GP2 Discorsi 1997 87


VISITA ALLA PARROCCHIA DI SAN GIUDA TADDEO


AI GIOVANI


Domenica, 6 aprile 1997




Grazie per la promessa delle vostre preghiere per il mio viaggio a Sarajevo dove sarò domenica prossima.

Grazie a tutti grazie ai giovani. Quando si pensa alla giovinezza viene in mente la primavera. La primavera è il tempo quando la natura risorge dopo, la «morte» dell'inverno. Coincide con la primavera ogni anno la solennità della Pasqua, che ci ricorda la risurrezione di Cristo. Egli con la sua risurrezione ha manifestato che la morte non ha potere assoluto e definitivo. Egli ha vinto la morte e ha manifestato la vita.

La primavera della vita umana coincide con la giovinezza. Io vedo qui anche giovani di 70 o 80 anni. Mi congratulo con voi, per questo desiderio di essere sempre giovani di voler tornare alla primavera della vita alla giovinezza. Vi auguro buona Pasqua a tutti i presenti, ai giovani e a quelli che aspirano ad essere di nuovo giovani, come anche io faccio.

Mi domando se avete già messo da parte i soldi per Parigi, per l'incontro Mondiale dei Giovani.

Mi dice il Cardinale Ruini che ci sono tanti giovani italiani che vogliono venire. I giovani francesi e Parigi vi aspettano.

VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN GIUDA TADDEO


AI BAMBINI


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Domenica, 6 aprile 1997




Volevo dirvi che una volta Gesù ha dato un grande benvenuto ai suoi discepoli. Era il benvenuto di Gesù risorto. Oggi si ricorda questa sua venuta nel Cenacolo, quando disse agli Apostoli: «Pace a voi».

Loro videro Cristo crocifisso, morto sepolto e poi lo videro risorto che diceva loro: «Pace a voi». Disse anche: «Come il Padre ha inviato me, anche io invio voi. Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo e battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».

Questo di Gesù agli Apostoli è il più grande benvenuto della storia del mondo ed è giunto quando Cristo morto e sepolto tornò nuovamente alla vita per andare dai suoi e dire loro: «Pace a voi».

Vorrei che questo benvenuto di Cristo fosse anche il benvenuto di tutta la vostra comunità.

Mi auguro che Cristo risorto, attraverso la mia visita, vi dica: «Benvenuti, voi cristiani, benvenuti voi che avete la fede degli Apostoli, benvenuti voi che avete creduto nella mia morte e nella mia risurrezione, benvenuti voi che siete battezzati, cresimati, voi che accettate il mio Corpo e il mio Sangue nell'Eucaristia, voi cristiani di Roma, di questa parrocchia ».

Questo volevo dire a voi parrocchiani più giovani, augurandovi ancora oggi buona Pasqua.

VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN GIUDA TADDEO


AL CONSIGLIO PARROCCHIALE


Domenica, 6 aprile 1997




«Ricevete lo Spirito Santo». Così ha detto Gesù agli Apostoli. in un certo senso la Pasqua è già Pentecoste, perché nella forza della morte e della risurrezione di Cristo, gli Apostoli hanno ricevuto lo Spirito Santo.

Lo dico anche per rivolgermi al vostro Consiglio pastorale. «Ricevete lo Spirito Santo». Perché se siete un Consiglio sono molto necessari a voi i doni dello Spirito Santo, specialmente quello del buon consiglio.

Vi auguro questo dono e tutto il bene. Auguro buon Pasqua a voi, alle vostre famiglie al vostro Consiglio e a tutta la vostra parrocchia di san Giuda Taddeo.


AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE


DELLA BELARUS' IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


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Lunedì, 7 aprile 1997




Venerato Signor Cardinale,
Carissimo Mons. Vescovo di Grodno!

1. “La pace sia con voi” (
Mt 28,9). Faccio mio, con gioia, incontrandovi, il saluto di Cristo risorto. Lo rivolgo, attraverso di voi, alle Comunità ecclesiali del vostro amato Paese, che stanno vivendo una provvidenziale stagione primaverile, dopo l’inverno della persecuzione violenta, che s’è protratta per lunghi decenni esprimendosi nell’ateizzazione sistematica delle popolazioni e specialmente dei giovani, nella distruzione quasi totale delle strutture ecclesiastiche, nonché nelle chiusura forzata dei luoghi di formazione cristiana.

Davanti alla presente rinascita spirituale, come non ringraziare anzitutto il Signore, che ha aperto per voi le porte della libertà di culto, seppur ancora relativa, ed ha mosso i cuori a permettere l’entrata nel vostro Paese di giovani forze sacerdotali e religiose insieme alla costruzione o al restauro di numerose chiese e cappelle? Ciò è stato compiuto anche grazie all’aiuto solidale di numerosi fratelli e sorelle sparsi per il mondo, ai quali va il mio grato pensiero. A Dio, Padre di bontà, che finalmente ha ascoltato il grido del suo popolo oppresso, e a non pochi uomini e donne di buona volontà, che si sono fatti strumenti della sua premura, va dunque il nostro cordiale ringraziamento per il progressivo ricostruirsi in Belarus’, anche se fra gravissime difficoltà, del tessuto comunitario ecclesiale.

2. Quest’opera di ricostruzione “fisica” e spirituale della vostra Patria è stata seguita, tre anni or sono, dal riconoscimento statale, della personalità giuridica dell’Arcidiocesi di Minsk-Mohilev e della diocesi di Pinsk, mentre si sono fatti via via visibili i legami con la Sede Apostolica con la nomina e la presenza “in loco” di un Rappresentante Pontificio, segno della mia particolare sollecitudine e del mio amore per la vostra Chiesa locale e per la Belarus’ tutta intera.

