GP2 Discorsi 1997 15

15 3. Come ebbi a scrivere nella Esortazione Apostolica Familiaris consortio, i divorziati risposati non possono essere ammessi alla comunione eucaristica “dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata dall’Eucaristia” (Familiaris consortio FC 84). E questo, in virtù della stessa autorità del Signore, Pastore dei Pastori, che cerca sempre le sue pecore. Ciò vale anche per la Penitenza, il cui duplice e unitario significato di conversione e di riconciliazione risulta contraddetto dalla condizione di vita di divorziati risposati che tali permangono.

Tuttavia, non mancano vie pastorali opportune per venire incontro a queste persone. La Chiesa vede le loro sofferenze e le gravi difficoltà in cui si muovono, e nella sua carità materna si preoccupa di loro non meno che dei figli del loro precedente matrimonio: privati del diritto nativo alla presenza di ambedue i genitori, sono essi le prime vittime di simili vicende dolorose.

Occorre innanzitutto porre in essere con urgenza una pastorale di preparazione e di tempestivo sostegno alle coppie nel momento della crisi. È in questione l’annuncio del dono e del comandamento di Cristo sul matrimonio.

I Pastori, specialmente i parroci, devono, con cuore aperto, accompagnare e sostenere questi uomini e donne facendo loro comprendere che, quand’anche avessero infranto il vincolo matrimoniale, non devono disperare della grazia di Dio, che veglia sul loro cammino. La Chiesa non cessa di “invitare i suoi figli, i quali si trovano in quelle situazioni dolorose, ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie... finché non abbiano raggiunto le disposizioni richieste” (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et Paenitentia RP 34). I Pastori “sono chiamati a far sentire la carità di Cristo e la materna vicinanza della Chiesa, accogliendoli con amore, esortandoli a confidare nella misericordia di Dio, e suggerendo loro con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione e di partecipazione alla vita della comunità ecclesiale” (Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede circa la recezione della comunione eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati, 14 settembre 1994, n. 2). Il Signore, mosso dalla misericordia, va incontro a tutti i bisognosi, allo stesso tempo con l’esigenza della verità e con l’olio della carità.

4. Come non seguire dunque con preoccupazione la situazione di tanti che, specialmente nelle nazioni economicamente sviluppate, a causa della separazione vivono una condizione di abbandono, specialmente quando si tratta di persone a cui non può essere imputato il fallimento del matrimonio?

Quando la coppia in situazione irregolare torna alla pratica cristiana è necessario accoglierla con carità e benevolenza, aiutandola a chiarire lo stato concreto della sua condizione, attraverso un lavoro pastorale illuminato ed illuminante. Questa pastorale di accoglienza fraterna ed evangelica, per coloro che avevano perduto il contatto con la Chiesa, è di grande importanza: è il primo passo necessario per inserirli in una pratica cristiana. Occorre avvicinarli all’ascolto della parola di Dio e alla preghiera, inserirli nelle opere di carità che la Comunità cristiana realizza nei riguardi dei poveri e dei bisognosi e stimolare lo spirito di pentimento con opere di penitenza che preparino i loro cuori ad accogliere la grazia di Dio.

Un capitolo molto importante è quello riguardante la formazione umana e cristiana dei figli della nuova unione. Farli partecipi di tutto il contenuto della sapienza del Vangelo, secondo l’insegnamento della Chiesa, è un’opera che prepara meravigliosamente i cuori dei genitori a ricevere la forza e la chiarezza necessarie per superare le difficoltà reali che sono sulla loro strada e per riavere la piena trasparenza del mistero di Cristo che il matrimonio cristiano significa e realizza. Un compito speciale, difficile ma necessario, riguarda anche gli altri membri che fanno pure parte, in misura più o meno stretta, della famiglia.Essi, con una vicinanza che non può essere confusa con la condiscendenza, vengano in aiuto dei loro cari e, in particolare modo, dei figli, che per la giovane età risentono maggiormente i contraccolpi delle vicende dei genitori.

Cari Fratelli e Sorelle, la raccomandazione che sgorga oggi dal mio cuore è quella di aver fiducia nei riguardi di tutti coloro che vivono in situazioni così drammatiche e dolorose. Non si deve cessare di “sperare contro ogni speranza” (Rm 4,18) che anche quelli che si trovano in una situazione non conforme alla volontà del Signore possano ottenere da Dio la salvezza, se sapranno perseverare nella preghiera, nella penitenza e nell’amore vero.

5. Infine, vi ringrazio per la vostra collaborazione alla preparazione del secondo Incontro Mondiale delle famiglie, che si svolgerà a Rio de Janeiro, nei giorni 4 e 5 del prossimo mese di ottobre. Alle famiglie del mondo rivolgo il mio invito paterno a preparare, nella preghiera e nella riflessione, questo Incontro. Per i focolari che non potranno recarsi a tale appuntamento, so che è stato preparato uno strumento utile per tutti: si tratta di catechesi che serviranno ad illuminare i gruppi parrocchiali, le associazioni, i movimenti familiari, favorendo una degna interiorizzazione dei grandi temi concernenti la famiglia.

