GP2 Discorsi 1998 240


GIOVANNI PAOLO II


ALLA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE


PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI


20 novembre 1998

Signori Cardinali,

Venerati Fratelli nell’Episcopato,
241 Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di porgere il mio cordiale benvenuto a tutti voi, membri della Plenaria ed Officiali del Dicastero per l’Evangelizzazione dei Popoli. Ringrazio il Signor Cardinale Jozef Tomko per le gentili espressioni che ha voluto rivolgermi, a nome anche dei presenti. Saluto ciascuno di voi e vi ringrazio per il generoso impegno con il quale operate a favore della diffusione del messaggio evangelico.

Il tema della vostra Plenaria, quest’anno, tratta della “Dimensione missionaria degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica”. Argomento della massima importanza ed attualità, esso si immette nel solco degli insegnamenti contenuti nell’Enciclica Redemptoris missio e nell'Esortazione apostolica Vita consecrata.

Giustamente avete focalizzato le vostre riflessioni sul ruolo della vita consacrata nella missione ad gentes. Grande è, infatti, il contributo offerto all'evangelizzazione da questo vasto stuolo di monaci, religiosi, membri di Istituti di vita religiosa e missionaria, di Società di vita apostolica. Nell'ultimo secolo anche le religiose si sono inserite in gran numero nel dinamismo missionario, manifestando con il loro peculiare carisma il volto misericordioso di Dio e il cuore materno della Chiesa.

La storia di ogni popolo è stata toccata dalla presenza dei consacrati, dalla loro testimonianza, dalla loro attività caritativa ed evangelizzatrice, dal loro sacrificio. E tutto questo non è solo storia del passato. Nei territori di missione, numerosi sono ancora i sacerdoti religiosi; con le religiose ed i fratelli essi costituiscono la maggioranza delle forze vive per la missione. Nei paesi dove è ripresa recentemente la presenza della Chiesa, sono ancora i religiosi a raggiungere la prima linea della proclamazione del Vangelo a tutti i popoli.

Vorrei, quest'oggi, rinnovare ai religiosi ed alle religiose il più vivo e grato incoraggiamento. Carissimi, il Papa e la Chiesa intera contano su di voi soprattutto per la missione ad gentes, che costituisce il compito primordiale e il paradigma di tutta la missione della Chiesa (cfr Redemptoris missio
RMi 34,66).

2. Alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, sono tanti i segni dello Spirito che incidono sulla vita consacrata stessa e sul suo ruolo missionario. Grazie anche ai Sinodi, nella Chiesa si è presa maggior coscienza della vocazione missionaria che investe i vari stati di vita: cristiani laici, ministri ordinati, consacrati. Questi stati, all'interno della comunità cristiana, sono necessari e complementari: ecco perché vanno promossi ed incoraggiati nella reciproca comunione.

Inoltre, negli anni del post-Concilio, i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica si sono impegnati con generosità nel rinnovamento proposto dalla Chiesa e nell'approfondimento dei loro carismi specifici. Hanno così riscoperto la dimensione missionaria insita nella costituzione e nella prassi di ognuno di essi.

Rendiamo, poi, grazie al Signore, perché le vocazioni alla vita consacrata nelle sue diverse forme sono in netto aumento nelle giovani Chiese, facendo sperare bene per il futuro della missione. I religiosi e le religiose, generati da quelle Chiese, mettono a disposizione la loro fattiva presenza e contribuiscono all’opera missionaria universale.

Anche i Vescovi, Pastori del popolo cristiano, animatori della comunione ecclesiale e propulsori dell'impegno pastorale, hanno in questi anni percepito con più chiarezza il loro ruolo di custodi e promotori dei carismi della vita consacrata. Come scrivevo nella citata Esortazione apostolica Vita consecrata: "I Vescovi nel Sinodo lo hanno più volte confermato: de re nostra agitur, è cosa che ci riguarda. In realtà, la vita consacrata si pone nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo per la missione" (n. 3). A tale proposito, rivolgo un appello pressante ai Vescovi che hanno la responsabilità di Istituti diocesani, numerosi in molti territori di missione, affinché dedichino speciali attenzioni per la formazione e la crescita spirituale dei candidati.

