GP2 Discorsi 1998 172


AI PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE


DEI MISSIONARI DI SAN CARLO (SCALABRINIANI)


25 settembre 1998




Carissimi Capitolari Scalabriniani!

1. Sono lieto di rivolgere il mio cordiale benvenuto a ciascuno di voi, che in occasione del vostro Capitolo Generale, avete voluto riaffermare con questa visita la vostra fedeltà al Successore di Pietro e al Suo magistero di Pastore della Chiesa Universale. Saluto in particolare il P. Luigi Favero, appena riconfermato nella carica di Superiore generale della vostra Congregazione. Nel congratularmi con Lui per la rinnovata fiducia dei Confratelli e per il generoso e competente servizio finora svolto, invoco la grazia e la forza dello Spirito Santo perché, con l’aiuto del nuovo Consiglio, egli sappia introdurre validamente l’Istituto dei Missionari di San Carlo nel terzo millennio cristiano.

2. E’ ancora vivo in me il ricordo della beatificazione del vostro Fondatore, Mons. Giovanni Battista Scalabrini che, il 9 novembre dello scorso anno, ho voluto indicare alla Comunità cristiana come splendido esempio di Apostolo del nostro tempo, celeste protettore di milioni di immigrati e di rifugiati. Il suo cuore di Vescovo zelante e di Padre amorevole si aprì alle necessità spirituali e materiali dei bisognosi con costante sollecitudine, coinvolgendo nella sua instancabile azione apostolica quanti la Provvidenza gli aveva affidato. Egli ha lasciato ai suoi figli spirituali la preziosa eredità di un amore senza confini per quanti la ricerca di lavoro, le calamità naturali o le avverse condizioni socio-politiche sradicano dalla loro cultura e dalla loro terra.

Attingendo dalla Parola di Dio la visione della destinazione universale dei beni e dell’unità essenziale della famiglia umana, egli riconobbe nelle migrazioni innanzitutto una legge di natura che rinnova “in ogni istante il miracolo della creazione” e che “fa patria dell’uomo il mondo”. Ma, nel contempo, non mancò di denunciare le sofferenze e i drammi causati dall’emigrazione, sollecitandone gli opportuni e concreti rimedi.

Il suo spirito, il suo stesso entusiasmo voi volete oggi rivivere e vi domandate come riproporre alle soglie di un nuovo Millennio il suo desiderio di servire gli ultimi ed il suo ardore evangelizzatore senza frontiere. Dinanzi alla recrudescenza del fenomeno migratorio nei suoi aspetti più dolorosi, come le migrazioni non documentate e quelle dei rifugiati provocate dalle guerre, dagli odi etnici e dal sottosviluppo, si aprono orizzonti sempre più vasti alla vostra carità ed al vostro anelito missionario.

Molto opportunamente, pertanto, nel definire il “Progetto missionario scalabriniano ale soglie del 2000", il vostro Capitolo Generale, ha voluto rispondere a tali istanze guardando specialmente a quei settori del mondo dei migranti, dove più forti sono i segni della prova e della sofferenza, del rifiuto del diverso e della paura dell’altro, dello sfruttamento e della solitudine.

3. Si tratta d’un compito apostolico arduo e complesso che domanda ad ogni religioso scalabriniano innanzitutto una adesione sempre più convinta e trasparente a Cristo povero, casto ed obbediente, una profonda intimità con Lui, alimentata nella preghiera, sì che il divino Redentore diventi sempre più il centro e la ragione del proprio essere ed apostolato. Sull’esempio del Fondatore, carissimi fratelli, vivete in maniera convinta e concreta il primato della preghiera, coltivando in particolare la devozione all’Eucaristia e alla Madonna: troverete così le motivazioni profonde e la forza incessante per seguire il Signore anche sulla via della Croce; troverete in particolare uno slancio sempre nuovo per servire i migranti, poiché “lo sguardo fisso sul volto del Signore non attenua nell’apostolo l’impegno per l’uomo; al contrario lo potenzia, dotandolo di una nuova capacità di incidere sulla storia, per liberarla da quanto la deturpa” (Vita consecrata VC 75). Vi lascerete guidare dallo Spirito divino per condividere le attese e le speranze degli uomini e delle donne in mobilità; saprete, altresì, illuminare quanti scorgono nell’immigrazione una minaccia alla propria identità nazionale, alle proprie sicurezze e ai propri privilegi, aiutandoli a vedere nella presenza di persone diverse per provenienza e cultura una potenziale ricchezza per i paesi ospitanti.

173 La Chiesa vi domanda, carissimi, di tener viva in ogni comunità di accoglienza i valori della fraternità e della solidarietà per ridurre gli spazi dell’esclusione e diffondere la cultura dell’amore. Tale arduo compito esige, da parte vostra, il pieno recupero della vita fraterna e l’impegno costante e convinto a fare delle comunità religiose “luoghi” di comunione e immagini vive e trasparenti della Chiesa germe ed inizio del Regno di Dio nel mondo (cfr Lumen gentium LG 5). In un mondo diviso e ingiusto, la vostra famiglia scalabriniana, che oggi si presenta sempre più diversificata sotto il profilo delle appartenenze etniche e culturali, sappia porsi non soltanto come segno e testimonianza di un dialogo sempre possibile, ma anche come casa aperta per quanti cercano occasioni per l’incontro e la condivisione delle differenze.

