GP2 Discorsi 1997 73


AI RAPPRESENTANTI DELL'«END CHILD PROSTITUTION


IN ASIAN TOURISM» (ECPAT) E DEL CENTRO


EUROPEO DI BIOETICA E QUALITÀ DELLA VITA


Sala del Trono - Giovedì, 21 marzo 1997


Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di porgere il mio cordiale benvenuto agli illustri rappresentanti dell’ECPAT (End Child Prostitution in Asian Tourism). Con loro saluto i membri del Centro Europeo di Bioetica e Qualità della Vita. Rivolgo un pensiero particolare a Mons. Piero Monni, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione Mondiale del Turismo, ringraziandolo per le cortesi espressioni con cui ha interpretato i sentimenti dei presenti.

2. La vostra Associazione è impegnata, ormai da anni, ad eliminare il flagello mondiale della prostituzione infantile. Tale impegno, che vede accomunati cristiani e non cristiani, mira non solo a combattere questo orrendo crimine, ma soprattutto a difendere coloro che ne sono vittime.

Come non esprimere stima e rispetto per un’opera tanto meritoria? Come non auspicare che essa venga sostenuta in maniera convinta e concreta dalla Comunità internazionale e dai singoli Governi, dai politici e dagli operatori sociali, dagli organismi privati e dell’intera società civile?

Di fronte al grido di dolore di milioni di innocenti, calpestati nella loro dignità e rapinati del loro futuro, nessuno può rimanere indifferente e non assumersi le sue responsabilità.

3. A tale proposito il recente Congresso di Stoccolma, promosso da codesta Associazione in collaborazione con il Governo svedese e con altre Organizzazioni Internazionali, ha posto una pietra miliare per la soluzione di questo gravissimo problema. Appellandosi alla coscienza di quanti sono responsabili della sorte dell’umanità, tale Assise ha proposto opportuni mezzi politici, legislativi e sociali, per affrontare efficacemente a livello nazionale ed internazionale il gravissimo problema.

Condividendo le preoccupazioni manifestate, desidero incoraggiare l’ECPAT a proseguire nella necessaria denuncia degli abusi, nonché nello studio delle cause e degli opportuni rimedi.

74 4. Com’è noto, la prostituzione infantile spesso trae origine dalla crisi che largamente investe la famiglia. Questa, mentre nei paesi in via di sviluppo è vittima delle condizioni di povertà estrema e della carenza di strutture sociali adeguate, nei paesi ricchi è condizionata dalla visione edonistica della vita, che può giungere a distruggere la coscienza morale, giustificando qualsiasi mezzo capace di procurare piacere.

In tale contesto come non vedere nella pornografia un costante incitamento ad abusare dei propri simili?

Queste preoccupanti manifestazioni, che intaccano la dignità della persona e il futuro della convivenza familiare, si riversano inesorabilmente sui membri più deboli e sui minori.

5. Di fronte a tanta sofferenza la vostra Associazione si impegna a porre un argine all’espandersi di simili fenomeni, contando sulla efficace collaborazione degli uomini e delle donne di buona volontà.

Formulo fervidi voti perché i vostri appelli possano trovare un ascolto attento a tutti i livelli della vita sociale: presso politici e sociologi, presso giuristi ed economisti, come pure presso i responsabili dell’educazione, della sanità, delle organizzazioni sindacali e degli enti locali.

Infatti, solo l’azione congiunta delle Istituzioni nazionali ed internazionali, delle Associazioni e dei singoli, potrà porre la parola fine a questa gravissima piaga sociale.

Chiedo al Signore che vi dia forza per perseverare nell’opera intrapresa e, mentre affido ciascuno di voi, i vostri collaboratori, le vostre famiglie e quanti sono oggetto delle vostre cure alla materna protezione della Vergine Maria, tutti di cuore benedico.




