ISTRUZIONE COLLABORAZIONE



ISTRUZIONE

SU ALCUNE QUESTIONI

CIRCA LA COLLABORAZIONE DEI FEDELI LAICI

AL MINISTERO DEI SACERDOTI

LIBRERIA EDITRICE VATICANA

CITTÀ DEL VATICANO 1997

PREMESSA


1 Dal mistero della Chiesa scaturisce la chiamata rivolta a tutte le membra del Corpo mistico affinché partecipino attivamente alla missione e all'edificazione del Popolo di Dio in una comunione organica, secondo i diversi ministeri e carismi. L'eco di tale chiamata è risuonata ripetutamente nei documenti del Magistero, particolarmente dal Concilio Ecumenico Vaticano II (1) in poi. Soprattutto nelle ultime tre Assemblee generali ordinarie del Sinodo dei Vescovi, si è riaffermata l'identità, nella comune dignità e diversità di funzioni, propria dei fedeli laici, dei sacri ministri e dei consacrati, e si sono incoraggiati tutti i fedeli ad edificare la Chiesa collaborando in comunione per la salvezza del mondo.

Occorre tener presente l'urgenza e l'importanza dell'azione apostolica dei fedeli laici nel presente e nel futuro dell'evangelizzazione. La Chiesa non può prescindere da quest'opera, perché è connaturale ad essa, in quanto Popolo di Dio, e perché ne ha bisogno per realizzare la propria missione evangelizzatrice.

La chiamata alla partecipazione attiva di tutti i fedeli alla missione della Chiesa non è rimasta inascoltata. Il Sinodo dei Vescovi del 1987 ha constatato « come lo Spirito abbia continuato a ringiovanire la Chiesa suscitando nuove energie di santità e di partecipazione in tanti fedeli laici. Ciò è testimoniato, tra l'altro, dal nuovo stile di collaborazione tra sacerdoti, religiosi e fedeli laici; dalla partecipazione attiva nella liturgia, nell'annuncio della Parola di Dio e nella catechesi; dai molteplici servizi e compiti affidati ai fedeli laici e da essi assunti; dal rigoglioso fiorire di gruppi, associazioni e movimenti di spiritualità e di impegno laicali; dalla partecipazione più ampia e significativa delle donne nella vita della Chiesa e nello sviluppo della società ».(2) Parimenti nella preparazione del Sinodo dei Vescovi del 1994 sulla vita consacrata si è riscontrato « dappertutto un desiderio sincero di instaurare autentici rapporti di comunione e di collaborazione tra Vescovi, istituti di vita consacrata, clero secolare e laici ».(3) Nella successiva Esortazione apostolica post-sinodale il Sommo Pontefice conferma l'apporto specifico della vita consacrata alla missione e alla edificazione della Chiesa(4).

Si ha, in effetti, una collaborazione di tutti i fedeli in entrambi gli ambiti della missione della Chiesa, sia in quello spirituale di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, sia in quello temporale di permeare e perfezionare l'ordine delle realtà secolari con lo spirito evangelico.(5) Specialmente nel primo ambito — evangelizzazione e santificazione — « l'apostolato dei laici e il ministero pastorale si completano a vicenda ».(6) In esso, i fedeli laici, di entrambi i sessi, hanno innumerevoli occasioni di rendersi attivi, con la coerente testimonianza di vita personale, familiare e sociale, con l'annunzio e la condivisione del vangelo di Cristo in ogni ambiente e con l'impegno di enucleare, difendere e rettamente applicare i principi cristiani ai problemi attuali.(7)In particolare, i Pastori sono esortati a « riconoscere e promuovere i ministeri, gli uffici e le funzioni dei fedeli laici, che hanno il loro fondamento sacramentale nel Battesimo e nella Cresima, nonché per molti di loro, nel Matrimonio ».(8)

2 In realtà, la vita della Chiesa in questo campo ha conosciuto, soprattutto dopo il notevole impulso dato dal Concilio Vaticano II. e dal Magistero Pontificio, una sorprendente fioritura di iniziative pastorali.

Oggi, in particolare, il prioritario compito della nuova evangelizzazione, che investe l'intero popolo di Dio, richiede, insieme allo « speciale protagonismo » dei sacerdoti, anche il pieno ricupero della coscienza dell'indole secolare della missione del laico.(9)

Questa impresa spalanca ai fedeli laici gli orizzonti immensi, alcuni dei quali ancora da esplorare, dell'impegno nel secolo, nel mondo della cultura, dell'arte e dello spettacolo, della ricerca scientifica, del lavoro, dei mezzi di comunicazione, della politica, dell'economia, ecc. e chiede loro la genialità di creare sempre più efficaci modalità affinché questi ambiti trovino in Gesù Cristo la pienezza del loro significato.(10)