3. Nonostante i grandi progressi sinora compiuti, i bisogni per la missione ad gentes rimangono tuttora immensi e urgenti. Scrivevo nella Redemptoris missio:"L'attività missionaria rappresenta ancor oggi la massima sfida per la Chiesa. Mentre si avvicina la fine del secondo millennio della Redenzione, si fa sempre più evidente che le genti che non hanno ancora ricevuto il primo annunzio di Cristo sono la maggioranza dell'umanità" (n. 40). Ed aggiungevo: "Il nostro tempo, con l'umanità in movimento e in ricerca, esige un rinnovato impulso nell'attività missionaria della Chiesa. Gli orizzonti e le possibilità della missione si allargano, e noi cristiani siamo sollecitati al coraggio apostolico, fondato sulla fiducia nello Spirito" (ibid., 30). Anche in occasione della nomina di Vescovi in alcune Diocesi, specie di Asia, mi rendo conto che la missione è ancora agli inizi.

242 La missione ad gentes, all'alba del terzo millennio, domanda un rinnovato slancio e nuovi missionari, interpellando tra i primi, in forza della loro vocazione, proprio i consacrati. Lo sottolineavo nella menzionata Esortazione apostolica: "Anche oggi questo dovere continua a chiamare in causa con urgenza gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica: l'annuncio del Vangelo di Cristo attende da loro il massimo contributo possibile. Anche gli Istituti che sorgono o operano nelle giovani Chiese sono invitati ad aprirsi alla missione fra i non cristiani, all'interno e fuori della loro patria. Nonostante le comprensibili difficoltà, è bene ricordare a tutti che come «la fede si rafforza donandola» così la missione rafforza la vita consacrata, le dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni, sollecita la sua fedeltà. Da parte sua, l'attività missionaria offre larghi spazi per accogliere le svariate forme di vita consacrata" (Vita consecrata VC 78).

Invito, quindi, gli Istituti di speciale consacrazione ad impegnarsi ancor più nella missione ad gentes, persuaso che questo ardore missionario attirerà loro vocazioni autentiche e sarà lievito per l'autentico rinnovamento delle comunità.

Mi dirigo ora a voi, cari Pastori di Chiese antiche e giovani, chiedendovi non solo di coltivare la vita consacrata, ma anche di animarla in tal senso. Gli Istituti esclusivamente missionari attendono di essere confermati e incoraggiati nella prima evangelizzazione e nell'animazione missionaria (cfr Redemptoris missio, RMi 65-66); le religiose e i religiosi, tanto contemplativi che attivi, hanno bisogno di essere animati a "prestare l'opera loro in modo speciale nell'azione missionaria con lo stile proprio dell'Istituto" (CIC, can. CIC 783 CIC, can. 783; Redemptoris missio RMi 69); le persone consacrate, insieme con i sacerdoti diocesani e i laici, vanno incoraggiate ad impegnarsi nella missione ad gentes, anche se per periodi limitati del loro ministero (cfr Redemptoris missio RMi 67-68).

E' la Chiesa tutta intera che ha bisogno di questo fiorente impegno apostolico. L'evangelizzazione e l'opera missionaria costituiscono, infatti, l’iniziale e fondamentale contributo che essa offre all'umanità.

4. E' chiaro che la missione non consiste e non si esaurisce in una attività meramente organizzativa, ma è strettamente collegata all'universale vocazione alla santità (cfr Redemptoris missio RMi 90). Ciò vale per ogni cristiano e, a maggior ragione, per quei cristiani che vivono la loro fede condividendo il progetto di un Istituto di vita consacrata o di una Società di vita apostolica. Essi sono chiamati ad un rapporto intimo con Dio che è amore (cfr Vita consecrata VC 84). La professione religiosa domanda loro una conformazione sempre più integrale e visibile a Cristo casto, povero e obbediente (cfr ibid., 93). La vita comunitaria li spinge a vivere la comunione ed essere segni e strumenti di unità nel Popolo di Dio (cfr ibid., 51), mentre il servizio ecclesiale li interpella alla coerenza tra la vita e l'attività apostolica (cfr ibid., 85).

"Tendere alla santità": ecco, in sintesi, il programma di ogni vita consacrata. "Lasciare tutto per Cristo, preferendo Lui ad ogni cosa, per poter partecipare pienamente al Suo mistero pasquale" (ibid., 93): ecco il senso di una sequela capace di coinvolgere e trasformare la persone.

A questo programma e a questa sequela le comunità di vita consacrata, anche nelle giovani Chiese, dedicheranno la loro più grande attenzione e diventeranno oasi e "scuole di vera spiritualità evangelica", indicando a se stesse, agli altri fedeli ed al mondo i valori definitivi e le mete ultime del cammino umano.

Mentre affido alla protezione di Maria Santissima, Regina degli Apostoli, questa vostra Plenaria, invoco la sua materna assistenza su tutti i consacrati e le consacrate coinvolti nell'azione missionaria in ogni angolo della terra.