AI VESCOVI FRANCESI DELLA REGIONE APOSTOLICA


DELL'EST IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


Sabato, 22 marzo 1997


Cari Fratelli nell’Episcopato,

1. Sono lieto di accogliervi nel corso della vostra visita ad limina. È per voi l’occasione per rafforzare la missione che avete ricevuto, grazie alla preghiera presso le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo e agli incontri che realizzate nei diversi servizi della Curia romana. La vostra presenza a Roma manifesta la comunione fraterna che esiste fra il Successore di Pietro e i Vescovi diocesani, intorno a Cristo, che è il Capo della Chiesa. “Siamo in luoghi diversi della Chiesa, non siamo separati dal suo Corpo, “uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini” (1Tm 2,5)” (San Paolino di Nola, Lettera, 2, 3). I nostri incontri mi permettono di stare vicino a tutti coloro che, insieme a voi, s’impegnano nella missione e contribuiscono al dinamismo della comunità diocesana.

Il Presidente della vostra Regione apostolica dell’Est, Monsignor Marcel Herriot, ha fatto una panoramica delle vostre preoccupazioni pastorali; lo ringrazio per questo. Questa parte della Francia presenta numerosi contrasti e conosce, talvolta a un livello più profondo, le difficoltà della società nell’insieme del Paese. Ciò non deve demotivare i fedeli ma, al contrario, portarli a una generosa solidarietà verso i più bisognosi. D’altra parte, la posizione della vostra regione, a uno dei grandi crocevia dell’Europa, vi porta a scambi con i vostri vicini che non possono che essere proficui per tutti; la vostra esperienza sarà preziosa per preparare la nuova assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, poiché la Chiesa in questo continente trarrà vantaggio da una maggiore conoscenza reciproca e da una maggiore collaborazione fraterna. Rilevo anche che, in molte vostre Diocesi, la presenza dì importanti comunità ecclesiali nate dalla Riforma invita a prendere parte attiva al dialogo ecumenico che costituisce uno dei grandi compiti da svolgere all’alba del terzo millennio. Per la vitalità della Chiesa, nonostante le zone d’ombra, la forte tradizione cristiana delle vostre regioni ispira fiducia per il futuro e, come voi stessi dite, i segni di speranza non mancano.

75 2. Come fate apparire chiaramente nelle vostre relazioni quinquennali, fra gli aspetti della pastorale che vi preoccupano vi è la questione delle vocazioni. Da diversi anni, in alcune vostre Diocesi il numero di giovani che accettano di impegnarsi nel cammino del sacerdozio o della vita consacrata è restato molto esiguo. I sacerdoti sono sempre più oberati di lavoro e non possono contare su un ricambio. Tuttavia, lungi dall’affievolirsi nel loro ardore missionario, continuano instancabilmente a svolgere i loro compiti pastorali. Desidero rendere omaggio al loro coraggio e ripetere loro che non bisogna scoraggiarsi, poiché il Signore non abbandona mai la sua Chiesa. Il periodo di crisi che le vostre Diocesi attraversano non deve far dimenticare all’insieme delle vostre comunità diocesane che è opportuno proseguire e intensificare gli sforzi per trasmettere ai giovani la chiamata al sacerdozio e alla vita consacrata, senza sminuire tuttavia la vocazione al matrimonio.

3. Molti di voi hanno sottolineato il fatto che oggi i giovani esitano a impegnarsi, per paura del futuro e per mancanza di testimoni capaci di essere esempi convincenti e allettanti. È importante che i sacerdoti e tutto il popolo cristiano credano che Dio continua instancabilmente a chiamare uomini e donne al suo servizio, nel segreto dei cuori e attraverso la testimonianza della comunità ecclesiale. Tutti i fedeli di Cristo devono dunque apportare il loro contributo per aiutare i giovani ad affrontare il futuro senza troppa paura, per fare scoprire loro la gioia che vi è nel seguire Cristo, per aiutarli ad aver fiducia in se stessi e a discernere pazientemente la voce del Signore, come fece il profeta Elia con il giovane Samuele (cfr
1S 3,1-19).

