GP2 Discorsi 1996 258

258 La nascita di un figlio è motivo di gioia e preannuncio di speranza in una famiglia, ma una tale speranza deve essere realizzata e consolidata dalla crescita. Ora, a somiglianza di quanto accade con la procreazione e in misura ancora maggiore, la crescita umana, in quanto formazione, ossia una sorta di procreazione continua, richiede l’impegno e l’aiuto reciproco di tutti i membri della famiglia, altrimenti ciò che è la sua risorsa decisiva, ossia la persona può diventare un elemento di turbamento e di paralisi. Visto che la cultura africana tende a privilegiare l’aspetto comunitario piuttosto che quello individuale, il clan piuttosto che la persona, e, senza negare la libertà di ognuno, preferisce sottolineare la sua integrazione nella famiglia, tutto ciò può aiutare la grande Famiglia di Dio, che è la Chiesa in Africa, ad accrescere, al suo interno e intorno a sé, il calore delle relazioni umane, la solidarietà e la fiducia reciproca.

Questo è l’ambiente ecclesiale propizio all’azione formativa; tuttavia non basta l’ambiente, come evidenzia l’Esortazione Apostolica post-sinodale Christifideles laici: “Non si dà formazione vera ed efficace se ciascuno non si assume e non sviluppa da se stesso la responsabilità della formazione: questa, infatti, si configura essenzialmente come “autoformazione””. È anche importante stabilire che “ognuno di noi è il termine e insieme il principio della formazione: più veniamo formati e più sentiamo l’esigenza di proseguire e di approfondire tale formazione”, e “più ci rendiamo capaci di formare gli altri”. Necessaria e feconda è, infine, la coscienza che “l’opera formativa, mentre ricorre con intelligenza ai mezzi e ai metodi delle scienze umane, è tanto più efficace quanto più è disponibile alla azione di Dio” (Giovanni Paolo II, Christifideles laici
CL 63).

Il Sinodo dei Vescovi del 1987, dopo aver descritto la formazione cristiana come un “un continuo processo personale di maturazione nella fede e di configurazione con il Cristo secondo la volontà del Padre, con la guida dello Spirito Santo”, afferma chiaramente che “la formazione dei fedeli laici va posta tra le priorità della diocesi e va collocata nei programmi di azione pastorale in modo che tutti gli sforzi della comunità ( . . .) convergano a questo fine” (Ivi, 57). Venerabili Fratelli nell’Episcopato, dimorino sempre nei nostri cuori gli stessi sentimenti che l’Apostolo Paolo dichiarava ai Galati “Figlioli miei che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi!” (Ga 4,19).

5. Le forme della presenza della Chiesa nelle società della vostra regione sono molteplici. Così, le scuole e i centri di formazione cattolica impartono, senza distinzione di ambiente sociale o di religione una solida educazione umana, culturale e religiosa, nel rispetto delle coscienze degli studenti e delle opzioni delle loro famiglie. Essi consentono a giovani di origine diversa di iniziarsi al dialogo della vita, per partecipare all’edificazione di una società accogliente verso tutti e rispettosa delle differenze. Sono anche luoghi che aiutano ad affrontare gli ostacoli che troppo spesso oggi si presentano nella vita dei giovani, come la mancanza di lavoro o lo sconforto dinanzi alle difficoltà.

Da diversi anni avete messo in atto modi di presenza e di servizio nel mondo culturale e universitario. Sono lieto dell’esistenza, in diverse delle vostre Diocesi, di centri culturali cattolici “che permettono la larga diffusione, mediante il dialogo creativo, delle convinzioni cristiane sull’uomo, sulla donna, sulla famiglia, sul lavoro, sull’economia, sulla società, sulla politica, sulla vita internazionale, sull’ambiente. Essi sono così luoghi d’ascolto, di rispetto e di tolleranza” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 103). In questi tempi di grandi mutamenti, la Chiesa desidera anche partecipare allo sviluppo integrale della persona umana, in un atteggiamento di dialogo con le culture e con le diverse correnti di pensiero che si esprimono nella società.