Vi assicuro il ricordo nella mia preghiera, affinché i vostri lavori contribuiscano a restituire al sacramento del matrimonio tutta quella carica di gioia e di perenne freschezza che gli ha conferito il Signore, elevandolo alla dignità di sacramento.

Nell’augurarvi di essere testimoni generosi ed attenti della sollecitudine della Chiesa per le famiglie, di cuore vi imparto la mia Benedizione, che estendo volentieri a tutte le persone che vi sono care.



DICHIARAZIONE COMUNE DI GIOVANNI PAOLO II


E DI ARAM I KESHISHIAN, CATHOLICOS DI CILICIA DEGLI ARMENI




16 A conclusione del loro incontro ufficiale, Sua Santità Papa Giovanni Paolo II e Sua Santità Aram I, Catholicos di Cilicia, rendono grazie a Dio che ha permesso loro d’approfondire la loro spirituale fraternità in Gesù Cristo e la loro vocazione pastorale ed evangelizzatrice nel mondo. L’incontro ha costituito una occasione privilegiata di pregare e riflettere insieme, per ribadire il loro impegno e i loro comuni sforzi per l’unità dei cristiani.

L’incontro tra il Catholicos della Grande Casa di Cilicia e il Papa della Chiesa cattolica segna una tappa importante nelle loro relazioni. Tali rapporti, che risalgono agli esordi del cristianesimo in Armenia, hanno rivestito una particolare importanza in Cilicia dall’XI al XIV secolo, e sono continuati dopo che il Catholicossato di Sis fu esiliato dalla sua sede e stabilito ad Antelias, in Libano, nel 1930.

Papa Giovanni Paolo II e il Catholicos Aram I sono lieti di questo incontro nel quadro della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, che richiama l’urgenza della piena comunione tra i cristiani, affinché essi possano compiere la loro missione essenziale che in primo luogo è quella di testimoniare Cristo, morto e risuscitato per la salvezza dell’umanità. Durante due millenni, l’unità della fede in Gesù Cristo, dono di Dio, fu per l’essenziale mantenuta, malgrado le controversie cristologiche ed ecclesiologiche, che spesso derivavano da fattori d’ordine storico, politico o socioculturale. Questa comunione di fede, già espressa negli ultimi decenni dai loro Predecessori in occasione dei loro incontri, è stata di recente e solennemente riaffermata nell’incontro di Sua Santità Giovanni Paolo II con Sua Santità il Catholicos Karekin I. Allo stesso modo oggi, il Vescovo di Roma, successore di Pietro, e il Catholicos di Cilicia pregano affinché si approfondisca la comunione nella fede in Gesù Cristo, grazie al sangue dei martiri e alla fedeltà dei Padri al Vangelo e alla Tradizione apostolica, e che essa si manifesti nella ricca diversità delle rispettive tradizioni ecclesiali. Una siffatta comunità di fede deve tradursi concretamente nella vita dei fedeli, ed essa deve guidarci verso la piena comunione.

I due capi spirituali sottolineano dunque la importanza vitale del dialogo sincero che si riferisce agli ambiti teologici e pastorali, come anche ad altre dimensioni della vita e della testimonianza dei fedeli. Le relazioni già esistenti costituiscono una esperienza in grado di favorire la collaborazione diretta e fruttuosa tra di loro. Sua Santità Papa Giovanni Paolo II e Sua Santità Aram I sono fermamente convinti che in questo secolo durante il quale le comunità cristiane si sono più profondamente impegnate nel dialogo ecumenico, un serio riavvicinamento, sostenuto dal reciproco rispetto e dalla reciproca comprensione, costituisce la sola via sicura ed affidabile verso la piena comunione.

La Chiesa cattolica ed il Catholicossato di Cilicia sono anche confrontati ad un campo immenso di collaborazione costruttiva. Per il fatto delle ideologie che si esprimono in valori materialisti, ed a causa dei rovinosi effetti dell’ingiustizia e della violenza, il mondo attuale rappresenta un vero pericolo per l’integrità e l’identità della fede cristiana. Più che mai, la Chiesa di Cristo deve, per la sua fedeltà al Vangelo, dare al mondo un messaggio di speranza e di carità, e farsi fervente propagatrice dei valori evangelici. Deve anche prevedersi una attiva collaborazione nei campi dello studio e dell’insegnamento della teologia, della formazione religiosa, come anche nella valutazione delle situazioni pastorali in cui è possibile agire in comune per la promozione dei valori etici; in più è anche necessario cercare di affrontare insieme molteplici problemi relativi alla missione e all’impegno pastorale e spirituale per il rinnovamento della vita cristiana e per la trasformazione della società. Il Papa e il Catholicos esortano il loro clero ed i loro fedeli a partecipare attivamente a questo massimo impegno che deve concretizzarsi ed organizzarsi a tutti i livelli, soprattutto a livello locale dove i fedeli affrontano insieme situazioni difficili. La fede cristiana induce anche a collaborare più efficacemente per promuovere la dignità ed i diritti di ogni essere umano, ed il diritto di tutti i popoli a vedere riconosciute le loro legittime aspirazioni e le loro identità culturali.