4. In questo ambito, la famiglia ha un ruolo specifico da svolgere. I giovani apprendono innanzitutto dai propri genitori le prime nozioni della fede, il cammino della preghiera e la pratica delle virtù. Al contempo, la disponibilità a rispondere a una vocazione particolare viene dalla disposizione filiale di un cuore che desidera fare la volontà del Signore e che sa che Cristo ha parole di vita eterna (cfr Jn 6,68). Alcune famiglie possono preoccuparsi nel vedere i propri giovani impegnarsi nella sequela di Cristo, in particolare in un mondo in cui la vita cristiana non rappresenta un valore sociale allettante. Invito quindi i genitori a volgere al futuro dei loro figli uno sguardo di fede, ad aiutare i giovani a realizzare liberamente la loro vocazione; è a questo prezzo che saranno felici nell’esistenza, poiché il Signore dona a coloro che Egli sceglie la forza e le risorse spirituali necessarie per superare le difficoltà. Il dono totale di sé al Signore e alla Chiesa è fonte di gioia e “sintesi della carità pastorale” (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis PDV 23). Esorto i fedeli laici a impegnarsi nella pastorale delle vocazioni e a sostenere i giovani che mostrano una disposizione a consacrarsi al servizio della Chiesa; alcuni laici partecipano già felicemente alle attività dei servizi diocesani delle vocazioni, ma ciò non deve restare una preoccupazione di poche persone.

In questa prospettiva, è importante che, in seno alle comunità cristiane, vengano chiaramente riconosciuti il posto del sacerdote e quello delle persone consacrate. In particolare, tutti devono ricordarsi che la vita ecclesiale non può esistere senza la presenza del sacerdote, che agisce in nome di Cristo, Capo della Chiesa, e che, in suo nome, riunisce il popolo intorno alla mensa del Signore e gli trasmette il perdono dei peccati. Al contempo, l’assenza di persone consacrate, contemplative o di vita attiva, può fare dimenticare che l’impegno per il Regno dei cieli è l’aspetto fondamentale di ogni vita cristiana. È chiaro che se i giovani non hanno contatti personali con sacerdoti o con persone consacrate, e se non percepiscono la missione specifica di ognuno, risulterà loro difficile prospettare da soli un tale impegno.

5. Voi constatate che alcuni giovani che pensano al sacerdozio e alcuni seminaristi già in formazione hanno vissuto periodi difficili nella loro esistenza. Certi rimangono fragili, a volte a causa di un contesto sociale o familiare che ha potuto provocare ferite che necessitano di tempo per cicatrizzarsi, o, come è stato constatato nel corso di recenti visite canoniche, a causa della mobilità permanente delle famiglie che rende difficile un radicamento umano, o a causa dei costumi corrotti che si osservano spesso nella società, o ancora per la conversione recente di alcuni candidati. Occorre dunque aiutarli a strutturare la loro personalità, per diventare la dimora spirituale di cui parla san Pietro (cfr 1P 2,5). Ciò richiede da parte vostra e da parte dei responsabili dei servizi delle vocazioni un’attenzione particolare, per condurre con cura e delicatezza la fase del discernimento e della preparazione. In particolare occorrerà vegliare affinché i formatori abbiano le qualità richieste e mantengano ferme le linee essenziali della formazione sacerdotale.

Per questa fase preparatoria, alcuni Vescovi hanno deciso di chiedere ai candidati, sotto diverse forme, un anno propedeutico, iniziativa che sembra recare buoni frutti. Così, al termine della prima tappa, i candidati devono presentare “determinate qualità: la retta intenzione, un grado sufficiente di maturità umana, una conoscenza abbastanza ampia della dottrina della fede, una qualche introduzione ai metodi di preghiera e costumi conformi alla tradizione cristiana” (Pastores dabo vobis PDV 62). Affinché possano far fronte ulteriormente ai diversi compiti del ministero, i giovani devono accettare di progredire, per acquisire la necessaria maturità psicologica, umana e cristiana di ogni servitore di Cristo e della Chiesa. Nel corso dell’anno propedeutico i candidati approfondiscono in particolare il significato della teologia dell’elezione e dell’alleanza che Dio fa con gli uomini. Si dispongono anche ad ascoltare l’appello di Cristo e della Chiesa e a vivere nell’obbedienza il cammino di formazione proposto dal Vescovo e poi le missioni pastorali che verranno affidate loro.