Per diffondere maggiormente il messaggio del Vangelo nelle vostre società, in alcuni dei vostri Paesi la e Chiesa si sta preoccupando di sviluppare in diversi modi i suoi interventi attraverso i mezzi di comunicazione sociale. Vi incoraggio a proseguire su questa via che permette di lavorare alla formazione umana e le spirituale dell’uomo, raggiungendolo al centro della sua vita quotidiana. I mezzi di comunicazione sociale possono così trasmettere a tutti la testimonianza di speranza e di luce e di cui i cristiani si considerano portatori.

6. Per la maggior parte dei vostri fedeli, l’incontro con i credenti dell’Islam è un quadro consueto nel quale essi devono rendere la loro testimonianza di vita evangelica. Sono lieto dei rapporti di fiducia e di amicizia generalmente intrattenuti nella vostra regione dalle diverse comunità religiose. In numerosi ambiti, vi è possibile lavorare insieme alla promozione delle persone e allo sviluppo dei vostri popoli, ricordandovi che l’amore fraterno, condiviso con tutti, è il tratto distintivo del discepolo di Cristo. Il dialogo della vita, che è così importante, trova in effetti un normale sviluppo nella ricerca del bene comune, compiuta in uno spirito di rispetto reciproco, di concordia e di solidarietà. Come ho già sottolineato durante il mio incontro con i capi religiosi musulmani a Dakar, “per offrire un contributo specificamente religioso alla società, il dialogo tra Cristiani e Musulmani deve essere sviluppato. Noi dobbiamo essere pronti a parlarci apertamente e con tutta franchezza e dobbiamo ascoltarci reciprocamente con molta attenzione e rispetto” (Giovanni Paolo II, Ai capi religiosi musulmani, 22 feb. 1992: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XV, 1 81992) 394). In un’epoca in cui le tentazioni di rifiuto dell’altro o di scontro religioso minacciano la stabilità delle collettività e l’equilibrio delle persone, urge che i cristiani e i musulmani rendano testimonianza del Dio buono e misericordioso, per costruire una società più fraterna e più accogliente in cui ognuno potrà essere riconosciuto nella sua diversità.

7. Nelle vostre relazioni voi avete sottolineato le numerose forme di povertà che colpiscono le popolazioni della vostra regione. Sull’esempio di Cristo venuto ad “annunciare la Buona Novella ai poveri”, la Chiesa si è impegnata a fondo presso quanti sono colpiti dalla povertà materiale, dalla sofferenza e dalla malattia, per mezzo dei suoi servizi sociali e sanitari o in collaborazione con istituzioni nazionali o internazionali. Vi incoraggio con vigore a proseguire nella testimonianza della carità di Cristo che voi rendete presso tutti senza distinzione. La sollecitudine per i poveri è uno dei criteri più importanti dell’appartenenza a Cristo. Ricordo qui, in particolare, le religiose e tutte le persone che lavorano nei servizi sanitari e che, in molteplici modi, si donano generosamente per alleviare le sofferenze dei loro fratelli e delle loro sorelle malati, disabili o prigionieri. So con quale abnegazione esse rendono testimonianza dell’amore di Dio presso i più derelitti. Mi ricordo con emozione della mia visita al Centro di accoglienza e di cura per i lebbrosi, a Cumura, vicino a Bissau. Mi rallegro anche delle iniziative che avete preso, soprattutto in Senegal, per portare “ai fratelli e alle sorelle colpiti dall’AIDS tutto il conforto possibile sia materiale che morale e spirituale” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 116). Auspico che si prosegua un’educazione nella verità per fare scoprire ai giovani una sana e autentica concezione della vita e che l’appello alla speranza e alla solidarietà lanciato dai Vescovi del Senegal sia ampiamente ascoltato.

8. L ‘Evangelizzazione della famiglia è uno dei compiti più importanti del vostro ministero episcopale. La dignità dell’uomo e della donna, creati a immagine e somiglianza di Dio, conferisce ad entrambi diritti inalienabili e responsabilità proprie. Sebbene diversi, essi sono essenzialmente uguali. Pertanto, con i Padri sinodali, non si possono non deplorare i costumi e le pratiche che privano le donne dei loro diritti e del rispetto loro dovuto. La promozione e la tutela dei loro diritti è un compito importante per la Chiesa in Africa (cf. Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 82).

