GP2 Discorsi 1998 82


GIOVANNI PAOLO II


AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO UNIVERSITARIO


INTERNAZIONALE "UNIV '98"


7 aprile 1998




83 1. Porgo a tutti voi, carissimi giovani e ragazze, il mio affettuoso benvenuto, in occasione del vostro Congresso Internazionale UNIV. Saluto, in particolare, i responsabili e gli organizzatori del raduno. Questo nostro incontro avviene durante la Settimana Santa, e l'occasione è propizia per volgere il nostro sguardo con maggiore intensità al mistero pasquale.

Quest'anno, poi, secondo della fase preparatoria al Grande Giubileo, è dedicato, come sapete, allo Spirito Santo. Invochiamo insieme lo Spirito Paraclito, perché assista i vostri lavori congressuali sul tema "Progresso umano e diritti della persona", e doni a voi tutti di essere autentici testimoni di Gesù e coraggiosi operatori di rinnovamento sociale.

Per realizzare appieno tutto ciò, occorre agire su due versanti simultaneamente: convertirsi, cancellare cioè il male dalla propria vita, migliorando progressivamente se stessi, e condividere con gli altri i frutti della grazia divina mediante opere di concreta solidarietà. Stanno qui i presupposti per giungere all'effettivo rispetto dei diritti di ciascuno.

2. Los derechos de la persona son el elemento clave de todo el orden social. Reflejan las exigencias objetivas e inviolables de una ley moral universal, que tiene su fundamento en Dios, primera Verdad y sumo Bien. Precisamente por esto son el fundamento y la medida de toda organización humana, y solamente basados en ellos se puede construir una sociedad digna del hombre, arraigada sólidamente en la verdad, articulada según las exigencias de la justicia y vivificada por el amor.

Ante las diversas formas de opresión existentes en el mundo, la Iglesia no duda en denunciar con valentía las violencias. Seguirá luchando por la justicia y la caridad, mientras en el mundo se den formas de injusticia; si no lo hiciera, no sería fiel a la misión confiada por Jesús. Cuando está en juego la persona, Cristo mismo mueve a los creyentes a levantar la voz en su nombre. En su nombre y en todas partes, la Iglesia no deja de recordar que la primacía de la dignidad del hombre sobre cualquier estructura social es una verdad moral que nadie puede ignorar.

3. "Progreso humano y derechos de la persona". ¿Por qué la Iglesia se compromete con tanta fuerza en el campo de los derechos humanos? La respuesta nos remite a una afirmación que me es muy querida: El hombre es el primer camino que la Iglesia debe recorrer en el cumplimiento de su misión.

El hombre es criatura de Dios, y por esto los derechos humanos tienen su origen en Él, se basan en el designio de la creación y se enmarcan en el plan de la Redención. Podría decirse, con una expresión atrevida, que los derechos del hombre son también derechos de Dios. Por eso su tutela y promoción pertenecen al núcleo central de la misión de la Iglesia. Ella condena todo abuso contra la persona, porque sabe que es un pecado contra el Creador. La Iglesia hace todo lo posible por promover el auténtico desarrollo de lo humano de cada hombre, convencida de que el respeto por la persona es el camino para un mundo mejor.

La Iglesia debe servir al hombre si quiere servir a Dios. Este es un elemento decisivo de su fidelidad a Él. Por tanto, los cristianos deben procurar con todos los medios a su alcance testimoniar esta convicción en su vida cotidiana. Sé que en vuestro forum tendréis ocasión de ilustrar tantas iniciativas de voluntariado que se llevan a cabo en regiones del planeta marcadas por la miseria, la injusticia, la violencia o la enfermedad. Os exhorto a proseguir en este esfuerzo. Incluso quisiera invitaros a hacer todavía más. ¡Sed apóstoles del amor de Cristo!, respondiendo a las necesidades materiales de la gente, pero tratando de satisfacer especialmente la sed espiritual de Dios, que siente toda criatura humana.

Decía recientemente: "El mundo y el hombre se asfixian si no se abren a Jesucristo" (Homilía en Camagüey, 23.1.98). No os canséis de evangelizar y de formaros en la verdad de Cristo. "También hoy -escribí en mi primera Encíclica Redemptor hominis-, después de dos mil años, Cristo aparece a nosotros como Aquel que trae al hombre la libertad basada sobre la verdad, como Aquel que libera al hombre de lo que limita, disminuye y casi destruye esta libertad en sus mismas raíces, en el alma del hombre, en su corazón, en su conciencia" (12).

4. Qui si innesta un altro punto, che potremmo enunciare così: la Chiesa, oltre che sui diritti, insiste sui doveri. La coscienza di ogni cristiano deve essere profondamente segnata dalla categoria del dovere. Il rapporto con Dio, Creatore e Redentore dell'uomo, suo principio e suo fine, possiede la forza di un vero e proprio vincolo.