Sono fiducioso che sul cammino intrapreso si continuerà a procedere, conformemente a quanto stabilito e promesso nelle intese bilaterali, nei riconoscimenti giuridici e nei regolamenti amministrativi, a favore sia di quanti, non cittadini bielorussi, prestano attualmente la loro generosa opera apostolica nel Paese, sia di Istituti di religiosi e di religiose che desiderano aprire case nel territorio.

La Chiesa cattolica vuole essere, anche in Belarus’, un segno di speranza per quanti spendono le loro energie in vista di un avvenire migliore di pace e di riconciliazione per tutti. Lo sforzo di strutturazione pastorale della diocesi di Grodno e l’impegno del Sinodo diocesano di Minsk-Mohilev e di Pinsk meritano incoraggiamento e sostegno.

3. Venerati Fratelli nell’episcopato, contemplando il vostro fervore e quello dei sacerdoti, dei religiosi, delle religiose e dei laici, non si può non guardare con responsabile fiducia al futuro. Vi sorregga la consapevolezza dell’amore di Dio, che conduce le sorti degli uomini e ha nelle sue mani i destini della storia. Vi guidi la Vergine Maria, venerata ed amata dalla vostra gente specialmente nel santuario di Budslav.

È con l’animo confortato da queste certezze che vorrei soffermarmi ora a considerare insieme con voi alcune gravi questioni sociali e religiose, che nelle vostre relazioni quinquennali, in ordine a questa Visita “ad limina Apostolorum”, avete voluto sottoporre al Vescovo di Roma.

Vi preoccupa la situazione culturale, sociale, economica e politica del vostro Paese, che appare difficile e instabile; vi angustia, altresì, la progressiva pauperizzazione di ampi strati della società, che fa nascere in alcuni pericolose nostalgie del passato.

90 A questi problemi voi prestate costante attenzione, pronti ad offrire ogni contributo utile per la loro soluzione. Le vostre cure si rivolgono, tuttavia, specialmente alle “emergenze” religiose, ben evidenziate nei colloqui di questi giorni. Anzitutto, vi stanno a cuore la cura e la formazione dei sacerdoti, che animano i laici e le comunità cristiane nel loro risveglio spirituale. Ad essi va il mio pensiero riconoscente, perché il loro è un ministero particolarmente duro ed io ne sono ben consapevole.

Dopo tanti anni di abbandono, l’ambiente in cui operano è, infatti, spesso ostile, il campo da dissodare pieno di sterpi e di rovi. I fedeli sono per lo più dispersi in zone molto vaste e ancora impauriti. La solitudine dei sacerdoti è talora pesante da sopportare, giacché essi non di rado per esigenze pastorali vivono lontani l’uno dall’altro. Vi è anche tra di loro scarsa omogeneità d’origine, di formazione, di esperienza di vita e di mentalità.

Ben conscio di queste vostre difficoltà, sacerdoti carissimi, mi rivolgo a voi con affetto, vi abbraccio e vi ripeto l’incoraggiamento che ho diretto all’inizio del mio Pontificato romano alla Chiesa tutta intera: “Non abbiate paura!”, “Aprite le porte a Cristo” (Giovanni Paolo II, Omelia per l'inizio del Pontificato, 22 ottobre 1978: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I (1978) 35ss.). Il Signore Gesù ha vinto il mondo (cfr
Jn 16,33) e con lui voi siete già vittoriosi.

A voi, amati Fratelli nell’episcopato, non è necessario raccomandare di amare i vostri sacerdoti, di sostenerli con la preghiera e la vicinanza, con la parola ed anche con l’aiuto materiale, perché questo già fate con generosa dedizione. A me non tocca che di esortarvi a perseverare. Continuate nella buona tradizione delle riunioni mensili del Clero. L’incontro del Vescovo con i sacerdoti è sempre una provvidenziale occasione di fraternità e di crescita spirituale. Continuate a seguire i presbiteri nell’impegno ascetico personale e nella loro formazione permanente, ispirandovi alle indicazioni del Concilio Vaticano II per il necessario “aggiornamento”. Nessuna difficoltà, vi scoraggi o freni il vostro entusiasmo apostolico.

4. A proposito di formazione, penso oltre che a quella permanente, destinata ai presbiteri, alla preparazione dei candidati al sacerdozio. Non è forse questo il problema più urgente? Individuare i chiamati, coltivarne la vocazione, seguirne il cammino formativo è impegno da cui dipende il futuro della Chiesa nel Paese. È necessario preparare sacerdoti che gradualmente prendano il posto di chi è venuto da altre regioni e si sta prodigando in questi anni con tanta generosità tra di voi. Analogo sforzo dovrà essere compiuto per il Seminario Interdiocesano di Grodno, ora rinnovato, che potrà così essere guidato, a poco a poco, da Superiori ed Insegnanti originari del Paese. Certo non è facile, al momento, la formazione dei sacerdoti chiamati ad essere “homines Dei et hominum”, quando ancora si sentono fortemente le conseguenze dell’“homo sovieticus”, plasmato durante decenni di regime ateistico. Non lasciatevi prendere, al riguardo, dallo scoraggiamento. Contate piuttosto sulla grazia sanante di Cristo, sulla generosità che sboccia da una vocazione di amore totale e oblativo e sull’opera spirituale e pluridisciplinare degli Educatori.

