GP2 Discorsi 1997 259


AI RAGAZZI DELL'AZIONE CATTOLICA ITALIANA


Piazza San Pietro - Sabato, 18 ottobre 1997




Carissimi ragazzi e ragazze dell'Azione Cattolica Italiana!

1. Benvenuti in Piazza San Pietro!

Avete voluto venire a far visita al Papa, al termine del vostro Convegno nazionale. Grazie per la vostra presenza, portatrice di gioia e di entusiasmo.

260 Sono passato in mezzo a voi per salutarvi e benedirvi tutti. So che venite da ogni parte d'Italia: invio un saluto anche ai vostri familiari, che in questo momento sono spiritualmente uniti a noi.

Un ringraziamento particolare va al vostro Presidente nazionale, Avvocato Giuseppe Gervasio, all'Assistente generale, Mons. Agostino Superbo, alla Responsabile ed all'Assistente dell'ACR a livello nazionale. Essi hanno organizzato questa bella manifestazione e, insieme con due vostri rappresentanti, mi hanno voluto esprimere i sentimenti di tutti.

Saluto i vostri educatori, generosi collaboratori della maturazione umana e cristiana, ecclesiale e missionaria dei fanciulli e dei ragazzi che la Provvidenza divina dona alla Chiesa nell'esperienza apostolica dell'ACR. Saluto i Sacerdoti assistenti e le Religiose presenti, formatori di vita evangelica nell'accompagnamento del cammino di fede sia dei ragazzi che degli educatori. Un saluto cordiale rivolgo inoltre al Ministro Rosi Bindi, al Sindaco di Roma e al Presidente della Regione Lazio, ringraziandoli per la loro presenza.

2. Cari ragazzi, voi state vivendo questo appuntamento preparato e atteso da lungo tempo, all'insegna della gioia e della festa. "Insieme c'è più festa": è questo lo slogan che vi siete dati e che ben sintetizza il messaggio del vostro incontro nazionale. In esso voi esprimete visibilmente il cammino di tutta la Chiesa verso il Grande Giubileo dell'Anno 2000 e ne anticipate, in qualche modo, un aspetto significativo dicendo a tutti che la festa è autentica soltanto se la si vive "insieme".

Si tratta della festa cristiana, quella che nasce sempre dall'incontro personale con Cristo Gesù, accolto come amico e Signore nella concreta esperienza della Chiesa. Voi fate questo nei vostri gruppi e nelle vostre parrocchie.

E' Lui, il Signore Gesù, che colma il cuore di gioia, della sua gioia piena e duratura, e permette così la festa dell'incontro fraterno e solidale con gli altri.

Seguendo Gesù, unico e vero Salvatore del mondo, voi ragazzi siete invitati a crescere nella conoscenza e nell'amore del Padre celeste ed a porre gesti concreti di amore e di speranza nei solchi della vita d'ogni giorno. Così potrà continuare il vostro impegno per rendere possibile la pace, a cominciare dai luoghi dove vivete le vostre giornate: la casa, la scuola, la parrocchia, il paese, la città, l'Italia.

Questo vostro impegno di pace si allarga poi ai vostri coetanei che vivono situazioni meno favorevoli in altre Nazioni dell'Europa e del mondo. Penso, per esempio, a Sarajevo e al bellissimo ponte di amicizia che avete costruito con i ragazzi e le ragazze della Bosnia e Erzegovina.

Nell'amicizia sempre più intensa con Cristo Gesù, voi accrescete la comunione della Chiesa e, con i vostri talenti e secondo le vostre preziose capacità, vi ponete al servizio delle comunità cristiane, perché siano sempre più fedeli al Vangelo.

3. Ragazzi e ragazze dell'Azione Cattolica Italiana, il Papa ha fiducia in voi! Ecco perché non esita a proporvi di seguire Gesù, imitando l'esempio dei Santi. Oggi la Chiesa celebra la festa liturgica di san Luca evangelista. Sicuramente conoscete già bene il suo Vangelo e gli Atti degli Apostoli. Approfondite la parola di Dio personalmente ed insieme. Essa vi aiuterà a comprendere sempre meglio la vostra vocazione ed a diventare testimoni intrepidi di Gesù.

Qualche giorno fa abbiamo ricordato san Francesco d'Assisi, Patrono d'Italia e dell'Azione Cattolica Italiana. Che maestro di vita evangelica e che concreto modello di apostolo di Cristo è questo grande Santo, noto e venerato nel mondo intero!

