GP2 Discorsi 1997 104


VIAGGIO APOSTOLICO A SARAJEVO (12-13 APRILE 1997)



IN OCCASIONE DELLA CONSEGNA DEL


"PREMIO INTERNAZIONALE DELLA PACE GIOVANNI XXIII"


Arcivescovado di Sarajevo - Domenica, 13 aprile 1997



Illustri Signori e Signore!

1. Sono lieto di porgervi il mio cordiale saluto. "Beati gli operatori di pace!" (Mt 5,9). Ho accolto volentieri la proposta di conferire il "Premio internazionale della Pace Giovanni XXIII" a quattro Organizzazioni umanitarie, che si sono particolarmente distinte per la loro attiva opera di soccorso e di assistenza nei difficili anni della guerra in Bosnia ed Erzegovina e nella Repubblica di Croazia. In un contesto spesso caratterizzato da gravi tensioni e difficoltà, con la loro presenza e con la loro opera generosa e piena di coraggio, esse hanno posto segni concreti di speranza, contribuendo ad avviare la costruzione di un futuro di riconciliazione e di autentica solidarietà tra popoli e culture diverse in questa amata regione.

2. Il premio che ho la gioia di consegnare oggi a voi, illustri Rappresentanti di Associazioni umanitarie rispettivamente legate alle Comunità cattolica, serba-ortodossa, musulmana ed ebrea, trae ispirazione dal desiderio di pace espresso con vigore al mondo intero dal mio venerato Predecessore Papa Giovanni XXIII. Egli, nell'Enciclica Pacem in terris, ricordava che "a tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà", specificando che si tratta di un compito "nobilissimo, quale è quello di attuare la vera pace nell'ordine stabilito da Dio" (Giovanni XXIII, Pacem in Terris,V).

L'opera di assistenza e di promozione umana da voi svolta, specialmente verso i più deboli ed indifesi, si ispira al principio universale della dignità di ogni persona e della solidarietà fra gli uomini. Per questo motivo sono lieto di consegnare oggi il "Premio internazionale della Pace Giovanni XXIII" alla Caritas della Conferenza Episcopale della Bosnia ed Erzegovina, alla Dobrotvor di Sarajevo, alla Merhamet di Sarajevo e a La Benevolencija di Sarajevo.

L'odierno conferimento del premio intende essere non soltanto un riconoscimento dell'opera altamente umanitaria compiuta da voi e dai vostri collaboratori nel recente passato, ma anche un incoraggiamento a proseguire con generosità e lungimiranza nell'attuale fase di ricostruzione, operando per una convivenza pacifica a Sarajevo, nella Bosnia ed Erzegovina ed in tutta la regione. Esso vuole, inoltre, esprimere l'auspicio che l'esempio dato dalle vostre organizzazioni e dalle persone ed Istituzioni che vi hanno fatto pervenire gli aiuti da distribuire sia seguito anche altrove da quanti intendono servire la causa della pace e della riconciliazione tra i popoli.

3. Come sottolineava Giovanni XXIII nella menzionata Enciclica, la costruzione della pace è "un'impresa tanto nobile ed alta, che le forze umane, anche se animate da ogni lodevole buona volontà, non possono da sole portare ad effetto. Affinché l'umana società sia uno specchio il più fedele possibile al Regno di Dio, è necessario l'aiuto dall'alto" (Ibid., n.V).

In questa significativa circostanza, vi invito, insieme con me, a rivolgere la mente ed il cuore verso il Cielo, affinché giunga dall'Alto l'indispensabile sostegno a quanti si pongono ogni giorno, spesso in condizioni difficili e rischiose anche per la loro incolumità, accanto all'uomo che soffre, nell'intento di contribuire efficacemente alla costruzione di una società dove regni la giustizia e la pace.

105 Che Dio conceda il dono di consolidare il clima di una pace giusta e stabile a Sarajevo e nell'intera regione! Egli protegga gli abitanti dei Balcani! Che la pace trionfi presto su tutta la terra. La pace di Dio accompagni sempre le vostre persone e tutte le attività umanitarie delle vostre Organizzazioni!



VIAGGIO APOSTOLICO A SARAJEVO (12-13 APRILE 1997)

CERIMONIA DI CONGEDO


Aeroporto di Sarajevo - Domenica, 12 aprile 1997



Signor Presidente,
Venerati Fratelli nell'Episcopato,
Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Prima di giungere a Sarajevo per compiere questo pellegrinaggio per me tanto significativo, ho costantemente seguito con il pensiero e con la preghiera lo svolgersi degli eventi in questa tormentata regione. Le molte sofferenze e tragedie che si sono abbattute su di essa nel corso degli ultimi anni hanno sempre suscitato nel mio animo un'eco profonda e sofferta. Molte volte ho attirato l'attenzione delle persone di buona volontà e delle istanze internazionali sulla vostra situazione, affinché fosse posto termine al conflitto che stava distruggendo queste terre. Ho fatto tutto quel che era in mio potere, perché i responsabili si adoperassero per realizzare una pace giusta e duratura.

Ora, alla conclusione della mia tanto desiderata visita, posso dire di aver conosciuto direttamente e da vicino una umanità coraggiosa e fiera e rendo testimonianza ad una società che vuole rinascere, nonostante le perduranti difficoltà, e intende costruire il suo futuro camminando su vie di pace, di giustizia e di collaborazione.