“La messe è molta, ma gli operai sono pochi” (Mt 9,37), ci ricorda Gesù nel Vangelo. In attesa dei frutti dell’attuale impegno formativo, volgete lo sguardo attorno e bussate con insistenza presso altre Chiese locali, al fine di ottenere sacerdoti, religiosi e religiose di provenienza diversificata, considerato anche l’atteggiamento governativo al riguardo.

Nel campo, poi, della vita religiosa, sia vostra luce per il cammino e consolazione nelle difficoltà l’Esortazione Apostolica Vita consecrata, che manifesta in maniera molto precisa la stima della Chiesa per la vita consacrata, per quello che è in sé e per il senso ecclesiale che deve possedere chi segue Cristo più da vicino.

5. Altro aspetto del lavoro pastorale che vorrei porre in evidenza è l’apostolato nei confronti dell’“intellighenzia”, di chi cioè opera negli svariati campi della cultura. È impegno da non trascurare anche se so bene che la priorità da voi stessi stabilita è la cura della gioventù e della famiglia. In effetti, tutto sembra essere prioritario se si considera, da una parte, il collasso etico della società e, dall’altra, la mentalità “sovietica” ancora presente nell’uomo comune.

Bisogna programmare un’azione di nuova evangelizzazione coraggiosa e adatta alle mutate situazioni storiche e sociali del momento presente. Dedicatevi a quest’azione evangelizzatrice senza sosta, specialmente tenendo conto del grande appuntamento storico del Giubileo del Duemila.

La nuova evangelizzazione non può prescindere da una coraggiosa azione di promozione umana, a condizione che questa sia orientata al servizio di ogni uomo e di tutto l’uomo. Al riguardo, può offrire un significativo contributo l’attività svolta dalla “Caritas”. Mentre mi rallegro con voi che essa sia sorta, almeno come struttura centrale, in tutte e tre le diocesi bielorusse, auspico che possa svilupparsi in organizzazioni ed opere, giovandosi soprattutto dell’aiuto di laici onesti e fervorosi, competenti e sensibili alle necessità dei piccoli, dei malati, dei poveri, dei vecchi e di chi cerca una preparazione adeguata alla vita.

6. Non posso concludere quest’incontro senza ricordare che in Belarus’ il dialogo con i nostri fratelli e sorelle ortodossi non potrà non essere facilitato dal fatto che anche i cattolici possono dire con loro: “Anche noi siamo di qui!”. È evidente che la presenza e l’apostolato della Chiesa non sono di “proselitismo”, né “missionarie”, nella connotazione negativa che talora viene data a questo termine in ambiente ortodosso. I sacerdoti sono presenti come Pastori del gregge, per rispondere alle esigenze di assistenza spirituale a cui ogni credente ha diritto.

91 Cercate, quindi, da parte vostra, di allacciare soprattutto il dialogo della carità con quanti hanno altre religioni o non ne hanno alcuna. Curate in primo luogo di avere rapporti fraterni con coloro a cui ci legano, pur in una comunione non ancora perfetta, i valori dell’Evangelo, le Beatitudini, il Padre nostro, la pietà mariana, gli stessi sacramenti, la stessa successione apostolica, l’amore alla Chiesa, che trova la sua icona nel mistero della Trinità Santissima.

Con essi, con i loro Pastori, è legittima la collaborazione in iniziative umane, culturali, caritative e religiose, fino al punto in cui non lo impediscano ragioni di fedeltà al “depositum fidei”, sempre combinando prudenza e coraggio.

E poiché per i fedeli di rito greco-cattolico in territorio bielorusso non vi è al presente una gerarchia costituita, desidero cogliere questa circostanza per salutare e benedire anche loro ed assicurarli che le loro gioie e tristezze, le loro angustie e speranze, assieme a quelle dei carissimi fedeli di rito latino, sono pure le mie, come lo sono quelle di tutta l’umanità (cfr Gaudium et spes
GS 1).

A voi ed alle popolazioni affidate alla vostra sollecitudine pastorale la mia affettuosa Benedizione.


AD UNA DELEGAZIONE CROATA IN OCCASIONE


DELLO SCAMBIO DEGLI STRUMENTI DI RATIFICA


DI TRE ACCORDI STIPULATI TRA LA SANTA SEDE


E LA REPUBBLICA DI CROAZIA


Giovedì, 10 aprile 1997


Signor Vice-Primo Ministro e distinte autorità,
Venerati fratelli nell’Episcopato,

Ringrazio di cuore il Dott. Jure Radi, Vice-Primo Ministro della Repubblica di Croazia e Presidente della Commissione Statale per i Rapporti con le comunità religiose, per le cortesi parole che ha voluto rivolgermi, anche a nome delle più alte autorità della Croazia. Saluto poi cordialmente il Signor Cardinale Franjo Kuhari e gli altri ecclesiastici qui venuti per l’occasione. A tutti il mio benvenuto più cordiale.

Il motivo della vostra visita è lo scambio degli strumenti di ratifica di tre Accordi stipulati tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia che ha avuto luogo ieri in questo Palazzo Apostolico. Si tratta dei seguenti documenti: 1) Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni giuridiche; 2) Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa la collaborazione in campo educativo e culturale e 3) Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa l’assistenza religiosa ai fedeli cattolici, membri delle Forze Armate e della Polizia della Repubblica di Croazia.

Sono lieto che tali Convenzioni offrano ora un chiaro quadro giuridico per l’opera della Chiesa Cattolica nella Repubblica di Croazia, permettendole di svolgere in modo adeguato la sua missione. Come è noto, tali intese si fondano su tre principi basilari quali la libertà religiosa, la distinzione tra Chiesa e Stato e la necessità di collaborazione fra le due istituzioni.