La coscienza è luogo di conquista della vera libertà, a patto però che sia disposta a riconoscere "i diritti di Dio", iscritti nella sua struttura più profonda. Essa «è testimonianza di Dio stesso, la cui voce e il cui giudizio penetrano l'intimo dell'uomo fino alle radici della sua anima, chiamandolo fortiter et suaviter all'obbedienza..., spazio santo nel quale Dio parla all'uomo» (Enc. Veritatis splendor
VS 58). La domanda ineludibile, che dovrebbe sorgere spontanea in noi dinanzi a Dio, è allora quella rivolta da Paolo a Gesù quando lo incontrò per la prima volta sulla via di Damasco: «Che devo fare, Signore?» (Ac 22,10).

84 Cristo chiede tutto. Il testimone dell'amore infinito del Padre è esigente. Ma quando lo Spirito Santo suscita in noi la coscienza viva di essere figli di Dio (cfr Rm 8,15), la sua chiamata non spaventa, ma attira con la forza dell'amore. Chi a Lui si affida totalmente, sperimenta il meraviglioso scambio descritto dal Beato Josemaria Escrivá con queste parole: «Gesù mio: ciò che è mio è tuo, perché ciò che è tuo è mio, e ciò che è mio lo abbandono in Te» (Forgia, 594).

Maria, Madre della Chiesa, aiuti ciascuno a comprendere che la generosità della propria risposta a Dio costituisce il fattore decisivo per lo sviluppo dei doni ricevuti. Siate pronti, cari ragazzi e ragazze, a fare della vostra vita un dono a Dio ed al prossimo.

Da parte mia, vi assicuro il ricordo nella preghiera, mentre vi auguro con affetto buone feste pasquali e di cuore tutti vi benedico.

ALLOCUZIONE DI GIOVANNI PAOLO II


ALLA FINE DELLA "VIA CRUCIS"


Venerdì 10 aprile 1998

1. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.


"Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (cfr Jn 3,16). L'eterno Figlio di Dio, che ha assunto la nostra natura umana per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria, si è fatto "obbediente al Padre fino alla morte e alla morte di croce" (cfr Ph 2,8) per la salvezza del mondo. La Chiesa ogni giorno medita il sommo mistero dell'Incarnazione salvifica e della morte redentrice del Figlio di Dio, immolatosi per noi sulla croce.

Quest'oggi, Venerdì Santo, ci soffermiamo a contemplarlo con maggiore intensità. Nel buio della sera ormai avanzata, siamo venuti qui, al Colosseo, per ripercorrere, mediante il pio esercizio della Via Crucis, le tappe della via dolorosa di Cristo sino al drammatico epilogo della sua morte.

Salire spiritualmente sul Golgota, ove Gesù è stato crocifisso ed ha reso lo spirito, assume un particolare valore significativo tra queste rovine della Roma imperiale, specialmente in questo luogo legato al sacrificio di tanti martiri cristiani.

2. L'animo nostro, in questo momento, risale con la memoria a quanto è narrato nell'antica Storia Sacra, per trovarvi anticipazioni e preannunci della morte del Signore. Come non rievocare, ad esempio, l'itinerario di Abramo verso il monte Moria? E' giusto ricordare questo grande patriarca, che san Paolo qualifica come "padre di tutti i credenti" (cfr Rm 4,11-12). Egli è il depositario delle promesse divine dell'Antica Alleanza, e la sua vicenda umana prefigura anche momenti della passione di Gesù.

Sul monte Moria (cfr Gn 22,2), simbolico richiamo al monte sul quale il Figlio dell'Uomo sarebbe morto in croce, Abramo salì con il figlio Isacco, il figlio della promessa, per offrirlo in olocausto. Dio gli aveva chiesto il sacrificio di quell'unico figlio, che egli aveva atteso a lungo e con speranza mai spenta. Abramo, nel momento di immolarlo, si fa, in certo modo, egli stesso "obbediente fino alla morte": morte del figlio, e morte spirituale del padre.

Questo gesto, pur restando solo una prova di obbedienza e di fedeltà, giacché l'angelo del Signore fermò la mano del patriarca e non permise che Isacco fosse ucciso (cfr Gn 22,12-13), si pone come eloquente preannuncio del definitivo sacrificio di Gesù.

85 3. Dice l'evangelista Giovanni: l'eterno Padre ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito (cfr Jn 3,16). Gli fa eco l'apostolo Paolo: il Figlio si fece "per noi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (cfr Ph 2,8). La mano dei carnefici non fu fermata dall'angelo nel sacrificare il Figlio di Dio.

Eppure nel Getsemani il Figlio aveva pregato, affinché, se possibile, passasse da lui il calice della passione, esprimendo però immediatamente la piena disponibilità perché si compisse la volontà del Padre (cfr Mt 26,39). Obbediente per amore nostro, il Figlio si è offerto in sacrificio, compiendo l'opera della redenzione. Di questo sconvolgente mistero tutti noi siamo oggi testimoni.