La Chiesa armena deve affrontare oggi delle condizioni di vita e delle sfide che incitano a rendere più efficace la sua testimonianza in Armenia, nel Nagorno Karabagh, e nella diaspora. Dispersi in tutto il mondo, i fedeli di questa Chiesa vivono in contesti nei quali il dialogo è indispensabile per la sua vita e per la sua testimonianza.

Nelle società pluraliste di oggi, caretterizzate dagli scambi, nelle quali culture, religioni e civiltà sono permanentemente in relazione ed in interazione, le Chiese hanno la vocazione di promuovere il dialogo. Il contesto mediorientale presenta una sorgente di reciproco arricchimento e di comune testimonianza per i cristiani, i quali, con i loro concittadini musulmani, possiedono in larga misura la stessa storia, gli stessi problemi sociali ed economici, e lo stesso destino politico. Le Chiese sono d’altronde convinte dell’importanza di un dialogo con i musulmani, ed è questo uno dei compiti per il quale occorre che vi sia concertazione tra loro. In un tale quadro, d’altra parte, il dialogo non resta intellettuale e teorico, ma verte concretamente su elementi dell’esistenza quotidiana.

In Medio Oriente, rivestono una particolare importanza la presenza attiva e la testimonianza dinamica dei cristiani, poiché questi ultimi sono impegnati insieme nella battaglia per la giustizia e per la pace. Pertanto è indispensabile imprimere un nuovo slancio alla missione spirituale e sociale delle Chiese, nei paesi del Medio Oriente, nei quali emergono come priorità l’istaurazione di una pace giusta, globale e duratura, e la soluzione equa e soddisfacente del problema della Città santa di Gerusalemme.

Il Libano, dove la Chiesa cattolica ed il Catholicossato di Cilicia hanno una presenza storica e tangibile, è un contesto particolare nel quale è esercitata la loro missione. Gli sforzi dei libanesi per la riconciliazione e la ricostruzione del loro paese non debbono relegare in secondo piano i valori morali e religiosi che costituiscono l’identità stessa della grande famiglia libanese. Facciano essi in modo anche di operare così che questo paese ritrovi pienamente la sua identità, fatta di libertà e di pluralismo, la sua unità, la sua sovranità e la sua vocazione specifica nella regione e nel mondo !

In questo ultimo scorcio del secondo millennio cristiano, e nell’imminenza del diciassettesimo centenario della Chiesa Armena, Sua Santità Papa Giovanni Paolo II e Sua Santità Aram I ringraziano e glorificano la Santa Trinità che dà la forza spirituale per aderire fermamente agli imperativi della fede apostolica e della missione pastorale. Essi esortano il loro clero ed i loro fedeli ad operare con ardore per ciò che esige il Vangelo: amore, riconciliazione, giustizia e pace, nell’attesa dell’avvento del Regno di Dio.

Roma, 25 gennaio 1997


IOANNES PAULUS PP. II ARAM I KESHISHIAN




AI VESCOVI DELLA REGIONE APOSTOLICA DEL SUD-OVEST


DELLA CONFERENZA EPISCOPALE FRANCESE


IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


17
Sabato, 25 gennaio 1997




Signor Cardinale,
Cari Fratelli nell’Episcopato,

1. Sono lieto di accogliervi nel corso del vostro pellegrinaggio presso le tombe degli Apostoli, voi che siete i Pastori delle dieci Diocesi della Regione apostolica del Sud-Ovest della Francia. Con voi, invoco Pietro e Paolo, colonne della Chiesa. Che il primo degli Apostoli e l’Apostolo delle genti vi consentano di condurre a buon fine il vostro ministero pastorale con la luce e con la forza che dona lo Spirito del Signore!

Ringrazio il Cardinale Pierre Eyt, Arcivescovo di Bordeaux e Presidente della vostra Regione apostolica per le sue illuminanti riflessioni sulla situazione della Chiesa nelle vostre Diocesi. Le difficoltà e i limiti che sopportate sono messi in evidenza; occorre tuttavia rendere grazie anche per le numerose manifestazioni del dinamismo reale delle vostre comunità.

2. In questo momento, molte Diocesi devono riorganizzarsi, devono soprattutto raggruppare o rimodellare le loro strutture territoriali.In effetti, si sono verificati e continuano a verificarsi cambiamenti importanti nell’assetto demografico e nell’attività economica. I modi di vivere cambiano. Si osserva anche una maggiore mobilità delle persone, i cui centri di interesse e la cui cultura si evolvono. La fisionomia della società sta cambiando in modo rilevante.