Il rispetto della libertà religiosa serve da sfondo per stabilire i mutui rapporti tra la comunità ecclesiale e quella politica. Per la Chiesa Cattolica tale principio è stato recepito nei Documenti del Concilio Vaticano II e poi nel Codice del Diritto Canonico. Con l’avvento della democrazia, tale norma è stata sancita anche nella Costituzione della Repubblica di Croazia.

92 La distinzione tra la Chiesa e lo Stato che sono due entità indipendenti ed autonome, ciascuna nel proprio ordine, è poi il secondo principio ispiratore di tali Accordi. Ognuna ha il suo campo specifico di azione; sono diverse le loro origini, le loro finalità e i mezzi per raggiungerle. Tuttavia, la Chiesa e lo Stato si incontrano nell’uomo, il quale è, come cittadino, membro di uno Stato e in quanto credente, membro della Chiesa Cattolica.

È pertanto importante l’ulteriore principio di una retta e costruttiva collaborazione tra la Chiesa e lo Stato, per la promozione del bene comune dei singoli cittadini e dell’intera società. Difatti, esiste un ampio campo misto, in cui le reciproche competenze ed azioni si avvicinano e non di rado si intrecciano.

Questi principi, da tempo in vigore in vari Paesi con l’ordinamento giuridico democratico, sono ora applicati nel vostro Paese, ovviamente nel rispetto delle sue particolarità storiche, culturali e religiose. Non si tratta in alcun modo di privilegi offerti alla Chiesa, bensì di un regolare modo di ordinare le mutue relazioni a beneficio dei cittadini. Evidentemente, il regolamento della situazione giuridica permette alla Chiesa di intraprendere con più sicurezza la sua azione di evangelizzazione e di promozione umana. Essa non chiede altro che di poter continuare la sua missione di servizio, con rinnovato vigore, zelo e creatività, all’alba del nuovo millennio.

Per una felice coincidenza, la Santa Sede ha ratificato gli Accordi il 19 marzo corrente, nella festa liturgica di San Giuseppe, che il Parlamento croato aveva proclamato nel mese di giugno 1687 protettore della Croazia. Alla sua intercessione affidiamo la corretta applicazione degli Accordi per il bene non solo dei cattolici bensì di tutta la comunità.

Su ognuno di voi e sull’intera cara Croazia imparto ben volentieri la Benedizione Apostolica.

Siano lodati Gesù e Maria!




ALLA PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA


Venerdì, 11 aprile 1997


1. Signor Cardinale,

La ringrazio di cuore, per i sentimenti che ha voluto or ora manifestarmi presentando la Pontificia Commissione Biblica, all’inizio del Suo mandato. Saluto cordialmente i membri vecchi e nuovi della Commissione presenti a questa Udienza. Saluto i “vecchi” con viva gratitudine per i compiti già svolti ed i “nuovi” con gioia particolare, suscitata dalla speranza. Sono lieto perché questa occasione mi dà modo di incontrarvi tutti personalmente e di ripetere a ciascuno quanto io apprezzi la generosità con la quale ponete la vostra competenza di esegeti al servizio della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa.

Il tema che avete cominciato a studiare nel corso della vostra attuale sessione plenaria è di enorme rilevanza: si tratta infatti di un tema fondamentale per la corretta comprensione del mistero di Cristo e dell’identità cristiana. Vorrei anzitutto sottolineare questa utilità che potremmo dire ad intra. Essa si riflette altresì immancabilmente in un’utilità per così dire ad extra, poiché la coscienza della propria identità determina la natura delle relazioni con le altre persone. In questo caso determina la natura delle relazioni tra cristiani ed ebrei.

2. Fin dal secolo secondo dopo Cristo, la Chiesa si è trovata di fronte alla tentazione di separare completamente il Nuovo Testamento dall’Antico e di contrapporli l’uno all’altro, attribuendo loro due origini differenti. L’Antico Testamento, secondo Marcione, proveniva da un dio indegno di questo nome, perché vendicativo e sanguinario, mentre il Nuovo Testamento rivelava il Dio riconciliatore e generoso. La Chiesa ha respinto con fermezza questo errore, ricordando a tutti come la tenerezza di Dio si manifesti già nell’Antico Testamento. La stessa tentazione marcionita si ripresenta, purtroppo, anche nel nostro tempo. Ciò che, però, più frequentemente si verifica è l’ignoranza dei rapporti profondi che legano il Nuovo Testamento all’Antico, ignoranza dalla quale deriva in alcuni l’impressione che i cristiani non abbiano niente in comune con gli ebrei.

93 Secoli di pregiudizi e di opposizione reciproca hanno scavato un profondo fossato, che la Chiesa si sforza ora di colmare, spinta in tal senso dalla presa di posizione del Concilio Vaticano II. I nuovi lezionari liturgici hanno dato più spazio ai testi dell’Antico Testamento e il Catechismo della Chiesa Cattolica si è preoccupato di attingere continuamente al tesoro delle Sacre Scritture.

3. In realtà, non si può esprimere in modo pieno il mistero di Cristo senza ricorrere all’Antico Testamento. L’identità umana di Gesù si definisce a partire dal suo legame con il popolo d’Israele, con la dinastia di Davide e la discendenza di Abramo. E non si tratta soltanto di un’appartenenza fisica. Prendendo parte alle celebrazioni nella sinagoga, dove venivano letti e commentati i testi dell’Antico Testamento, Gesù prendeva anche umanamente conoscenza di tali testi, con essi nutriva lo spirito ed il cuore, servendosene poi nella preghiera, e ad essi ispirando il suo comportamento.