6. In quanto responsabili dell’appello dei candidati che saranno domani i vostri collaboratori nel sacerdozio, spetta a voi determinare se sia opportuno accogliere i candidati provenienti da altre Diocesi, secondo le disposizioni canoniche (cfr Codice di Diritto Canonico, can. 241-242) e pastorali recentemente ricordate nella Istruzione sull’ammissione al seminario di candidati provenienti da altre Diocesi o da altre famiglie religiose che vi ha rivolto la Congregazione per l’Educazione Cattolica. A tale proposito, un’accoglienza senza discernimento può essere dannosa per i giovani stessi, che, invece di entrare in un cammino di rapporto fiducioso e di ubbidienza filiale con il Vescovo della loro Diocesi, sono talvolta tentati di scegliere la Diocesi di incardinazione e i luoghi di formazione secondo criteri puramente soggettivi; essi divengono in un certo senso i maestri della propria formazione in funzione della loro sensibilità e non di criteri oggettivi. Questo atteggiamento non mancherà di indebolire il loro senso di servizio, il loro spirito di apertura alla pastorale diocesana e la loro disponibilità alla missione ecclesiale.

7. Con tutta la Conferenza episcopale, riprendete i fondamenti della formazione spirituale, filosofica, teologica e pastorale dei giovani chiamati al sacerdozio. Sono lieto del lavoro che realizzate attualmente per concludere la nuova ratio studiorum, che dovrà d’ora in poi regolare la formazione nei seminari in Francia. In effetti è ai Vescovi, in una collaborazione continua e fiduciosa con i gruppi animatori dei seminari, che incombe organizzare gli studi dei candidati al ministero presbiteriale, poiché siete voi che li chiamate e che, mediante l’imposizione delle mani, li fate entrare nel presbiterio diocesano.

Il seminario è un’istituzione centrale nella Diocesi; partecipa alla visibilità del Corpo di Cristo e al suo dinamismo pastorale; contribuisce all’unità di tutti i componenti della comunità cristiana, in quanto la formazione sacerdotale si situa al di là delle sensibilità pastorali particolari. Effettuandovi tutto o parte del loro percorso, i seminaristi hanno anche l’opportunità di stare vicini al loro Vescovo, ai sacerdoti e alle molteplici realtà umane ed ecclesiali locali. Quando non vi è un seminario in loco, è importante che il Vescovo e i suoi collaboratori che seguono i seminaristi mantengano legami organici con i seminari in cui vengono inviati i loro candidati. Occorre anche individuare, nonostante l’allontanamento geografico, i modi per fare conoscere ai diocesani, soprattutto ai giovani, queste istituzioni con tutta la loro vitalità: se esse vengono ignorate, vi sono meno possibilità che vi entrino coloro che odono la chiamata del Signore.

8. Composto da persone provenienti da orizzonti diversi, il seminario deve divenire una famiglia e, a immagine di quest’ultima, permettere a ogni giovane, con la sua sensibilità, di maturare la sua vocazione, di prendere coscienza dei suoi impegni futuri e di formarsi alla vita comunitaria, spirituale e intellettuale, sotto la guida di un gruppo di sacerdoti e di professori appositamente formati in vista di questa missione. I giovani si preparano così ad essere membri attivi del presbiterio intorno al Vescovo.

Nel corso dei cicli successivi, l’accento sarà posto sul principio unificante di ogni vita cristiana: l’amore per Cristo, per la Chiesa e per gli uomini, poiché è vivendo nell’amore che si viene configurati a Cristo, Pastore e Sommo Sacerdote, ed è con amore che si guida il gregge del Signore. “Non si può in effetti essere un buon pastore, se non divenendo uno con Cristo e con le membra del suo Corpo, attraverso la carità. La carità è il primo dovere del buon pastore” (san Tommaso d’Aquino; Jn 10,3). La formazione al rapporto con Cristo è dunque fondamentale e si realizza mediante la preghiera e la pratica personale dei sacramenti, in particolare della Riconciliazione e dell’Eucaristia, che è la scuola della vita sacerdotale; il sacerdote è chiamato a essere l’icona di Cristo nella sua vita personale e nei diversi atti del suo ministero (cfr Lumen gentium LG 21 Pastores dabo vobis PDV 16 Pastores dabo vobis, nn. 16 e PDV 49). É anche la vita spirituale a rendere la missione pienamente feconda.