Per la Chiesa, i fatti più evidenti sono la diminuzione del numero dei sacerdoti e spesso la diminuzione del numero dei praticanti. Le cause di questi inquietanti cambiamenti sono complesse e non si può ignorare l’influenza dei mutamenti della società sulla pratica dei fedeli e delle comunità cristiane stabilitesi da lungo tempo in queste terre; pertanto le modifiche istituzionali sono lungi dell’essere determinate solo dai cambiamenti dei membri effettivi del clero. Costumi e abitudini rispettabili oggi abbandonati possono essere rimpianti da alcuni; non si tratta tuttavia di coltivare la memoria nostalgica di un passato, a volte idealizzato, né di biasimare nessuno.

Nelle relazioni quinquennali le vostre analisi dimostrano che siete lucidi nel giudicare la situazione e attivi per continuare ad edificare in condizioni nuove.

Cambiamenti si stanno verificando anche, e in modo positivo, nel comportamento dei cattolici. Avete constatato percorsi spirituali, di conversione e di impegno in seno alla Chiesa che rivelano un profondo rinnovamento qualitativo della fede e dell’azione cristiana. Una reale fonte di speranza risiede nella disponibilità di un numero apprezzabile di laici a svolgere un ruolo più attivo e più diversificato nella vita ecclesiale e ad adottare gli strumenti per formarsi seriamente a ciò.

In tale contesto, la vostra missione fondamentale di Pastori vi induce a rinnovare l’organizzazione delle comunità. Avete dimostrato che le evoluzioni si ottengono grazie ad ampie consultazioni che non vertono soltanto sulle condizioni pratiche dei raggruppamenti di parrocchie o sulla creazione di unità pastorali nuove. Per i sacerdoti e per i fedeli si tratta anche di determinare le condizioni in cui la Buona Novella potrà essere annunciata e il Popolo di Dio guidato e riunito attraverso la presenza sacramentale di Cristo. I sinodi diocesani sono stati spesso l’ambito di una considerevole maturazione dei battezzati, che hanno scoperto meglio le loro inalienabili responsabilità e la loro complementarità nella vita ecclesiale.

In funzione delle situazioni presenti e delle strutture rinnovate che state creando, desidero semplicemente comunicarvi alcune riflessioni sulla vita degli insiemi pastorali. La mia intenzione è di incoraggiarvi, con il clero e con i fedeli delle Diocesi del vostro Paese, a fondare sempre meglio sulla roccia di Cristo e nella comunione di tutta la Chiesa il compimento quotidiano della missione comune.

18 3. Le forze vive di molte delle vostre Diocesi, mettendo in pratica i cambiamenti che ho appena ricordato, hanno colto bene l’importanza dell’insediamento territoriale della Chiesa: in buon coordinamento con gli altri insiemi pastorali, è innanzitutto la parrocchia a far esistere concretamente la Chiesa, di modo che essa sia aperta a tutti. Qualsiasi sia la sua dimensione, la parrocchia non è una mera associazione. Deve bensì essere un focolare in cui si riuniscono i membri del Corpo di Cristo, aperti all’incontro con Dio Padre pieno di amore e Salvatore in suo Figlio, incorporati dallo Spirito Santo nella Chiesa al momento del loro battesimo e disposti nell’amore fraterno ad accogliere i propri fratelli e le proprie sorelle, qualsiasi sia la loro condizione e la loro origine.

L’istituzione parrocchiale è destinata ad assicurare le grandi funzioni della Chiesa: la preghiera comune e la lettura della Parola di Dio, le celebrazioni, soprattutto quella dell’Eucaristia, la catechesi dei bambini e il catecumenato degli adulti, la formazione permanente dei fedeli, la comunicazione volta a far conoscere il messaggio cristiano, i servizi caritativi e di solidarietà, l’attività locale dei movimenti. A immagine del santuario che ne è il segno visibile, essa è dunque un edificio da costruire insieme, un corpo da far vivere e far crescere insieme, una comunità in cui si ricevono i doni di Dio e in cui i battezzati danno generosamente la loro risposta di fede, di speranza e di amore agli appelli evangelici. In questo tempo in cui le strutture pastorali devono rinnovarsi, sarà bene riprendere a fondo l’insegnamento ecclesiologico del Concilio Vaticano II, contenuto nella costituzione sulla Chiesa Lumen gentium e nei diversi documenti di orientamento concernenti in particolare i sacerdoti e i laici.

Mi sembra che la preoccupazione che presiede alle riorganizzazioni divenute necessarie sia quella di consentire alla parrocchia di svolgere effettivamente le funzioni che ho appena ricordato. Conviene pertanto che essa non sia troppo piccola, e anche, per quanto possibile, che resti vicina ai fedeli praticanti e all’insieme dei loro fratelli. Anche quando un insieme nuovo riunisce i membri della Chiesa di diverse località, è importante adoperarsi al massimo per salvaguardare il patrimonio storico, materiale e anche umano, facendo tutto il possibile perché i cristiani abbiano il sostegno spirituale necessario, perché i santuari restino luoghi di preghiera abitati e le pratiche di devozione popolare non cadano nell’oblio.