2. Sono grato a Dio per aver incontrato una Chiesa viva e, nonostante immani avversità e patimenti, piena di entusiasmo, che ha saputo portare la sua croce, per testimoniare a tutti la forza salvifica del messaggio evangelico. Essa continua ad annunciare che è giunto il tempo della speranza, e per questa si impegna concretamente nella pacificazione degli animi esacerbati dalla sofferenza, invitando all'esercizio di una carità fraterna che sappia aprirsi all'accoglienza di tutti, nel rispetto delle idee e dei sentimenti di ciascuno.

In procinto di ritornare a Roma, permettetemi di ripetere le parole: Mai più la guerra!. E' un auspicio, ma anche una preghiera che consegno al cuore ed alle intelligenze di tutti. Per la Bosnia ed Erzegovina questo è veramente il tempo di costruire la pace. Per riuscire in una impresa tanto impegnativa, bisogna fare appello alle vostre migliori energie ed alla collaborazione con tutti gli abitanti della Bosnia ed Erzegovina, nella consapevolezza che tutti gli uomini sono fratelli, perché tutti sono figli dell'unico Dio.

Quante volte negli anni trascorsi ho tenuto ad assicurarvi che "non siete abbandonati. Siamo con voi. Sempre più saremo con voi". La Chiesa intera è al vostro fianco nel difficile cammino di costruire una nuova civiltà, la civiltà dell'amore. Ora, prima di partire, desidero dirvi: Resto spiritualmente con voi. Resto spiritualmente con le vostre famiglie e con le vostre Comunità.

3. Ancora una volta ringrazio tutti per quanto hanno fatto per assicurare il sereno svolgersi del mio pellegrinaggio. Ringrazio in particolare le Autorità della Bosnia ed Erzegovina e del Cantone di Sarajevo, come pure le Autorità internazionali che hanno prestato la loro opera. Il mio grato pensiero si rivolge al Lei, Signor Cardinale, a tutti i miei Fratelli Vescovi, al clero, alle persone consacrate, a tutti i fedeli laici, come pure a tutti coloro che in molti modi mi hanno voluto manifestare stima, rispetto ed affetto.

106 Dio Onnipotente, ricco di misericordia, tutti protegga e benedica.




AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA


DEL PONTIFICIO CONSIGLIO "COR UNUM"


Venerdì, 18 aprile 1997


Signor Cardinale,
Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari Fratelli e care Sorelle,

1. Sono lieto di accogliervi in occasione della XXII Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio Cor unum. Saluto in particolare il vostro Presidente, Monsignor Paul Josef Cordes, che ringrazio per le sue parole di presentazione. Desidero ringraziarvi per la vostra dedizione quotidiana nel vostro servizio ecclesiale in seno al Consiglio e nei diversi organismi cattolici in tutti i continenti. Voi siete attori ed animatori attenti, per far fronte alle situazioni d’urgenza, per reagire a tutte le forme di povertà e di schiavitù, e per promuovere lo sviluppo integrale delle persone e dei popoli. Insieme a voi, rendo grazie al Signore per ciò che ci consente di compiere per alleviare la miseria e le sofferenze dei nostri fratelli.

Il vostro dicastero, il cui nome evoca l’unanimità della prima comunità cristiana - essa aveva un solo cuore nella preghiera, nella frazione del pane e nella condivisione fraterna (cfr Ac 2,42-47) - ha la missione di manifestare nella Chiesa la carità, che ha la sua origine in Cristo. “L’edificazione del Corpo di Cristo si fa nella carità” (Fulgenzio di Ruspe, Lettera a Ferrandus, n. 14).

2. La vostra Assemblea rappresenta innanzitutto l’occasione per fare un bilancio dei venticinque anni di esistenza del Consiglio, creato nel 1971 da Paolo VI. Voi siete “intendenti” di Dio, incaricati di amministrare con cura i doni dei fedeli, di sensibilizzare i cristiani ai bisogni dei loro fratelli, di ravvivare incessantemente gli slanci di generosità nella Chiesa, di armonizzare e di coordinare i diversi interventi. Mediante i vostri programmi di azione e i vostri lavori, siete anche fermenti di unità nella Chiesa e forieri di speranza per tutti i poveri, che prendono coscienza dell’importanza del Vangelo nella trasformazione del mondo. Conducendo riflessioni teologiche ed esegetiche per approfondire il significato spirituale del servizio caritativo, ridonate nobiltà alla carità, che non può essere ridotta a gesti precisi senza un impegno a lungo termine. Allo stesso tempo, avete opportunamente sviluppato la formazione alla pratica della carità, perché la civiltà dell’amore si estenda ai quattro angoli del mondo.