Egli è diventato così un autentico figlio d’Israele, profondamente radicato nella lunga storia del proprio popolo. Quando ha cominciato a predicare e ad insegnare, ha attinto abbondantemente dal tesoro delle Scritture, arricchendo questo tesoro di nuove ispirazioni e di inattese iniziative. Queste - notiamolo - non miravano ad abolire l’antica rivelazione, bensì, al contrario, a portarla al proprio perfetto compimento. L’opposizione sempre più consistente, con la quale Gesù ha dovuto confrontarsi fino al Calvario, è stata da lui compresa alla luce dell’Antico Testamento, che gli rivelava la sorte riservata ai profeti. Egli sapeva anche, dall’Antico Testamento, che alla fine l’amore di Dio risulta sempre vittorioso.

Privare Cristo del rapporto con l’Antico Testamento è dunque staccarlo dalle sue radici e svuotare il suo mistero di ogni senso. Infatti, per essere significativa l’Incarnazione ha avuto bisogno di radicarsi in secoli di preparazione. Altrimenti, Cristo sarebbe risultato come una meteora piombata accidentalmente sulla terra e priva di connessione con la storia degli uomini.

4. La Chiesa ha compreso bene, fin dalle origini, il radicamento dell’Incarnazione nella storia e, di conseguenza, ha pienamente accolto l’inserimento di Cristo nella storia del popolo d’Israele. Essa ha ritenuto le Scritture ebraiche come Parola di Dio perennemente valida, rivolta a se stessa, oltre che ai figli d’Israele. È di primaria importanza mantenere e rinnovare tale consapevolezza ecclesiale dei rapporti essenziali con l’Antico Testamento. Sono certo che i vostri lavori vi contribuiranno in modo eccellente e me ne rallegro fin d’ora, ringraziandovi di tutto cuore.

Voi siete chiamati ad aiutare i cristiani a comprendere bene la loro identità. Identità che si definisce anzitutto grazie alla fede in Cristo, Figlio di Dio. Questa fede però è inseparabile dal rapporto con l’Antico Testamento, dal momento che essa è fede in Cristo “morto per i nostri peccati, secondo le Scritture” e “risuscitato... secondo le Scritture” (
1Co 15,3-4). Il cristiano deve sapere che, con la sua adesione a Cristo, è diventato “discendenza di Abramo” (Ga 3,29) e che è stato innestato sull’olivo buono (cfr Rm 11,17 Rm 11,24), cioè inserito nel popolo d’Israele, per essere “partecipe della radice e della linfa dell’olivo” (Rm 11,17). Se possiede questa forte convinzione, egli non potrà più accettare che gli ebrei in quanto ebrei siano disprezzati o, peggio, maltrattati.

5. Dicendo questo, non intendo ignorare che il Nuovo Testamento conserva le tracce di chiare tensioni esistite tra comunità cristiane primitive e alcuni gruppi di ebrei non-cristiani. San Paolo stesso attesta, nelle sue lettere, che in quanto ebreo non-cristiano aveva perseguitato fieramente la Chiesa di Dio (cfr Ga 1,13 1Co 15,9 Fil Ph 3,6). Questi ricordi dolorosi devono essere superati nella carità, secondo il precetto di Cristo. Il lavoro esegetico deve preoccuparsi di avanzare sempre in questa direzione e di contribuire così a diminuire le tensioni e a dissipare i malintesi.

Alla luce proprio di tutto ciò, il lavoro da voi cominciato è altamente importante e merita di essere condotto con cura ed impegno. Esso comporta certo aspetti difficili e punti delicati, ma è assai promettente. È tuttavia ricco di grandi speranze. Auspico che sia molto fecondo per la gloria del Signore. Con tale augurio, vi assicuro un costante ricordo nella preghiera ed imparto di cuore a tutti voi una speciale Benedizione Apostolica.




AI VESCOVI DELLA REGIONE APOSTOLICA


CENTRO-EST DELLA FRANCIA


IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


Sabato, 12 aprile 1997


Cari Fratelli nell’Episcopato,

1. Mentre si conclude la serie delle visite ad limina dei Vescovi della Francia, sono lieto di ricevervi, voi che siete i Pastori della Chiesa nella regione Centro-Est. Siete venuti presso le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo per ritrovare la fonte del dinamismo evangelico che ha mosso tante figure illustri delle vostre Chiese particolari, da Ireneo, Francesco di Sales, Marguerite-Marie, Jean-Marie Vianney, Pauline Jaricot, Antoine Chevrier o gli iniziatori del cattolicesimo sociale. Ancora oggi questo dinamismo non cessa di far vivere i discepoli di Cristo che vi sono stati affidati e la cui testimonianza al centro della società incoraggiate e guidate.

94 Desidero salutare qui la memoria del Cardinale Albert Decountray, che è stato un Pastore zelante dell’Arcidiocesi di Lione e un servitore generoso della Chiesa in Francia. Ringrazio Monsignor Claude Feidt, Arcivescovo di Chambéry, vostro presidente, per la sua lucida presentazione della vita delle vostre Diocesi. Ho potuto apprezzare il senso apostolico dei sacerdoti e constatare il posto importante occupato, da lungo tempo, nella vostra Regione dai laici nella missione della Chiesa. Il riconoscimento della loro vocazione particolare e la loro collaborazione fiduciosa con i sacerdoti permettono di conferire maggiore vigore alla vita ecclesiale. So anche che nella vostra regione l’ecumenismo, di cui l’abate Couturier è stato uno dei grandi ispiratori, è un orientamento pastorale costante. Che fra le soddisfazioni e le difficoltà di ogni giorno le vostre comunità rimangano, per tutti, un segno di speranza per il futuro!