Entro questa vasta area di concorde operosità, sia specificamente spirituale o religiosa, sia nellaconsecratio mundi, esiste un campo speciale, quello che riguarda il sacro ministero del clero, nell'esercizio del quale possono essere chiamati a coadiuvare i fedeli laici, uomini e donne, e, naturalmente, anche i membri non ordinati degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica. A tale ambito particolare si riferisce il Concilio Ecumenico Vaticano II, laddove insegna: « Infine la gerarchia affida ai laici alcuni compiti, che sono più intimamente collegati con i doveri dei pastori, come nell'esposizione della dottrina cristiana, in alcuni atti liturgici, nella cura delle anime ».(11)

Proprio perché si tratta di compiti più intimamente collegati con i doveri dei pastori — che per essere tali devono essere insigniti del sacramento dell'Ordine — si richiede, da parte di tutti coloro che in qualche modo vi sono coinvolti, una particolare diligenza perché siano ben salvaguardate, sia la natura e la missione del sacro ministero, sia la vocazione e l'indole secolare dei fedeli laici. Collaborare non significa infatti sostituire.

3 Dobbiamo constatare con viva soddisfazione che in molte Chiese particolari la collaborazione dei fedeli non ordinati al ministero pastorale del clero si svolge in maniera assai positiva, con abbondanti frutti di bene, nel rispetto dei limiti fissati dalla natura dei sacramenti e dalla diversità dei carismi e delle funzioni ecclesiali, con soluzioni generose e intelligenti per far fronte a situazioni di mancanza o scarsità di sacri ministri.(12) In questo modo si è reso perspicuo quell'aspetto della comunione, per cui alcuni membri della Chiesa si adoperano sollecitamente a rimediare, nella misura in cui è loro possibile, non essendo insigniti del carattere del sacramento dell'Ordine, a situazioni di emergenza e di croniche necessità in alcune comunità.(13) Tali fedeli sono chiamati e deputati ad assumere precisi compiti, tanto importanti quanto delicati, sostenuti dalla grazia del Signore, accompagnati dai sacri ministri e bene accolti dalle comunità in favore delle quali prestano il proprio servizio. I sacri pastori sono profondamente riconoscenti per la generosità con la quale numerosi consacrati e fedeli laici si offrono per questo specifico servizio, svolto con fedele sensus Ecclesiae ed edificante dedizione. Particolare gratitudine ed incoraggiamento va a quanti svolgono questi compiti in situazioni di persecuzione della comunità cristiana, negli ambiti di missione, siano essi territoriali o culturali, laddove la Chiesa è ancora scarsamente impiantata, o la presenza del sacerdote è solo sporadica.(14)

Non è questo il luogo per approfondire tutta la ricchezza teologica e pastorale del ruolo dei fedeli laici nella Chiesa. Essa è già stata ampiamente illustrata dall'Esortazione apostolica Christifideles laici.

4 Lo scopo del presente documento, invece, è semplicemente quello di fornire una risposta chiara ed autorevole alle pressanti e numerose richieste pervenute ai nostri Dicasteri da parte di Vescovi, presbiteri e laici i quali, di fronte a nuove forme di attività « pastorale » dei fedeli non ordinati nell'ambito delle parrocchie e delle diocesi, hanno chiesto di essere illuminati.

Spesso, infatti, si tratta di prassi che, seppur nate in situazioni di emergenza e precarietà, e sovente sviluppatesi nella volontà di prestare un generoso aiuto nell'attività pastorale, possono avere conseguenze gravemente negative a scapito della retta comprensione della vera comunione ecclesiale. Tali prassi in realtà sono maggiormente presenti in alcune regioni e, talvolta, variano di molto all'interno della medesima regione.

Esse, tuttavia, richiamano la grave responsabilità pastorale di quanti, soprattutto Vescovi,(15) sono preposti alla promozione e alla tutela della disciplina universale della Chiesa sulla base di alcuni principi dottrinali già chiaramente enunciati dal Concilio Ecumenico Vaticano II(16) e dal successivo Magistero Pontificio.(17)

Si è svolto un lavoro di riflessione all'interno dei nostri Dicasteri, si è riunito un Simposio al quale hanno partecipato rappresentanti degli Episcopati maggiormente interessati al problema e, infine, è stata condotta un'ampia consultazione tra numerosi Presidenti di Conferenze Episcopali ed altri Presuli ed esperti di diverse discipline ecclesiastiche ed aree geografiche. Ne è risultata una chiara convergenza nel senso preciso della presente Istruzione che, tuttavia, non pretende di essere esauriente, sia perché si limita a considerare i casi attualmente più conosciuti, sia per l'estrema varietà di circostanze particolari nelle quali tali casi si verificano.

Il testo, redatto sulla sicura base del magistero straordinario ed ordinario della Chiesa, viene affidato, per la sua fedele applicazione, ai Vescovi interessati, ma è portato a conoscenza anche dei Presuli di quelle circoscrizioni ecclesiastiche che, pur non registrando al momento prassi abusive, potrebbero esserne interessate in breve tempo, attesa l'attuale rapidità di diffusione dei fenomeni.