La nostra società attraversa numerose crisi: aumento del numero dei poveri, degli sfollati, degli emarginati e dei senzatetto; crescita delle disuguaglianze sociali e di forme di lavoro disumanizzanti. Per fronteggiare queste realtà, il Pontificio Consiglio Cor unum, al quale Papa Paolo VI ha dato un’identità specifica da preservare, è fondamentale. In una visione globale delle necessità del nostro mondo, esso ha per fine quello di armonizzare le forze e le iniziative degli organismi cattolici di mutuo soccorso, mediante lo scambio di informazioni e una cooperazione crescente (cfr Lettera al Cardinale Villot, Amoris officio, 15 luglio 1971), in stretta collaborazione con i Vescovi diocesani, che hanno la responsabilità di guidare il popolo di Dio e di animare la vita pastorale, con l’insieme delle istituzioni delle Chiese locali e con gli altri organismi della Curia romana coinvolti nelle questioni della carità, intesa nel senso lato del termine. Al contempo, spetta ad esso intrattenere rapporti fiduciosi con gli organismi specializzati dell’ONU, di cui saluto la determinazione in favore dello sradicamento della povertà, attraverso un programma di vasto respiro, nello spirito degli impegni del vertice mondiale di Copenaghen.

Ovunque vengono compiute - questo è il significato della carità -, le azioni di aiuto, di soccorso e di assistenza devono essere condotte con uno spirito di servizio e di dono gratuito, a beneficio dell’insieme delle persone, senza il secondo fine di un’eventuale tutela o di proselitismo, il che farebbe pensare che la carità viene compiuta a fini in parte politici o economici.

3. La presente Assemblea del vostro dicastero ha anche il fine di preparare l’Anno della Carità che presiederà il grande Giubileo dell’Anno 2000. La contemplazione della Trinità porta l’uomo a vivere nell’amore e l’apre alla carità. San Matteo ci ricorda il legame profondo che esiste fra la preghiera e l’elemosina. La preghiera allarga il cuore e rende attenti agli uomini; sviluppando la fratellanza, la condivisione ci permette di prendere coscienza del fatto che siamo figli di uno stesso Padre (cfr Mt 6,1-15). È attingendo alla fonte dell’amore che potremo quindi amare veramente (cfr Giovanni Paolo II, Centesimus annus CA 25).

107 L’ultimo anno di preparazione, nel corso del quale volgeremo il nostro sguardo al Padre misericordioso, è particolarmente opportuno, in quanto “la carità è la forma di tutte le virtù” (san Tommaso d’Aquino, Summa theologica, II-II, q. 23, a. 8). La carità ci introduce nel mistero di Dio, ci rende disponibili allo Spirito Santo, ci fa riscoprire il valore della riconciliazione con il Signore e con i nostri fratelli (cfr Giovanni Paolo II, Tertio Millennio adveniente TMA 50) e ci porta a compiere opere buone (cfr Jn 14,12-17).

4. È importante ravvivare incessantemente nei fedeli il desiderio di manifestare l’amore del Signore, che non fa differenze fra le persone e che desidera prima di tutto il bene altrui (cfr Giovanni Paolo II, Veritatis splendor VS 82). “Mediante le opere di carità si diviene il prossimo di colui al quale si fa del bene” (Origene, Commento al Cantico, I) e si tende la mano ai propri fratelli; la Chiesa testimonia così che ogni persona vale più di tutto l’oro del mondo; essa sarà inquieta fin quando uomini e donne dovranno affrontare catastrofi o conflitti, moriranno di fame, non avranno il necessario per nutrirsi, vestirsi, prendersi cura della propria salute e far vivere quanti sono affidati loro.

5. Mediante la testimonianza della carità fraterna, i discepoli di Cristo contribuiscono anche alla giustizia, alla pace e allo sviluppo dei popoli. “La carità rappresenta il più grande comandamento sociale. Essa rispetta gli altri e i loro difetti. Esige la pratica della giustizia e sola ce ne rende capaci. Essa ispira una vita che si fa dono di sé” (Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 1889). Il desiderio di far regnare la giustizia e la pace nel nostro mondo presuppone che ci si preoccupi della condivisione delle risorse. La carità vi contribuisce, poiché crea vincoli di stima reciproci e di amicizia fra le persone e fra i popoli. Essa suscita la generosità degli uomini, che prendono coscienza della necessità di una maggiore solidarietà internazionale. È opportuno ricordare che ciò non può essere realizzato senza un vero servizio della carità che implica non solo il sapere condividere il superfluo, ma anche accettare di privarsi del necessario. Come ha mostrato molto bene Sant’Ambrogio di Milano, fare la distinzione fra il necessario e l’indispensabile permette a ognuno di essere più aperto ai propri fratelli nel bisogno attraverso una maggiore generosità, di purificare il proprio rapporto personale con il denaro e di moderare il proprio attaccamento ai beni di questo mondo (cfr Sant’Ambrogio, De Nabuthe).

6. Il Giubileo deve favorire la presa di coscienza da parte di tutti i membri della Chiesa, e da parte di tutti gli uomini di buona volontà, della cooperazione necessaria per accettare la sfida della condivisione, della distribuzione equa dei beni e dell’unione delle forze; così tutti contribuiranno all’edificazione di una società più giusta e più fraterna, premesse del Regno, poiché l’amore è una testimonianza del Regno che verrà e solo esso può trasformare radicalmente il mondo. La carità ridona speranza ai poveri, che scoprono di essere veramente amati da Dio; tutti hanno un proprio posto nella costruzione della società e hanno il diritto di avere ciò che è utile alla loro sussistenza.