4. Sostiamo in silenzio sul Golgota. Ai piedi della Croce sta Maria, Mater dolorosa: questa donna col cuore squarciato dai dolori, ma pronta ad accettare la morte del Figlio. La Madre addolorata riconosce ed accoglie nell'olocausto di Gesù la volontà del Padre per la redenzione del mondo. Di Lei ricorda il Concilio Vaticano II: "Avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette (cfr Jn 19,25) soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di Lui, amorosamente consenziente all'immolazione della vittima da lei generata; e finalmente dallo stesso Gesù morente in croce fu data quale madre al discepolo con queste parole: Donna, ecco il tuo figlio (cfr Jn 19,26-27)" (Lumen gentium LG 58).

Maria fu data come Madre a tutti noi, chiamati a seguire fedelmente i passi del Figlio, che per noi si è fatto obbediente fino alla morte ed alla morte di croce: "Christus factus est pro nobis oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis" (Ant. della Settimana Santa; cfr Ph 2,8).

5. E' ormai notte fonda. Contemplando Cristo morto sulla croce, il pensiero va alle tante ingiustizie e sofferenze che prolungano la sua passione in ogni angolo della terra. Penso ai luoghi dove l'uomo è offeso ed umiliato, percosso e sfruttato. In ogni persona colpita dall'odio e dalla violenza, o emarginata dall'egoismo e dall'indifferenza, Cristo soffre ancora e muore. Sui volti degli "sconfitti della vita" si stagliano i lineamenti del volto di Cristo morente sulla croce. Ave, Crux, spes unica! Dalla Croce scaturisce anche oggi la speranza per tutti.

Uomini e donne del nostro tempo, volgete lo sguardo verso Colui che è stato trafitto! Egli per amore ha dato la sua vita per noi. Fedele e docile alla volontà del Padre, Egli ci è di esempio e di incoraggiamento. Proprio per questa sua obbedienza filiale, il Padre "l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome" (Ph 2,9).

Possa ogni lingua proclamare "che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (cfr ibid., 2,11).


GIOVANNI PAOLO II


AI PARTECIPANTI ALL'VIII CONVEGNO DELL'A.C.I.S.E.


(ASSOCIAZIONE CATTOLICA INTERNAZIONALE


DELLE ISTITUZIONI DI SCIENZE DELL'EDUCAZIONE)


18 aprile 1998




Illustri Signori,
Gentili Signore!

1. Sono lieto di questo incontro, che mi offre l'opportunità di affrontare un tema importante come quello dell'impegno educativo, per riflettere sul quale vi siete raccolti in questo Congresso, con la partecipazione di tanti esperti in tale fondamentale materia.

86 Rivolgo a tutti il mio cordiale saluto, con un particolare pensiero di gratitudine per il Prof. Giuseppe Dalla Torre che, nell'interpretare i sentimenti dei Colleghi, ha efficacemente illustrato i lavori del vostro Convegno.

L'"educabilità" è indubbiamente una dimensione che caratterizza l'uomo e ne sottolinea la ricchezza psicologica, che è tale da consentirgli un progresso perfettivo senza termine. Il potermi rivolgere stamani non soltanto ad educatori, ma a teorici dell'educazione, mi induce a toccare alcuni aspetti meno scontati di questo complesso argomento, che tanto rilievo riveste nella vicenda di ogni essere umano.

2. Vorrei soffermarmi a riflettere con voi sul complesso tema della ricerca in questo ambito delicato. La vostra è una ricerca che ha regole precise e proprie, le quali tuttavia sono scarsamente oggettivabili. Il termine che meglio le esprime e le riassume potrebbe essere quello di "serietà": la ricerca in campo educativo deve essere condotta con una serietà che non può essere ridotta alla sola correttezza dei mezzi, all'esaustività delle analisi, o alla fedeltà nell'accesso alle fonti. Serietà significa soprattutto risoluta e consapevole responsabilità personale nell'utilizzo delle metodiche disponibili in questo campo.

Basti qualche rapido accenno: nella validazione dei risultati operativi della vostra ricerca i tempi sono improgrammabili; i riscontri negativi non sono, purtroppo, immediati, sì che si possa intervenire e riparare; i riscontri positivi si rivelano tali solo dopo che le variabili hanno fatto il loro corso. Come non riconoscere, alla luce di queste molteplici incognite, l'esigenza di una singolare "serietà" nel ricercatore che affronta uno studio tanto problematico?

Nella peculiarità della vostra ricerca è centrale l'adeguatezza dell'approccio all'oggetto, costituito dal mistero dell'uomo con le sue valenze storiche e metastoriche. L'approccio dovrà essere tale da consentire il pieno dispiegamento dello spirito umano, che porta in sé anche la capacità di aprirsi alla trascendenza.

3. La serietà nello svolgimento della ricerca impone anche di resistere al fascino dell'adozione di parametri ristretti o di forme di scientificità inappropriate all'oggetto. Quando verte sull'uomo e sul dispiegamento delle sue capacità di perfezionamento, pur fra le strettoie di condizionamenti di ogni genere, la ricerca non può abbassare il proprio tono, né consentirsi scorciatoie mortificanti.