4. Una questione fondamentale è chiaramente quella dei responsabili. Per guidare e animare le unità pastorali, s’impone e si sviluppa la collaborazione fra sacerdoti e laici.Attorno al Pastore, i consigli pastorali, i gruppi di animazione e i responsabili delegati nel campo della pastorale svolgono un ruolo indispensabile. In particolare, essi consentono di articolare il meglio possibile i diversi livelli della vita ecclesiale: la comunità locale talvolta piccola, ma che rappresenta un centro vivo e attivo, la parrocchia stessa, poi il settore o la zona pastorale più vasta e infine l’insieme della Diocesi. È importante vegliare affinché gli scambi siano alimentati in entrambi i sensi: affinché i responsabili ascoltino gli appelli provenienti dalla base e tutti siano raggiunti dagli orientamenti forniti da questi stessi responsabili, a cominciare da quelli del Vescovo.

Tutto ciò presuppone che i sacerdoti e i laici coordinino chiaramente, senza confusione, ciò che compete al sacerdozio ministeriale e al sacerdozio universale, secondo l’insegnamento del Concilio nella costituzione sulla Chiesa, così come ho sottolineato a Reims (Giovanni Paolo II, Discorso nella cattedrale, n. 4, 22 set. 1996: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIX, 2 (1996) 440). I fedeli laici che hanno incarichi ecclesiali sanno che non sostituiscono il sacerdote, ma che cooperano a un’opera comune, quella di tutta la Chiesa.

Una delle prime preoccupazioni dei Pastori e dei fedeli che hanno delle responsabilità è quella di promuovere l’unità armoniosa della comunità. È una condizione essenziale affinché la Chiesa locale sia un segno trasparente della presenza di Cristo, nei riguardi dei battezzati che non partecipano alla sua vita quotidiana, così come dell’insieme della società. Fra i cristiani, la diversità, di ambito sociale, di cultura, di centri d’interesse e anche di carismi, è grande. La vocazione delle parrocchie è proprio quella di consentire a ognuno di esprimersi e di entrare nell’unità del corpo formato da membra diverse ma complementari. Continuiamo a meditare le lezioni di san Paolo a tale proposito (cfr
1Co 12).

In particolare, non bisogna rinunciare a far sì che la comunità ecclesiale sia un luogo di incontro delle generazioni, malgrado le distanze spesso constatate. Senza attendere passivamente, gli adulti devono mantenere il contatto con i giovani, saperli accogliere, ascoltare le loro richieste, comprendere le loro difficoltà e le loro preoccupazioni per il futuro, conferire loro un posto di pieno diritto, associarli alle responsabilità. I sinodi diocesani si sono spesso preoccupati di ciò; occorre fare tutto il possibile per permettere ai giovani di proseguire la loro formazione cristiana fra di loro, come spesso desiderano, ma anche per aiutarli a integrarsi nel mondo degli adulti al quale hanno molto da apportare. Tornerò sulla pastorale giovanile, ma tengo fin d’ora a sottolineare che bisogna far attenzione a non isolarla dall’insieme della vita pastorale.

5. La vitalità della comunità ecclesiale si rivela nella sua fedeltà alla missione affidata dal Signore ai suoi discepoli: l’evangelizzazione. Noi siamo depositari e portatori della Buona Novella. Sotto tutte le sue forme, l’apostolato consiste innanzitutto nel trasmettere e nel proporre la Parola della salvezza e la conoscenza del Verbo che è la Via, la Verità e la Vita. Solo la Parola di Dio può illuminare veramente la via di ognuno, dare un senso pieno alla vita di famiglia, all’attività professionale e ai mille compiti della vita sociale, e aprire alla speranza.

La Parola che acclamiamo nella liturgia, e per la quale rendiamo gloria a Dio, si rivolge direttamente ai fedeli presenti. La comunità riunita deve essere continuamente evangelizzata: ogni fedele ha sempre bisogno di lasciarsi interpellare da Cristo, di convertirsi all’ascolto della Parola che comporta grandi esigenze, ma che è anche un dono inestimabile, in quanto è annuncio della salvezza, della riconciliazione, della vittoria della vita sulla morte.

Aprire i bambini e i giovani all’accoglienza della Parola di vita è una missione fondamentale d’evangelizzazione per le comunità. «Ciò che noi abbiamo udito, . . . ciò che noi abbiamo contemplato, ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita» (1Jn 1,1), noi dobbiamo annunciarlo di generazione in generazione. Il risveglio alla fede dei più piccoli, la catechesi e l’iniziazione cristiana devono promuovere la totale dedizione di persone che accettano di consacrarvisi e di acquisire competenze, senza che gli altri parrocchiani però si disinteressino di ciò che resta una missione di tutti.

Non si dovrebbero anche interrogare continuamente i cattolici su ciò che essi fanno per proporre il messaggio di Cristo a coloro che vengono solo occasionalmente in Chiesa, ai battezzati che lasciano nascosta la grazia ricevuta nella loro infanzia? Che essi trovino al loro fianco testimoni convinti, accoglienti, rispettosi del cammino di ognuno, ma pronti a dare prova della speranza che è in loro (cfr 1P 3,15)! Vi è gioia nel credere e bisogna saperla condividere.