261 Accanto a lui, che ha lasciato tutto per amore del Signore, vorrei quest'oggi presentarvi un'altra santa, morta a soli ventiquattro anni, esattamente cento anni fa: santa Teresa di Gesù Bambino, che domani proclamerò Dottore della Chiesa. Certamente, la piccola Teresa sarebbe stata un'ottima ragazza dell'ACR! Almeno prima di entrare in Carmelo. Era piena di vitalità, di fede e di entusiasmo per Gesù e per il Vangelo. Volle essere tutta di Dio e scelse di diventare suora carmelitana. La sua breve esistenza fu tutta consumata dall'amore per Iddio e dal desiderio di farlo amare dal mondo intero. Teresa ci ha lasciato come testamento la via semplice e sicura dell'amore pieno di fiducia in Dio. Lei la chiamava la "piccola via", perché è aperta a coloro che, come dice Gesù, sanno farsi "piccoli", cioè umili e semplici. E' infatti la via del fiducioso abbandono nelle mani di Dio, contando più su di Lui che sulle proprie forze. Anche voi, ragazzi, sviluppate la vostra personalità divenendo forti e maturi, ma fate in modo che il vostro cuore resti umile, puro, "piccolo" di fronte a Dio e sempre pronto ad amare i fratelli: solo così si entra nel Regno dei cieli, dove il più grande è il più piccolo, e il più importante è il servo di tutti.

4. Adesso vi vorrei domandare di manifestare pubblicamente e di ripetere insieme, formando come un coro, gli impegni della vita cristiana e della missione, che voi assumete ogni anno aderendo all'ACR.

Cari ragazzi, voi sapete di essere diventati, con il Battesimo, figli di Dio e pietre vive della Chiesa:

- volete coltivare nella preghiera e nella vita sacramentale l'intimità e l'amicizia con Cristo Gesù?

[I ragazzi: Sì!].

Voi sapete di essere chiamati dal Signore Gesù a diventare apostoli di gioia e costruttori di speranza nella comunità cristiana:

- volete portare il vostro contributo, personale e di gruppo, all'edificazione della Chiesa nelle vostre comunità di appartenenza?

[I ragazzi: Sì!].

Voi sapete di essere chiamati, pur nella vostra giovane età, a farvi testimoni generosi della novità cristiana:

- volete contagiare con la gioia del Vangelo e con l'amore di Cristo i vostri coetanei, i vostri amici, le vostre famiglie, i vostri paesi e le vostre città?

[I ragazzi: Sì!].

262 5. Cari ragazzi e ragazze, lo Spirito Santo, dono del Padre celeste e di Cristo suo Figlio, vi aiuti a rimanere fedeli a questi impegni ed a crescere nella gioia dell'amicizia cristiana, permettendo al Signore di compiere in voi cose grandi. Egli vuole fare anche di voi un dono per la Chiesa e per l'intera umanità.

Per questo, vi affido a Maria, la dolce Fanciulla di Nazaret, la Madre del Signore e di tutti noi, perché sia Lei a vegliare ogni giorno sul vostro cammino, lungo le strade della verità e della pace.

Insieme con Cristo, con Maria, con i Santi e con l'ACR c'è veramente più festa!

A tutti voi ed alle vostre famiglie una speciale Benedizione.

Carissimi ragazzi e ragazze, avete riempito Piazza San Pietro come raramente. Vi ringrazio e vi auguro buona domenica.


AI PELLEGRINI CONVENUTI


PER LA PROCLAMAZIONE A DOTTORE


DELLA CHIESA DI SANTA TERESA DI LISIEUX


Aula Paolo VI - Lunedì, 20 ottobre 1997




Cari Fratelli nell'Episcopato,
Cari amici,

1. La giornata di ieri vi ha permesso di prendere parte a una cerimonia rara nella vita della Chiesa, ma ricca di significato: la proclamazione di un Dottore della Chiesa. Saluto cordialmente tutti i pellegrini qui presenti questa mattina, in particolare Monsignor Pierre Pican, Vescovo di Bayeux e Lisieux, così come Monsignor Guy Gaucher, suo ausiliare, e Monsignor Georges Gilson, Arcivescovo di Sens e Prelato della Missione di Francia. Voi siete voluti venire ad ascoltare colei che incarna per noi la «piccola via», la via regale dell'amore. Santa Teresa di Gesù Bambino e del Santo Volto fa parte di quel gruppo di santi nei quali la Chiesa riconosce dei maestri di vita spirituale. Dottore, Teresa insegna, poiché, sebbene i suoi scritti non abbiano la stessa natura di quelli dei teologi, sono per ognuno di noi un valido aiuto per la comprensione della fede e della vita cristiana.