La pastorale familiare deve anche preoccuparsi di preparare i giovani a considerare il matrimonio cristiano come una vocazione che presuppone un amore unico e indissolubile. Invito i giovani a non avere paura di impegnarsi in questo cammino esigente, ma che costituisce un’espressione dell’amore che Cristo nutre per essi. Troveranno qui la crescita del loro essere e la vera realizzazione della loro vita, secondo la volontà di Dio.

9. Signor Cardinale, cari Fratelli nell’Episcopato, prima di concludere, desidero ancora salutare con affetto i sacerdoti delle vostre Diocesi, vostri collaboratori immediati, che si dedicano con ardore all’annuncio del Vangelo, in condizioni spesso difficili. Prego il Signore di rendere feconda l’opera di salvezza di cui essi sono, con voi, i servitori zelanti in ognuno dei vostri Paesi. Che Egli doni a ognuno di voi forza e luce per condurre il popolo di cui siete i Pastori lungo le vie della fede, della speranza e della carità! Affidandovi all’intercessione materna della Vergine Maria, vi imparto di tutto cuore la Benedizione Apostolica, che estendo volentieri ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai catechisti e a tutti i laici delle vostre Diocesi.


AI PARTECIPANTI ALLA XI CONFERENZA INTERNAZIONALE


ORGANIZZATA DAL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA


PASTORALE PER GLI OPERATORI SANITARI


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Sabato, 30 novembre 1994




Sono lieto di questo incontro, che mi consente di portarvi il mio saluto, illustri partecipanti alla Conferenza Internazionale, che il Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari ha promosso sul problema del disagio mentale sotto il significativo titolo “Ad immagine e somiglianza di Dio: sempre? Il disagio della mente umana”.

Saluto con affetto il Card. Fiorenzo Angelini, che ringrazio per il cordiale indirizzo rivoltomi. A lui ed ai suoi collaboratori va una particolare parola di apprezzamento per l’impegno posto nella preparazione di questo Simposio, che raccoglie specialisti di ogni parte del mondo.

2. Sono presenti tra voi, illustri Signori e Signore, ricercatori, scienziati, esperti nel campo delle scienze biomediche, teologi, moralisti, giuristi, psicologi, sociologi, operatori sanitari. Insieme rappresentate un patrimonio di umanità e di saggezza, di scienza e di esperienza, dal quale possono venire indicazioni di grande utilità per la comprensione, la cura e l’accompagnamento dei malati di mente.

A queste persone, come ad ogni altro essere umano toccato dalla malattia, la Chiesa guarda con particolare sollecitudine. Istruita dalle parole del Maestro divino, essa “crede che l’uomo, fatto a immagine del Creatore, redento con il sangue di Cristo e santificato dalla presenza dello Spirito Santo, ha come fine ultimo della sua vita l’essere “a lode della gloria” di Dio (cf. Ef
Ep 1,12), facendo sì che ognuna delle sue azioni ne rifletta lo splendore” (Giovanni Paolo II, Veritatis splendor VS 10).

La Chiesa è profondamente convinta di questa verità. Lo è anche quando le facoltà intellettuali dell’uomo - quelle più nobili, perché testimoniano la sua natura spirituale - appaiono fortemente limitate e persino impedite a causa di un processo patologico. Essa ricorda pertanto alla comunità politica il dovere di riconoscere e di celebrare l’immagine divina nell’uomo attraverso opere di accompagnamento e di servizio a favore di quanti si trovano in situazione di grave disagio mentale. Si tratta di un impegno che la scienza e la fede, la medicina e la pastorale, la competenza professionale e il senso della comune fratellanza devono concorrere a rendere fattivo mediante l’investimento di adeguate risorse umane, scientifiche e socioeconomiche.

3. Il titolo del Congresso invita a proseguire nell’approfondimento di questa linea di riflessione appena abbozzata. Esso, infatti, mentre da una parte ripropone un’autorevole affermazione della Bibbia, dall’altra solleva un inquietante interrogativo.