19 Se si è penetrati dalla grazia della fede vivificata dalla speranza e animata dalla carità, nessun aspetto felice o infelice della vita del quartiere o del villaggio può lasciare insensibili. Allora, l’evangelizzazione assumerà forme diverse nella solidarietà sociale, nella vita familiare, nel lavoro, nei rapporti di vicinato. Un testimone isolato conosce i suoi limiti, ma dei testimoni stimolati dalla comunità sapranno meglio condividere «la speranza» che «non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).

Nell’ambito delle parrocchie o dei settori pastorali, lo ricordo brevemente, i movimenti e le associazioni di fedeli apportano un prezioso impulso alla missione, prestando attenzione a un buon coordinamento e a una buona integrazione nell’insieme. Contribuiscono a far maturare la vita spirituale, a formare i giovani, a condividere la preoccupazione apostolica nei diversi ambiti della vita, a rendere efficaci e costanti l’accoglienza e il servizio ai più bisognosi (cfr Apostolicam actuositatem AA 24 Christifideles laici CL 30).

Oggi desidero anche incoraggiare i fedeli delle vostre Diocesi a rinnovare i loro impegni nell’evangelizzazione, personalmente, in famiglia e nei gruppi costituiti. Saranno felicemente incoraggiati a farlo dalla «Lettera ai cattolici di Francia» adottata di recente dalla vostra Conferenza episcopale.

6. Avendo affrontato la questione dell’animazione responsabile delle comunità da parte dei sacerdoti e dei laici e quella delle missioni di evangelizzazione, conviene ora ricordare brevemente il centro della vita ecclesiale: la parrocchia è in effetti il luogo principale della celebrazione dei sacramenti e, in particolare, dell’Eucaristia, fonte della santificazione di tutti gli stati di vita. La vocazione di una parrocchia non può definirsi che in funzione della struttura sacramentale della Chiesa. È lì che ci viene manifestata visibilmente la presenza di Cristo nel mistero pasquale. Nella Messa convergono le offerte di tutti, quelle delle gioie e delle sofferenze, degli sforzi dell’apostolato, dei servizi fraterni di qualsiasi natura. Il Signore associa al suo sacrificio quelli di tutti i suoi fratelli. Egli ci riunisce nel suo Spirito Santo, rafforza la fede e la carità, ascolta la nostra supplica per chiedere al Padre di estendere a tutto il mondo la riconciliazione, la salvezza e la pace, ci unisce ai santi di tutti i tempi nell’attesa della comunione piena nel suo Regno.

È vero che molti fedeli soffrono per il fatto che la Messa non può più essere celebrata vicino alle loro case e con quella frequenza che aveva nel passato; i sacerdoti sono meno numerosi e più lontani. Diviene allora più importante dare il suo pieno valore all’Eucaristia. Una comunità s’impoverisce se non ritrova con fervore questo legame vitale con il Signore, fonte della vita cristiana e dell’apostolato. L’incontro eucaristico è il luogo in cui questa realtà fondamentale della fede si riconosce in modo tangibile.

Nessuno sforzo deve essere risparmiato perché siano resi accessibili quei doni importantissimi che sono i sacramenti in tutte le tappe dell’esistenza. La vita cristiana si schiude attraverso la grazia santificante del battesimo; l’ingresso dei giovani nella maturità cristiana è rafforzata dalla Confermazione; la formazione della coppia e la creazione della famiglia sono consacrate dalla partecipazione all’Alleanza nel matrimonio; nel confronto con il male e il peccato, la grazia del perdono e della riconciliazione è accordata ed esplicitamente manifestata dal sacramento della penitenza; la sofferenza è unita alla Croce nel sacramento dei malati. Al centro della missione delle comunità cristiane, la preparazione ai sacramenti è chiaramente basilare.

Una consapevolezza più viva dei doni affidati dal Signore alla sua Chiesa inviterà senza dubbio a valorizzare le vocazioni al ministero sacerdotale, affinché la parola di Dio sia donata, Cristo sia reso sacramentalmente presente, e il popolo di Dio sia guidato. Che le vostre comunità pastorali non cessino di supplicare il Signore affinché chiami giovani a consacrarsi interamente a Lui per servirlo presso i propri fratelli!

7. È vero che la vastità della missione può apparire superiore alle possibilità di comunità consapevoli dei loro limiti e della loro povertà. È nella fede che esse devono riscoprire di essere a immagine del Figlio dell’uomo e del suo gruppo ristretto di discepoli, che avevano le loro debolezze; eppure essi hanno posto le basi della Chiesa, che ha ricevuto la promessa della fedeltà di Cristo il Buon Pastore.

La scarsità del numero, dei mezzi e delle capacità deve invitare a trovare appoggio realmente nel Signore. La Chiesa sa di essere vulnerabile, tuttavia i segni della grazia si rivelano nel dinamismo apostolico di cui voi siete testimoni e di cui noi dobbiamo ringraziare Cristo che non abbandona il suo gregge, ma lo guida mediante lo Spirito Santo.