2. Mi rivolgo ora ai rappresentanti dell'Ordine dei Carmelitani e li saluto calorosamente poiché questa proclamazione del Dottorato di Teresa di Lisieux è per essi, in modo particolare, motivo di festa. Saluto di cuore tutte le persone consacrate e i membri dei movimenti spirituali che si pongono sotto il patronato di Santa Teresa di Lisieux. Vi incoraggio a restare fedeli al messaggio che ella dà alla Chiesa: glielo dà grazie a voi, testimoni viventi del suo insegnamento. Abbiate a cuore di mettervi incessantemente all'ascolto del suo messaggio e di diffonderlo intorno a voi, con la vostra parola e con il vostro esempio.

3. Per il nostro tempo Teresa è una testimone efficace e vicina di un'esperienza di fede in Dio, in Dio fedele e misericordioso, in Dio giusto mediante il suo stesso amore. Visse profondamente la sua appartenenza alla Chiesa, Corpo di Cristo. Credo che i giovani trovino effettivamente in lei un'ispiratrice per guidarli nella fede e nella vita ecclesiale, in un'epoca in cui il cammino può essere ostacolato da prove e da dubbi. Teresa ha conosciuto molti tipi di prove, ma le è stato concesso di rimanere fedele e fiduciosa, e ne rende testimonianza. Teresa sostiene i suoi fratelli e le sue sorelle lungo tutte le strade del mondo.

263 4. Teresa, nella sua semplicità, è modello di vita offerta al Signore sin nei gesti più piccoli. Scriveva infatti: «Voglio santificare i battiti del mio cuore, i pensieri, le azioni più semplici unendoli ai suoi meriti infiniti» (Santa Teresa di Gesù, Preghiera, n. 10). È con simili disposizioni di spirito che ella si rivolse un giorno al suo Maestro e Signore dicendo: «Vi chiedo di essere voi stesso la mia santità» (Offerta all’Amore misericordioso, Preghiera n. 6). Scaturiscono dall’unione con Cristo i frutti di carità che dobbiamo lasciar maturare anche in noi. Teresa aveva ben compreso che è proprio qui l’origine dell’amore aperto verso gli altri: «Quando sono caritatevole, è Gesù solo che agisce in me; più sono unita a lui, più amo tutte le mie Sorelle» (Ms C, 12 v). Nelle difficoltà che la vita quotidiana necessariamente presenta non cercava mai di far valere i suoi diritti, ma era sempre pronta a cedere davanti ad una Consorella, anche se questo le costava molto interiormente. Ecco un’attitudine che, in ogni epoca della vita della Chiesa, deve essere imitata dai battezzati, di qualunque età e condizione. Solo la virtù dell’umiltà, che Teresa ha domandato a Cristo con insistenza, rende possibile un’autentica attenzione per gli altri.

5. Unita a Cristo e dedita agli altri, Teresa si sente naturalmente portata a estendere il suo amore a tutto il mondo. Il mio predecessore, Papa Pio XI, ha messo in risalto questo aspetto della sua dottrina spirituale proclamandola «Patrona delle missioni» nel 1927. Partendo dall'amore che la unisce a Cristo, Teresa comincia a identificarsi con l'amata del Cantico dei Cantici: «Attirami dietro di te» (
Ct 1,4). In seguito comprende che, insieme a lei, il Signore attira la moltitudine degli uomini, in quanto la sua anima nutre un immenso amore per essi. «Tutte le anime che ama sono portate a seguirla» (Ms C, 34 r). Con una meravigliosa audacia e finezza spirituale, Teresa fa sue le parole di Gesù dopo la Cena, per dire che anche lei entra a far parte del grande movimento attraverso il quale il Signore attira tutti gli uomini e li conduce al Padre: «Le tue parole, o Gesù, sono dunque mie e posso servirmi di esse per attirare sulle anime, che sono unite a me, i favori del Padre celeste» (Ms C, 34 v).

6. Cari Fratelli, cari amici, spetta a voi vivere ogni giorno questa dottrina offerta ora pubblicamente a tutta la Chiesa. Abbiate a cuore di farla vostra, di farla conoscere meglio. Come la Sacra Scrittura - che Teresa citava con predilezione - essa non è mai troppo difficile da scoraggiare e mai troppo facile da essere esaurita: «Non è né chiusa da scoraggiare, né accessibile da divenire banale. Più la si frequenta, meno ci si stanca, più la si medita, più la si ama» (San Gregorio Magno, Moralia in Giobbe, XX, 1,1).