Uno dei pilastri dell’antropologia cristiana è costituito dalla convinzione che l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. È quanto sta scritto nel primo capitolo della Genesi (Gn 1,26). La riflessione filosofica e teologica ha individuato nelle facoltà intellettuali dell’uomo, cioè nella sua ragione e nella sua volontà, un segno privilegiato di questa affinità con Dio. Tali facoltà, infatti, rendono l’uomo capace di conoscere il Signore e di stabilire con Lui un rapporto dialogico. Sono prerogative che fanno dell’essere umano una persona. Ragionando su ciò san Tommaso rileva: “Persona significa quanto di più nobile c’è in tutto l’universo, cioè il sussistente di natura razionale” (San Tommaso, Summa Theologiae, I, a. 29, a. 3).

Va precisato, tuttavia, che l’uomo intero, non quindi soltanto la sua anima spirituale con l’intelligenza e la volontà libera, ma anche col suo corpo partecipa alla dignità di “immagine di Dio”. Infatti, il corpo dell’uomo “è corpo umano proprio perché è animato dall’anima spirituale, ed è la persona umana tutta intera ad essere destinata a diventare, nel corpo di Cristo, il tempio dello Spirito” (Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 364). “Non sapete, scrive l’Apostolo, che i vostri corpi sono membra di Cristo? . . . Non appartenete a voi stessi... Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1Co 6,15 1Co 6,19-20). Di qui l’esigenza di rispetto verso il proprio corpo, e anche verso quello degli altri, particolarmente quando soffre (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, cit., 1004).

4. Proprio per questo suo essere persona l’uomo, fra tutte le creature, è rivestito di una dignità unica. Ogni singolo uomo è fine per se stesso e non può mai essere adoperato come semplice mezzo per raggiungere altri traguardi, neanche nel nome del benessere e del progresso dell’intera comunità. Dio, creando l’uomo a sua immagine, ha voluto renderlo partecipe della sua signoria e della sua gloria. Quando gli ha affidato il compito di prendersi cura dell’intera creazione, ha tenuto conto della sua intelligenza creativa e della sua libertà responsabile.

Il Vaticano II, scandagliando il mistero dell’uomo, ci ha aperto dinanzi, sulla scorta delle parole di Cristo (cf. Gv Jn 17,21-22), orizzonti impervi alla ragione umana. Nella Costituzione Gaudium et spes ha accennato esplicitamente ad “una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità” (Gaudium et spes, GS 24). Quando Dio rivolge il suo sguardo sull’uomo, la prima cosa che vede e ama in lui non sono le opere che riesce a fare, ma l’immagine di Se stesso; immagine che conferisce all’uomo la capacità di conoscere e di amare il proprio Creatore, di governare tutte le creature terrene e di servirsene a gloria di Dio (cf. Ivi, 12). È per questo che la Chiesa riconosce in tutti gli uomini la stessa dignità, lo stesso valore fondamentale, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione derivante dalle circostanze. Indipendentemente perciò - ed è della massima importanza - anche dal fatto che tale capacità non sia attuabile, perché impedita da un disagio mentale.

260 5. Questa concezione dell’uomo, come immagine e somiglianza di Dio, non solo è confermata dalla Rivelazione neo-testamentaria, ma ne viene massimamente arricchita. Afferma san Paolo: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Ga 4,4-5). L’uomo dunque, in virtù della grazia, partecipa realmente di questa filiazione divina, divenendo figlio di Dio nel Figlio.

Insegna il Concilio Vaticano II: Cristo è “l’immagine dell’invisibile Dio” (Col 1,15). Egli è l’uomo perfetto, che ha restituito ai figli d’Adamo la somiglianza con Dio. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo” (Gaudium et Spes GS 22).

6. A questo punto avvertiamo tutto il peso dell’inquietante interrogativo che compare nel tema: “sempre?”. È una domanda provocatoria, che non si pone tanto sul piano ontologico - qui fede e ragione s’incontrano nel riconoscere ai malati di mente piena dignità umana - quanto su quello deontologico: ci si può chiedere infatti se ci sia piena e adeguata corrispondenza fra ciò che l’uomo, anche mentalmente malato, è nel progetto di Dio ed il trattamento che gli viene riservato dai suoi simili nel vissuto quotidiano.

Quell’interrogativo - “sempre?” - deve spingere sia la coscienza personale che quella collettiva ad una riflessione sincera sul comportamento verso le persone che soffrono il disagio mentale. Non è forse vero che queste persone sono spesso esposte all’indifferenza e all’abbandono, quando non anche allo sfruttamento ed al sopruso?