2. Durante la mia recente visita in Francia, il pellegrinaggio che ho compiuto presso la tomba di san Martino a Tours mi ha dato l’opportunità d’incontrare un’assemblea significativa di “feriti della vita”. Voi avete voluto fare di questa celebrazione il simbolo dell’impegno risoluto della Chiesa accanto a coloro che soffrono, a quelli che sono rifiutati dalla società e a quanti vengono lasciati in disparte sulle vie della vita. È su questo aspetto essenziale della missione della Chiesa che vorrei intrattenermi oggi con voi.

Le relazioni quinquennali delle Diocesi del vostro Paese mettono in luce i gravi problemi umani che deve affrontare la società. Così la crisi economica porta una parte della popolazione a conoscere situazioni di povertà e di precarietà che colpiscono sempre più duramente le giovani generazioni. Lo smarrimento di fronte alle difficili condizioni di vita, le disuguaglianze sociali, la disoccupazione, le cui cause sono talvolta interpretate in maniera semplicistica, indeboliscono le relazioni fra i diversi gruppi umani all’interno della comunità nazionale. Le incertezze dell’esistenza possono avere anche come conseguenza un ripiegamento su se stessi che impedisce di prestare attenzione agli appelli dei più bisognosi del proprio ambiente e a quelli dei popoli meno fortunati.

In questo periodo di mutamenti profondi è bene che si sviluppi in molti una netta presa di coscienza dell’interdipendenza fra gli uomini e fra le nazioni e del bisogno di mettere in opera un vera solidarietà intesa come “determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti” (Sollicitudo rei socialis
SRS 38). I valori di libertà, di uguaglianza e di fratellanza, sui quali il popolo francese ha scelto di fondare la sua vita collettiva, esprimono in qualche modo le condizioni della solidarietà senza la quale non è possibile per l’uomo vivere pienamente in mezzo ai propri fratelli. La grandezza di una società si giudica secondo il posto che essa dà alla persona umana, prima di tutto al più debole, che non può essere considerato unicamente in funzione di ciò che possiede o di ciò che può apportare con la sua attività.

3. La vostra Conferenza episcopale è intervenuta sulle questioni sociali in diverse occasioni, soprattutto durante le sue Assemblee plenarie o per mezzo della sua commissione sociale. Recentemente voi avete esortato a non guardare come una fatalità il “divario sociale” che si sta approfondendo nel vostro Paese. Numerosi sono anche coloro che, fra di voi, intervengono per ricordare la tradizione evangelica di difesa dei più deboli. È importante, in effetti, che la parola della Chiesa si manifesti in modo vigoroso nell’opinione pubblica, per promuovere la dignità dell’uomo ovunque essa sia minacciata, e per proporre i principi evangelici che conferiscono significato e valore a ogni vita umana. Inviata nel cuore del mondo per annunciarvi il Vangelo di vita, la Chiesa si preoccupa del benessere di tutta la società, nel rispetto delle convinzioni di ogni persona e di ogni gruppo.

Il consiglio nazionale della solidarietà, che avete creato qualche anno fa, è un luogo importante di concertazione e di riflessione per un impegno e un coordinamento più efficaci degli organismi di mutuo soccorso. Vi incoraggio vivamente a suscitare, a livello di Diocesi, le iniziative adatte ai bisogni nuovi che si presentano nelle città e nelle periferie, e nelle campagne a volte dimenticate. Le nuove forme di povertà esigono nuove risposte. I cristiani sono ancor più invitati alla conversione del cuore per sviluppare, personalmente e collettivamente, modi di vita nuovi, che invitino in maniera profetica i loro compatrioti a modificare i propri comportamenti affinché vengano superate le crisi e ognuno possa avere la sua giusta parte della ricchezza nazionale. Dando prova di libertà nei confronti dei propri beni e moderando i propri desideri, renderanno possibile una condivisione effettiva con coloro che sono nel bisogno. Che tutti siano inventivi nella ricerca di nuove vie! Così si edificherà un mondo rinnovato in cui la vita sia più forte della morte e in cui l’amore domini le forze dell’egoismo.

Oggi la carità deve assumere volti nuovi. Non può ridursi a una semplice assistenza passeggera. Essa richiede “il coraggio per affrontare il rischio ed il cambiamento impliciti in ogni autentico tentativo di venire in soccorso dell’altro uomo” (Centesimus annus CA 58). Le persone vittime dell’esclusione o di qualsiasi altra forma di povertà devono poter condurre una vita familiare degna e provvedere da sole ai loro bisogni, sviluppando pienamente le proprie potenzialità. Così non resteranno al margine delle reti sociali; grazie ai loro fratelli in umanità, verranno offerti loro una speranza e un futuro. Si ricorderà che l’attenzione ai più poveri non deve limitarsi agli aspetti materiali della vita. Essa deve prendere in considerazione anche lo sviluppo spirituale di ognuno e favorire l’accesso alla formazione e alla cultura. La liberazione che offre Cristo trasforma la persona in tutto il suo essere.

4. È più che mai urgente assicurare il risveglio e l’educazione di tutti i membri della comunità cristiana alle loro responsabilità nei confronti dei “feriti della vita”. “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Jn 4,20). I discepoli di Cristo sono invitati a seguire il loro Maestro lungo le vie che Egli stesso ha percorso donando la propria vita per l’umanità bisognosa e ferita. Così, situandosi nella logica stessa dell’amore vissuto secondo Cristo, la Chiesa deve essere interamente solidale con i più umili. Non si tratta di un compito facoltativo, ma di un dovere imprescrittibile di fedeltà al Vangelo, della sua accoglienza e del suo annuncio. Questa fedeltà passa attraverso la sollecitudine per le membra più fragili del Corpo di Cristo così come di ogni persona umana. Che i battezzati si pongano all’ascolto dei più poveri e delle loro aspirazioni per essere in mezzo ad essi veri testimoni della salvezza che Cristo offre a ogni uomo! Che acquistino un autentico senso della condivisione, espressione del loro amore per il prossimo! La carità “è l’amore dei poveri, la tenerezza e la compassione verso il nostro prossimo. Niente rende onore a Dio come la misericordia!” (Gregorio Nazianzieno, Sull’amore dei poveri, n. 27).