A tutti ed a ciascuno assicuro il mio ricordo nella preghiera e volentieri imparto loro una speciale Benedizione Apostolica.




GIOVANNI PAOLO II


AI VESCOVI DELL'AUSTRIA


IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"


20 Novembre 1998

Signor Cardinale,

243 Venerati Fratelli nell'Episcopato!

1. La grazia del Signore Nostro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi e con ciascuno di voi! Sono lieto di potervi ricevere in occasione della vostra visita ad limina. Il pellegrinaggio alle tombe dei Principi degli Apostoli è un momento significativo nella vita di ciascun Pastore. Infatti, gli offre la possibilità di esprimere la sua comunione col Successore di Pietro e di condividere con lui le sollecitudini e le speranze connesse col ministero episcopale.

L'"affectus collegialis" ci riunisce nella preghiera, nella celebrazione eucaristica, nella fraterna riflessione sui problemi pastorali più urgenti, mossi tutti dalla volontà di cogliere la voce del Signore in mezzo alla molteplicità di voci e opinioni umane, così da rispondere sempre più efficacemente alle Sue aspettative. Al Successore di Pietro è stata affidata la missione di confermare nella fede i suoi fratelli (cfr. Lc
Lc 22,32) e di essere, nella Chiesa, "il principio e fondamento perpetuo e visibile dell'unità di fede e di comunione" (Lumen gentium LG 18), della quale peraltro tutti i Vescovi, insieme con lui, sono a modo proprio responsabili.

2. Pochi mesi fa questa mia sollecitudine pastorale mi ha spinto a fare a voi, Pastori, ed ai fedeli a voi affidati in Austria una terza Visita Pastorale. In quell'occasione ho richiamato la vostra attenzione su un tema che appare particolarmente urgente nella Chiesa del vostro amato Paese: il vero senso del dialogo all'interno della Chiesa. Esponendovi alcuni criteri che caratterizzano il dialogo come esperienza spirituale, ho messo allora in luce alcuni rischi capaci di renderlo inconcludente. E’ stata mia cura particolare, allora, di incoraggiarvi a sviluppare all'interno della Chiesa un dialogo di salvezza: "Questo si colloca sempre per tutti gli interlocutori sotto la luce della parola di Dio. Esso presuppone, pertanto, un minimo di accordo e di unione di base. È la fede viva trasmessa dalla Chiesa universale che rappresenta la base del dialogo per tutte le parti" (Discorso ai Vescovi austriaci a Vienna, 21 giugno 1998, 7).

3. Sono lieto che un vero dialogo a tutti i livelli, nelle Chiese particolari a voi affidate, sia diventato l'impegno più urgente della vostra sollecitudine pastorale e che abbiate cercato di coinvolgere tutti i fedeli.

Proprio questo ci offre lo spunto per la nostra riflessione odierna: vorrei intrattenermi con voi sulla comunione. Essa è il presupposto del dialogo. Per questo, nel discorso poc’anzi citato, accennavo alla necessità di un "minimo di accordo e di unione di base" per poter affrontare un dialogo costruttivo. Al tempo stesso, la comunione è anche frutto del dialogo: se il confronto è sincero ed aperto e se gli interlocutori hanno una piattaforma di convinzioni comuni, il colloquio può facilmente portare ad un approfondimento della reciproca intesa. Il dialogo di salvezza deve svolgersi nella comunione della Chiesa. Senza questa convinzione basilare, si corre il rischio che esso si perda in una superficiale esperienza di convivialità disimpegnata.

4. In questo contesto, conviene guardare con gli occhi del Concilio Vaticano II all'indole e alla missione della Chiesa. Sfogliando i numerosi documenti conciliari che illustrano i vari aspetti della Chiesa, ci si imbatte in una prospettiva che merita di essere sottolineata. Proprio in tema di comunione i testi conciliari non trattano all'inizio tanto le questioni organizzative della Chiesa: le strutture, le competenze, i metodi. Essi si soffermano piuttosto sulla res, dalla quale nasce la Chiesa e per la quale essa vive. I testi parlano della Chiesa come di un mistero. Riscoprire questo mistero della Chiesa e tradurlo nella vita ecclesiale, ecco l'"aggiornamento" spesso ribadito dal Concilio. Un tale aggiornamento non ha niente a che vedere né con l'adeguamento della verità salvifica alla moda del momento né con una spiritualizzazione ingenua della Chiesa nell'evanescenza di un mistero ineffabile.