Che il vostro incontro con il Vescovo di Roma vi fortifichi nel vostro ministero! Portate il mio saluto affettuoso e il mio incoraggiamento ai sacerdoti diocesani, ai diaconi, ai religiosi e alle religiose, ai laici che si impegnano nei consigli pastorali, nei gruppi di animazione o nelle funzioni di responsabili delegati nel campo della pastorale, ai malati, all’insieme dei fedeli, affinché progrediscano nelle loro diverse missioni di battezzati, nell’unità organica della Chiesa Corpo di Cristo.

Invoco su voi tutti e sulle vostre comunità diocesane l’intercessione materna di Nostra Signora e la grazia delle Benedizioni divine.




AGLI OFFICIALI E AI PRELATI UDITORI


DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA


20
Sala del Concistoro - Lunedì, 27 gennaio 1997




Monsignor Decano,
Illustri Prelati Uditori ed Officiali della Rota Romana!

1. Sono lieto di incontrarvi in questo annuale appuntamento, che esprime e consolida lo stretto legame che unisce il vostro lavoro al mio ministero apostolico.

Saluto cordialmente ciascuno di voi, Prelati Uditori, Officiali e quanti prestate servizio nel Tribunale della Rota Romana, componenti dello Studio Rotale, Avvocati Rotali. Ringrazio in particolare Lei, Monsignor Decano, per le gentili parole che mi ha rivolto e per le considerazioni che, pur in maniera concisa, ha or ora proposto.

2. Seguendo la consuetudine di offrire in questa circostanza delle riflessioni su un argomento attinente al diritto della Chiesa e, in modo particolare, all’esercizio della funzione giudiziaria, desidero intrattenermi sulla tematica, a voi ben nota, dei riflessi giuridici degli aspetti personalistici del matrimonio. Senza entrare in problemi particolari, relativi ai diversi capitoli di nullità matrimoniale, mi limito a ricordare alcuni capisaldi, da tenere ben presenti per un ulteriore approfondimento del tema.

Fin dai tempi del Concilio Vaticano II, ci si è chiesto quali conseguenze giuridiche derivassero dalla visione del matrimonio contenuta nella Costituzione pastorale Gaudium et spes (Gaudium et Spes
GS 47-52). In effetti, la nuova codificazione canonica in questo campo ha ampiamente valorizzato la prospettiva conciliare, pur tenendosi lontana da alcune interpretazioni estreme che, ad esempio, consideravano la “intima communitas vitae et amoris coniugalis” (Gaudium et spes GS 48) come una realtà non implicante un “vinculum sacrum” (Gaudium et spes GS 48) con una specifica dimensione giuridica.

Nel Codice del 1983 si fondono armonicamente formulazioni di origine conciliare, come quella sull’oggetto del consenso (cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1057 § 2), nonché sulla duplice ordinazione naturale del matrimonio (cfr Ibid., can. 1055 § 1), in cui sono poste direttamente in primo piano le persone dei nubenti, con principi della tradizione disciplinare, come quello del “favor matrimonii” (cfr Ibid., can. 1060)Ciò nonostante, vi sono sintomi che mostrano la tendenza a contrapporre, senza possibilità di una sintesi armoniosa, gli aspetti personalistici a quelli più propriamente giuridici: così, da un lato, la concezione del matrimonio quale dono reciproco delle persone parrebbe dover legittimare una indefinita tendenza dottrinale e giurisprudenziale all’allargamento dei requisiti di capacità o maturità psicologica e di libertà e consapevolezza necessari per contrarlo validamente; dall’altro, proprio certe applicazioni di questa tendenza, facendo emergere gli equivoci in essa presenti, vengono giustamente percepite come contrastanti con il principio dell’indissolubilità, non meno fermamente ribadito dal Magistero.

3. Per affrontare il problema in modo perspicuo ed equilibrato, occorre aver ben chiaro il principio che la valenza giuridica non si giustappone come un corpo estraneo alla realtà interpersonale del matrimonio, ma ne costituisce una dimensione veramente intrinseca. I rapporti tra i coniugi, infatti, come quelli tra i genitori ed i figli, sono anche costitutivamente rapporti di giustizia, e perciò sono realtà di per sé giuridicamente rilevanti. L’amore coniugale e paterno-filiale non è solo inclinazione dettata dall’istinto, né è scelta arbitraria e reversibile, ma è amore dovuto. Mettere, perciò, la persona al centro della civiltà dell’amore non esclude il diritto, ma piuttosto lo esige, portando ad una sua riscoperta quale realtà interpersonale e ad una visione delle istituzioni giuridiche che metta in risalto il loro costitutivo legame con le stesse persone, così essenziale nel caso del matrimonio e della famiglia.

Il Magistero su questi temi va ben oltre la sola dimensione giuridica, ma la tiene costantemente presente. Ne consegue che una fonte prioritaria per comprendere ed applicare rettamente il diritto matrimoniale canonico è lo stesso Magistero della Chiesa, al quale spetta l’interpretazione autentica della parola di Dio su queste realtà (cfr Dei verbum DV 10), compresi i loro aspetti giuridici. Le norme canoniche non sono che l’espressione giuridica di una realtà antropologica e teologica sottostante, ed a questa occorre rifarsi anche per evitare il rischio di interpretazioni di comodo. La garanzia di certezza, nella struttura comunionale del Popolo di Dio, è offerta dal Magistero vivo dei Pastori.