4. La presenza di vostri religiosi in aree geografiche e tradizioni differenti e la singolarità del vostro impegno pastorale nel mondo della mobilità umana, spesso specchio dei bisogni e delle lacerazioni del mondo contemporaneo, richiedono da voi una particolare capacità di riproporre in modo nuovo ed incisivo il carisma del vostro Istituto. Perché lo spirito della Congregazione possa essere trasmesso e vissuto nella sua genuinità dalle nuove generazioni nella diversità delle culture e delle latitudini è necessario, come voi stessi osservate, elaborare quanto prima la ratio institutionis della vostra Congregazione, individuando in modo chiaro e dinamico il cammino da seguire in ordine alla piena assimilazione della spiritualità dell’Istituto. Infatti, “la ratio risponde oggi ad una vera urgenza: da un lato essa indica il modo di trasmettere lo spirito dell’Istituto perché sia vissuto nella sua genuinità dalle nuove generazioni, nella diversità delle culture e delle situazioni geografiche; dall’alto, illustra alle persone consacrate i mezzi per vivere il medesimo spirito nelle varie fasi dell’esistenza progredendo verso la piena maturità della fede in Gesù Cristo” (Vita consecrata VC 68). Alla ratio institutionis dovrà far seguito l’elaborazione di un progetto di formazione permanente, in modo da accompagnare ogni scalabriniano con un programma esteso all’intera esistenza (cfr ibid, 69).

Tali processi formativi, aiutandovi ad aderire con rinnovato e costante amore a Cristo, vi condurranno a cogliere con sapienza i segni di Dio nella storia e, mediante la testimonianza del vostro carisma, a renderne in qualche modo sensibile la presenza nel variegato e difficile mondo delle migrazioni.

L’ambito della mobilità umana, nel quale si esercita il vostro impegno di evangelizzazione e di promozione umana, si presenta particolarmente aperto ai carismi ed alle professionalità laicali. Sappiate valorizzare la collaborazione con i fedeli laici per rendere più incisiva la vostra presenza tra i migranti e per offrire loro un’immagine più articolata della Chiesa. Ciò ovviamente richiede da voi, religiosi, un particolare impegno a formare i laici alla maturità della fede, ad iniziarli alla vita della Comunità cristiana ed a portarli a condividere il carisma scalabriniano.

5. Carissimi Fratelli, alle soglie di un nuovo Millennio, mentre la Chiesa si prepara a celebrare i 2000 anni dell’Incarnazione del Figlio di Dio, desidero affidare i vostri propositi apostolici, le vostre decisioni capitolari e le vostre speranze di bene alla Madre del Signore, che il Beato Giovanni Battista Scalabrini scelse come modello della sua spiritualità e della sua azione apostolica. Maria, Donna libera perché piena di grazia, che abbandonò in fretta la sua terra e la sua casa per recarsi ad aiutare la cugina Elisabetta, vi doni la gioia di essere strumenti docili e generosi dell’annuncio del Vangelo ai poveri del nostro tempo e vi renda testimoni di speranza.

Con tali auspici, invocando la protezione del vostro Beato Fondatore, imparto con affetto all’intera Famiglia Scalabriniana, una speciale Benedizione Apostolica.

PAROLE DI SALUTO DI GIOVANNI PAOLO II


A S.E. MONS. GIUSEPPE PITTAU


SEGRETARIO DELLA CONGREGAZIONE


PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA


26 settembre 1998




Venerato Fratello,

Sono molto lieto di incontrarLa insieme con parenti e amici, nel giorno stesso in cui Ella si appresta a ricevere la consacrazione episcopale. PoterLa salutare di persona vale ad esprimere quanto soprattutto la preghiera realizza, cioè la vicinanza spirituale in un momento così carico di grazia. Mi è caro associarmi alla sua gioia ed a quella di quanti La stimano e Le vogliono bene; ed anche offrirLe il mio incoraggiamento per la responsabilità che il Signore sta per affidarLe.

Soprattutto, però, questa gradita circostanza mi offre l’opportunità di esprimerLe viva riconoscenza per il servizio che, in vari ambiti, Lei ha reso finora alla Chiesa. Sia nella lunga esperienza missionaria in Giappone, sia negli anni trascorsi al servizio dell’intera Compagnia di Gesù, che nel ministero di Rettore della Pontificia Università Gregoriana, come pure, più recentemente, nell’ufficio di Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, Ella ha dato sempre prova di grande fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, animato dallo spirito di sant’Ignazio di Loyola e favorito dalle belle virtù e capacità di cui la Provvidenza L’ha dotata.