76 È inoltre opportuno sviluppare nei candidati la pratica delle virtù teologali e morali, mediante un allenamento alla disciplina di vita e al dominio di sé. Un futuro sacerdote deve imparare anche a porre la propria vita nelle mani del Salvatore, a sentirsi membro della Chiesa diocesana, e quindi della Chiesa universale, e a condurre la propria azione nella prospettiva della carità pastorale (cfr Optatam totius ).

La formazione pastorale non può essere soltanto teorica; a giusto titolo i seminari accordano un posto importante alle attività di ordine pastorale sul posto, il che favorisce il radicamento dei giovani nella comunità locale. Preoccupatevi tuttavia di conservare la priorità degli studi, poiché se il serio approfondimento intellettuale dei cicli del seminario risultasse insufficiente, ciò non potrebbe essere compensato in seguito.

9. Tutto ciò va di pari passo con una formazione intellettuale, filosofica e teologica solida, essenziale perché i giovani possano divenire missionari che annunciano ai loro fratelli la Buona Novella del Vangelo e i misteri cristiani. Lo studio occuperà dunque un posto importante e preparerà i sacerdoti alla formazione permanente, indispensabile nel corso del loro ministero, in quanto una vita spirituale che non viene incessantemente alimentata da un cammino intellettuale rischia d’impoverirsi. Ciò necessita una grande passione per la verità. Il decreto conciliare Optatam totius ha tracciato in maniera notevolmente equilibrata i grandi orientamenti degli studi ecclesiastici: occorre farvi sempre riferimento (cfr Optatam totius
OT 14-17).

Gli studi filosofici non verranno sottovalutati: essi sensibilizzano le persone alle diverse ricerche umane di Dio, sviluppano una cultura che consente di essere continuamente in dialogo con il mondo, affinché lo si possa invitare a volgersi a Cristo, e infine offrono elementi per sviluppare un’antropologia cristiana, per formare all’agire morale e per testimoniare il mistero cristiano.

C’è bisogno di sottolineare anche il posto privilegiato che spetta allo studio della Parola di Dio per accoglierne il messaggio sempre vivo e per esserne il testimone illuminato? Naturalmente una buona base nei diversi rami della teologia è indispensabile per permettere ai sacerdoti di rispondere alle aspettative dei loro contemporanei, di aiutarli ad andare oltre le presentazioni superficiali dell’insegnamento della Chiesa che non possono confortarli nella fede. La teologia della liturgia, in particolare, permette ai ministri dell’Eucaristia e degli altri sacramenti di celebrare degnamente i misteri di cui sono gli amministratori, e di mostrarne tutta la ricchezza e tutta l’importanza ai fedeli.

Tutto ciò che si può dire della formazione intellettuale dei futuri sacerdoti, e anche dei bisogni crescenti della formazione dei laici, mi induce a invitarvi, nella prospettiva degli anni a venire, a compiere lo sforzo necessario per prevedere una formazione accademica più approfondita dei giovani sacerdoti che vi sono predisposti, affinché abbiano la possibilità di impegnarsi nella ricerca e di garantire l’insegnamento.

10. Cari Fratelli nell’Episcopato, conosco la vostra sollecitudine per i vostri seminari. La visita apostolica recente lo ha dimostrato. Conosco anche le vostre difficoltà, la vostra inquietudine di fronte all’esiguo numero di seminaristi al momento presente. È per questo che ho voluto ritornare con voi su alcuni aspetti, non potendo affrontarli tutti qui. Tuttavia tenevo a incoraggiarvi, ad assicurarvi ancora una volta che la prova attuale attraversata dalle vostre Diocesi può essere compresa solo se si guarda nella fede la Croce del Signore. Nella luce di Pasqua, ascolteremo il Signore dire a noi, suoi discepoli: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”.

Nella speranza, mi unisco alla vostra preghiera per le vocazioni, per i seminaristi, i sacerdoti e le persone consacrate. Di tutto cuore imparto loro, così come a voi e all’insieme dei vostri diocesani, la Benedizione Apostolica.


AD UN GRUPPO DI PARLAMENTARI AUSTRIACI


Sala del Concistoro - Sabato, 22 marzo 1997


Signor Presidente del Bundesrat,
Signore e Signori,

77 1. Accolgo volentieri la vostra richiesta di questo incontro e vi do il benvenuto nel Palazzo apostolico.

