrici di handicap con apprezzato stile evangelico, offrendo un servizio sociale originale e al tempo stesso un'eloquente testimonianza cristiana.

Saluto il caro Vescovo di Brescia, Monsignor Bruno Foresti, e lo ringrazio per le parole poc'anzi rivoltemi. Porgo il benvenuto ai responsabili dell'Istituto Paolo VI e, particolarmente, al suo Presidente, il Dottor Giuseppe Camadini, e all'Arcivescovo Pasquale Macchi, che tanto vicino fu a Papa Paolo VI. Rinnovo a tutti l'espressione del mio apprezzamento per la molteplicità delle iniziative promosse dal benemerito Istituto ed in modo speciale per questo Premio, che in qualche modo prolunga la singolare attenzione del Servo di Dio Paolo VI verso le personalità che l'uomo contemporaneo riconosce come "maestri" perché sono anzitutto dei "testimoni" (Paolo VI, Evangelii nuntiandi EN 41).

Nella motivazione della presente edizione del Premio, si fa opportunamente riferimento all'Enciclica Populorum progressio, che il Papa Paolo VI promulgò trent'anni or sono richiamando all'attenzione di tutti le esigenze spirituali e morali dell'autentico sviluppo. Oggi, mentre viene conferito un importante riconoscimento a Jean Vanier ed alle Comunità dell'Arca, ringraziamo il Signore perché fa nascere e crescere nella sua Chiesa concreti segni di speranza, che mostrano come sia possibile realizzare nel quotidiano, anche in situazioni talora complesse e difficili, le Beatitudini evangeliche.

2. In un messaggio rivolto a un gruppo di pellegrini dell'associazione «Foi et Lumière» venuti a Roma nel 1975 per l'Anno Santo, Paolo VI scriveva che l'attenzione dispensata alle persone portatrici di handicap è «la prova più significativa di una famiglia pienamente umana, di una società veramente civilizzata, a fortiori di una Chiesa autenticamente cristiana» (Paolo VI, Nuntius scripto datus sodalibus associationis «Foi et Lumière» anno 1975: Insegnamenti di Paolo VI, XIII, 1975, p. 1197).

Nel cammino che percorre da oltre trent'anni, come ha ricordato il Presidente dell'Istituto Paolo VI, l'Arca è diventata un germe provvidenziale della civiltà dell'amore, un germe autentico, foriero di un evidente dinamismo. Lo dimostra la sua considerevole espansione in numerose regioni del mondo: è in effetti presente in ventotto Paesi nei cinque continenti. Questa comunità non si limita però alla filantropia e neanche a una semplice assistenza. Nonostante la sua crescita e la sua diffusione, l'Arca ha saputo conservare lo stile delle origini, uno stile di apertura e di condivisione, di attenzione e di ascolto, che considera sempre l'altro come una persona da accogliere e da rispettare profondamente.

Senza alcun dubbio, ciò dipende dalla dimensione spirituale che il signor Jean Vanier ha sempre saputo mettere al centro della comunità dell'Arca. Si tratta di un messaggio eloquente per il nostro tempo assetato di solidarietà, ma soprattutto di spiritualità autentica e profonda.

A tale proposito, come non pensare naturalmente a Padre Thomas Philippe, domenicano, che ha ispirato e incoraggiato il signor Vanier a intraprendere il cammino che il Signore gli indicava? L'ha poi sempre accompagnato con la sua preghiera e con la sua presenza. A lui, che vive ormai nell'«Arca del cielo», rendiamo oggi un fervente omaggio di gratitudine.

Come non ricordare qui tutti quegli uomini e tutte quelle donne che hanno offerto alle diverse comunità dell'Arca il loro servizio silenzioso e generoso? Il premio conferito oggi va al contempo a tutte queste persone. Esso rende onore anche e soprattutto alle persone segnate da un handicap, dalle prime due che il signor Jean Vanier accolse nella sua casa al gran numero che l'Arca accoglie oggi. Sono loro, in effetti, i personaggi principali dell'Arca, che, con fede, pazienza e fratellanza, fanno di essa un segno di speranza e una gioiosa testimonianza della Redenzione.

3. Mentre mi felicito calorosamente con il Signor Jean Vanier, auguro che l'opera da lui fondata - nel suo insieme ed in ogni comunità - sia sempre accompagnata dalla luce e dalla forza dello Spirito Santo, per rispondere adeguatamente al progetto del Signore, venendo così incontro alle sofferenze ed alle necessità di tanti fratelli e sorelle.

Invoco a tal fine la costante protezione di Maria Santissima ed imparto di cuore a tutti voi e in modo speciale all'Istituto Paolo VI, come pure al Fondatore ed ai membri dell'Arca, una speciale Benedizione Apostolica.


AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO EUROPEO


PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO


DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE


Sala del Concistoro - Venerdì, 20 giugno 1997




Signor Cardinale,
172 Gentili Signore e Signori!

1. Desidero anzitutto esprimere il mio vivo compiacimento per questo Convegno europeo di dottrina sociale della Chiesa, che vede riuniti, per la prima volta, i docenti di tale disciplina nell'intento di individuare le modalità più adeguate perché essa sia insegnata e diffusa. Ringrazio il Signor Cardinale Roger Etchegaray per le gentili parole con cui ha presentato questo significativo evento. Estendo il mio ringraziamento a Mons. Angelo Scola, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, ed al Prof. Adriano Bausola, Rettore Magnifico dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, per la fattiva collaborazione offerta al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nel preparare questo proficuo incontro, motivo di consolazione e di speranza.

La dottrina sociale della Chiesa costituisce una delle mie più vive preoccupazioni, giacché sono profondamente consapevole di quanto generosa e qualificata debba essere la sollecitudine di tutta la Chiesa nell'annunciare all'uomo del nostro tempo il Vangelo della vita, della giustizia e della solidarietà.

Approfondendo le ragioni di questo impegno ecclesiale, voi vi siete opportunamente fermati a fare memoria del trentesimo anniversario della Populorum progressio del mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Paolo VI, e del decimo anniversario della Sollicitudo rei socialis.Queste due Encicliche, con il loro esigente messaggio, restano un monito attuale e ineludibile a non abbandonare il cantiere dove si costruisce lo sviluppo di tutto l'uomo e di ogni uomo, secondo parametri non solo economici, ma anche morali.

2. Nel vostro quotidiano servizio di docenti della dottrina sociale della Chiesa vi capita molte volte di imbattervi nella domanda ricorrente: "Come deve essere proposta nell'attuale situazione storica e culturale la verità affidata ai cristiani?". L'urgenza che oggi emerge sempre più nitida ed impellente è quella di promuovere una "nuova evangelizzazione", una "nuova implantatio evangelica", anche con riferimento al sociale. Il Papa Paolo VI spronava, infatti, a superare la frattura tra Vangelo e cultura, attraverso un'opera di inculturazione della fede, capace di raggiungere e trasformare, mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, le linee di pensiero propri di ogni società. L'intenzione centrale, particolarmente attuale se consideriamo la situazione dell'Europa, era rivolta a mettere in evidenza con rinnovato slancio la rilevanza della fede cristiana per la storia, la cultura e la convivenza umana.

A partire da Gesù Cristo, unica salvezza dell'uomo, è possibile mettere in evidenza il valore universale della fede e dell'antropologia cristiana ed il loro significato per ogni ambito dell'esistenza. In Cristo è offerta all'essere umano una specifica interpretazione personalistica e solidarista della sua realtà aperta alla trascendenza.

Proprio a partire da questa antropologia, la dottrina sociale della Chiesa può proporsi non come ideologia, o "terza via", simile ad altre proposte politiche e sociali, ma propriamente come un particolare sapere teologico-morale, che ha la sua origine in Dio che si comunica all'uomo (cfr Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis
SRS 41). In questo mistero essa trova la sorgente inesauribile per interpretare e orientare le vicende dell'uomo. La nuova evangelizzazione, a cui è chiamata tutta la Chiesa, dovrà pertanto integrare in sé, a pieno titolo, la dottrina sociale della Chiesa (cfr Ibid.), e così mettersi meglio in grado di raggiungere e di interpellare, nella concretezza dei problemi e delle situazioni, i popoli europei.

3. Un'altra prospettiva, dalla quale si comprende l'ampiezza di orizzonti del vostro impegno formativo, imperniato sulla dottrina sociale della Chiesa, è quella che riguarda l'etica cristiana.

Nell'odierna cultura dell'Europa contemporanea è forte la tendenza a "privatizzare" l'etica e a negare rilevanza pubblica al messaggio morale cristiano. La dottrina sociale della Chiesa rappresenta, di per se stessa, il rifiuto di tale privatizzazione, perché mette in luce le autentiche e decisive dimensioni sociali della fede, illustrandone le conseguenze etiche.

Come in più circostanze ho avuto modo di ribadire, nella prospettiva delineata dalla dottrina sociale della Chiesa non si deve mai rinunciare a sottolineare il legame costitutivo dell'umanità con la verità ed il primato dell'etica sulla politica, l'economia e la tecnologia.

Attraverso la sua dottrina sociale, la Chiesa pone così al continente europeo, che vive una stagione complessa e travagliata a livello di integrazione politica, economica e di organizzazione sociale, la questione della qualità morale della sua civiltà, presupposto ineludibile per costruire un autentico futuro di pace, di libertà e di speranza per ogni popolo e nazione.