Per questo ho voluto chiamarLa ad assumere un servizio di maggiore responsabilità nella Curia Romana, come Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica. In tale nuovo ruolo, Ella potrà mettere a frutto la competenza acquisita, corroborato dalla grazia sacramentale, che La configurerà pienamente a Cristo Pastore e Maestro, Via, Verità e Vita.

174 Le assicuro, caro Fratello, il mio personale ricordo e affido all’intercessione della Madonna, Regina degli Apostoli, le intenzioni e i propositi che Ella porta nel cuore. Saluto volentieri quanti Le sono cari e sono venuti quest’oggi a condividere la sua gioia. A tutti e a ciascuno il mio più cordiale benvenuto mentre volentieri imparto a Lei, venerato Fratello, ai presenti ed ai rispettivi familiari una speciale Benedizione Apostolica.

PAROLE DI GIOVANNI PAOLO II


AL 31° STORMO DELL’AERONAUTICA MILITARE ITALIANO


27 settembre 1998




Carissimi Ufficiali e Sottufficiali
del trentunesimo Stormo dell’Aeronautica Militare!

1. L’incontro, che ormai da diversi anni ho con voi e con le vostre famiglie qui a Castelgandolfo, al termine del mio soggiorno estivo, mi offre l’opportunità di salutare personalmente quanti mi hanno accompagnato nei miei spostamenti lungo la penisola italiana e di ringraziarli cordialmente per l’accortezza e la precisione con cui svolgono il loro apprezzato e generoso servizio.

Se il Papa può recarsi in varie località d'Italia per realizzare la sua missione papale, se può così rivolgere la sua parola a tante donne e uomini d'ogni età e condizione sociale recando loro conforto, nel nome di Cristo: se con la sua presenza può suscitare speranze, e richiamare ad ogni persona di buona volontà quei nobili valori umani e cristiani che fanno parte del patrimonio dell'intero popolo italiano, tutto ciò è reso possibile anche mediante la vostra disponibilità e il vostro costante impegno.

Un ringraziamento particolare rivolgo al vostro Comandante per essersi fatto interprete dei comuni sentimenti e per il dono della scultura che nel bronzo fonde artisticamente l’emblema del vostro lavoro e lo stile che lo caratterizza.

2. La mia gratitudine vuole manifestarsi anche in un segno visibile: sono le onorificenze pontificie che ho la gioia di conferire quest'oggi ad alcuni di voi, quale gesto di riconoscimento per tutti i membri del 31° Stormo dell’Aeronautica Militare.

Il mio affettuoso pensiero, va poi alle vostre famiglie: a voi, mogli, figlie e figli di questi uomini chiamati a svolgere un compito non certo facile. Voi siete per loro la “casa”, il punto di radicamento spirituale e fisico, il riferimento delle scelte, lo scopo dei progetti. Con la preghiera e la calda serenità dei rapporti familiari sosteneteli nell'adempimento del loro dovere, accompagnandoli nel loro cammino professionale.

3. “I cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l’opera delle sue mani” (Ps 19,1). Così canta l’antico salmista; e gli fa eco il grido della folla di Gerusalemme che accoglie Gesù la Domenica delle Palme: “Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli” (Lc 19,38).

La gloria di Dio, risplende nella bellezza del firmamento, rifulge in modo sublime nell’armonia dei cieli. Essa è simbolo di quella pace che Dio vive in sé e che vuole donare all’umanità, affinché la terra sia riempita della sua gloria (cfr. Nm Nb 14,21).

175 A voi, carissimi, che solcate i cieli rivolgo l'invito ad ascoltare la voce divina, silenziosa e potente, mentre vi esorto a fare del vostro lavoro quotidiano un servizio alla costruzione della pace.

Con tali sentimenti, invoco su tutti voi qui presenti la protezione della Vergine Maria, Regina dei cieli, ed imparto di cuore a ciascuno, alle vostre famiglie ed a quanti vi sono cari una speciale Benedizione Apostolica.

SALUTO DI GIOVANNI PAOLO II


AL SINDACO ED AI RAPPRESENTANTI


DELL’AMMINISTRAZIONE CITTADINA DI CASTEL GANDOLFO


28 settembre 1998


Al termine del mio soggiorno estivo a Castel Gandolfo, sono lieto di rinnovare questo familiare appuntamento con voi e di porgervi il mio cordiale saluto. Le sono grato, Signor Sindaco, per le parole che ha voluto rivolgermi a nome pure dell'Amministrazione Comunale.

Anche quest'anno mi è stata offerta fattiva collaborazione affinché, da una parte, la mia permanenza potesse svolgersi serena e tranquilla e, dall'altra, quanti venivano qui per incontrarmi trovassero un ambiente ordinato ed accogliente. Questo servizio, che tradizionalmente le autorità civili di Castel Gandolfo rendono al Vescovo di Roma, acquista un valore ed un significato ulteriori per lo spirito da cui è animato: spirito di cristiana consapevolezza del significato della missione del Successore di Pietro, che viene quindi accolto con devoto affetto e rispettosa confidenza.