Per grazia di Dio, vi è anche l’altra faccia della medaglia: lo sottolineavo nell’Enciclica Evangelium vitae, ricordando “tutti quei gesti quotidiani di accoglienza, di sacrificio, di cura disinteressata che un numero incalcolabile di persone compie con amore nelle famiglie, negli ospedali, negli orfanotrofi, nelle case di riposo per anziani e in altri centri o comunità a difesa della vita” (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae EV 27). Ma non possiamo chiudere gli occhi di fronte a certi comportamenti che sembrano ignorare la dignità dell’uomo e conculcarne gli inalienabili diritti.

7. Non lo possiamo in particolare noi cristiani. Il Vangelo, al riguardo, parla chiaro. Cristo non solo compatisce i malati e compie su di essi numerose guarigioni, rendendo la salute sia al corpo che alla mente; la sua compassione lo porta anche ad identificarsi con essi. Egli dichiara: “Ero malato e mi avete visitato” (Mt 25,36). I discepoli del Signore, appunto perché hanno saputo vedere in tutte le persone segnate dalla malattia l’immagine di Cristo “sofferente”, hanno aperto ad esse il loro cuore prodigandosi nelle varie forme di assistenza.

Orbene, Cristo ha assunto su di Sé ogni sofferenza umana, anche il disagio mentale. Sì, anche questa sofferenza, che appare forse come la più assurda e incomprensibile, configura il malato a Cristo e lo fa partecipe della sua passione redentrice.

8. La risposta all’interrogativo del tema è dunque chiara: chi soffre un disagio mentale porta in sé, come ogni uomo, “sempre” l’immagine e la somiglianza di Dio. Egli inoltre, ha “sempre” il diritto inalienabile ad essere non solo considerato come immagine di Dio e perciò come persona, ma anche a venire trattato come tale.

A ciascuno il compito di rendere operativa la risposta: occorre dimostrare coi fatti che la malattia della mente non crea fossati invalicabili né impedisce rapporti di autentica carità cristiana con chi ne è vittima. Essa anzi deve suscitare un atteggiamento di particolare attenzione verso queste persone che appartengono a pieno diritto alla categoria dei poveri a cui spetta il Regno dei cieli (cf. Mt Mt 5,3).

Illustri Signori e Signore, ho ricordato queste fondamentali e consolanti verità, ben sapendo di parlare a persone che le capiscono a fondo. Volentieri mi valgo della circostanza per esprimervi tutto il mio apprezzamento per il vostro prezioso lavoro e per incoraggiarvi a proseguire in un servizio di così alto significato umanitario.

Voglia il Signore benedire i vostri sforzi terapeutici e coronarli con risultati confortanti per i vostri pazienti, ai quali va il mio ricordo affettuoso insieme con l’assicurazione di una particolare preghiera.

261                                                            Dicembre 1996

VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA DI SAN GIROLAMO EMILIANI



Domenica, 1° dicembre 1996




Vorrei esprimere la mia ammirazione per il canto che avete intonato: «Santo, Santo». Chi cantava: «Benedetto Colui che viene nel nome del Signore»?: Cantavano così i ragazzi e le ragazze quando Gesù entrava a Gerusalemme nella Domenica delle Palme, all'inizio della Settimana Santa. Entrava per compiere a Gerusalemme il Mistero pasquale, con la sua morte e la sua risurrezione. Oggi è la prima domenica di Avvento e ci prepariamo non ancora agli eventi della Settimana Santa, ma ci prepariamo al Natale e questo canto - «Benedetto Colui che viene nel nome del Signore» - si riferisce quindi alla notte di Betlemme, quando Gesù venne per la prima volta, facendosi uomo come noi. Egli nasce a Betlemme per poi crescere come tutti noi, come ho fatto anche io.