Voi sapete, del resto, di essere "impegnati", prima che nella ricerca sulla persona, nello sforzo di essere voi stessi persone riuscite. La vostra ricerca, infatti, non è solitaria: essa si svolge e si esprime nella compresenza delle componenti della realtà universitaria: docenti e studenti. Agli esordi dell'Accademia un singolare modo di con-vivere era ritenuto momento alto del processo educativo: era banco di prova per l'autenticità anche umana del maestro, mentre al discepolo era data l'occasione di scorgere, "incarnati" in lui, valori ed ideali con cui entrare in una sinergia corroborante.

Chiunque si dedichi allo studio teorico o all'applicazione pratica della missione educativa non può non sentirsi impegnato a proporre in sé un'umanità riuscita, per diventare così una persona da cui trapela lo splendore dell'umano, una persona che, con la sua testimonianza di vita prima ancora che con la sua cultura, invoglia altri alla piena realizzazione di sé.

4. Due ostacoli, in particolare, possono fermare o deviare lo sforzo educativo. Vi è innanzitutto il rischio di finalizzare la ricerca al successo effimero. Se ciò è disdicevole sempre, tanto maggiormente lo diventa quando si tratta della verità sull'uomo, sul suo vivere e sul suo morire, sulla sua gioia e sul suo dolore. Qui non si possono assolutamente ammettere cedimenti opportunistici né ripiegamenti utilitari. La ricerca sull'uomo ha sempre qualcosa di sacro, che ne interdice ogni strumentalizzazione.

L'altro rischio dal quale occorre guardarsi è costituito dal fascino fatale del potere. L'occhio interiore è inabile a cogliere il profondo valore dell'umano e a rispettarne la sacralità misteriosa, se è abbacinato dal brillìo del potere: per essere compreso, l'uomo deve essere accostato con reale atteggiamento di servizio. Ma non si può servire l'uomo ed essere schiavi della seduzione del potere. Ne conseguirebbe disattenzione per l'essere umano proprio là dove si dice di volerne scandagliare il valore, per stimolarne le attuazioni meglio rispondenti alla qualità del vivere personale e del vivere associato.

5. Illustri Signori e gentili Signore, il servizio attento all'uomo, il quotidiano impegno perché progressivamente egli attui il disegno che porta in sé è ardua missione, a volte addirittura impopolare, ma è il mezzo per assicurare lo spazio in cui l'eterno che è nell'uomo possa trovare la sua espansione adeguata.

87 La missione educativa comporta sempre un servizio esigente, duro e rigoroso. Aver scelto questo ambito di studio e questa professione è, pertanto, impegno nobile e degno del massimo apprezzamento. Colgo volentieri questa occasione per esprimervi tutta la mia stima e, nel rivolgervi il mio più cordiale incoraggiamento a perseverare nonostante le difficoltà nel compito assunto, desidero assicurarvi della mia speciale preghiera perché non vi manchi dall'Alto l'aiuto necessario.

Accompagno questi voti con una speciale Benedizione, che estendo anche a tutti coloro a cui vanno le vostre sollecitudini di studio e di insegnamento.


GIOVANNI PAOLO II


AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA


DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE SOCIALI


23 aprile 1998




Venerati Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio,
Illustri Signore e Signori!

1. Sono lieto di accogliervi, mentre siete riuniti in Vaticano per la IV Sessione Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che ha per tema: "Democracy - some acute questions".

Rivolgo a ciascuno di voi il mio cordiale saluto, e ringrazio in particolare il Presidente, Prof. Edmond Malinvaud, per le parole con cui si è fatto interprete dei sentimenti di tutti ed ha illustrato la finalità della presente Sessione.

In questi quattro anni dalla fondazione dell'Accademia, nelle riunioni plenarie e negli incontri di studio avete scelto come temi centrali delle vostre ricerche e dei vostri confronti due argomenti di vitale importanza per la Dottrina Sociale della Chiesa: dapprima quello del lavoro e dell'occupazione, ed ora quello della democrazia.

Mi congratulo con voi ed esprimo la mia viva gratitudine per il fecondo lavoro che in così breve tempo avete già compiuto. Gli atti delle sessioni plenarie ed il volume sui problemi concernenti la democrazia, che avete pubblicato e mi avete gentilmente inviato, non solo mostrano grande ricchezza e varietà di contenuti, ma prospettano al tempo stesso applicazioni concrete per rendere il mondo più umano, più unito e più giusto.

2. Con compiacimento ho potuto notare come tutte le ricerche da voi condotte abbiano sempre avuto presenti gli orientamenti fondamentali della dottrina sociale della Chiesa, dalla memorabile Enciclica Rerum novarum di Leone XIII fino alle più recenti Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis e Centesimus annus.

Gli insegnamenti della Chiesa sulle tematiche sociali costituiscono un corpo dottrinale sempre aperto a nuovi approfondimenti ed attualizzazioni. Infatti, - come scrivevo nella Centesimus annus - "la Chiesa non ha modelli da proporre. I modelli reali e veramente efficaci possono solo nascere nel quadro delle differenti situazioni storiche, grazie allo sforzo di tutti i responsabili che affrontino i problemi concreti in tutti i loro aspetti sociali, economici, politici e culturali che si intrecciano tra loro" (n. 43).