Di tutto ciò, carissimi, ancora una volta rendo grazie a ciascuno di voi. Per il vostro cortese tramite, intendo inoltre rivolgere l'espressione della mia riconoscenza a tutti gli abitanti di Castel Gandolfo. Un pensiero di speciale gratitudine vorrei giungesse a quanti sono ammalati ed anziani, e offrono per il Papa e per il Suo ministero le loro quotidiane pene, avvalorate dalla preghiera.

Ora che questa estate eccezionalmente calda si è conclusa, rientro nella mia abituale sede, in Vaticano. Ma vi assicuro che non farò mancare alla cara comunità di Castel Gandolfo il mio ricordo nella preghiera: per le famiglie, per i giovani, per tutti e per ciascuno. Sono certo che anche voi e la cittadinanza continuerete a restarmi vicini.

Con tali sentimenti, di cuore rinnovo a ciascuno di voi la mia Benedizione, estendendola all'intera popolazione di Castel Gandolfo.


AL PELLEGRINAGGIO


DELLA DIOCESI DI BELLUNO-FELTRE


28 settembre 1998




Venerato Fratello nell'Episcopato,
Carissimi Sacerdoti, Religiose e Religiosi,
Carissimi Fedeli!

176 1. Siete qui convenuti da una terra che, se da secoli è legata al Successore di Pietro con i vincoli della fede, in questi ultimi anni ha ulteriormente arricchito questo rapporto con le sfumature dell'amicizia e della familiarità: non è stata forse la vostra diocesi a dare i natali al mio venerato predecessore, l'indimenticabile Papa Giovanni Paolo I? Io stesso, poi, in una casa inserita nell’incantevole territorio della diocesi ho potuto trascorrere riposanti giornate a contatto con la bellezza dei luoghi e la cordiale disponibilità della popolazione.

Ho già avuto modo di salutarvi e ringraziarvi durante la scorsa estate quando, a Lorenzago di Cadore, mi incontrai con una significativa rappresentanza della vostra diocesi, guidata dal vostro Vescovo Mons. Pietro Brollo, che anche oggi vi accompagna. A lui va il mio fraterno saluto con un sentito grazie per le calorose espressioni con cui ha interpretato i vostri sentimenti.

2. Nell'accogliervi oggi con affetto, mi è spontaneo riandare col pensiero non soltanto agli splendidi spettacoli dei vostri monti e delle vostre valli, ma anche alla storia delle donne e degli uomini che là hanno vissuto e continuano a vivere la loro vicenda umana e cristiana: una storia che si deve aprire sempre più all’azione dello Spirito di Dio, perché non si può restare affascinati dalla bellezza del creato senza impegnarsi anche nella trasformazione dei cuori e delle menti.

Nel suo disegno sapiente e armonioso, Dio vi ha collocati in quell'ambiente, affinché ne diveniate attenti custodi e solerti amministratori (cfr
Gn 2,8). Lì, nella vostra realtà quotidiana, Dio vi chiama alla comunione con il suo Figlio Gesù .Vi chiama a realizzare la Chiesa di Cristo: “città collocata sopra un monte” (cfr Mt 5,14). E' un progetto di vita costantemente guidato dalla forza e dalla dolcezza del suo Spirito, per fare della vostra comunità un segno e una possibilità concreta di dialogo, di animazione, di rinnovamento dell'ambiente umano circostante.

3. La Chiesa di Dio che è in Belluno-Feltre è inviata a compiere la sua missione nelle forme che corrispondono ai diversi carismi e ministeri suscitati in essa dallo Spirito Santo. Così, l'attività del Vescovo e dei Presbìteri, i quali nella loro persona ripresentano sacramentalmente il Cristo capo e maestro, sarà dedicata prevalentemente alla cura pastorale della comunità cristiana. L’impegno dei Diaconi e degli altri ministri ordinati costituirà un segno permanente del Cristo “che è venuto non per essere servito, ma per servire “(Mc 10,45). La presenza delle Religiose e dei Religiosi sarà un costante invito ad alzare lo sguardo “al di là della cerchia dei monti”, al di là dell'orizzonte terreno, nell'attesa dinamica delle realtà future e definitive.

In vista poi della trasformazione del mondo, emerge in modo specifico il ruolo dei laici, con i loro doni e i loro compiti. Di fronte al mondo di oggi, “in quest'ora magnifica e drammatica della storia” (Christifideles Laici CL 3), a voi, cari laici sensibili e generosi, ripeto l’appello che riecheggia la parabola evangelica: “Non è lecito a nessuno rimanere in ozio” (ivi). In una società così tragicamente segnata dall'indifferenza verso Dio e dal disprezzo verso la persona umana e la sua dignità, eppure così bisognosa di Dio e così desiderosa di giustizia e di pace (cfr. ivi, 4-6), “non è lecito a nessuno rimanere in ozio”!