Ricordo l’impressione che in molti Padri suscitò il titolo "De Ecclesiae mysterio" nel primo capitolo della Lumen gentium. Per tanti questa espressione risultò allora così sconosciuta quanto lo è oggi nuovamente per più di qualcuno. Questo "mistero" significa una trascendente realtà salvifica che si manifesta in maniera visibile nella storia. Per il Concilio il mistero della Chiesa consiste nel fatto che attraverso Cristo noi abbiamo accesso al Padre in un solo Spirito per partecipare così alla stessa natura divina (cfr. Lumen gentium LG 3-4 Dei Verbum DV 1). La comunione della Chiesa è, quindi, modellata, realizzata e sostenuta dalla comunione del Dio Uno e Trino. La Chiesa è, in un certo senso, l'icona della comunione trinitaria di Padre, Figlio e Spirito Santo.

5. A prima vista queste definizioni potrebbero sembrare lontane dalle sollecitudini pastorali di chi è a contatto con i problemi concreti del Popolo di Dio. Sono certo che voi convenite con me nel ritenere tale impressione infondata. Chi prende sul serio la Chiesa come realtà salvifica si rende conto che essa non è tale per virtù propria. Una Chiesa concepita esclusivamente come comunità umana non sarebbe in grado di trovare risposte adeguate all'anelito umano verso una comunione capace di sostenere e dare senso alla vita. Le sue parole ed azioni non potrebbero reggere di fronte alla gravità delle questioni che pesano sui cuori umani. Infatti, l'essere umano anela a qualcosa che lo trascenda, che superi tutte le vedute umane smascherandole nella loro finitezza insoddisfacente. La Chiesa come mistero ci consola e ci incoraggia allo stesso tempo. Essa ci trascende e, come tale, può diventare ambasciatrice di Dio. Nella Chiesa l'autocomunicazione di Dio si offre al desiderio dell'uomo di incontrare la piena realizzazione di se stesso.

6. A questo punto si pone la questione di Dio - forse il problema più serio con cui voi, Pastori in Austria, dovete misurarvi. Anche se la questione di Dio non viene proposta così chiaramente in pubblico, essa muove lo stesso i cuori umani. Purtroppo ad essa si risponde oggi spesso con l'ateismo mascherato o con l'indifferenza ostentata. Sono atteggiamenti, questi, dietro ai quali si nasconde il desiderio di costruire la serenità e la comunione umana anche senza Dio. Ma questi tentativi non danno e non possono dare risultati soddisfacenti. Guai se la Chiesa fosse troppo impegnata nelle questioni temporali, così da non trovare il tempo per occuparsi delle tematiche che toccano l'eterno!

E' urgente oggi promuovere il rinnovamento della dimensione spirituale della Chiesa. Le questioni riguardanti la struttura della Chiesa scivolano automaticamente in secondo piano, quando la questione decisiva di Dio viene inserita nell'ordine del giorno del dibattito ecclesiale. Tale questione vuol essere trattata con pazienza in un sincero dialogo di salvezza con gli uomini e le donne all'interno e fuori della Chiesa. Nella Chiesa-mistero si trova anche la chiave della nostra missione di Vescovi a servizio del Popolo di Dio. La prima domanda che ci può essere rivolta come Pastori non è: "Che cosa avete programmato?", ma: "Chi avete condotto alla comunione con Dio Uno e Trino?".

244 7. Questa riflessione illumina la Chiesa come mistero, ponendola in rapporto con la partecipazione ai doni salvifici di Dio. E qui l'Eucaristia assume un particolare significato. Non a caso l'accostamento alla Mensa eucaristica viene anche chiamata "comunione". Di proposito Sant'Agostino ha qualificato l'Eucaristia come "segno dell'unità e vincolo della carità" (In Ioannis Evangelium Tractatus, XXVI, VI, 13). A questo si sono riferiti i Padri conciliari quando hanno visto la comunione ecclesiale ancorata alla comunione eucaristica: "Partecipando realmente al corpo del Signore nella frazione del pane eucaristico, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi" (Lumen gentium LG 7).

8. A questo punto non posso nascondere due gravi preoccupazioni, che emergono da certi dati negativi: quelli relativi, da una parte, alla partecipazione alla Celebrazione eucaristica e, dall'altra, alla mancanza di vocazioni. Mentre esprimo il mio apprezzamento per tutto ciò che voi fate a tutela della Domenica nella vita sociale ed economica, sento il dovere di esortarvi a richiamare instancabilmente e con fermezza i fedeli a voi affidati all'osservanza del comandamento domenicale, così come hanno fatto i Pastori dai primi secoli fino ad oggi: "Nel giorno del Signore lasciate tutto e precipitatevi alla vostra assemblea che è la vostra lode a Dio. Quale scusa avranno davanti a Dio coloro che nel giorno del Signore non si riuniscono per ascoltare la parola della vita e nutrirsi del pane divino ed eterno?" (Didascalia Apostolorum, II, 59, 2-3).