Attraverso i “feriti della vita” è il volto stesso del Signore che si manifesta. Dobbiamo testimoniare incessantemente che “ogni essere straziato nel corpo e nello spirito, ogni persona privata dei propri diritti fondamentali, è un’immagine vivente di Cristo” (Incontro con i feriti della vita a Tours, 21 settembre 1996, n. 2). L’incontro con il Signore dunque porta naturalmente a mettersi al servizio dei propri fratelli più piccoli. L’atteggiamento di rispetto, di condivisione, di compassione verso i bisognosi è un riflesso della nostra fedeltà a Cristo. Ogni cristiano che, nella sua debolezza, tende la mano al proprio fratello l’aiuta a mettersi in piedi e a riprendere il cammino, agendo così alla maniera del Signore. “La carità, nel suo duplice volto di amore per Dio e per i fratelli, è la sintesi della vita morale del credente. Essa ha in Dio la sua scaturigine e il suo approdo” (Tertio Millennio adveniente TMA 50).

Durante la vostra ultima Assemblea plenaria a Lourdes, avete ricordato che “attraverso la diaconia della carità, i diaconi sono testimoni e ministri della carità di Cristo. Essi hanno la responsabilità ministeriale di vegliare affinché la carità venga vissuta concretamente” (Il diaconato: un dono di Dio da mettere in opera, 1996). Li incoraggio dunque a dare, nel loro ministero diaconale, un posto importante a questa missione e a sensibilizzare le comunità cristiane al servizio della carità. La vostra regione ha una lunga tradizione di cattolicesimo sociale che deve spingere i fedeli ad acquisire una conoscenza seria della dottrina sociale della Chiesa, considerandola un impulso a mettere in pratica la propria fede. Un aiuto prezioso è fornito anche dagli Istituti cattolici di studi superiori, specializzati nelle questioni sociali, soprattutto nella ricerca delle cause delle nuove situazioni di povertà e nell’analisi delle strutture d’ingiustizia che colpiscono l’uomo, al fine di proporre soluzioni concrete.

5. Nelle vostre relazioni quinquennali avete ricordato le molteplici forme di presenza cristiana nei luoghi di povertà e di sofferenza delle vostre Diocesi. Sono dunque numerosi i cristiani che, con una devozione ammirevole, forniscono assistenza ai malati, ai disabili, alle persone anziane, ai malati in fin di vita o alle vittime delle nuove malattie. In molte vostre Diocesi è stato compiuto uno sforzo considerevole per creare strutture di accoglienza per i malati e per le loro famiglie. I cristiani che le animano, mediante la loro profonda comprensione delle persone e la loro partecipazione alla sofferenza di ognuno, sono il volto dell’amore e della misericordia di Cristo e della sua Chiesa nei confronti di coloro che sono nella prova.

95 Molti fedeli sono impegnati, con grande generosità, al servizio dei propri fratelli più poveri nei diversi movimenti caritativi come il Soccorso Cattolico che ha recentemente celebrato il cinquantesimo anniversario della sua fondazione o anche, nella vostra regione, l’associazione dei Senzatetto. Vorrei oggi incoraggiare in particolare i giovani che, nei movimenti di apostolato o di educazione, come la Gioventù Operaia Cristiana o lo Scoutismo, condividono la condizione spesso difficile dei loro compagni e operano con essi per costruire una società più giusta in cui ognuno troverà il suo posto e potrà vivere decorosamente. Che si ricordino che la lotta per la giustizia è un elemento essenziale della missione della Chiesa! Saluto cordialmente i membri della Società di San Vincenzo de’ Paoli, il cui fondatore Fréderic Ozanam sarà prossimamente beatificato. Sarà uno di loro ad essere così proposto ai giovani della Francia come modello di fratellanza universale in mezzo ai più poveri, lui che dichiarava: “Vorrei chiudere il mondo intero in una rete di carità”. Incoraggio anche tutti i cattolici che, in un modo o nell’altro, nelle parrocchie, nelle nuove comunità, o nella vita associativa del loro quartiere o del loro paese, in collaborazione con i loro concittadini di altre correnti di pensiero, animano servizi di mutuo soccorso o di solidarietà.

È anche necessario che coloro che hanno responsabilità politiche, economiche e sociali svolgano il loro compito con integrità, preoccupandosi di dare la priorità al bene delle persone e tenendo conto dell’impatto umano delle loro scelte. Deve animarli una chiara consapevolezza della dignità del lavoro, concepito in vista dello sviluppo dell’uomo e del compimento della sua vocazione. “Il lavoro umano.... è di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiché questi hanno solo natura di mezzo” (Gaudium et spes
GS 67).

6. Non è sempre facile, in un contesto di crisi sociale, reagire a un certo indebolimento della coscienza morale dinanzi all’incontro di persone di origini e di culture diverse. Le fratture culturali sono spesso profonde. Esse suscitano diffidenze e paure. L’immigrato è talvolta designato dall’opinione pubblica come il responsabile dei problemi economici.