Voi laici, “christifideles laici”, eredi di una grande storia di fede che vi precede e che vi è stata consegnata come il più prezioso dei doni, avete come vostro primo impegno la santificazione personale. Essa si realizzerà proprio nelle esperienze che siete chiamati a vivere, cioè nelle realtà del mondo (cfr. ivi, 17): la famiglia e i processi educativi, la scuola e i suoi indirizzi, l’apertura all’impegno sociale nelle varie forme di volontariato, l’attività politica, il lavoro e l’economia, la cultura e la comunicazione, il tempo libero e il turismo (cfr. ivi, 40-44), cioè i vari ambiti in cui concretamente si svolge la vostra esistenza.

Questo processo di santificazione richiederà, come suo indispensabile versante umano, un itinerario di formazione dottrinale, catechetico e culturale (ivi, 60), affinché la partecipazione alla storia del vostro ambiente sia sempre più cristianamente qualificata ed incisiva. E qui trova la sua più alta finalità l’azione costruttiva delle parrocchie e delle varie forme di aggregazione di cristiani: il loro scopo, infatti, è di preparare cristiani maturi inseriti nella società come il lievito nella pasta. Qui trova senso pieno la disponibilità, offerta da molti laici nella prospettiva della missione diocesana per il Giubileo, a diventare annunziatori del Cristo Redentore, affinché le porte delle case e dei cuori si aprano alla salvezza.

4. Come non pensare, in questo contesto, a un testimone che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia? Intendo alludere, voi l'avete capito, al Papa Giovanni Paolo I, che venti anni or sono, proprio in questo giorno, chiudeva gli occhi al mondo per aprirli alla luce dell'eternità. La sua memoria è tuttora molto viva nei nostri cuori. Ricordo che, nel primo anno del mio pontificato, volli rendergli omaggio recandomi a Canale d'Agordo, suo paese natale. Successivamente, nel 1988, decennale della sua morte, visitai il "Centro di spiritualità e di cultura" a lui intitolato.

Ed ora, nel ventennale della sua scomparsa, avete voluto compiere il vostro pellegrinaggio alla sede di Pietro nella memoria di Giovanni Paolo I, per iniziare nella preghiera e nel raccoglimento la grande Missione a cui ho accennato. L’esempio e l’insegnamento di lui, che dalla vostra terra raccolse il “sorriso di Dio” per donarlo all’umanità, diventino stimolo per l’”impegno nella fede”, l’”operosità nella carità”, la “costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo” (cfr. 1Th 1,3).

Con questo augurio, a tutti imparto di cuore la Benedizione Apostolica.


AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI


PROMOSSO DALLA “LUX VIDE” SUL LINGUAGGIO BIBLICO


NELLA COMUNICAZIONE CONTEMPORANEA


177
28 settembre 1998




Illustri Signori,
Gentili Signore!

1. Sono lieto di accogliervi in occasione del Convegno Internazionale di Studi sul tema “Biblical language and contemporary communication”, organizzato dalla "Lux Vide". Ringrazio il Dottor Ettore Bernabei, Presidente della Società Lux, per le cortesi parole che mi ha indirizzato a nome di tutti voi. Rivolgo un cordiale saluto a ciascuno dei presenti, studiosi di esegesi biblica ed esperti dei moderni mezzi di comunicazione sociale, che prendono parte a questo interessante Congresso.

La vostra visita mi offre la gradita opportunità di esprimere stima ed apprezzamento per il vostro qualificato impegno di approfondimento e di diffusione del messaggio biblico presso il grande pubblico attraverso i potenti mezzi della comunicazione, in particolare mediante il cinema e la televisione. Si tratta di un servizio di alto valore umano e spirituale, che merita di essere sempre più amplificato e perfezionato. Ecco perché un convegno internazionale di studi su questo tema non può non attrarre l’attenzione. Esso, infatti, si inscrive provvidenzialmente all’interno dei molteplici tentativi ermeneutici che oggi a vari livelli conducono a sempre nuove forme di attualizzazione del testo sacro.

2. L'incontro tra la Rivelazione divina ed i moderni mezzi di comunicazione sociale, quando è condotto nel rispetto della verità dei contenuti biblici e nella correttezza dell'uso dei mezzi tecnici, è portatore di abbondanti frutti di bene. Da una parte, infatti, esso comporta un'elevazione dei mass-media ad un compito tra i più nobili, che in qualche misura li riscatta da usi improprii e a volte banalizzanti. Dall'altra, offre possibilità nuove e straordinariamente efficaci per avvicinare il grande pubblico alla Parola di Dio comunicata per la salvezza di tutti gli uomini.

Va subito notato che alla natura della Sacra Scrittura appartengono due fattori fondamentali fra loro diversi, ma mutuamente ed intimamente connessi. Essi sono, da un lato, la dimensione assolutamente trascendente della Parola di Dio, e, dall’altro, quella ugualmente importante della sua inculturazione. A causa della prima caratteristica, la Bibbia non è riconducibile a sola parola di uomo, e quindi a mero prodotto culturale. A causa, però, della seconda caratteristica, essa partecipa inevitabilmente e in maniera profonda della storia dell’uomo, riflettendone le coordinate culturali.