L’amore per i poveri evidenzia l’esigenza della giustizia sociale, come ricorda il documento pubblicato lo scorso anno dal vostro dicastero, La fame nel mondo. Allo stesso tempo è però opportuno affermare che la carità va al di là della giustizia, poiché essa è un invito a passare dal piano della semplice equità a quello dell’amore e del dono di sé, affinché i vincoli creati fra le persone siano fondati sul rispetto dell’altro e sul riconoscimento della fratellanza, fondamenti essenziali della vita sociale.

7. Quanti praticano la carità realizzano una profonda opera di evangelizzazione; “Lo spirito di povertà e d’amore è infatti la gloria e la testimonianza della Chiesa di Cristo” (Gaudium et spes GS 88). A volte l’azione nella comunione è più eloquente di tutti gli insegnamenti: i gesti uniti alle parole sono testimonianze particolarmente efficaci. I discepoli del Signore si ricorderanno che servire i poveri e le persone sofferenti significa servire Cristo, che è la luce del mondo. Attraverso la loro vita quotidiana nell’amore che proviene da Lui, i fedeli contribuiscono a diffondere la luce nel mondo. La carità è anche il massimo “fiorire” degli uomini; li conforma al Signore e li rende liberi dinanzi ai beni terreni. Essi possono anche interrogarsi nella verità per sapere se possiedono dei beni o se sono posseduti da questi, se sono polarizzati dalle ricchezze o se il loro cuore è disponibile per i loro fratelli.

8. Al termine di questo incontro, cari Fratelli e care Sorelle, affido l’attività del Pontificio Consiglio Cor unum all’intercessione della Vergine Maria, chiedendole di sostenervi come Ella ha sostenuto gli Apostoli nel Cenacolo, nell’attesa dello Spirito di Pentecoste.

A voi tutti, a coloro che collaborano con voi nelle opere di carità e a quanti vi sono cari, imparto di tutto cuore la Benedizione Apostolica.


AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE


DELLA SCANDINAVIA IN VISITA


«AD LIMINA APOSTOLORUM»


Sabato, 19 aprile 1997


Cari Fratelli nell’Episcopato,

1. È con grande gioia che do il benvenuto nella “casa di Pietro” a voi che siete incaricati in Scandinavia della pastorale del popolo di Dio. La visita “ad limina” vi porta sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo per rafforzare la consapevolezza della vostra responsabilità di successori degli Apostoli e per provare la vostra comunione con il Vescovo di Roma in modo ancor più intenso. In effetti, le visite “ad limina” hanno un significato particolare nella vita della Chiesa: “costituiscono come il culmine delle relazioni dei Pastori di ciascuna Chiesa particolare col Romano Pontefice” (Giovanni Paolo II, Pastor bonus, n. 29). Ringrazio di cuore il Vescovo di Helsinki e Presidente della vostra Conferenza Episcopale, Mons. Paul Verschuren, per le commoventi parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi. Esse non hanno espresso soltanto informazioni, ma anche l’unità e la fedeltà che unisce “l’estremo Nord” a Roma.

108 È vivo in me il ricordo dei diversi incontri che insieme a voi ho avuto con i vostri credenti. Penso alla mia visita pastorale nel 1989 così come al seicentesimo anniversario della beatificazione di Brigida di Svezia, evento che due anni più tardi vi ha offerto l’opportunità di compiere un pellegrinaggio a Roma, “centrum unitatis” (Cipriano, De unitate, n. 7), il centro dell’unità. In occasione della vostra ultima visita “ad limina”, che si è svolta cinque anni fa, riflettemmo insieme sul mandato e sui compiti connessi al vostro ufficio episcopale. Oggi vi invito a riprendere le riflessioni di allora e a continuarle dal punto di vista dell’idea e della realtà della Chiesa, così come la vivete in Danimarca, in Finlandia, in Islanda, in Norvegia e in Svezia, come contribuite a edificarla in quanto “servi di Cristo” (cfr Rm 1,1) e come la guidate “come modelli del gregge” (1P 5,3). I giorni che trascorrerete a Roma non serviranno soltanto a un dibattito, ma saranno anche occasione di pellegrinaggio e professione di fede: professione della Chiesa, fondata da Gesù Cristo su Pietro, la pietra, “il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità della moltitudine dei fedeli” (Lumen gentium LG 23).

2. Io credo la Chiesa. Nel “Credo” riconosciamo la Chiesa, ma non diciamo che crediamo nella Chiesa, cosicché non confondiamo Dio e la sua Chiesa, ma facciamo chiaramente risalire tutti i doni che Egli ha posto nella sua Chiesa alla bontà di Dio (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 1, 10, 22). Perciò la nostra professione verso la Chiesa dipende dall’articolo di fede dello Spirito Santo. Come dice il Padre la Chiesa è il luogo nel quale “fiorisce lo spirito” (Ippolito, Traditio apostolica, n. 35). Allo stesso modo il Concilio Vaticano II afferma: “Cristo è la luce delle genti” (Lumen gentium LG 1). La Chiesa non si illumina da sola. Non ha altra luce che quella di Cristo. Per questo può essere paragonata alla luna la cui luce è un riflesso del sole.

Cari Fratelli! Vi ringrazio poiché siete pronti, provvisti dei doni dello Spirito Santo, a portare la “luce di Cristo” in quei Paesi nei quali la natura con il suo gioco di luci e di ombre, di sole e di luna descrive l’immagine usata dal Concilio in modo espressivo e spesso drammatico.