88 La dottrina sociale della Chiesa non è chiamata ad interessarsi agli aspetti tecnici delle svariate situazioni sociali, per delineare sue proprie soluzioni. La Chiesa annuncia il Vangelo e si preoccupa che esso possa manifestare in tutta la sua ricchezza la novità che lo caretterizza. Il messaggio evangelico deve permeare le varie realtà culturali, economiche e politiche. In questo sforzo di inculturazione e di approfondimento spirituale, anche l'Accademia delle Scienze Sociali è chiamata ad offrire un suo specifico contributo. Come esperti delle discipline sociali e come cristiani, voi siete chiamati a svolgere un ruolo di mediazione e di dialogo tra fede e scienza, tra ideali e realtà concrete; un ruolo che talvolta è anche quello di pionieri, perché vi è chiesto di indicare nuove piste e nuove soluzioni per risolvere in modo più equo gli scottanti problemi del mondo di oggi.

3. Il vostro Presidente, Prof. Malinvaud, ha poc'anzi sottolineato come in questa quarta Sessione Plenaria vostro intendimento è di studiare il complesso tema della democrazia, che avete articolato secondo tre grandi prospettive di indagine: il rapporto tra democrazia e valori; il ruolo della società civile nella democrazia; la relazione tra la democrazia e le istanze sopranazionali ed internazionali.

Sono argomenti che attendono approfondimenti ed orientamenti idonei a guidare i ricercatori, i governanti e le nazioni in questo passaggio millenario tra il ventesimo ed il ventunesimo secolo. Quanto significativo è questo tempo che ci prepara al grande Giubileo del Duemila, dal quale attendiamo per la Chiesa e per il mondo un forte messaggio di riconciliazione e di pace!

Illustri e cari Accademici, possa lo Spirito del Signore Risorto accompagnarvi in questo itinerario di analisi e di ricerca. Io vi seguo con viva partecipazione ed in pegno della mia vicinanza ai vostri lavori imparto di cuore a voi, Membri della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, una particolare Benedizione Apostolica, estendendola agli esperti da voi invitati, ai collaboratori e a tutti i vostri cari.


GIOVANNI PAOLO II


ALLA COMUNITÀ


DEL SEMINARIO ARCIVESCOVILE MAGGIORE DI FIRENZE


30 aprile 1998




Signor Cardinale,
Carissimi Superiori ed Alunni
del Seminario Arcivescovile di Firenze!

1. Ho accolto molto volentieri la vostra richiesta di incontrare il Papa. So che essa corrisponde ad un desiderio profondo, di cui s'è fatto interprete il vostro Arcivescovo, il venerato e caro Fratello Cardinale Silvano Piovanelli, che saluto cordialmente e ringrazio. Mentre lo ascoltavo, mi ritornavano in mente le immagini della vostra casa di formazione, che il Signore mi ha dato la gioia di visitare, nell'ottobre del 1986, in occasione del mio pellegrinaggio apostolico alla Diocesi ed alla città di Firenze.

Voi, oggi, è come se veniste a ricambiare quella mia visita, per testimoniare che il Seminario è vivo ed operante. So, infatti, cari Superiori ed Alunni, ai quali va il mio più affettuoso benvenuto, che la vostra Comunità trae i suoi componenti da Diocesi diverse. Ne fanno parte seminaristi di Firenze, San Miniato, Volterra, Massa Marittima, Piombino, senza dimenticare i giovani provenienti dalla Polonia e dal Kerala (India). Voi siete, pertanto, una Comunità che, in qualche misura, può dirsi legittimamente internazionale.

Non è stata una specifica circostanza a condurvi qui oggi. E, tuttavia, quale momento poteva essere più adatto di questo, nell'immediata prossimità della domenica detta "del Buon Pastore"? Proprio in questa domenica, la quarta di Pasqua, si celebra la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Il contesto liturgico ed ecclesiale offre al nostro incontro uno sfondo quanto mai significativo, e ci invita a sentirci uniti, in comunione di preghiera e di intenti, con tutte le comunità vocazionali sparse nel mondo, in particolare con quelle in cui, proprio in questo periodo dell'anno, avvengono le Ordinazioni sacerdotali.

89 2. Tutta la Chiesa è, in realtà, "comunità vocazionale": essa infatti esiste in quanto chiamata e mandata dal Signore per evangelizzare le genti e far crescere in mezzo ad esse il Regno di Dio. L'anima di tale dinamismo spirituale, in forza del quale ogni battezzato è invitato a scoprire il dono di Dio ed a porlo al servizio della comune edificazione, è lo Spirito Santo. Ho sottolineato questa singolare realtà nell'apposito Messaggio, in occasione della trentacinquesima Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni.

Lo Spirito è come il vento che gonfia la vela della grande barca della Chiesa. Questa tuttavia, a ben vedere, si avvale di altre innumerevoli piccole vele che sono i cuori dei singoli battezzati. Ognuno, carissimi, è invitato ad issare la propria vela ed a spiegarla con coraggio, per permettere allo Spirito di agire con tutta la sua potenza santificatrice. Consentendo allo Spirito di agire nella propria storia personale, si offre anche il miglior contributo alla missione della Chiesa.