Proprio per questo - ecco la conseguenza importante - la Parola di Dio ha “la capacità di propagarsi nelle altre culture, in modo da raggiungere tutte le persone umane nel contesto culturale in cui vivono”. E’ quanto ha ricordato opportunamente l’Istruzione della Pontificia Commissione Biblica su “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” (Parte IV, B, Città del Vaticano 1993, p. 108), la quale specifica: “L’importanza sempre crescente dei mezzi di comunicazione di massa ("mass-media"), stampa, radio, televisione, esige che l’annuncio della Parola di Dio e la conoscenza della Bibbia siano propagati attivamente con questi strumenti. Gli aspetti molto particolari di questi ultimi e, d’altra parte, la loro influenza su un pubblico vasto richiedono per la loro utilizzazione una preparazione specifica che permetta di evitare pietose improvvisazioni, nonché effetti spettacolari di cattivo gusto” (Ivi, Parte IV, C, 3, p. 116).

3. Questo provvidenziale incontro tra la Parola di Dio e le culture umane è contenuto già nell'essenza stessa della rivelazione e rispecchia la "logica" dell'Incarnazione. Come sottolinea il Concilio nella Costituzione dogmatica Dei Verbum, "le Parole di Dio espresse con lingue umane si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell'eterno Padre, avendo assunto le debolezze della umana natura, si fece simile agli uomini" (n. 13).

Tale principio generale trova una propria specifica applicazione nell'ambito dei mezzi di comunicazione di massa. Si tratta di favorire il passaggio o, più precisamente, la trasposizione da una forma di linguaggio ad un'altra: dalla parola scritta, ampiamente sedimentata nel cuore dei credenti e nella memoria di un gran numero di persone, alla comunicazione visiva della "fiction" filmica, apparentemente più superficiale ma, sotto certi aspetti, perfino più potente ed incisiva di altri linguaggi.

Al riguardo, i tentativi succedutisi fino agli anni più recenti, e fra i quali si inserisce il vostro qualificato lavoro, sono degni di attenzione perché raggiungono in non pochi casi un notevole livello artistico. Sono perciò lieto di esprimere il mio cordiale apprezzamento per questo rinnovato interesse cinematografico sia per l'Antico che per il Nuovo Testamento, soprattutto perché, pur nelle sue varie trasposizioni filmiche inevitabilmente parziali, vostro intento è di presentare la Bibbia nella sua globalità. Esso contribuisce a mantenere viva nelle persone quella "fame" e quella "sete" della Parola di Dio, che il profeta Amos indicava come presente in modo crescente sulla terra (cfr
Am 8,11).

178 Memore delle parole dell’Apostolo “purché in ogni maniera ... Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene” (Ph 1,18), auspico che il vostro servizio a favore di una sempre maggiore diffusione del messaggio biblico prosegua con rinnovato impegno, nell'intento di produrre opere che all'aspetto artistico sappiano unire un profondo afflato religioso, in grado di suscitare negli spettatori non soltanto ammirazione estetica, ma anche partecipazione interiore e maturazione spirituale.

Mentre, pertanto, affido le vostre persone e tutte le vostre attività alla celeste protezione di Maria, Madre del Verbo Incarnato, assicuro il mio costante ricordo nella preghiera e tutti di cuore benedico.


GIOVANNI PAOLO II


AI PATRIARCHI DELLE CHIESE ORIENTALI CATTOLICHE


29 settembre 1998




1. “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo” (Ep 1,3), che ci ha riuniti in questo giorno per mezzo del suo Santo Spirito, per sperimentare “quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!” (Ps 132,1).

Siamo tutti profondamente coscienti della solennità e dell’importanza di questo nostro odierno incontro. Quando il mio Predecessore Papa Leone XIII di venerata memoria, che tanto operò per l’Oriente cattolico, incontrò i Patriarchi orientali cattolici il 24 ottobre 1894, a loro si rivolse con queste parole, che oggi faccio mie: “A darvi una prova non dubbia del nostro affetto vi abbiamo chiamati a Roma, desiderosi di conferire con Voi, desiderosi di rialzare il prestigio dell’autorità patriarcale”.

Un lungo cammino si è percorso da quel giorno. Il momento forse più fecondo di tale processo si è avuto con il Concilio Vaticano II, al quale alcuni di Voi hanno avuto la gioia di partecipare, per farvi risuonare la voce dell’Oriente cristiano.

Nella linea indicata dal Concilio, il 18 ottobre 1990 ho voluto che fosse promulgato il Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium, per sancire la specificità delle Chiese d’Oriente che già sono in comunione piena con il Vescovo di Roma, successore dell’Apostolo Pietro.

Tre anni or sono ho inteso riproporre la mia venerazione per i tesori delle Chiese d’Oriente nella Lettera apostolica Orientale Lumen, “perché sia restituita alla Chiesa e al mondo la piena manifestazione della cattolicità della Chiesa, espressa non da una sola tradizione, né tanto meno da una comunità contro l’altra; e perché anche a noi tutti sia concesso di gustare in pieno quel patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa universale che si conserva e cresce nella vita delle Chiese d’Oriente come in quelle d’Occidente” (n. 1).