Anche se a volte il vostro cuore potrebbe rattristarsi perché la luce di Cristo, nonostante tutti gli sforzi, si accende appena, vi incoraggio a non abbandonare il vostro zelo poiché la luce di Cristo è più forte della più profonda oscurità. Dalla personale esperienza ricavata dalla mia visita pastorale, così come dalla lettura delle vostre relazioni quinquennali, sono a conoscenza delle molte luci che, insieme ai vostri sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi e a innumerevoli donne e uomini impegnati, avete acceso negli scorsi anni. In tal modo le vostre Chiese particolari “sebbene spesso piccole e povere o che vivono nella dispersione” (Lumen gentium LG 26) riflettono le caratteristiche espresse nel “Credo”.

3. Credo l’unica Chiesa.Per voi l’ecumenismo e la vita ecclesiale si appartengono così come i pesci appartengono all’acqua. Il dialogo interconfessionale si estende dall’ambito privato fino al livello delle guide ecclesiali e non solo a parole. È per me una gioia che in Svezia Santa Brigida venga onorata allo stesso modo sia dai Luterani sia dai Cattolici. Dovreste considerarvi veramente fortunati per questa “santa donna ecumenica”! La sua vita e le sue opere costituiscono un’eredità che ci accomuna. “Signore, mostrami la via e disponimi a seguirla!”. Questa invocazione deriva da una sua preghiera, che ancora oggi viene recitata in Svezia. Tutto ciò a cui questa “profetessa dell’età moderna” ha dato avvio può costituire il programma del movimento ecumenico. Lasciatemi ripetere ciò che dissi il 5 ottobre 1991 sulla tomba di san Pietro in occasione dell’incontro di preghiera per l’unità dei cristiani: “L’ecumenismo è un viaggio che si fa insieme e di cui non è possibile fissare il percorso o la durata. Non sappiamo se la via sarà agevole o difficile. Sappiamo soltanto che è nostro dovere proseguire insieme questo viaggio”.

Sono lieto per le molteplici iniziative che promuovete instancabilmente nelle vostre Chiese particolari a livello teologico, spirituale e liturgico. Grazie ad esse siete divenuti interlocutori competenti e affidabili per i rappresentanti delle altre Chiese e delle altre comunità ecclesiali. Proseguite con coraggio e determinazione questo cammino di conoscenza e di avvicinamento reciproci, con fedeltà “alla verità che abbiamo ricevuta dagli Apostoli e dai Padri” (Unitatis redintegratio UR 24). La visione comune di Cristo è più forte di tutte le divisioni della Storia, che con l’aiuto di Dio bisogna pazientemente superare. Come ho spiegato il 9 giugno 1989 in occasione della solennità ecumenica a Uppsala, “Non tutto può essere fatto subito, ma dobbiamo fare oggi quello che possiamo nella speranza di ciò che sarà possibile domani”. In questo senso opera oggi la Commissione mista per il dialogo fra luterani e cattolici e ciò mi fa sperare che un domani si potrà raggiungere “quella pienezza con la quale il Signore vuole che cresca il suo corpo nel corso dei secoli” (Unitatis redintegratio UR 21). Alle soglie del 2000 mi stanno particolarmente a cuore due aspetti: “Bisogna continuare il dialogo sulla dottrina, ma soprattutto dedicarsi alla preghiera ecumenica” (cfr Tertio Millennio adveniente TMA 34). La ricerca comune della verità è tanto importante quanto la testimonianza comune, tuttavia più importante ancora è l’adorazione comune di ciò che “è la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Jn 1,9). Dallo spirito di adorazione nasce l’ecumenismo della testimonianza che oggi è più urgente che mai (cfr Redemptoris missio RMi 50).

Dunque il Credo recita:

4. Credo la santa Chiesa. La Chiesa viene santificata attraverso Cristo, poiché essa è unita a lui. Ciononostante esiste una differenza essenziale fra Cristo e la sua Chiesa. Mentre Cristo è santo, come se non conoscesse il peccato, in seno alla Chiesa vivono anche peccatori. Per questo avete bisogno di una costante purificazione. “La Chiesa è dunque santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia” (Paolo VI, Credo del Popolo di Dio, n. 19). Nei vostri rapporti avete efficacemente descritto gli ostacoli che la Chiesa e i suoi membri incontrano nel tentativo di soddisfare le esigenze della santità in un’epoca di rivolgimenti sociali.

Dovete testimoniare la santa Chiesa nelle società pluralistiche nelle quali vivete. Anche se esse divengono sempre più teatro di scontro dei vari stili di vita, esse sono allo stesso tempo “areopaghi” del dialogo fra Stato e Chiesa (cfr Giovanni Paolo II, Redemptoris missio RMi 37). Non solo nelle culture plasmate religiosamente, ma anche nelle società secolari, molte persone sono alla ricerca della dimensione spirituale della vita come mezzo di salvezza contro la disumanizzazione che sperimentano quotidianamente. Questo cosiddetto fenomeno del “ritorno alla religione” non è privo di ambiguità, ma contiene anche un invito. La Chiesa possiede inestimabili beni spirituali che desidera offrire agli uomini. Per poter adempiere il suo mandato e per promuovere un costante miglioramento dei rapporti fra Stato e Chiesa, quest’ultima ha bisogno del pieno riconoscimento e della tutela dei diritti civili che le competono in quanto comunità. Soltanto così la santa Chiesa può difendere “il popolo della vita e per la vita” e contribuire “al rinnovamento della società mediante l’edificazione del bene comune” (Evangelium vitae EV 101).