Auspicandovi molte scoperte e gioie alla scuola di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Santo Volto, Dottore della Chiesa universale, vi concedo di tutto cuore la Benedizione Apostolica che estendo a tutti coloro che rappresentate e che vi accompagnano spiritualmente.

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


AL PRIORE GENERALE DELL'ORDINE OSPEDALIERO


DI SAN GIOVANNI DI DIO




Al Reverendissimo
Fra' Pascual Piles Ferrando
Priore Generale dell'Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio

1. Nel centenario della nascita di San Riccardo Pampuri, desidero rendere grazie al Signore per questo Santo che onora codesta Famiglia religiosa. La presenza delle sue Reliquie nell'ospedale dei Fatebenefratelli all'Isola Tiberina, costituisce l'occasione opportuna per riproporre, a quanti operano nell'ambito di tale struttura ospedaliera, la testimonianza eloquente della sua vita, tutta permeata dal programma ascetico dell'"ama nesciri et pro nihilo reputari". Ho avuto la gioia di proclamare beato nel 1981 e santo nel 1989 questa limpida figura di uomo del nostro tempo. In lui rifulgono i tratti della spiritualità laicale delineata dal Concilio ecumenico Vaticano II.

La sua esistenza terrena, racchiusa nell'arco di appena 33 anni, mostra come in breve tempo questo giovane religioso abbia saputo raggiungere le vette della santità. Nei primi anni di vita a Trivolzio e Torrino, durante gli studi medi ed universitari a Milano e Pavia, sul fronte italo-austriaco nel corso della prima guerra mondiale, e poi a Morimondo, come medico condotto, lasciò ovunque tracce di pietà e di amore per i poveri. Sorretto dall'esempio dei suoi cari e dalla frequentazione di pii e zelanti sacerdoti, egli si impegnò in molteplici campi di apostolato: fu socio assiduo e generoso del Circolo Universitario e delle Conferenze di San Vincenzo de' Paoli, presidente dell'Associazione giovanile di Azione Cattolica, Terziario francescano e animatore instancabile di iniziative di formazione spirituale e di carità. All'età di 30 anni, entrò nell'ordine dei Fatebenefratelli del cui carisma divenne uno degli interpreti più significativi.

2. "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?" (Mc 10,17). Sembra questa la domanda che attraversa i pensieri di questo giovane, sempre alla ricerca della perfezione cristiana. "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri ed avrai un tesoro in cielo, poi vieni e seguimi" (Mc 10,21). All'invito del Signore egli, dotato di fede e carità profonda, rispose con gioia, donandosi completamente a Cristo povero, umile e casto ed entrando nell'Ordine dei Fatebenefratelli. Sofferente egli stesso di una malattia contratta in zona di guerra, nell'abbracciare il carisma di San Giovanni di Dio, riuscì a dare pienezza al suo desiderio di annunciare e testimoniare agli ammalati il Vangelo di Cristo crocifisso e risorto.

Come il divino Maestro, sentì l'urgenza del "deserto" e della preghiera (cfr Mc 1,35) per poter poi servire i fratelli, specialmente gli ammalati e i sofferenti. "Ho bisogno di raccogliermi un po' in me stesso alla presenza del Signore, perché l'anima mia non si inaridisca e perda in sterili e dannose preoccupazioni esterne", scriveva in una sua lettera. Tale bisogno lo portava a vivere costantemente unito al Signore, a sostare lungamente davanti al tabernacolo ed a nutrire una tenera devozione per la Vergine. Alla scuola del Vangelo, divenne per quanti lo conobbero e, soprattutto, per i suoi assistiti un segno vivente della misericordia di Dio, sempre disponibile a vedere negli ammalati il Cristo sofferente, ad inginocchiarsi sul limitare delle case dove regnava il dolore ed a partire frettoloso senza attendere alcuna ricompensa.

264 Avendo scelto di compiere sino in fondo la volontà del Padre, ad imitazione del suo Signore, visse come atto supremo di obbedienza e di amore anche la malattia e la morte.

3. Come non accogliere il messaggio contenuto nel meraviglioso cammino di santità di San Riccardo Pampuri, che le celebrazioni centenarie ripropongono in modo eloquente?

Ai Confratelli dell'Ordine cui appartenne, chiamati a servire Cristo negli ammalati, la testimonianza di questo giovane medico-chirurgo indica che l'unione con Dio deve alimentare costantemente la vita religiosa e l'attività apostolica.