Mi è stato chiesto cosa facevo quando ero bambino. Facevo le stesse cose che fate voi. Di Gesù si dice che cresceva negli anni e nella Grazia di Dio e nella sapienza di Dio e degli uomini. Questo è il programma universale per tutti i ragazzi: crescere nella sapienza, nell'educazione crescere nella grazia di Dio e maturare per essere sempre più simili a Cristo, a Gesù. Questo vi auguro. Mi congratulo con voi che siete i privilegiati, come i bambini che hanno accompagnato Gesù all'inizio della Settimana Santa, cantando: «Santo, Santo. Benedetto Colui che viene nel nome del Signore».

Noi ripetiamo questo canto nella Santa Messa, celebrando l' Eucaristia. Lo cantiamo al momento della preghiera eucaristica, nel momento in cui avviene la transustanziazione, quando Gesù si prepara a venire sotto le specie del pane e del vino.

Vi auguro di vivere profondamente tutti i misteri della nostra fede. In questo momento il mistero natalizio, attraverso l'Avvento e poi il Santo Natale. Vi auguro grande gioia nel Natale. Tra poco ci ritroveremo intorno al Presepe. Avete cantato bene e adesso vi comportate molto bene, così calmi e così composti.

Siete veramente dei bravi ragazzi. Vi auguro anche di crescere negli anni e nella scuola fino all'università, per poi trovare la vostra vocazione, che può essere anche sacerdotale o religiosa, ma la maggioranza si sposa e costituisce delle famiglie. Auguro alle vostre famiglie tutto il bene. Che il Signore benedica le vostre famiglie. Buon Natale!

Ai giovani

Siete quasi tutti Scout. Ho visto subito che sono due le compo­nenti che promuovono la vita della parrocchia: gli Scout e i neocatecumenali. Gli Scout si vedono dalle uniformi, i neocatecumenali si sentono dai canti. Vorrei ringraziarvi per la vostra accoglienza e per la partecipazione a questa visita e vorrei auguravi buon Avvento.

Grazie a Dio esiste l'Avvento. La vita sarebbe vuota se non ci fosse un Avvento, se non ci fosse l'attesa di qualcuno, di una persona che ci porta un dono, il dono di se stesso. Ciò si compie in Gesù Cristo nel senso perfettissimo, pienissimo. Ma tutto ciò si compie anche nella nostra vita nella dimensione umana, e Cristo accetta queste dimensioni umane.

Ci sarebbe un vuoto se non ci fosse un'altra persona, un giovane o una giovane, il marito per la moglie, i genitori per i figli, i figli per i genitori, se non ci fossero gli anziani benedetti. Se tutto ciò manacasse, ci sarebbe il vuoto. Cerchiamo sempre di non trovarci vuoti, di riempire il vuoto con l'amore. Questo ci insegna Cristo. Questo ci insegna l'Avvento. Avvento vuol dire apertura alla venuta di Cristo.

262 A ciascuno di noi Dio offre un'altra persona, un'altra prospettiva con questa persona. Persona o persone. Perché nella vita non esiste solo la dimensione del matrimonio e della famiglia, ma esiste anche la dimensione della vita sociale, professionale. Da per tutto ci sono persone da incontrare e da accettare, da amare e dalle quali essere amati. Vi auguro che la vostra vita sia piena e mai vuota. Imparate questo e pregate per questo nostro Signore Gesù Cristo che viene. Pregate Gesù che viene come bambino a Betlemme e come nostro Redentore sulla croce. Pregate Gesù che viene perché vi doni un cuore aperto affinché possiate accettare il dono delle persone che egli vi donerà. Anche la vita del sacerdote non è mai vuota, ma è sempre pienissima, sempre aperta alle altre persone. Ma questa è la vocazione speciale, come lo è anche la vocazione religiosa.

Vi auguro di trovare nella vita la vostra vocazione, di non essere mai vuoti e di compiere í passi della vostra vita verso Dio che è il nostro ultimo Avvento.

Al Consiglio pastorale

Volentieri offro le mie preghiere per questo fratello come anche per tutti i fratelli e le sorelle della vostra comunità. Salutando voi, saluto tutta la parrocchia, questa parrocchia che ha un territorio vasto e conta 8.000 persone.

La vostra storia è recente , conta venti anni, ma legata sin dall'inizio ai Padre Somaschi, alla loro missione e al loro apostolato. Devo congratularmi con voi per l'opera che avete compiuto. E' stato molto difficile creare qui la parrocchia, costruire la chiesa e tutto il complesso parrocchiale. Ma lo avete ottenuto. Non siete «senza-tetto». Avete un tetto per le vostre assemblee liturgiche e per tante altre assemblee, dei giovani, degli adulti e dei ragazzi.