Riferite ai vostri sacerdoti che il Papa conosce le difficoltà di molti Pastori di anime nell'affrontare il sovraccarico di lavoro e di preoccupazioni d'ogni genere, connesse col ministero. Il Papa conosce la sollecitudine pastorale dei molti sacerdoti diocesani e religiosi, il cui impegno a volte li porta fino all'esaurimento. La difficoltà si aggrava ulteriormente nelle comunità parrocchiali di diocesi come le vostre, dove anche la geografia del territorio è tale da richiedere molta fatica e tanti sacrifici.

Mentre esprimo apprezzamento per i sacerdoti, sento il dovere di incoraggiare anche i laici ad un dialogo benevolo e rispettoso con i propri Pastori, non considerandoli come un "modello obsoleto" di una struttura ecclesiale la quale, a parere di qualcuno, potrebbe anche fare a meno del ministero sacerdotale.

9. Proprio questa convinzione, diffusa anche tra uomini e donne credenti, non è sicuramente estranea al fenomeno della riduzione delle vocazioni nelle vostre Chiese. Conosco gli sforzi che state compiendo per facilitare ai giovani l'incontro con Cristo e la scoperta della chiamata che Egli rivolge a ciascuno per un certo ruolo nella Chiesa. Sappiamo bene, del resto, che le vocazioni, non possono essere "prodotte" dagli uomini, ma devono essere invocate da Dio con costante preghiera. La vocazione è all'inizio come un delicato e vulnerabile bocciolo, che ha bisogno di molta cura e attenzione. Ci deve essere un vivo rapporto tra coloro che già sono sacerdoti ed i giovani che forse sentono un richiamo sommesso verso questa strada. E' molto importante che tali giovani incontrino sacerdoti sereni e credibili, profondamente convinti della scelta fatta e legati da cordiale amicizia con i confratelli e con il loro Vescovo. A questo fine è necessario che il Vescovo non sia sentito come un "ministro" lontano oppure come un "capo" autoritario, ma che sia avvertito come un padre e un amico da coloro che condividono con lui il servizio dei fedeli.

Una cultura di vera comunione tra sacerdoti e Vescovi come pure la loro gioiosa cooperazione per il bene della Chiesa rappresentano il miglior terreno sul quale potranno fiorire le vocazioni. Questo è già stato ribadito dal Concilio: i Vescovi si comportino in mezzo ai loro fedeli "come coloro che servono, come buoni pastori che conoscono le loro pecorelle e sono da esse conosciuti, come veri padri", di modo che i sacerdoti considerino se stessi "come figli ed amici" (Christus Dominus CD 16).

10. Venerati Fratelli, nonostante tutto, una certezza ci dà speranza: i segni dell'aurora della salvezza sono più numerosi dei dati risultanti dalle tendenze negative. Ne sono testimonianza le due Mense che il Signore nella sua bontà ci prepara continuamente: quella della Parola divina e quella dell'Eucaristia (cfr Sacrosanctum Concilium SC 51 Dei Verbum DV 21). Proprio a voi, Pastori, spetta il grande onore non disgiunto dal sacro dovere di fare in persona Christi gli "onori di casa", dando modo ai fedeli di nutrirsi in abbondanza alla mensa della Parola e del Sacramento.

11. Nei documenti conciliari la Chiesa viene descritta come "creatura Verbi", in quanto "nella parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa e per i fedeli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell'anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale" (Dei Verbum DV 21 cfr Lumen gentium LG 2). Questa consapevolezza ha risvegliato nel Popolo di Dio un vivo interesse per la Sacra Scrittura con indubbi vantaggi per il cammino di fede di ciascuno.

Purtroppo non sono mancati anche fraintendimenti ed errate interpretazioni: si sono insinuate alcune concezioni della Chiesa che non corrispondono né ai dati biblici né alla Tradizione della Chiesa apostolica. L'espressione biblica "popolo di Dio" (laos tou theou) è stata intesa nel senso di un popolo strutturato politicamente (demos) secondo le norme valevoli per ogni altra società. E poiché la forma di regime più consona all'odierna sensibilità è quella democratica, si è diffusa tra un certo numero di fedeli la richiesta di una democratizzazione della Chiesa. Voci di questo genere si sono moltiplicate anche nel vostro Paese, oltre che al di là delle sue frontiere. Allo stesso tempo, l'interpretazione autentica della parola divina e l'annuncio della dottrina della Chiesa hanno lasciato a volte il posto ad un malinteso pluralismo, in virtù del quale si è pensato di poter individuare la verità rivelata per mezzo della demoscopia e in maniera democratica.