Ai laici che operano nelle strutture ospedaliere, San Riccardo Pampuri, medico innamorato della sua missione tra gli ammalati, propone di amare la propria professione e di viverla come vocazione. Egli, che nella cura dei sofferenti non separò mai scienza e fede, impegno civile e spirito apostolico, invita ogni operatore sanitario a tener sempre conto della dignità della persona umana, per esercitare il "dovere quotidiano" con lo spirito del buon Samaritano.

La testimonianza che rese nella malattia, che lo condusse alla morte, incoraggia quanti soffrono a non perdere la fiducia in Dio; li esorta piuttosto ad accogliere anche nella prova il progetto d'amore del Signore.

Mentre invoco la speciale protezione di San Riccardo Pampuri, prego perché le celebrazioni giubilari della sua nascita e l'intero programma spirituale e culturale preparato per tale ricorrenza costituiscano per ciascuno un'occasione di rinnovato impegno nella vita cristiana, nei rapporti interpersonali e nel servizio ai malati.

Possano coloro che visitano le Reliquie di San Riccardo Pampuri, con la radicalità e la generosità da lui testimoniata sino alla morte seguire l'esempio di San Giovanni di Dio, Fondatore di codesto Ordine Ospedaliero.

Con tali auspici, imparto a Lei, ai Confratelli, alle Religiose collaboratrici, agli Operatori sanitari ed agli ammalati una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 22 Ottobre 1997

IOANNES PAULUS PP. II



AI VESCOVI DI INGHILTERRA E GALLES


IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


Giovedì, 23 ottobre 1997




Eminenza,
265 Cari Fratelli Vescovi,

1. Vi do il benvenuto nell'amore del Signore Gesù, Vescovi dell'Inghilterra e del Galles, in occasione della vostra visita ad Limina Apostolorum ed estendo i miei cordiali saluti ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi e ai fedeli laici delle Chiese particolari che presiedete con amore. Quest'anno ricorre il 1400° anniversario dell'arrivo in Britannia di sant'Agostino, l'Apostolo degli Inglesi, la cui opera fra gli anglosassoni gettò le fondamenta dello sviluppo del cristianesimo nel vostro Paese. Questo incontro è dunque connesso molto concretamente a eventi di quattordici secoli fa. I vincoli di comunione ecclesiale che si formarono allora fra la Sede Apostolica e quella parte della Chiesa universale affidata alla vostra sollecitudine sono sopravvissuti alle vicissitudini della Storia e vengono espressi e rinnovati chiaramente dalla vostra visita, della quale uno dei momenti principali è la vostra professione di fede sulle tombe dei Principi degli Apostoli Pietro e Paolo. Siete venuti a «vedere Pietro» (cfr
Ga 1,18) nella persona del suo Successore presso la Santa Sede, questa «più grande e più antica Chiesa» (Sant' Ireneo, Adv. Haer. III 3, 2). Per questo, la vostra visita testimonia il ministero unico di unità che il Vescovo di Roma esercita a beneficio di tutto il gregge d Cristo (cfr Jn 21,15-17), e la responsabilità comune che abbiamo come Vescovi «per tutte le Chiese » (2Co 11,28).

L'immagine della prima comunità cristiana che ci viene offerta dagli Atti degli Apostoli - «assidua nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (Ac 2,42) - ci ricorda che la Chiesa è una comunità d'amore di credenti riuniti intorno agli Apostoli e ai loro Successori e sempre costituita in un'unità di fede, disciplina e vita con la forza dello Spirito Santo. In modo particolare, il Signore ha affidato al Collegio Episcopale il compito di edificare la koinonia, e quindi non dobbiamo mai cessare di incoraggiare il Popolo di Dio a essere «un cuore solo e un'anima sola» (Ac 4,32). È importante che agli occhi della Chiesa e del mondo noi, i Pastori, siamo uniti «nel vincolo dell'unità, della carità e della pace» (Lumen gentium LG 22) nel condurre i fedeli a una comunione più profonda con il Dio Uno e Trino (cfr 1Jn 1,3) e alla comunione reciproca nel Corpo di Cristo (cfr 1Co 10,16). Con spirito di fiducia evangelica dobbiamo fare del nostro meglio per rendere la nostra comunione ancor più profonda e cordiale.

2. L'approssimarsi del Grande Giubileo costituisce un pressante appello ai Pastori della Chiesa affinché guidino le comunità loro affidate in un pellegrinaggio spirituale al centro del Vangelo. Il nostro viaggio verso l'anno 2000 dovrebbe essere una ricerca autentica di conversione e di riconciliazione mediante la nostra purificazione dagli errori passati e da infedeltà, incoerenze, ritardi (cfr Tertio Millennio adveniente TMA 33).