Vi auguro di continuare e di perseverare. La Chiesa è sempre da edificare. Una volta edificata è sempre da edificare, perché è una realtà non solamente fisica, ma soprattutto spirituale. Edificare vuol dire maturare, come persone e come comunità. In questo aspetto il Consiglio pastorale ha un grande compito, perché abbraccia tutte le famiglie e aiuta i sacerdoti e il parroco a servire questa Chiesa. Il nostro compito è di servire, come Gesù. Vi auguro anche una buona preparazione al Santo Natale


AI RAPPRESENTANTI INTERNAZIONALI


DEI SINDACATI DEI LAVORATORI


Sala dei Papi - Lunedì, 2 dicembre 1996




Signore e Signori,

1. Vi do un affettuoso benvenuto e vi ringrazio per aver accettato l’invito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace a partecipare a questo incontro nel quale si riflette sulla realtà dell’economia e sul ruolo delle associazioni e dei sindacati del lavoro per la difesa e la promozione della dignità dei lavoratori. Sono grato al Cardinale Roger Etchegaray e ai suoi collaboratori per la disponibilità generosa con la quale seguono le complesse questioni sociali ed economiche della nostra epoca. Questo incontro con voi, emeriti rappresentanti sindacali provenienti da molte parti del mondo, mi offre l’opportunità di incoraggiare il vostro impegno, nella convinzione che “il lavoro costituisce una dimensione dell’esistenza dell’uomo sulla terra” (Giovanni Paolo II, Laborem exercens LE 4).

2. Oggi stiamo assistendo, con un misto di speranza e di preoccupazione, a una diffusa riorganizzazione dell’economia mondiale. Ciò si sta verificando sullo sfondo di una profonda trasformazione dei sistemi produttivi, dovuta da una parte all’introduzione di nuove e sofisticate tecnologie e dall’altra alla mondializzazione dei rapporti finanziari e commerciali. Le innovazioni tecnologiche conducono a una maggiore produttività, ma questa riorganizzazione del processo produttivo ha gravi conseguenze negative sull’occupazione.

La richiesta di una maggiore efficienza è inevitabile e legittima, a condizione però che non sia motivata soltanto dal profitto, ma rispetti il lavoro stesso come un bene da promuovere e da condividere. La tragica e spesso ingiusta situazione di coloro che non trovano lavoro, o che lo hanno perso, deve essere una preoccupazione prioritaria nella ricerca di una maggiore efficienza nei sistemi economici e produttivi.

263 Allo stesso tempo, come possiamo non ricordare i modi in cui i lavoratori in alcune parti del mondo sono resi oggetto di uno sfruttamento vergognoso, spesso come risultato di idee dell’economia che disprezzano tutti i valori morali? Come possiamo non condannare il comportamento inaccettabile di coloro che, anche in regioni che possiedono una solida base industriale, sfruttano il lavoro delle donne e dei bambini?

3. Nel contesto mutevole e dinamico dell’economia odierna, il diritto al lavoro deve essere riaffermato come diritto fondamentale, corrispondente alla responsabilità essenziale delle persone di sostenere se stesse e le proprie famiglie. Non stiamo parlando solo del diritto alla sussistenza, ma della possibilità per i lavoratori di realizzarsi e di svolgere un ruolo attivo nelle comunità alle quali appartengono (cf. Giovanni Paolo II, Laborem exercens
LE 9-10).

Le vostre organizzazioni sono state istituite con il proposito di affermare il valore del lavoro e la dignità dei lavoratori. Oggi, quello stesso proposito vi esorta a prendere iniziative nuove per contribuire a edificare una società della quale sia guida il bene integrale di tutti i suoi membri. I nuovi problemi sollevati dalla mondializzazione dell’economia e dall’introduzione di nuove tecnologie richiedono un ripensamento del ruolo dei sindacati e un rinnovamento del modo nel quale essi rappresentano la forza lavoro nelle diverse situazioni. Questo rinnovamento non dovrebbe compromettere il diritto dei lavoratori a riunirsi liberamente in associazioni per tutelare i propri diritti e quelli di altri. Da questo punto di vista, i sindacati continueranno in futuro a svolgere un ruolo importante nel rappresentare gli interessi dei lavoratori.