Come non provare profonda tristezza nel constatare questi erronei concetti riguardo alla fede e alla morale che, insieme con certi temi della disciplina della Chiesa, sono invalsi nelle menti di tanti membri del laicato? Sulla verità rivelata nessuna "base" può decidere. La verità non è il prodotto di una "Chiesa dal basso", ma un dono che viene "dall'alto", da Dio. La verità non è una creazione umana, ma è dono del cielo. Il Signore stesso l'ha affidata a noi, successori degli Apostoli, affinché - rivestiti di "un carisma sicuro di verità" (Dei Verbum DV 8) - la trasmettiamo integralmente, la custodiamo gelosamente e l'esponiamo fedelmente (cfr Lumen gentium LG 25).

12. Con affettuosa partecipazione alle sofferte sollecitudini del vostro ministero, vi dico: venerati Fratelli, abbiate il coraggio della carità e della verità! E' certo giusto non voler riconoscere alcuna verità se priva della carità. E' però altrettanto doveroso non accettare una carità che sia priva di verità! Annunciare agli uomini la verità nella carità - questo è il vero rimedio contro l'errore. Vi chiedo di adempiere questo compito con tutte le vostre forze. A ciascuno di noi sono rivolte le parole di Paolo al discepolo Timoteo: "Insieme con me prendi anche tu la tua parte di sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù. (...) Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di vergognarsi, uno scrupoloso dispensatore della parola della verità. (...) Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina" (2Tm 2,3 2Tm 2,15 ibid. 2Tm 4,2).

245 13. Come partecipo alle vostre preoccupazioni, così mi è caro condividere la vostra soddisfazione per quanto siete venuti realizzando nella Chiesa e nella società a favore della cultura della vita. Proprio la cultura della vita si muove entro i poli della verità e della carità. Perseverate con coraggio nel rendere testimonianza alla dottrina tramandata, rimanendo saldi in essa.

In particolare, per quanto concerne il matrimonio, anche se l'esperienza umana si trova spesso impotente di fronte allo sfascio di tante unioni coniugali, il matrimonio sacramentale è e rimane per volontà divina indissolubile. E così pure: anche se la maggior parte della società decidesse diversamente, la dignità di ciascun essere umano rimane inviolabile dal concepimento nel seno materno fino al suo termine naturale voluto da Dio. E ancora: nonostante le rinascenti contestazioni, come se si trattasse soltanto di una questione disciplinare, la Chiesa non ha ottenuto dal Signore l'autorità di conferire l'ordinazione sacerdotale alle donne (cfr Lettera ap. Ordinatio sacerdotalis, 4).

14. Non mi soffermo su altri temi pur significativi. Un dato tuttavia non posso non rilevare: mentre nel mondo l'unità di uomini e popoli è sentita con sempre maggiore intensità, pur nel rispetto delle varie apprezzabili caratteristiche culturali, si ha a volte l'impressione che la Chiesa nel vostro Paese ceda alla tentazione di ripiegarsi su se stessa per occuparsi di questioni sociologiche invece di entusiasmarsi per la grande unità cattolica: quella comunione universale, che è comunione di Chiese particolari raggruppate intorno al successore di Pietro (cfr Lumen gentium
LG 23).

Cercate, venerati Fratelli, ogni opportunità per invitare i vostri fedeli a sollevare lo sguardo oltre le torri delle chiese austriache. Proprio il Grande Giubileo dell'anno 2000 potrebbe rappresentare l'occasione per aiutare i vostri fedeli a riscoprire con rinnovata passione la Chiesa una, santa cattolica ed apostolica in tutte le sue ricchezze, per amarla più intensamente.

15. Cari Confratelli nell'episcopato, è con grande affetto che vi affido queste riflessioni sulla Chiesa-comunione. Si potrebbe dire e scrivere molto sulla comunione, ma la cosa più importante è che noi, come successori degli Apostoli, cerchiamo di viverla in modo ineccepibile. Infine vorrei confidarvi un mio desiderio: negli anni e mesi passati si sono scritte molte cose sulla Chiesa in Austria. Non sarebbe forse un buon segno se nel vostro amato Paese si riuscisse a discutere di meno sulla Chiesa e ci si dedicasse invece a meditare di più la Chiesa? Ho detto all'inizio che la Chiesa-comunione costituisce l'icona della comunione che vi è all'interno della Trinità santissima. Davanti ad una icona, piuttosto che indulgere all'analisi critica, si sente il bisogno di abbandonarsi alla contemplazione affettuosa per poter penetrare sempre di più nel mistero divino: è questo lo sfondo sul quale si può comprendere veramente la Chiesa.