Non temete, cari seminaristi, di spiegare la vostra vela al soffio dello Spirito! Lasciate che la sua forza di verità e d'amore animi ogni dimensione della vostra giovane esistenza: il vostro impegno spirituale, le intenzioni profonde della vostra coscienza, l'approfondimento dello studio teologico e le esperienze di servizio pastorale, i sentimenti e gli affetti, la vostra stessa corporeità. Tutto il vostro essere è chiamato a rispondere al Padre per il Figlio nello Spirito, perché l'intera vostra persona diventi segno e strumento di Cristo, Buon Pastore.

3. Voi carissimi, vi state preparando a diventare, nella Chiesa e per la Chiesa, "ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore" (Pastores dabo vobis
PDV 15), per proclamare autorevolmente la sua Parola e ripetere i suoi gesti di perdono e di salvezza, soprattutto col Battesimo, la Penitenza e l'Eucaristia, per esercitare la sua amorevole sollecitudine, fino al dono totale di sé per il gregge (cfr ibid.). Questa espressione "ripresentazione sacramentale" è assai forte ed eloquente, e chiede di essere a fondo meditata, e soprattutto interiorizzata nel raccoglimento della preghiera.

Chi potrebbe infatti ritenersi all'altezza di tale dignità? Vengono alla mente le parole della Lettera agli Ebrei: "Nessuno può attribuirsi questo onore, se non chi è chiamato da Dio" (5,4). Si tratta di accogliere questo dono immeritato con l'umile e coraggiosa disponibilità di Maria, che dice all'Angelo: "Come avverrà questo?" e, dopo averne ascoltato la risposta illuminante, offre se stessa senza riserve: "Eccomi, si compia in me la tua parola" (cfr Lc 1,34-38).

Carissimi, il seminario è il tempo provvidenziale offerto ai chiamati per rinnovare, giorno dopo giorno, questo "sì" al Padre per il Figlio nello Spirito. A partire da questo "sì" il ministero sacerdotale può diventare, nelle concrete modalità del suo storico dispiegarsi, un "Amen" a Dio ed alla Chiesa, configurato all'"Amen" salvifico del Buon Pastore, che offre la vita per le sue pecorelle (cfr 2Co 1,20).

Per questo prego per voi e con voi. Per questo invoco la premurosa intercessione della Regina degli Apostoli, mentre di cuore imparto a ciascuno di voi una speciale Benedizione Apostolica.


GIOVANNI PAOLO II


AI MEMBRI DEI CONSIGLI NAZIONALI


DEI CONSULENTI DEL LAVORO


DI ITALIA, SPAGNA E POLONIA


30 aprile 1998




Illustri Signore e Signori!

1. Sono lieto di incontrarvi, accogliendo con animo grato un vostro desiderio manifestato già da tempo. Voi rappresentate in modo altamente qualificato la categoria professionale dei Consulenti del Lavoro, così come essa si esprime a livello istituzionale in Italia, in Spagna ed in Polonia, vale a dire nei tre Consigli nazionali dei rispettivi Ordini.

Ringrazio la Signora Gabriella Perini per le cortesi espressioni che mi ha rivolto a nome di tutti voi.

90 Anzitutto, vorrei esprimere il mio compiacimento per il collegamento che avete saputo creare tra le rispettive organizzazioni nazionali mediante vincoli che sono primariamente basati sulla comunanza di interessi e di problemi professionali, ma che vengono rafforzati ed avvalorati anche dalla concezione dell'uomo e della società ispirata al messaggio cristiano ed alla dottrina sociale della Chiesa.

L'occasione è, pertanto, opportuna per richiamare alcuni contenuti generali di tale concezione, nella persuasione che ciò non mancherà di risultare utile per i vostri specifici obiettivi.

2. Dal punto di vista dell'etica sociale, l'interesse saliente della vostra professione è dato dal fatto che essa si occupa del lavoro stesso, o meglio dei rapporti di lavoro, per tutelarne la correttezza e la sicurezza nelle loro varie fasi, a salvaguardia della dignità della persona e della famiglia e nel rispetto delle legittime ragioni dell'impresa.

Ho voluto dedicare il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest'anno, cinquantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, al tema della giustizia. Non c'è dubbio che promuovere rapporti di lavoro realmente degni della persona umana significa operare per consolidare la giustizia, ponendo così le premesse per una pace autentica e duratura.

In tale prospettiva, le esigenze cui siete chiamati a rispondere sono molteplici. Prima tra tutte, evidentemente, quella di favorire l'occupazione e combattere la disoccupazione. Quest'ultima è in ogni caso un male e, quando raggiunge taluni livelli, può diventare una vera calamità sociale, ancor più dolorosa se si considerano le nefaste conseguenze che comporta per le famiglie e per i giovani.

L'alto tasso di disoccupati porta con sé seri rischi di sfruttamento. E' perciò necessario vigilare attentamente sull'equità del salario e sulle condizioni di lavoro, perché siano garantiti i diritti alla salute, al riposo, alla previdenza.