Il Concilio Vaticano II sottolinea che “Dio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero fra loro con animo di fratelli. Tutti, infatti, creati a immagine di Dio... sono chiamati all’unico e medesimo fine, cioè a Dio stesso” (Gaudium et spes GS 24). Nessun uomo può essere escluso da questo progetto divino. Ognuno deve pertanto divenire attento a colui che è straniero nella società. In diverse occasioni avete ricordato il dovere esigente di accoglienza fraterna e di riconoscimento reciproco, sottolineando che “allo sguardo di Dio, tutti gli uomini sono della stessa razza e dello stesso lignaggio” (Lettera dei Vescovi ai cattolici di Francia). La Rivelazione ci presenta Cristo stesso come lo straniero che bussa alla nostra porta (cfr Mt 25,38 Ap 3,20), il che sprona legittimamente la comunità cristiana a partecipare all’accoglienza e al sostegno dei fratelli immigrati nel rispetto di ciò che sono e della loro cultura, soprattutto quando vivono in ristrettezze.

Missione della Chiesa è di ricordare che in ogni società lo straniero, come qualsiasi altro cittadino, ha diritti inalienabili, come quello di vivere in famiglia e in sicurezza, che, in nessun caso, possono essergli negati. L’elaborazione delle leggi che decretano i doveri necessari alla vita in comune deve essere fatta preservando i diritti della persona e con uno spirito che permetta ai cittadini di imparare a vivere nel pluralismo a beneficio di tutti. Tuttavia i problemi reali posti dall’immigrazione non potranno trovare una soluzione duratura se non si stabiliscono nuove solidarietà con i Paesi di origine degli immigrati.

Nelle parrocchie la fratellanza dei fedeli di origini diverse manifesta la comunione in Cristo secondo la dimensione universale della Chiesa, quando la parola di ognuno può esprimersi ed essere ascoltata. In modo simile, l’incontro fra i cristiani e i credenti di altre tradizioni religiose deve permettere una migliore conoscenza reciproca al fine di partecipare insieme all’edificazione di una famiglia umana più unita.

7. Nell’opinione pubblica sembrano a volte manifestarsi un lassismo e un calo d’interesse nei confronti dei problemi a più lungo termine dello sviluppo delle nazioni più povere. Eppure la pace del mondo si fonda sulla solidarietà. D’altro canto, si constata che l’azione immediata spesso mobilita maggiormente i fedeli, mentre è necessaria una presa di coscienza più lucida delle gravi questioni dello sviluppo. Ricordare l’urgenza di collaborare al progresso dei popoli, di “tutti gli uomini e di tutto l’uomo” fa a sua volta parte della missione della Chiesa. Da voi in Francia esiste una lunga tradizione all’esercizio concreto della solidarietà delle vostre Chiese particolari verso Terzo Mondo e in particolare con l’Africa. Vi invito a conferire sempre più vigore alla cooperazione fra le Chiese locali, mettendovi sempre più all’ascolto di queste Chiese e cercando di instaurare una vera cooperazione.

Desidero salutare qui le numerose iniziative prese dalle Congregazioni religiose e dalle istituzioni ecclesiali come la Delegazione cattolica per la Cooperazione e molte altre organizzazioni d’ispirazione cristiana. Esse traducono l’attaccamento effettivo delle vostre comunità ai Paesi del Terzo Mondo, in particolare mediante l’invio sul luogo di personale religioso e laico, la condivisione delle risorse o anche incaricandosi dell’accoglienza e della formazione in Francia di sacerdoti provenienti da questi Paesi.

Per aiutare i vostri fedeli e tutti gli uomini di buona volontà a prendere nuovamente coscienza delle gravi questioni legate alle strutture dell’economia mondiale, che chiamano in causa la vita di tanti uomini e di tante donne, vi invito a fare conoscere il recente documento pubblicato dal Pontificio Consiglio Cor unum La fame nel mondo. Una sfida per tutti, lo sviluppo solidale. In effetti, come ho già detto, “è necessario che sulla scena economica internazionale si imponga un’etica della solidarietà, se si vuole che la partecipazione, la crescita economica, ed una giusta distribuzione dei beni possano caratterizzare il futuro dell’umanità” (Discorso nella cinquantesima assemblea generale dell’ONU, 5 ottobre 1995, n. 13).

8. Cari Fratelli nell’Episcopato, per concludere gli incontri che ho avuto in occasione delle visite ad Limina dei Vescovi della Francia, e a seguito del mio recente viaggio nel vostro Paese, desidero ribadire la mia gioia per avere condiviso le preoccupazioni e le speranze del vostro ministero episcopale e per aver constatato la vitalità della Chiesa in Francia. Auspico che, in occasione di questa visita al Successore di Pietro, la vostra preghiera presso le tombe degli Apostoli, così come i vostri colloqui nei dicasteri della Curia romana, siano per voi una fonte di dinamismo e di fiducia nel futuro, in comunione con la Chiesa universale. Fra qualche mese c’incontreremo nuovamente a Parigi per la Giornata Mondiale della Gioventù. Sarà l’occasione per i cattolici della Francia, e soprattutto per i giovani, di accogliere fratelli e sorelle di tutto il mondo e di condividere con essi le loro convinzioni evangeliche e il loro impegno a costruire la civiltà dell’amore. Mentre ci prepariamo al Grande Giubileo dell’Anno 2000, attraverso voi, invito dunque con forza tutti i cattolici della Francia ad andare incontro ai loro fratelli e a porsi al loro servizio. Cristo li attende lì!

A ognuno di voi e a tutti i vostri diocesani imparto di tutto cuore la Benedizione Apostolica.



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