Di certo, non è sufficiente rendere pubbliche dichiarazioni di dolore per gli errori passati. Dobbiamo ricordare a noi stessi e ai fedeli la natura prettamente personale della penitenza e della conversione necessarie. La gioia del Giubileo è «in particolare modo una gioia per la remissione delle colpe, la gioia della conversione » (Ibidem, n. 32). In quest'ottica, esso è un'occasione per aiutare i fedeli a riscoprire l'autentico senso del peccato (cfr 1Jn 1,8), che porta a un rinnovato apprezzamento della bellezza e della gioia del Sacramento della Penitenza (cfr Pastores dabo vobis PDV 48). Se si porrà una certa enfasi sul Sacramento della Riconciliazione nella predicazione, nella catechesi, nei programmi e nei progetti pastorali diocesani, si verificherà un rinnovamento della pratica sacramentale. Il miglior catechista della riconciliazione è il sacerdote che ricorre regolarmente a questo Sacramento. I sacerdoti che si dedicano al ministero della Riconciliazione sanno che si tratta di un compito difficile e spesso faticoso e tuttavia di «uno dei più belli e consolanti ministeri del sacerdote » (Reconciliatio et paenitentia RP 29). D'altra parte, i fedeli hanno in un certo senso il diritto di avere nella propria parrocchia orari precisi per la Penitenza e di trovare sacerdoti sempre pronti a riceverli se desiderano confessarsi.

3. La parrocchia resta il luogo nel quale i fedeli normalmente si riuniscono come un'unica famiglia per ascoltare la Parola salvifica di Dio, per celebrare i sacramenti con dignità e riverenza e per ricevere l'ispirazione e la forza per la propria missione di consacrare il mondo in santità, giustizia e pace. La parrocchia rende attuale il mistero della Chiesa in quanto comunità organica, nella quale «il parroco, che rappresenta il Vescovo diocesano, è il vincolo gerarchico con tutta la Chiesa particolare» (Christifideles laici CL 26). Altre istituzioni, organizzazioni e associazioni sono segni di vitalità, strumenti di evangelizzazione e lievito di vita cristiana in quanto contribuiscono a edificare la comunità locale nell'unità di fede e di vita ecclesiale. Tutte le comunità nelle quali i fedeli si riuniscono per il nutrimento spirituale e le opere di servizio ecclesiale devono essere completamente aperte all' «unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ep 4,3), un'unità che implica una connessione organica con la Chiesa particolare nella quale si garantisca quel carattere ecclesiale comunitario e vengano realizzati i suoi carismi.

I Pastori hanno il dovere di dare spazio «ai carismi, ai ministeri, alle varie forme di partecipazione del Popolo di Dio, pur senza indulgere a un democraticismo e a un sociologismo che non rispecchiano la visione cattolica della Chiesa e l'autentico spirito del Vaticano II» (Tertio Millennio adveniente TMA 36). Nel documento The Sign We Give, approvato dalla vostra Conferenza nel 1995, avete riconosciuto la necessità di rafforzare il «ministero collaborativo » fra Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, affinché nella vita parrocchiale e diocesana possa essere ancor più evidente una vera comunione di missione. Operare insieme con un'autentica «cooperazione alla diffusione del Vangelo» (Ph 1,5) implica ben più di una distribuzione di compiti per soddisfare necessità pratiche. Ciò trova il proprio fondamento nei Sacramenti dell'Iniziazione Cristiana (cfr Christifideles laici CL 23) e richiede la consapevolezza dei diversi doni che lo Spirito affida all'intero Corpo di Cristo (cfr 1Co 12,4-13). Proprio per questo motivo, è necessaria anche chiarezza teologica e pratica circa ciò che è specificamente proprio del sacerdozio ministeriale. Non è forse vero che più il senso di vocazione dei laici si approfondisce, più essi riconoscono la consacrazione sacramentale del sacerdote e il suo ruolo specifico nel promuovere «il sacerdozio battesimale di tutto il Popolo di Dio, conducendolo alla sua piena attuazione» (Pastores dabo vobis PDV 17)?