4. In una prospettiva di autentico personalismo, l’insegnamento della Chiesa implica l’affermazione della possibilità della costituzione del matrimonio quale vincolo indissolubile tra le persone dei coniugi, essenzialmente indirizzato al bene dei coniugi stessi e dei figli. Di conseguenza, contrasterebbe con una vera dimensione personalistica quella concezione dell’unione coniugale che, mettendo in dubbio tale possibilità, portasse alla negazione dell’esistenza del matrimonio ogniqualvolta siano sorti dei problemi nella convivenza. Alla base di un siffatto atteggiamento emerge una cultura individualistica, che è in antitesi rispetto ad un vero personalismo. “L’individualismo suppone un uso della libertà nel quale il soggetto fa ciò che vuole, “stabilendo” egli stesso “la verità” di ciò che gli piace o gli torna utile. Non ammette che altri “voglia” o esiga qualcosa da lui nel nome di una verità oggettiva. Non vuole “dare” ad un altro sulla base della verità, non vuole diventare un “dono sincero”” (Giovanni Paolo II, Lettera alle Famiglie LF 14).

21 L’aspetto personalistico del matrimonio cristiano comporta una visione integrale dell’uomo che, alla luce della fede, assume e conferma quanto possiamo conoscere con le nostre forze naturali. Essa è caratterizzata da un sano realismo nella concezione della libertà della persona, posta tra i limiti e i condizionamenti della natura umana gravata dal peccato e l’aiuto mai insufficiente della grazia divina. In quest’ottica, propria dell’antropologia cristiana, entra anche la coscienza circa la necessità del sacrificio, dell’accettazione del dolore e della lotta come realtà indispensabili per essere fedeli ai propri doveri. Sarebbe perciò fuorviante, nella trattazione delle cause matrimoniali, una concezione, per così dire, troppo “idealizzata” del rapporto tra i coniugi, che spingesse ad interpretare come autentica incapacità ad assumere gli oneri del matrimonio la normale fatica che si può registrare nel cammino della coppia verso la piena e reciproca integrazione sentimentale.

5. Una corretta valutazione degli elementi personalistici esige, altresì, che si tenga conto dell’essere della persona e, concretamente, dell’essere della sua dimensione coniugale e della conseguente inclinazione naturale verso il matrimonio. Una concezione personalistica sostanziata di puro soggettivismo e, come tale, dimentica della natura della persona umana - assumendo ovviamente il termine “natura” in senso metafisico -, si presterebbe ad ogni sorta di equivoci, anche nell’ambito canonico. Vi è certamente un’essenza del matrimonio, descritta dal can. 1055, la quale permea l’intera disciplina matrimoniale, come appare dai concetti di “proprietà essenziale”, “elemento essenziale”, “diritti e doveri matrimoniali essenziali”, ecc. Questa realtà essenziale è una possibilità aperta in linea di principio ad ogni uomo e ad ogni donna; anzi, essa rappresenta un vero cammino vocazionale per la stragrande maggioranza dell’umanità. Ne consegue che, nella valutazione della capacità o dell’atto del consenso necessari alla celebrazione di un valido matrimonio, non si può esigere ciò che non è possibile richiedere alla generalità delle persone. Non si tratta di minimalismo pragmatico e di comodo, ma di una visione realistica della persona umana, quale realtà sempre in crescita, chiamata ad operare scelte responsabili con le sue potenzialità iniziali, arricchendole sempre di più con il proprio impegno e l’aiuto della grazia.

In quest’ottica il favor matrimonii e la conseguente presunzione di validità del matrimonio (cfr Codice di diritto canonico, can. 1060) appaiono non solo come l’applicazione di un principio generale del diritto, ma come conseguenze perfettamente consone con la realtà specifica del matrimonio. Resta, tuttavia, il difficile compito, a voi ben noto, di determinare, anche con l’aiuto della scienza umana, quel minimo al di sotto del quale non si potrebbe parlare di capacità e di consenso sufficiente per un vero matrimonio.

6. Da tutto ciò ben si vede quanto esigente ed impegnativo sia il compito affidato alla Rota Romana. Attraverso la sua qualificata attività giurisprudenziale, non soltanto si provvede ad assicurare la tutela dei diritti di singoli Christifideles, ma si dà, al tempo stesso, un contributo significativo all’accoglienza del disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia sia nella comunità ecclesiale che, indirettamente, nell’intera comunità umana.

Nell’esprimere, pertanto, la mia gratitudine a voi che, direttamente o indirettamente, collaborate in tale servizio e nell’esortarvi a perseverare con rinnovato slancio nella vostra mansione che tanta rilevanza riveste per la vita della Chiesa, di cuore vi imparto la mia Benedizione, che volentieri estendo a quanti operano nei Tribunali ecclesiastici di ogni parte del mondo.




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