Questo incontro mi dà l’opportunità di offrirvi alcune riflessioni circa la vocazione del politico cristiano.

2. I disegni di Dio per gli uomini si riflettono nel “Vangelo dell’amore di Dio per l’uomo”, nel “Vangelo della dignità della persona” e nel “Vangelo della vita”, che formano “un unico e indivisibile Vangelo” (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae
EV 2). L’unico Vangelo è anche il manuale che ciascun cristiano ha per contribuire, secondo la propria vocazione, a edificare la “cultura della vita” cosicché “la cultura della morte” non prevalga. Questo compito non è soltanto proprio della Chiesa in quanto essa è “Popolo della vita per la vita” (cfr Evangelium vitae EV 78-79), ma di tutte le persone di buona volontà che sono pronte a servire la vita e in tal modo ad apportare un cambiamento culturale.

Ciò concerne in particolare i politici il cui compito consiste nel divenire forieri della cultura della vita nella società.

3. Ci si preoccupa della cultura della vita innanzitutto quando concerne l’ambito personale. “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere fede ma non ha le opere?” (Jc 2,14). Fra i più preziosi contributi di questa cultura vi è perciò il buon esempio. Chi vuole servire la vita, deve avere un atteggiamento di rispetto e di tolleranza nei confronti di coloro con i quali desidera intrattenere un dialogo. Ciò vale anche per i rapporti con quanti la pensano diversamente, anche se ciò può richiedere al singolo molto sforzo, pazienza e soprattutto causare una grande tensione. Ciò nonostante non è sufficiente proclamare la verità se allo stesso tempo non si “mette in pratica la parola” (Jc 1,23). In tal modo le parole divengono degne di essere credute e ciò deve essere tutelato nella vita dalla veridicità: “la veridicità nei rapporti tra governanti e governati, la trasparenza nella pubblica amministrazione, l’imparzialità nel servizio della cosa pubblica, il rispetto dei diritti degli avversari politici” (Giovanni Paolo II, Veritatis splendor VS 101). Saldamente ancorato alla verità e sostenuto dall’attenzione per l’altro, il politico cristiano è al servizio della vita quando fa del Vangelo il criterio del proprio operato come Pietro ha detto alla sua comunità: “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (1P 3,15-16).

4. Il politico deve superare una particolare prova dimostrativa quando gli viene richiesto di contribuire all’edificazione della cultura della vita in quanto egli si trova di fronte alle numerose voci di una democrazia pluralistica, caratterizzata dalla messa in discussione e dall’opposizione. Purtroppo oggi si tende a sostenere che il relativismo scettico e l’agnosticismo costituiscono la filosofia e il fondamento propri delle forme politiche democratiche. Tutti coloro che invece ricercano onestamente la conoscenza della verità e ad essa si attengono sono considerati dal punto di vista democratico non degni di fiducia poiché non vogliono accettare il fatto che la verità sia quella determinata dalla maggioranza. Certamente è una politica molto lontana dallo spirito cristiano quella di imporre ad altre persone la propria opinione circa ciò che è vero e buono, tuttavia essa cerca allo stesso tempo di affermare che, se non esiste alcuna verità ultima, le idee e le convinzioni di diversi individui e gruppi possono essere usate strumentalmente per questioni di potere. In un mondo senza verità la libertà perde il suo fondamento. “Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (Giovanni Paolo II, Centesimus annus CA 46). Per questo uno dei compiti più urgenti del politico cristiano è quello di portare il Vangelo della vita “su tutte le strade del mondo” (Christifideles laici CL 44), in particolare nei mezzi di comunicazione sociale, dei quali non bisogna sottovalutare il potere. Il politico non rappresenta in prima linea sé stesso, né mette in evidenza la sua persona, bensì la verità alla quale si sente obbligato. Così come la filosofia classica si attribuiva il compito di far nascere la verità, così il politico cristiano è chiamato a far nascere il Vangelo della vita. Ognuno indietreggia quando quest’ultimo ha la parola

5. Le nostre riflessioni divengono urgenti laddove un popolo al di là dei propri confini pensa “al bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo responsabili di tutti” (Sollicitudo rei socialis SRS 38).