4. I vostri sacerdoti sono la grande opera del vostro ministero episcopale. In ogni aspetto e in ogni fase della loro vita sacerdotale, devono essere il soggetto della vostra preghiera e l'oggetto della vostra affettuosa sollecitudine. Dalla vostra ultima visita ad Limina, la Visitazione Apostolica dei seminari dell'Inghilterra e del Galles è stata completata e ha confermato che oggi, forse più che in passato, i candidati hanno bisogno di una guida nell'ambito del loro sviluppo e della loro formazione umana, in particolare a proposito dei rapporti interpersonali in generale, della castità e del celibato, e di tutta la gamma di atteggiamenti e di qualità che faranno di loro esseri umani maturi e ben equilibrati, capaci di stare con gli altri e psicologicamente in grado di soddisfare le esigenze della loro vita e della loro opera sacerdotale. Hanno bisogno di assimilare profondamente la loro formazione umana, spirituale, accademica e pastorale, se devono essere pronti al sacerdozio secondo la concezione di Cristo e della Sua Chiesa. È significativo che la vostra Conferenza stia compiendo la revisione del documento Charter for Priestly Formation, revisione che terrà conto dell'Esortazione Apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis e degli importanti documenti stilati dalla Santa Sede con l'intento di presentare l'interpretazione della Chiesa del ministero sacro in quanto configurazione sacramentale a Gesù Cristo, che consente ai sacerdoti di agire in persona Christi Capitis e in nome della Chiesa.

La Visitazione ha anche rilevato la cooperazione specifica dei membri del laicato, sia uomini sia donne, nella formazione dei sacerdoti. Questa cooperazione sortirà i risultati auspicati, sempre che sia «opportunamente coordinata e integrata » all'opera dei principali responsabili della formazione dei seminaristi (Pastores dabo vobis PDV 66). Bisogna sempre distinguere fra la formazione specifica dei seminaristi che si preparano a entrare negli Ordini Sacri, e i corsi offerti a coloro che invece eserciteranno ministeri nella Chiesa. La formazione sacerdotale non è soltanto, o in primo luogo, questione di sviluppare abilità pastorali, ma di formare gli atteggiamenti, gli stessi sentimenti di Cristo Gesù (cfr Ph 2,5) in coloro che rappresenteranno l'Eterno Sommo Sacerdote.

Come possiamo non menzionare l'importanza che la preghiera fervente e costante, in particolare nelle famiglie e nelle parrocchie, riveste per un incremento delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa? L'apostolato delle vocazioni dipende in massima parte dall'apostolato della preghiera.

Come il discepolo Andrea che condusse suo fratello Simone a Gesù (cfr Jn 1,40-42), il Vescovo ha la responsabilità personale della promozione di nuove vocazioni al servizio del Signore. Oltre a incoraggiare sacerdoti e religiosi a fare tutto il possibile in questo campo, dovrebbe anche sostenere programmi specifici volti a mettere i giovani in contatto con il seminario e con le diverse forme di vita consacrata. A tal fine è essenziale la cooperazione di sacerdoti e di persone consacrate che effettivamente proiettino un'immagine positiva della propria vocazione.

266 5. I fedeli guardano a voi, sia come singoli Vescovi sia come membri della Conferenza, affinché offriate una guida spirituale e morale che li aiuti a rispondere ai complessi interrogativi che la società attuale pone loro e alle loro famiglie. Essi auspicano che le proprie guide spirituali siano in grado di condividere con loro ragioni di speranza (cfr 1P 3,14), una speranza che deriva dalla verità sull'uomo in quanto creatura amata da Dio, redenta dal sangue di Cristo e destinata alla comunione eterna con Lui nei cieli; la verità sulla dignità dell'uomo e dunque sulla sua responsabilità per la vita e per il mondo in cui vive.

Oggi, si tende a considerare la vita umana stessa con una «mentalità consumistica».

Essa ha valore solo se è in qualche modo utile o se può recare soddisfazione e piacere. Si rifiuta la sofferenza in quanto male privo di significato che deve essere evitato a ogni costo. I gruppi di pressione cercano di orientare l'opinione pubblica ad ammettere l'aborto e l'eutanasia come soluzioni moralmente accettabili ai problemi della vita. A coloro che attualmente cercano sostegno legale al cosiddetto «diritto a morire con dignità» la Chiesa non può che rispondere che i cristiani hanno il chiaro obbligo di opporsi a una legislazione che mette a repentaglio la vita umana o ripudia la sua dignità (cfr Evangelium vitae EV 72). In quanto Vescovi, dobbiamo insegnare che la gestione responsabile della vita richiede che ciascuno rispetti la differenza medica, morale ed etica fra il guarire, utilizzando tutti i mezzi ordinari a disposizione per tutelare la vita dal concepimento fino alla morte naturale, e l'uccidere.Di fronte ai recenti sviluppi della biotecnologia, che hanno implicazioni morali estremamente delicate, tutta la Chiesa, guidata dal Collegio Episcopale in unione con il Papa, deve proclamare con determinazione e con chiarezza che la ricerca scientifica resta fedele a se stessa come attività umana solo se rispetta l'ordine etico inscritto nel cuore dell'uomo dal Creatore (cfr Rm 2,15).