La santità dei membri della Chiesa ad esempio viene messa a dura prova nell’ambito del rispetto per la vita. Ciò che già ora indicate nelle vostre relazioni quinquennali, in futuro diverrà per voi una grande sfida: la tutela della santità della vita. Laddove il fondamento cristiano viene progressivamente rimosso, la società lede gravemente a se stessa. Lo osserviamo nella graduale dissoluzione della coppia come forma fondamentale di convivenza umana, a cui segue una mercificazione della sfera sessuale che non viene più vista nella sua dignità personale, ma come mezzo di appagamento del desiderio o come propria “necessità”. Ne consegue inevitabilmente la lotta fra i sessi e fra le generazioni. Osserviamo lo stesso processo di dissoluzione nell’atteggiamento verso i nascituri. Affermare che si può interrompere una gravidanza perché il bambino è disabile per risparmiare a lui stesso e agli altri il peso dell’esistenza, significa farsi scherno di tutti i disabili! Quello che vale per l’inizio, vale anche e soprattutto per la fine della vita umana. Nessuno è così malato, anziano o disabile da consentire che un altro uomo si arroghi il diritto di disporre della sua vita.

Per questo vi esorto, cari Fratelli, alla testimonianza ecumenica della santità della vita: ciò significa non solo rispettare l’altro nella diversità, ma amare nella convinzione che abbiamo bisogno l’uno dell’altro, che ci doniamo reciprocamente, che viviamo gli uni per gli altri e siamo l’uno verso l’altro cristiani, per realizzare insieme la “svolta culturale” in una società segnata “dalla drammatica lotta fra “la cultura della vita” e la “cultura della morte”” (Evangelium vitae EV 95). Ripeto il mio “appassionato appello rivolto a ciascuno e a tutti, in nome di Dio: rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana!” (Evangelium vitae EV 5).

109 Per poter operare ampiamente è allo stesso tempo urgentemente necessario “rinnovare la cultura della vita all’interno delle stesse comunità cristiane” (cfr Evangelium vitae EV 95). Un particolare significato riveste la formazione della coscienza. Infatti la fede cristiana risveglia la coscienza e fonda l’etica. È lodevole che la vostra pastorale presti particolare attenzione all’opera di formazione. Negli anni scorsi avete potuto pubblicare la traduzione del Catechismo della Chiesa Cattolica nelle lingue norvegese e svedese. Seguiranno le traduzioni in danese e in finnico. Nonostante gli scarsi mezzi finanziari non vorrete rinunciare anche in futuro alla gestione di alcune scuole cattoliche. Considero particolarmente meritevole la disponibilità da voi dimostrata a unirvi ai vostri sacerdoti e catechisti quando impartite la vostra lezione di fede e accettate inviti nelle scuole. A questo proposito desidero menzionare l’opera generosa di molte donne e di molti uomini che nelle parrocchie e, quando queste ultime non sono disponibili, nelle proprie case offrono una “catechesi domiciliare” per piantare nel cuore dei giovani il seme della fede e recuperare ciò di cui le scuole statali privano le nuove generazioni. Una famiglia che trasmette la Parola di Dio diviene una “comunità credente ed evangelizzante” con un “compito profetico” (Familiaris consortio FC 51). La sua casa è una “Chiesa in piccolo”, una “Chiesa domestica” (Lumen gentium LG 11).

5. Dunque la forza della nostra fede non si manifesta soltanto con clamore, ma anche in silenzio. Nelle vostre Chiese particolari innumerevoli comunità e istituti religiosi operano instancabilmente per l’edificazione del Regno di Dio. Mentre di regola i rami femminili seguono la tendenza generale e presentano problemi per quanto riguarda i nuovi virgulti, esistono anche piante tenere che invece lasciano ben sperare. Oltre alla ricostruzione di due conventi benedettini in Svezia penso al “Carmelo più settentrionale del mondo”, che è stato fondato l’8 settembre 1990 a Troms. Allora dodici suore si trasferirono dall’Islanda nella Norvegia settentrionale. Nel frattempo il numero delle suore è salito a venti. Con il Carmelo si è manifestato un aspetto essenziale dell’esistenza cristiana: la vita contemplativa che conferisce priorità alla preghiera. Ancorato al suo centro, che è Gesù Cristo, il convento irradia la sua luce alle comunità parrocchiali che lo circondano. Ad agire sulle persone in modo efficace non sono soltanto i grandi titoli dei giornali, ma anche questa discreta e allo stesso tempo sicura presenza delle suore che è un altro aspetto completamente diverso, ma non per questo meno missionario della “santa Chiesa”. Poiché “è la santità della Chiesa la sorgente segreta e la misura infallibile della sua operosità apostolica e del suo slancio missionario” (Christifideles laici CL 17). Qualcosa di piccolo, come un granello di senape, può celare in sé le potenzialità di crescita di un grande albero. In questo dovremmo riporre la nostra speranza quando recitiamo il “Credo”:

6. Credo la Chiesa cattolica. A proposito del numero di membri delle vostre Chiese particolari, esiguo rispetto alla popolazione complessiva, potreste a volte essere tentati di porvi il preoccupante interrogativo: “siamo forse un insignificante vermiciattolo?” (Is 41,14). Soprattutto, siamo noi tutti cattolici nel senso pieno del termine? Posso condividere questi sentimenti e questi pensieri e vi rivolgo, cari Fratelli, un’esortazione che Gesù fece ai suoi giovani scoraggiati: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno” (Lc 12,32). Con ciò egli non voleva soltanto far sì che sperassero nell’aldilà, ma anche nel presente: “Perché il Regno di Dio è in mezzo a voi” (Lc 17,21). Il Regno di Dio è già in mezzo a voi in Danimarca, in Finlandia, in Islanda, in Norvegia e in Svezia. Anche se esteriormente le vostre Chiese particolari sono molto disperse e numericamente esigue, in esse, attraverso il vostro servizio episcopale, è presente Gesù Cristo. “La Chiesa cattolica è laddove è Cristo” (Ignazio di Antiochia, Ad Smyrn. 8, 2). Essa possiede “in forma piena e totale i mezzi di salvezza” (Ad Gentes AGD 6): la giusta e completa professione di fede, che ha interamente plasmato la vita sacramentale e il servizio santificato nella successione apostolica. In questo senso fondamentale la Chiesa era cattolica già nel giorno della Pentecoste e lo rimarrà fino al giorno in cui Cristo, in quanto capo del Corpo della Chiesa, si realizzerà interamente (cfr Ep 1,22-23). Riconosco con gratitudine il vostro impegno per la Chiesa cattolica in Scandinavia e in particolare i vostri sforzi al servizio dell’annuncio e per amministrare i sacramenti. Inoltre è integro il vostro zelo teso a visitare insieme ai vostri Pastori comunità parrocchiali a volte molto lontane e disperse. Vi incoraggio a diffondere fra i vostri credenti la cattolicità attraverso incontri e manifestazioni, che oltrepassino i confini delle singole parrocchie. Ho appreso con grande gioia che avete intenzione di organizzare un “Katholikentag” per l’intera Scandinavia per l’anno 2000. Con questa iniziativa desiderate preparare per il Nord Europa “una grande primavera cristiana, di cui già si intravede l’inizio” (Redemptoris missio RMi 86).

Infine, mostrate insieme a donne e a uomini generosi che il vostro cuore batte un autentico tempo cattolico quando da quel poco che avete a disposizione per fini caritativi e pastorali contribuite in modo solidale a promuovere progetti di missione. Non potrei passare sotto silenzio il vostro impegno nell’amare il prossimo sia in piccolo sia in grande, cosa che non da ultimo si ripercuote sul fatto che il nostro Fratello Monsignor Kenney già da anni ricopre la carica di Presidente della Caritas europea.

7. Permettetemi di affrontare un problema che mi preoccupa molto: mi riferite che la domenica in alcune Cattedrali l’Eucaristia viene celebrata anche in sette lingue diverse. In tal modo, a motivo dei movimenti migratori e della società multiculturale, vi trovate di fronte a una cattolicità che ricorda la prima Pentecoste. Questa internazionalità comporta da una parte un arricchimento, ma dall’altra rappresenta anche un pericolo per l’unità e per l’identità. Le critiche e i rifiuti che persone provenienti da altri Paesi sperimentano fomentano l’odio razziale ed erigono barriere. Ciò è negativo in particolare per i rifugiati provenienti dall’Asia e dal Sudamerica. “Non così dovrà essere fra voi” (Mt 20,26). Mostrate ai sacerdoti e ai credenti che vi sono affidati, con la vostra empatia e il vostro esempio, quale fonte di arricchimento può essere una molteplicità di doni della grazia, “per l’utilità comune” (1Co 12,7). “Poiché come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri” (Rm 12,4-5). Non è il numero dei fedeli che fa la cattolicità della Chiesa, ma la forza che giunge dall’alto e si diffonde. Il piccolo granello di senape possiede proprio questo. Non avere dunque paura piccolo gregge! Mira sempre che nessun ladro e nessun brigante entri nella tua stalla (cfr Jn 10,7-10). Per questo vi raccomando di fare attenzione “in questo tempo nel quale sètte cristiane e paracristiane seminano confusione” (Redemptoris missio RMi 50) e costituiscono una minaccia per la Chiesa cattolica e per tutte le comunità ecclesiali con le quali essa intrattiene un dialogo. “Ovunque possibile e secondo le circostanze locali, la risposta dei cristiani potrà essere anch’essa ecumenica” (Redemptoris missio RMi 50). Ciò spetta in particolare a voi che avete ricevuto l’ufficio apostolico.

8. Credo la Chiesa apostolica. Attraverso di voi, cari Fratelli, Cristo prosegue il suo mandato: “Come il padre ha mandato me, così io mando voi” (Jn 20,21). Tuttavia l’ufficio apostolico ha potestà soltanto “quando questa viene esercitata insieme con il suo capo, il Romano Pontefice” (Lumen gentium LG 22). Sono lieto che i vincoli della nostra comunione apostolica siano così stretti e vi assicuro della partecipazione interiore del Successore di Pietro. Sottolineo questa assicurazione proprio perché desumo dalle vostre relazioni che l’ufficio apostolico è necessario nelle vostre Chiese come una sorta di scoglio a prova di marea.