La medesima stima e lo stesso amore che dettavano quelle parole, mi hanno spinto a volere l’odierno incontro con le Chiese orientali cattoliche nelle Vostre Persone, di Voi che ne siete i Patriarchi e le presiedete “come padri e capi” (OE 9).

Il Grande Giubileo si avvicina e ci spinge tutti ad annunciare il Vangelo della salvezza, “in ogni occasione, opportuna e non opportuna” (2Tm 4,2): “Ascoltiamo insieme l’invocazione degli uomini che vogliono udire intera la Parola di Dio. Le parole dell’Occidente hanno bisogno delle parole dell’Oriente perché la Parola di Dio manifesti sempre meglio le sue inesauribili ricchezze” (Orientale Lumen, 2)

2. Le Chiese orientali cattoliche sono, con le altre Chiese d’Oriente, le testimoni viventi delle tradizioni che risalgono attraverso i Padri agli Apostoli (OE 1); questa loro tradizione “costituisce parte del patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa universale” (ibid.).

179 La Chiesa, ad immagine della Trinità Santa, è mistero di vita e di comunione, Sposa del Verbo incarnato, dimora di Dio. Per pascere e reggere la sua Chiesa, il Signore Gesù ha scelto i Dodici ed ha voluto che i Vescovi, loro successori, fossero pastori del popolo di Dio nel suo pellegrinaggio verso il Regno, sotto la guida del successore del Corifeo degli Apostoli (cfr LG 18).

Nell’ambito di questa comunione “per divina Provvidenza è avvenuto che varie Chiese, in vari luoghi fondate dagli Apostoli e dai loro successori, durante i secoli si siano costituite in molti gruppi, organicamente uniti, i quali, salva restando l’unità della fede e l’unica divina costituzione della Chiesa universale, godono di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un patrimonio teologico e spirituale proprio. Alcune fra esse, soprattutto le antiche Chiese patriarcali, quasi matrici della fede, ne hanno generate altre a modo di figlie, colle quali restano fino ai nostri tempi legate da un più stretto vincolo di carità nella vita sacramentale e nel mutuo rispetto dei diritti e dei doveri” (LG 23).

Il Concilio, pur consapevole delle divisioni verificatesi nel corso dei secoli e nonostante non sia ancora completo il ristabilimento della comunione fra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse, non ha esitato a dichiarare che le Chiese d’Oriente “hanno potestà di regolarsi secondo le proprie discipline, come più consone all’indole dei loro fedeli e più adatte a provvedere al bene delle anime” (UR 167 UR, 167 e OE 9).

Ciò non vale forse sin da ora per le vostre Chiese, che già sono in comunione piena con il Vescovo di Roma? E non va riaffermato anche per quanto riguarda i diritti e i doveri dei Patriarchi, che ne sono padri e capi? Le vostre Chiese rappresentano nel seno della Chiesa cattolica quell’Oriente cristiano, verso il quale non cessano di tendersi le nostre braccia per l’incontro fraterno della piena comunione. Le Chiese orientali cattoliche offrono, nei territori propri e nella diaspora, le loro ricchezze liturgiche, spirituali, teologiche e canoniche specifiche. Voi, che ne siete i capi, avete ricevuto dallo Spirito Santo la vocazione e la missione di conservare e promuovere tale patrimonio specifico, perché il Vangelo sia donato con sempre maggiore abbondanza alla Chiesa e al mondo. E il Successore di Pietro ha il dovere di assistervi e di aiutarvi in questa missione.

3. “I Patriarchi coi loro Sinodi costituiscono la superiore istanza per qualsiasi negozio del patriarcato” (OE 9). La collegialità episcopale, in effetti, trova nell’ordinamento canonico delle vostre Chiese un esercizio particolarmente significativo. I Patriarchi infatti agiscono in stretta unione con i loro Sinodi. Fine di ogni autentica sinodalità è la concordia, affinché la Trinità sia glorificata nella Chiesa.

Voi credete, miei cari Fratelli in Cristo, che “tra tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, la Chiesa cattolica è consapevole di aver conservato il ministero del Successore dell’Apostolo Pietro, il Vescovo di Roma, che Dio ha istituito quale perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità” (LG 23) e che lo Spirito sostiene perché di questo essenziale bene renda partecipi tutti gli altri” (Ut unum sint UUS 88). Si tratta “di un atteggiamento che la Chiesa di Roma ha sempre sentito quale parte integrante del mandato affidato da Gesù Cristo all’apostolo Pietro: confermare i fratelli nella fede e nell’unità (cfr Lc 22,32)... Questo impegno porta nella sua radice la convinzione che Pietro (cfr Mt 16,17-19) intende porsi al servizio di una Chiesa unita nella carità” (Orientale Lumen, 20).

La vostra presenza qui, questo nostro incontro di oggi, è la testimonianza viva di questa comunione fondata sulla Parola di Dio e sull’obbedienza ad essa da parte della Chiesa.