E che dire, poi, del lavoro che la madre svolge in famiglia? Non si dovrebbe forse con più attenzione operare per una legittima rivalutazione sociale dei compiti materni? Auspico di cuore che ci si soffermi a considerare queste esigenze da più parti manifestate, valutando concretamente la fatica unita alle occupazioni domestiche ed il bisogno che i figli hanno di cura, di amore e di affetto da parte dei genitori e specialmente della madre.

3. Illustri Signori e Signore, grazie per il vostro impegno e per i giusti sforzi che voi dispiegate a tutela dei diritti dei lavoratori. A tutti è noto che un oculato servizio alle legittime esigenze di quanti sono uniti dalla stessa professione non può non tener conto delle limitazioni imposte dalla situazione economica generale del Paese.

Penso, in questo momento, a ciò che l'Italia, la Spagna e la Polonia stanno compiendo per favorire l'auspicata crescita nella libertà e nella solidarietà. Penso pure ad ogni iniziativa tesa ad affrettare la costruzione di un'Europa a sua volta più libera e solidale. Possa il vostro impegno essere valido stimolo all'armonizzazione degli ordinamenti giuridici dei vostri rispettivi Paesi nel campo del lavoro. Ciò contribuirà efficacemente a far progredire i popoli del Continente verso quella reciproca integrazione che non può che essere vantaggiosa per tutti.

A questo auspicio unisco i miei auguri per voi e per le vostre famiglie, mentre di cuore vi benedico.

Maggio 1998


DISCORSO DEL SANTI PADRE


GIOVANNI PAOLO II


AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO EUROPEO


DEI CAPPELLANI UNIVERSITARI


1° maggio 1998




91 Carissimi Cappellani universitari!

1. Sono lieto di accogliervi in questa speciale Udienza, che si svolge in occasione del Congresso promosso per celebrare il cinquantesimo anniversario della Cappella dell'Università «La Sapienza». Voi rappresentate qui molte ed illustri Università di vari Paesi d'Europa. Desidero esprimervi il mio apprezzamento per la generosa disponibilità con cui avete corrisposto all'invito della Congregazione per l'Educazione Cattolica e dei Pontifici Consigli per i Laici e della Cultura, consentendo di realizzare con la vostra partecipazione questo incontro di notevole rilevanza pastorale.

Ringrazio il Signor Cardinale Pio Laghi per il cordiale indirizzo con cui s'è reso interprete dei vostri sentimenti. Con lui saluto pure gli altri Signori Cardinali, che onorano questo incontro con la loro presenza. Una parola di speciale approvazione meritano anche il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa, la Commissione diocesana per la pastorale universitaria del Vicariato di Roma ed il Magnifico Rettore dell'Università «La Sapienza», per il loro sollecito contributo alla realizzazione dell'iniziativa.

Il tema scelto per i vostri lavori offre l'opportunità di verificare e approfondire le indicazioni pastorali suggerite nel documento «Presenza della Chiesa nell'Università e nella cultura universitaria», e di contestualizzarle alla luce del cammino di nuova evangelizzazione che si va sviluppando in Europa dopo l'Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi, celebratasi nel 1991.

2. Come già ricordavo ai Vescovi europei alcuni anni prima, "l'Europa alla quale siamo inviati ha subito tali e tante trasformazioni culturali, politiche, sociali ed economiche, da porre il problema dell'evangelizzazione in termini totalmente nuovi. Potremmo anche dire che l'Europa, quale si è configurata a seguito delle complesse vicende dell'ultimo secolo, ha posto la sfida più radicale che la storia abbia conosciuto al cristianesimo e alla Chiesa, ma insieme dischiude oggi nuove e creative possibilità di annuncio e di incarnazione del Vangelo" (Discorso al Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, 11 ottobre 1985, n. 1). Il nostro tempo, così ricco di mezzi nei Paesi ad alto sviluppo tecnologico, si scopre drammaticamente povero di fini. L'uomo di oggi, privo di riferimenti oggettivi di valore e, aggredito da un diffuso scetticismo sui fondamenti stessi del sapere e dell'etica, ripiega spesso su orizzonti ristretti e su approdi temporanei.

In questa temperie relativista, su una cultura che esalta in modo assoluto il singolo e non lo dispone alla solidarietà, incombe il rischio che la libertà si trasformi in arbitrio dei più forti contro i più deboli, contraddicendo se stessa. Ciò intacca le relazioni personali, impoverisce e deforma la convivenza sociale, rende il sapere asservito al dominio del pensiero strumentale.

3. La pastorale universitaria, di cui la Cappellania è cuore pulsante, ha il compito di ridisegnare con tensione fiduciosa e paziente le coordinate entro le quali è possibile inscrivere il Vangelo, indicando senza incertezze al cuore dello smarrimento contemporaneo l'eclissi del senso di Dio. La creatura, infatti, come insegna il Concilio Vaticano II, "senza il Creatore svanisce" (Gaudium et spes
GS 36).