Anche nei vostri Paesi aumentano i casi di divorzio civile. Il problema pastorale dei divorziati risposati si fa sempre più pressante. Ripeto ciò che ho detto il 24 gennaio di questo anno in occasione dell’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia: ad essi non può essere accordata né la comunione eucaristica né la riconciliazione nel sacramento della penitenza, tuttavia queste donne e questi uomini devono sapere che la Chiesa li ama, che è loro vicina e che soffre per la loro situazione. I divorziati risposati sono e restano suoi membri in quanto hanno ricevuto il battesimo e hanno conservato la fede cristiana (cfr Giovanni Paolo II, Familiaris consortio FC 84). I Pastori sono invitati a stare loro vicino con amore sollecito cosicché perseverino nella preghiera e mantengano la fiducia nell’amore paterno di Dio (cfr Familiaris consortio FC 84)

Le Chiese luterane hanno recentemente permesso alle donne di rivestire ruoli guida, fra i quali anche quello dell’Episcopato. Ribadisco con forza che “la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa” (Giovanni Paolo II, Ordinatio sacerdotalis, n. 4).

9. Per quanto riguarda tutte queste questioni sareste come “uno che grida nel deserto” (cfr Mc 1,3), se non ci fossero donne e uomini generosi che vi sostengono nello sforzo di introdurre i valori cristiani in una società secolarizzata. Già il Concilio aveva riconosciuto che l’opera dei laici è talmente necessaria “che senza di essa lo stesso apostolato dei Pastori non può per lo più raggiungere la sua piena efficacia” (Apostolicam actuositatem AA 10). Questo non deve però restare soltanto un appello dalle belle parole. Un passaggio particolarmente significativo dell’Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi del mio predecessore Paolo VI merita di essere ricordato in quest’occasione: “Occorre evangelizzare - non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici - la cultura e le culture dell’uomo, nel senso ricco ed esteso. La rottura fra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture” (Paolo VI, Evangelii nuntiandi EN 20). Vi esorto, uomini e donne capaci di promuovere e di incoraggiare, ad annunciare il Vangelo “su tutte le strade del mondo” (cfr Christifideles laici CL 44). Una strada importante del mondo di oggi è quella dei mezzi di comunicazione sociale nell’ambito dei quali non deve mancare la voce della Chiesa. Anche se in tutti i Paesi affidati alla vostra sollecitudine pastorale esistono pubblicazioni ecclesiali che informano i cattolici circa gli eventi nella Diocesi e nel mondo, vi incoraggio a incorporarvi ancor di più come sale, lievito e luce nell’ambito dei mezzi di comunicazione sociale. Il mondo non ha bisogno di un vago sentimento religioso, ma della chiarezza di quel messaggio di “vita in abbondanza” (cfr Jn 10,10), che esige molto dai singoli, ma conferisce anche senso alla loro esistenza e li rende degni di essere uomini. Non date agli uomini solo ciò che desiderano! Date loro ciò di cui hanno bisogno! Dedicarsi a questo compito significa svolgere il servizio apostolico.

Cari Fratelli!

10. Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Abbiamo riflettuto sul significato che questa professione riveste per voi e per le vostre Chiese particolari. Cosa sarebbe questa Chiesa senza i sacerdoti?Fra di voi non esiste una grave carenza di sacerdoti, ma mancano forze autoctone. Per questo vi chiedo di tenere particolarmente a cuore le nuove generazioni di sacerdoti anche se conosco gli sforzi che avete compiuto negli anni scorsi per conferire una forma concreta alle strutture e ai processi di formazione. Il Collegio svedese a Roma, che ospita studenti provenienti da tutta la Scandinavia, così come la fattiva cooperazione e il sostegno finanziario che vi uniscono alla Chiesa in Germania, sono una base su cui edificare. Più che le condizioni esteriori devono funzionare i presupposti interiori. Non possiamo creare vocazioni, ma possiamo desiderarle.

110 Più di tre secoli ci separano dal naturalista, medico e Vescovo Niels Stensen, che nacque a Copenaghen e che nella sua epoca prestò la propria opera in qualità di Vicario apostolico per le missioni del Nord. Da allora la filosofia, la medicina e la teologia si sono ulteriormente sviluppate. A noi è rimasta tutta la responsabilità di improntare la vita alla fede e all’etica cristiane. Ciò che il Vescovo Niels Stensen scrisse allora alla Congregazione di Propaganda Fide circa il successo dei suoi sforzi vale anche oggi per noi: “Quanto meno la previsione umana si aspetta dalle cose di Dio, tanto più chiaramente si manifesta pian piano la Provvidenza Divina. Nelle cose apostoliche bisogna comportarsi apostolicamente e cogliere le occasioni così come si presentano, abbandonandosi al successo della misericordia divina” (Niels Stensen, Epistulae II, 809).

Metto nelle mani di Dio le vostre molteplici opere pastorali e le gioie e i dolori che i vostri sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose e laici provano nella loro vita di fede. Affido voi e tutti coloro di cui vi occupate, all’intercessione della Madre di Dio, Maria, che onoriamo anche come Madre della Chiesa, e imparto a tutti voi la mia Benedizione Apostolica.




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