4. Voi siete particolarmente consapevoli di quanto questo ministero petrino di unità costituisca, come ebbi modo di scrivere nell’Enciclica Ut unum sint “una difficoltà per la maggior parte degli altri cristiani, la cui memoria è segnata da certi ricordi dolorosi” (n. 88). Nella stessa Lettera enciclica ho invitato le altre Chiese a stabilire con me un dialogo fraterno e paziente sulle modalità per l’esercizio di tale ministero di unità (cfr nn. 96-97). Questo invito è rivolto con tanta maggiore insistenza ed affetto a Voi, venerati Patriarchi delle Chiese orientali cattoliche. Spetta anzitutto a Voi ricercare, insieme con noi, le forme più adatte perché questo ministero possa realizzare un servizio di carità da tutti riconosciuto. Io vi chiedo di prestare questo aiuto al Papa, in nome di quella responsabilità nella ricomposizione della piena comunione con le Chiese ortodosse (cfr OE 24), che vi viene dall’essere i Patriarchi di Chiese che con l’Ortodossia condividono tanta parte del patrimonio teologico, liturgico, spirituale e canonico. In questo stesso spirito e per la medesima ragione desidero che le vostre Chiese siano pienamente associate al dialogo ecumenico della carità ed a quello dottrinale, sia a livello locale che universale.

5. In armonia con la tradizione trasmessa sin dai primi secoli, le Chiese patriarcali occupano un posto unico nella comunione cattolica. Basti pensare che in esse l’istanza superiore per qualsiasi pratica, non escluso il diritto di eleggere i Vescovi entro i confini del territorio patriarcale, è costituita dai Patriarchi con i loro Sinodi, salvo restando il diritto inalienabile del Romano Pontefice di intervenire “in singulis casibus” (cfr OE 9).

Il ruolo particolare delle Chiese Orientali cattoliche corrisponde a quello rimasto vuoto per la mancanza di comunione completa con le Chiese ortodosse. Sia il Decreto Orientalium Ecclesiarum del Concilio Vaticano II, sia la Costituzione apostolica Sacri Canones (pp. IX-X) che ha accompagnato la pubblicazione del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, hanno messo in evidenza come la situazione presente, e le regole che ad essa sovrintendono, siano proiettate verso l’auspicata, piena comunione tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse.

La vostra collaborazione con il Papa e tra di voi potrà mostrare alle Chiese ortodosse che la tradizione della “sinergia” fra Roma e i Patriarcati si è mantenuta - pur se limitata e ferita - e forse anche sviluppata per il bene dell’unica Chiesa di Dio, diffusa su tutta le terra.

180 Nello stesso spirito è egualmente importante che le Chiese d’Oriente, soggette in questi tempi ad un considerevole flusso migratorio, conservino il posto d’onore che loro spetta nei propri paesi e nella “sinergia” con la Chiesa di Roma, come anche nei territori dove i loro fedeli fissano la loro dimora.

6. Nel ristabilimento dei diritti e privilegi dei Patriarchi orientali cattolici auspicato dal Concilio, è preziosa l’indicazione che ci offre il Decreto Orientalium Ecclesiarum: “Questi diritti e privilegi sono quelli che vigevano al tempo dell’unione dell’Oriente e dell’Occidente, anche se devono essere alquanto adattati alle odierne condizioni” (n. 9). Anche il Concilio di Firenze, dopo aver affermato il primato del Vescovo di Roma, cosi proseguiva: “Noi rinnoviamo, inoltre, l’ordine degli altri venerabili Patriarchi come è fissato dai canoni, in modo che il Patriarca di Costantinopoli sia il secondo dopo il santissimo Papa di Roma, quello di Alessandria il terzo, quello di Antiochia il quarto, e quello di Gerusalemme il quinto, senza pregiudizio di tutti i loro privilegi e diritti". Sono certo che la Sessione Plenaria della Congregazione per le Chiese Orientali, che prevede tra gli argomenti di studio anche questo, possa fornirmi utili suggerimenti in tal senso.

Venerati Fratelli in Cristo, la forza evangelizzatrice delle vostre Chiese Patriarcali costituisce, alla soglia del Grande Giubileo, una sfida senza uguali per un annuncio fedele e aperto del Vangelo, e per il rinnovamento della vita e della missione della Chiesa, e delle vostre Chiese. Lo Spirito e la Chiesa pregano: “Vieni, Signore Gesù” (
Ap 22,20).

La Santa Vergine Maria ci ottenga tutto ciò con la sua intercessione. Noi vogliamo invocarla con le parole di un antico inno copto, che è poi entrato nella devozione della Chiesa bizantina e di quella latina:

“Sotto la tua misericordia ci rifugiamo, Madre di Dio.
Non disprezzare le nostre suppliche nelle angustie,
ma dal pericolo salvaci, sola pura, sola benedetta”.

Quale pegno del mio affetto, a tutti imparto la mia Benedizione.

                                                                    Ottobre 1998


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