173 4. Di fronte alle tante e difficili sfide dell'epoca attuale la Chiesa, nella sua azione evangelizzatrice, è chiamata a sviluppare un'intensa e costante opera di formazione all'impegno sociale. Sono persuaso che voi non mancherete di arrecarvi il vostro qualificato contributo, avendo quest'opera la sua struttura portante nella dottrina sociale della Chiesa. Alla sua luce sarà possibile mostrare come il senso compiuto della vocazione umana e cristiana includa pure la dimensione sociale. Lo ricorda chiaramente il Concilio Vaticano II, che nella Gaudium et Spes afferma: "I doni dello Spirito sono vari. Alcuni li chiama a dare testimonianza manifesta della dimora celeste col desiderio di essa, contribuendo così a mantenerlo vivo nell'umanità, altri li chiama a consacrarsi al servizio degli uomini sulla terra, così da proporre attraverso tale loro ministero la materia per il Regno dei cieli" (Gaudium et Spes GS 38).

In questa prospettiva, la formazione all'impegno sociale appare come lo sviluppo di una spiritualità cristiana autentica, chiamata per sua natura ad animare ogni umana attività. Suo elemento essenziale sarà lo sforzo di vivere la profonda unità tra l'amore di Dio e l'amore del prossimo, tra la preghiera e l'azione. Su questo dovrà, pertanto, costantemente tornare il vostro insegnamento, cari docenti di dottrina sociale della Chiesa. E' un contributo, il vostro, che deve entrare sempre più a far parte in maniera organica dell'azione pastorale della comunità cristiana.

5. Un'adeguata formazione all'impegno sociale pone una duplice e unitaria esigenza: quella di conoscere a fondo la dottrina sociale della Chiesa, da una parte, e quella di saper discernere in modo concreto, dall'altra, le incidenze del messaggio evangelico sulla piena realizzazione dell'uomo nelle diverse circostanze della sua esistenza terrena. Tale duplice esigenza si fa particolarmente pressante se si considera la tematica dello sviluppo, da voi affrontata nel corso dei lavori del Convegno. In effetti, gli attuali processi di globalizzazione economica, pur presentando molteplici aspetti positivi, manifestano anche preoccupanti tendenze a lasciare ai margini dello sviluppo i paesi più bisognosi e persino intere aree regionali. E' soprattutto il mondo del lavoro dipendente a dover affrontare le conseguenze, spesso drammatiche, di imponenti cambiamenti nella produzione e nella distribuzione dei beni e dei servizi economici.

Il settore più avvantaggiato nei processi di globalizzazione economica sembra essere quello comunemente chiamato "privato" per il suo dinamismo imprenditoriale. La dottrina sociale della Chiesa gli riconosce certamente un significativo ruolo nella promozione dello sviluppo, ma ricorda, al tempo stesso, a ciascuno la responsabilità di agire sempre con viva sensibilità per i valori del bene comune e della giustizia sociale. La mancanza a livello internazionale di adeguate strutture, di regolamentazione e di indirizzo dell'attuale processo di globalizzazione economica non diminuisce la responsabilità sociale degli operatori economici, impegnati in tale contesto. La situazione delle persone e delle nazioni più povere chiama ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, perché siano create senza indugi condizioni propizie di autentico sviluppo per tutti.

I popoli hanno diritto allo sviluppo: sono, pertanto, le forme di organizzazione delle forze economiche, politiche e sociali e gli stessi criteri di distribuzione del lavoro fin qui sperimentati che hanno bisogno di essere rivisti e corretti in funzione del diritto al lavoro che ciascuno ha nel quadro del bene comune. Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace continua a tenere viva questa urgente necessità, entrando in un dialogo chiarificatore con qualificati rappresentanti delle diverse categorie economiche e sociali, come gli imprenditori, gli economisti, i sindacalisti, le istituzioni internazionali, il mondo accademico.

Mentre ringrazio il Presidente e tutti i collaboratori di questo Dicastero per la loro generosa dedizione, auspico di cuore che il loro impegno contribuisca efficacemente a seminare nei solchi delle umane vicende la civiltà dell'Amore. Auguro, poi, ai docenti qui presenti di essere esperti formatori delle nuove generazioni, sorretti dalla fede in Cristo, Redentore di ogni uomo e di tutto l'uomo, dal costante contatto con le problematiche dell'epoca moderna, da una maturata esperienza pastorale e dall'uso sapiente dei moderni mezzi della comunicazione sociale.

Vi conforti nel vostro lavoro la mia Benedizione.


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