È auspicabile che la solidarietà politica oggi voglia esprimersi secondo un orizzonte “che, superando la singola nazione o il blocco di nazioni, si” configuri “come propriamente continentale e mondiale” (Christifideles laici CL 42). La Chiesa non può perciò mai lasciarsi utilizzare strumentalmente ai fini di una demagogia e di sentimentalismi antieuropei. Dunque non c’è altra alternativa per un’Europa unita.

Il contributo, che il politico cristiano potrebbe apportare a questo processo è l’idea dell’inviolabile dignità di ogni persona umana, sulla cui base si può edificare una cultura europea della vita che non si preoccupi soltanto del fatto che in Europa si viva bene dal punto di vista economico e finanziario, ma anche che l’Europa sia edificata sulla base di valori che in passato l’hanno resa grande. Il politico cristiano non rinuncerà a rappresentare tutto ciò che ha imparato dalla sua fede e che la sua coscienza gli suggerisce.

6. Signore e Signori,

Con le parole del Concilio Vaticano II vi ringrazio per tutto ciò che fate per la vita politica in Austria: “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l’opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità” (Gaudium et spes GS 75). Allo stesso modo vi invito allo “spirito di servizio”, che, unitamente alle necessarie competenza ed efficienza, può rendere “trasparente” e “pulita” l’attività degli uomini politici, come del resto la gente giustamente esige (cfr Christifideles laici CL 42). A voi personalmente e a tutti coloro che collaborano con voi all’edificazione di una cultura della vita, imparto di cuore la Benedizione Apostolica.




AI PARTECIPANTI AD UN CONVEGNO


SU AMBIENTE E SALUTE


78
Sala dei Papi - Lunedì, 24 marzo 1997


Illustri Signori e Signore!

1. Rivolgo un cordiale saluto a tutti voi, promotori, organizzatori e partecipanti al Convegno sul tema: “Ambiente e salute”, a cui l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha offerto ospitalità e collaborazione scientifica. Ringrazio, in particolare, l’Ingegnere Sergio Giannotti per le parole con cui ha voluto illustrarmi questa importante iniziativa.

L’ecologia, sorta come nome e come messaggio culturale oltre un secolo fa, si è ben presto imposta all’attenzione degli studiosi, richiamando un interesse interdisciplinare crescente da parte di biologi, medici, economisti, filosofi e politici. Essa si configura come studio della relazione tra gli organismi viventi e il loro ambiente, in particolare tra l’uomo e quanto lo circonda. L’ambiente infatti, animato e non animato, ha un influsso decisivo sulla salute dell’uomo, argomento sul quale state raccogliendo le vostre riflessioni nel corso del Convegno.

2. Il rapporto tra uomo e ambiente ha connotato le diverse fasi della civiltà umana, a partire dalla cultura primitiva: nella fase agricola, nella fase industriale e nella fase tecnologica. L’epoca moderna ha registrato una crescente capacità d’intervento trasformativo da parte dell’uomo.

L’aspetto di conquista e di sfruttamento delle risorse è diventato predominante e invasivo, ed è giunto oggi a minacciare la stessa capacità ospitale dell’ambiente: l’ambiente come “risorsa” rischia di minacciare l’ambiente come “casa”. A causa dei potenti mezzi di trasformazione offerti dalla civiltà tecnologica, sembra talora che l’equilibrio uomo-ambiente abbia raggiunto un punto critico.

3. Nell’antichità l’uomo si è situato nei confronti dell’ambiente in cui viveva con ambivalenti e alternanti sentimenti, ora di ammirazione e venerazione, ora di paura verso un mondo apparentemente minaccioso.

La Rivelazione biblica ha portato nella concezione del cosmo l’illuminante e pacificante messaggio della creazione, da cui risulta che le realtà mondane sono buone perché volute da Dio per amore dell’uomo.

Nello stesso tempo l’antropologia biblica ha considerato l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, come creatura capace di trascendere la realtà mondana in virtù della sua spiritualità, e perciò come custode responsabile dell’ambiente in cui è posto a vivere. Esso gli è offerto dal Creatore sia come casa che come risorsa.