6. Parimenti, quando fate udire la vostra voce contro l'ingiustizia e incoraggiate i laici a essere sale della terra (cfr Mt 5,13), affermate che il rinnovamento autentico della vita politica e sociale è fondato sull'ordine morale rivelato nella creazione (cfr Rm 2,15) e illuminato dal mistero di Cristo, nel quale tutte le cose «sussistono» (Col 1,17). La diffusione della dottrina sociale della Chiesa fa invero «parte della missione evangelizzatrice della Chiesa» (Sollicitudo rei socialis SRS 41). Il Grande Giubileo dell'anno 2000 porta con sé la sfida a «farsi voce di tutti i popoli del mondo» (Tertio Millennio adveniente TMA 51) e offre alla Chiesa in Inghilterra e nel Galles l'occasione per stringere una nuova alleanza con i poveri, i bisognosi, i sofferenti, gli abbandonati e in particolare con coloro la cui vita è minacciata nel ventre materno o che vengono emarginati e fatti sentire un fardello quando sono anziani. Vi esorto vivamente a insistere con i fedeli e con la società tutta sul dovere di vedere in ogni persona una manifestazione di Dio nel mondo, un segno della sua presenza, una traccia della sua gloria (cfr Evangelium vitae EV 34).

7. Il vostro servizio di comunione ecclesiale vi porta necessariamente a un dialogo rispettoso e leale con quanti non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica. Avete accolto l'appello urgente della Lettera Enciclica Ut unum sint nella quale ho affermato che il ristabilirsi di una piena unità visibile di tutti i cristiani, «appartiene organicamente alla sua vita (della Chiesa) e alla sua azione e deve, di conseguenza, pervadere questo insieme» (n. 20). Il cammino ecumenico non è privo di difficoltà e di apparenti insuccessi, fra i quali va inclusa la decisione della Chiesa d'Inghilterra di ammettere le donne al ministero ordinato. Mentre continuate a cercare con i membri di altri organismi cristiani una più profonda comprensione della natura del ministero e dell'autorità magisteriale della Chiesa, siete chiamati a spiegare i motivi per i quali la Chiesa Cattolica sostiene di non avere l'autorità di modificare qualcosa di così fondamentale nella tradizione cristiana (cfr Ordinatio sacerdotalis, n. 4). Bisognerebbe aiutare i fedeli a comprendere che questa dottrina non discrimina le donne, perché il sacerdozio non è un «diritto» o un «privilegio», ma una vocazione che non si decide, ma alla quale si è «chiamati» (He 5,4). D'altra parte, è urgente che la comunità ecclesiale promuova un maggior apprezzamento dei doni specifici delle donne e permetta loro di svolgere più attivamente ruoli di responsabilità nella Chiesa (cfr Lettera alle Donne, nn. 11-12). Dobbiamo tutti compiere sforzi in tal senso, confidando nel fatto che la Chiesa nel terzo millennio creerà nuovi modi nei quali «il genio delle donne » edificherà il Corpo di Cristo.

8. Cari Fratelli nell'Episcopato, è mia fervente preghiera che la vostra visita alle tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo vi incoraggino a perseverare nell'opera di Cristo, l'Eterno Sacerdote, Pastore e Guardiano delle nostre anime (cfr 1P 2,25). «Vi porto nel cuore, voi che siete tutti partecipi della grazia... nella difesa e nel consolidamento del Vangelo » (Ph 1,5-7). In quanto Vescovi, in obbedienza alla verità che sola ci «farà liberi» (Jn 8,32), siamo spesso chiamati a ripetere il «linguaggio duro» (Jn 6,60) e a indicare l'angusta via che conduce alla vita (cfr Mt 7,14). Proviamo a farlo con compassione e con rispetto per ogni persona. Dobbiamo procedere con i nostri fratelli e le nostre sorelle, avvolgendo con l'amore tutti coloro che sono afflitti dalla debolezza umana e riconoscendo nei poveri e nella sofferenza l'immagine del nostro povero e sofferente Signore e Maestro (cfr Lumen gentium LG 8). Che la nostra speranza e la nostra fiducia siano sempre fondate sulla forza del Signore Risorto! Invocando su di voi e su coloro che sono affidati alla vostra sollecitudine pastorale un abbondante intervento dello Spirito Santo, vi affido all'intercessione di Maria, Madre della Chiesa, e vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.


GP2 Discorsi 1997 259