4. La strada da seguire è senza dubbio quella della solidarietà, una solidarietà che contrasti le pericolose tendenze alla frammentazione sociale. Un impegno comune alla virtù della solidarietà è la precondizione necessaria per la determinazione di politiche che, in ultima analisi, si indirizzino verso un nuovo tipo di economia, un’economia che non mancherà mai di ricordare che “la principale risorsa dell’uomo è l’uomo stesso” (Giovanni Paolo II, Centesimus annus CA 32). I sindacati devono essere efficaci strumenti di tale solidarietà, che si può ottenere solo per mezzo del dialogo, della cooperazione e di una corretta e ampia convergenza fra i diversi settori della società. Insieme ad altri corpi sociali, i sindacati hanno un ruolo diretto da svolgere nell’edificazione di un mondo realmente giusto e democratico, un mondo arricchito dalla partecipazione attiva e responsabile di ognuno nell’economia così come in altri importanti settori della vita (cf. Giovanni Paolo II, Laborem exercens LE 8 Laborem exercens, nn. 8 e 14). Tutti hanno il dovere di operare per il bene dell’intera comunità, nazionale e internazionale.

Vi incoraggio a continuare a rappresentare i lavoratori con le vostre abilità professionali e con uno spirito di servizio verso tutta la famiglia umana. Su tutti i lavoratori del mondo, su tutti voi, sulle vostre organizzazioni e sui vostri Paesi, invoco le abbondanti benedizioni di Dio


DURANTE LA MESSA IN SUFFRAGIO


DEL CARDINALE JEAN-JÉRÔME HAMER


Basilica Vaticana - Giovedì, 5 dicembre 1996




Scio quod Redemptor meus vivit. So che il mio Redentore è vivo! (cf. Gb Jb 19,25).

1. Il nuovo ciclo liturgico, che da pochi giorni abbiamo iniziato, ci ha introdotti nel tempo dell’attesa di Colui che deve venire, il Messia Redentore. È il tempo in cui la Chiesa ricorda che la fragilità della condizione umana viene assunta dal Verbo eterno, consustanziale al Padre, perché chi “crede in lui abbia la vita eterna” (Jn 6,40).

Questo tempo di trepida attesa, così carico di speranza, viene scandito dalla liturgia attraverso segni che evocano il desiderio di vita insito nel cuore umano e annunciano l’amore salvifico di Dio, il quale vuole che nessuno dei suoi figli si perda. In Colui che “era, è e che viene” (Ap 1,8), è racchiusa la vita vera: questo la comunità dei credenti proclama sino alla fine dei tempi. La redenzione di Cristo è così l’avvenimento centrale e capitale della storia umana e della vita della Chiesa. Egli è il Vivente che discende dal cielo non per fare la sua volontà, ma la volontà di colui che l’ha mandato. “E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato” (Jn 6,39).

Questa verità assume un particolare significato nell’atto di commiato, animato dalla fede nella Risurrezione di Cristo, che stiamo ora compiendo. Noi salutiamo per l’ultima volta, prima di consegnarne alla terra il corpo mortale, il nostro caro fratello, il Cardinale Jean Jérôme Hamer, con la sicura speranza che egli è ora tra le braccia del vivente Redentore e che un giorno risorgerà. A Cristo lo affidiamo, accompagnandolo con la nostra preghiera, affinché Egli gli consegni il premio stabilito per i fedeli servitori del Vangelo.

2. Il Cardinale Hamer ha servito a lungo la Chiesa del Signore. Ordinato sacerdote nel 1941, venne dapprima destinato dai suoi superiori religiosi all’insegnamento, che svolse per 22 anni in vari istituti accademici del Belgio, della Francia e di Roma, raccogliendo la stima di tutti e distinguendosi per la sua profonda preparazione teologica e per la convinta fedeltà al Vescovo di Roma. La sua apprezzata riflessione, nell’ambito della dogmatica, si estendeva dalla teologia fondamentale all’ecclesiologia.


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