Senza un riferimento condiviso ai valori oggettivi anche la convergenza culturale sulla dignità della persona e sul valore della vita - pur così diffusa - rischia di rimanere irrilevante. La verità cristiana è attraente e persuasiva proprio quando sa imprimere forti orientamenti all'esistenza umana, annunciando in maniera convincente Cristo, che prende per mano il viandante incerto e dubbioso, per mostrargli la direzione e la meta. Dice Gesù: "Io sono la Via, la Verità e la Vita" (Jn 14,6).

La fede cristiana, dono gratuito di Dio, è pertanto scelta motivata e ragionevole: si confronta seriamente con le esigenze autentiche dell'animo umano; ama la riflessione attenta e non teme il vaglio severo di un approfondito esame critico.

E' in questo contesto che si inserisce molto felicemente la celebrazione del cinquantenario della Cappella dell'Università «La Sapienza». Dono non privo di intuizione profetica del mio venerato predecessore Pio XII, essa costituisce per la comunità universitaria di Roma una presenza di alto profilo pastorale e culturale.

4. Il mio pensiero si volge ora a tutte le Cappellanie operanti nelle Università europee, che per lunga tradizione offrono alle rispettive comunità universitarie momenti di riflessione religiosa e fermenti di animazione culturale cristiana. La vostra presenza, cari Cappellani ed operatori pastorali, è testimonianza viva di una tradizione sapiente che sa dare risposte concrete alle esigenze dell'ora presente. Vi esorto, pertanto, a proseguire il vostro impegno, intensificando la dedizione apostolica che vi caratterizza. La Cappella universitaria è luogo dello spirito, dove sostano in preghiera e trovano alimento ed orientamento i credenti in Cristo, che vivono con modalità diverse l'esperienza dello studio accademico; è palestra di virtù cristiane, dove cresce e si sviluppa con coerenza la vita battesimale; è casa accogliente ed aperta, per tutti coloro che, ascoltando il Maestro interiore, si fanno cercatori di verità e servono l'uomo nella dedizione diuturna a un sapere non pago di orizzonti angusti e pragmatici. Nel contesto della modernità declinante, essa non può non essere centro vivo e propulsivo di animazione cristiana della cultura, nel dialogo rispettoso e franco, nella proposta chiara e motivata (cfr 1P 3,15), nella testimonianza che interroga e convince.

92 In questa prospettiva si rivela di grande importanza l'attività delle Cappellanie universitarie per sensibilizzare e preparare il mondo universitario, in particolare dei giovani, al Grande Giubileo. Nell'anno duemila sono in programma un incontro mondiale dei docenti universitari e la Giornata Mondiale della Gioventù. Sono due appuntamenti molto significativi, per i quali è necessario creare una più stretta collaborazione tra le Cappellanie universitarie a livello nazionale ed europeo, onde favorire una specifica preparazione ed una più qualificata partecipazione del mondo universitario.

5. La Cappella universitaria si pone, dunque, come una struttura pastoralmente idonea per rispondere alla domanda di salvezza che pulsa nel cuore dell'uomo e si manifesta, sia pure in forme a volte contraddittorie, anche nel nostro tempo, in particolare nella vita dei giovani.

I nuovi profili della pastorale universitaria costituiscono la modalità specifica con cui la Chiesa intende inserirsi in maniera sempre più efficace, competente e rispettosa nei luoghi dove maturano le scelte di pensiero da cui dipenderanno molti comportamenti personali e sociali delle generazioni di domani.

L'opera di evangelizzazione delle Cappellanie universitarie vuole aiutare l'uomo di oggi - soprattutto le nuove generazioni - a smascherare il carattere illusorio di molti surrogati culturali, a superare la suggestione risorgente delle figure mute degli idoli, in un recupero di libertà interiore, che apre al servizio del Dio vivo e vero (cfr
1Th 1,9).

Posta in dialogo intenso con le diverse componenti dell'Università ed esperta nella cura spirituale personalizzata, la Cappellania risponde così all'esigenza di animare, sia sul versante accademico che su quello delle comunità cristiane, l'impegno della ricerca di Dio e la testimonianza della fede.

Sono persuaso che i contributi di illustri relatori e lo scambio di esperienze tra le diverse Cappellanie apporteranno un valido impulso alla pastorale universitaria e daranno vita ad una più incisiva opera di evangelizzazione in questo importante settore della società europea.

Desidero salutare ancora i Cappellani universitari provenienti dalla Polonia e dagli altri paesi dell'Europa Centrale. Anch'io potrei fare parte del vostro gruppo essendo, come si dice nel mondo dello sport, un "old boy", oppure usando il linguaggio accademico un "senior".

Vi auguro di continuare e di arricchire le buone tradizioni della pastorale universitaria a Cracovia e in tutta la Polonia. Dio vi benedica!

Con tali auspici, rinnovo a tutti voi il mio cordiale saluto e vi imparto ben volentieri, quale pegno di fruttuoso servizio, una particolare Benedizione Apostolica, che estendo ai vostri Collaboratori ed a quanti animano con impegno le vostre Cappellanie.


GP2 Discorsi 1998 82