16. Concludo queste mie parole invitandovi a guardare a quell'icona della comunione ecclesiale che è la Santissima Vergine, tanto venerata da molti dei vostri connazionali: "Eternamente presente nel mistero di Cristo" (Redemptoris Mater RMA 19), Ella si trova in mezzo agli Apostoli nel cuore della Chiesa primitiva e della Chiesa di tutti i tempi: "La Chiesa si riuniva nel piano superiore con Maria, la madre di Gesù, e con i suoi fratelli. Non si può quindi parlare di Chiesa, se non è presente anche Maria, la madre del Signore, con i suoi fratelli" (Cromazio di Aquileia, Sermo 30,1).

Maria, la Magna Mater Austriae, vi accompagni con la sua intercessione nello sforzo di adempiere il vostro ministero, sorretti da un sereno e coraggioso sentire cum Ecclesia, per aiutare a formare un'anima ecclesiastica nel cuore dei fedeli a voi affidati. Assicurandovi del mio costante ricordo nella preghiera perché lo Spirito vi assista con l'abbondanza dei suoi doni nel vostro cammino, imparto di cuore a voi e a tutti i membri delle vostre diocesi la Benedizione Apostolica.




GIOVANNI PAOLO II


AI FEDELI DEI PELLEGRINAGGI PROMOSSI DA:


MESSAGGERO DI SANT’ANTONIO;


MOVIMENTO APOSTOLICO CIECHI;


CENTRO NAZIONALE PER LA BONTA’ NELLA SCUOLA


- PREMIO “LIVIO TEMPESTA”


21 novembre 1998




Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di accogliervi e di rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale saluto. Voi siete venuti per confermare la vostra fede. E' questo, prima di ogni altra cosa, il senso del pellegrinaggio alla sede di Pietro. Nello stesso tempo siete qui per dire "grazie" al Signore per le cose buone che ha operato in voi e con voi in tutti questi anni: cent'anni del Messaggero di Sant'Antonio, settant'anni del Movimento Apostolico Ciechi. A partire da due esperienze molto diverse della vita della Chiesa, voi potete confermare quella parola di Gesù: il "granellino di senapa" è veramente diventato un albero grande, dove gli uccelli del cielo possono rifugiarsi (cfr Lc 13,19). Mi rallegro con voi ed esprimo il mio apprezzamento al Presidente del MAC, Prof. Francesco Scelzo, ed al Direttore Generale della rivista, Padre Agostino Varotto.

Saluto inoltre voi, cari ragazzi e ragazze, della Scuola Elementare "Don Pozzetto" di Novara, della Scuola Media "D'Annunzio" di Motta Sant'Anastasia (Catania) e del Liceo Classico "Stellini" di Udine. Siete venuti a Roma per ricevere il premio "Livio Tempesta", attribuito a studenti che si sono distinti nel corso dell'anno per singolari atti di bontà. Mi congratulo con voi e sono lieto di accogliere un gruppo di ragazzi portatori di handicap dell'Istituto "Santa Maria dei colli" di Fraelacco, Udine, ai quali alcuni di voi sono legati da amicizia e solidarietà. A tutti l'espressione del mio affetto e del mio incoraggiamento.

246 2. Voi, cari amici del Movimento Apostolico Ciechi, in questo anno sociale ricordate le origini della vostra singolare comunità ecclesiale, quando, nel 1928, Maria Motta iniziò in Italia un'unione spirituale tra non vedenti sul modello dell'Apostolato della Preghiera. Da quel piccolo seme si sviluppò un'associazione che si è diffusa in tutto il territorio nazionale ed è stata approvata dal mio venerato predecessore Giovanni XXIII. Nel 1968, quando il Servo di Dio Paolo VI pubblicò la storica enciclica Populorum progressio, il MAC rispose fattivamente, e voi oggi ricordate anche i trent'anni di cooperazione con i Paesi poveri del Sud del mondo, dove i ciechi sono più numerosi e vivono in condizioni assai difficili.

Il cammino di questi decenni ha permesso al Movimento Apostolico Ciechi di comprendere sempre meglio quale sia il carisma specifico ad esso affidato nella Chiesa, un carisma che si compone di due elementi. Il primo è la condivisione tra ciechi e vedenti, come frutto maturo della solidarietà nella reciprocità. Il secondo è la scelta dei poveri, scelta che, in svariati modi e forme, è propria di tutta la Chiesa e che voi contribuite a realizzare soprattutto nella promozione umana di persone che l'handicap minaccia di penalizzare ed emarginare.

Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, il vostro Movimento si è aperto generosamente all'impegno di promozione umana sia in Italia che nei Paesi più poveri. Proprio quello del cosiddetto "terzo mondo" è stato il primo settore di attività a prender forma all'interno dell'associazione, e mi congratulo con voi per l'opera svolta in questi trent'anni di cooperazione con centinaia di missionari e operatori nei campi della sanità, dell'istruzione e dell'integrazione sociale. L'attenzione agli ultimi più lontani ha stimolato e fatto crescere il lavoro sul territorio nazionale, a favore degli anziani non vedenti, delle persone pluriminorate, degli studenti non vedenti, di genitori e figli che vivono il problema della cecità. Tutto questo diffonde la cultura dell'accoglienza aiutando tante persone e tante famiglie.

Carissimi, continuate con costante fiducia il vostro cammino, consapevoli del fatto che il futuro dell'umanità sta nella condivisione. Grazie per la vostra testimonianza!

3. Mi rivolgo ora a voi, che formate la famiglia del "Messaggero di Sant'Antonio" e celebrate i cento anni di fondazione della vostra rivista, diffusa in tutto il mondo, e della quale è stato collaboratore sapiente ed arguto il mio venerato predecessore Giovanni Paolo I.

Fin dal suo inizio, nel lontano 1898, essa ha voluto sempre proclamare le meraviglie del Signore, ad imitazione di sant'Antonio che, sulle orme del Serafico Padre san Francesco d'Assisi, seppe dire le parole del Vangelo, facendo di tutta la sua vita una Buona Notizia.

Il riferimento a sant'Antonio ha determinato anche lo stile del messaggio. Era infatti necessario presentarlo con un linguaggio affascinante e, insieme, con la testimonianza di una carità operosa. Si comprende allora perché attorno al giornale sia nata, immediatamente, e sia cresciuta in modo sempre più generoso una catena di solidarietà e di aiuto fraterno ai più poveri e ai più bisognosi i quali, come diceva il Santo di Padova, preferiscono l'azione alla parola, la testimonianza alla spiegazione (cfr Sermones II, 100).

Ecco l'origine di quell'opera così preziosa denominata il "Pane dei poveri", iniziativa che non è mai venuta meno nemmeno negli anni più difficili, segnati da miseria e povertà, come quelli delle due guerre mondiali. Con il passare del tempo, essa si è ampiamente allargata nell'odierna Caritas antoniana, che opera efficacemente in tutti i continenti, facendo sentire ai meno fortunati il balsamo della sollecitudine fraterna.

Il vostro ritrovarvi qui esprime la volontà di rinnovare l'impegno promesso all'inizio della vostra opera, fin dal primo editoriale: quello di difendere gli interessi della Chiesa. Ma che cosa significa questo se non - come direbbe l'apostolo Paolo – essere capaci di proporre in modo persuasivo la sana dottrina del Vangelo? Ecco ciò che ha voluto essere il "Messaggero di Sant'Antonio" lungo la sua ricca storia, sorretto dallo spirito francescano dei Frati Minori Conventuali che l'hanno voluto come strumento di evangelizzazione, di carità e di coordinamento fra i devoti del Santo di Padova. Le otto lingue in cui è stampato, i cento sessanta Paesi del mondo che raggiunge lo stanno a testimoniare. Ora, questo impegno assume un'urgenza nuova. Nel moderno "areopago" dei mass-media siete chiamati a "dare ragione della speranza che è in voi" (cfr
1P 3,15). Difendere gli interessi della Chiesa è, oggi più che mai, difendere l'uomo.

In ideale continuità con il ministero che i figli del Poverello di Assisi svolgono generosamente nella Basilica del Santo di Padova, proseguite nella scia di quanti vi hanno preceduto a proclamare il Vangelo della vita col giornale e con i libri. All'uomo che talora non è più capace di rispondere adeguatamente alla "domanda di senso" offrite una parola illuminatrice ricca di speranza; favorite un discernimento che porti sapienza nella quotidianità dell'esistenza e conduca a scegliere il bene e respingere il male. Vi aiuti in questo e vi sostenga la grazia del Signore.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle che siete venuti a trovarmi, a tutti rinnovo il grazie più cordiale.

247 Vi accompagni e vi protegga la Vergine Maria, che oggi contempliamo nel mistero della sua presentazione al tempio.

Di gran cuore benedico voi e i vostri cari, le vostre attività ed i progetti di bene, che generosamente realizzate al servizio della Chiesa e dei poveri.




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