4. È ben chiara la conseguenza che discende da tale dottrina: è il rapporto che l’uomo ha con Dio a determinare il rapporto dell’uomo con i suoi simili e con il suo ambiente. Ecco perché la cultura cristiana ha sempre riconosciuto nelle creature che circondano l’uomo altrettanti doni di Dio da coltivare e custodire con senso di gratitudine verso il Creatore. In particolare, la spiritualità benedettina e francescana hanno testimoniato questa sorta di parentela dell’uomo con l’ambiente creaturale, alimentando in lui un atteggiamento di rispetto verso ogni realtà del mondo circostante.

Nell’età moderna secolarizzata si assiste all’insorgere di una duplice tentazione: una concezione del sapere inteso non più come sapienza e contemplazione, ma come potere sulla natura, che viene conseguentemente considerata come oggetto di conquista. L’altra tentazione è costituita dallo sfruttamento sfrenato delle risorse, sotto la spinta della ricerca del profitto senza limiti, secondo la mentalità propria delle società moderne di tipo capitalistico.

79 L’ambiente è così diventato spesso una preda a vantaggio di alcuni forti gruppi industriali e a scapito dell’umanità nel suo insieme, con conseguente danno per gli equilibri dell’ecosistema, della salute degli abitanti e delle generazioni future.

5. Oggi assistiamo non di rado al dispiegamento di opposte posizioni esasperate: da una parte, in nome della esauribilità e della insufficienza delle risorse ambientali, si chiede la repressione della natalità, specialmente nei confronti dei popoli poveri e in via di sviluppo. Dall’altra, in nome di una concezione ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, si propone di eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi, considerando la biosfera come un’unità biotica di valore indifferenziato. Si viene così ad eliminare la superiore responsabilità dell’uomo in favore di una considerazione egualitaristica della “dignità” di tutti gli esseri viventi.

Ma l’equilibrio dell’ecosistema e la difesa della salubrità dell’ambiente hanno bisogno proprio della responsabilità dell’uomo e di una responsabilità che deve essere aperta alle nuove forme di solidarietà. Occorre una solidarietà aperta e comprensiva verso tutti gli uomini e tutti i popoli, una solidarietà fondata sul rispetto della vita e sulla promozione di risorse sufficienti per i più poveri e per le generazioni future.

L’umanità di oggi, se riuscirà a congiungere le nuove capacità scientifiche con una forte dimensione etica, sarà certamente in grado di promuovere l’ambiente come casa e come risorsa a favore dell’uomo e di tutti gli uomini, sarà in grado di eliminare i fattori d’inquinamento, di assicurare condizioni di igiene e di salute adeguate per piccoli gruppi come per vasti insediamenti umani.

La tecnologia che inquina può anche disinquinare, la produzione che accumula può distribuire equamente, a condizione che prevalga l’etica del rispetto per la vita e la dignità dell’uomo, per i diritti delle generazioni umane presenti e di quelle che verranno.

6. Tutto ciò ha bisogno di saldi punti di riferimento e di ispirazione: la coscienza chiara della creazione come opera della sapienza provvida di Dio, e la coscienza della dignità e responsabilità dell’uomo nel disegno creazionale.

È guardando il Volto di Dio che l’uomo può rischiarare il volto della terra e assicurare con l’impegno etico l’ospitalità ambientale per l’uomo di oggi e di domani.

Ricordavo già nel Messaggio per la Giornata della Pace del 1990 che “il segno più profondo e più grave delle implicazioni morali, insite nella questione ecologica, è costituito dalla mancanza di rispetto per la vita quale si avverte in molti comportamenti inquinanti” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata della Pace del 1990, 8 dic. 1989: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XII, 2 (1989) 1467).

La difesa della vita e la conseguente promozione della salute, specialmente nelle popolazioni più povere e in via di sviluppo sarà ad un tempo il metro e il criterio di fondo dell’orizzonte ecologico a livello regionale e mondiale.

Nel vostro impegno per la conservazione della salubrità dell’ambiente, vi illumini ed assista il Signore. Alla sua bontà di Padre, ricco di amore verso ognuna delle sue creature, affido i vostri sforzi e, nel suo nome, tutti vi benedico.




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