Prima di rispondere ai casi concreti a noi pervenuti, si ritiene necessario premettere, in merito al significato dell'Ordine sacro nella costituzione della Chiesa, alcuni brevi ed essenziali elementi teologici atti a favorire una motivata comprensione della stessa disciplina ecclesiastica la quale, nel rispetto della verità e della comunione ecclesiale, intende promuovere i diritti e i doveri di tutti, per quella « salvezza delle anime che deve essere nella Chiesa la legge suprema ».(18)


PRINCIPI TEOLOGICI

1. Il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale

5 Cristo Gesù, Sommo ed Eterno Sacerdote, ha voluto che il suo unico e indivisibile sacerdozio fosse partecipato alla sua Chiesa. Questa è il popolo della nuova alleanza, nel quale, « per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo, i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le attività del cristiano, sacrifici spirituali e far conoscere i prodigi di Colui che dalle tenebre li chiamò all'ammirabile sua luce (cf 1P 2,4-10) ».(19) « Non c'è quindi che un popolo di Dio scelto da Lui: un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo (Ep 4,5); comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di adozione filiale, comune la vocazione alla perfezione ».(20) Vigendo tra tutti « una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli nell'edificare il Corpo di Cristo », alcuni sono costituiti, per volontà di Cristo, « dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri ».(21) Sia il sacerdozio comune dei fedeli, sia il sacerdozio ministeriale o gerarchico, « quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo ».(22) Tra di essi si ha una efficace unità perché lo Spirito Santo unifica la Chiesa nella comunione e nel servizio e la provvede di diversi doni gerarchici e carismatici.(23)

La differenza essenziale tra il sacerdozio comune ed il sacerdozio ministeriale non si trova, dunque, nel sacerdozio di Cristo, il quale resta sempre unico e indivisibile, e neanche nella santità alla quale tutti i fedeli sono chiamati: « Il sacerdozio ministeriale, infatti, non significa di per sé un maggior grado di santità rispetto al sacerdozio comune dei fedeli; ma, attraverso di esso, ai presbiteri è dato da Cristo nello Spirito un particolare dono, perché possano aiutare il popolo di Dio ad esercitare con fedeltà e pienezza il sacerdozio comune che gli è conferito ».(24) Nell'edificazione della Chiesa, Corpo di Cristo, vige la diversità di membra e di funzioni, ma uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei servizi (cf 1Co 12,1-11).(25)

La diversità riguarda il modo della partecipazione al sacerdozio di Cristo ed è essenziale nel senso che « mentre il sacerdozio comune dei fedeli si realizza nello sviluppo della grazia battesimale — vita di fede, di speranza e di carità, vita secondo lo Spirito — il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio comune, è relativo allo sviluppo della grazia battesimale di tutti i cristiani ».(26) Di conseguenza, il sacerdozio ministeriale « differisce essenzialmente dal sacerdozio comune dei fedeli poiché conferisce un potere sacro per il servizio dei fedeli ».(27) A questo scopo il sacerdote è esortato a « crescere nella consapevolezza della profonda comunione che lo lega al Popolo di Dio » per « suscitare e sviluppare la corresponsabilità nella comune e unica missione di salvezza, con la pronta e cordiale valorizzazione di tutti i carismi e i compiti che lo Spirito offre ai credenti per l'edificazione della Chiesa ».(28)

6 Le caratteristiche che differenziano il sacerdozio ministeriale dei Vescovi e dei presbiteri da quello comune dei fedeli, e delineano in conseguenza anche i confini della collaborazione di questi al sacro ministero, si possono così sintetizzare:

a) il sacerdozio ministeriale ha la sua radice nella successione apostolica, ed è dotato di una potestà sacra,(29) la quale consiste nella facoltà e nella responsabilità di agire in persona di Cristo Capo e Pastore;(30)

b) esso rende i sacri ministri servitori di Cristo e della Chiesa, per mezzo della proclamazione autorevole della parola di Dio, della celebrazione dei sacramenti e della guida pastorale dei fedeli.(31)

Porre le fondamenta del ministero ordinato nella successione apostolica, in quanto tale ministero continua la missione ricevuta dagli Apostoli da parte di Cristo, è punto essenziale della dottrina ecclesiologica cattolica.(32)

Il ministero ordinato, pertanto, viene costituito sul fondamento degli Apostoli per l'edificazione della Chiesa:(33) « è totalmente al servizio della Chiesa stessa »(34). « Alla natura sacramentale del ministero ecclesiale è intrinsecamente legato il carattere di servizio. I ministri, infatti, in quanto dipendono interamente da Cristo, il quale conferisce missione e autorità, sono veramente « servi di Cristo », ad immagine di lui che ha assunto liberamente per noi « la condizione di servo » (
Ph 2,7). Poiché la parola e la grazia di cui sono ministri non sono le loro, ma quelle di Cristo che le ha loro affidate per gli altri, essi si faranno liberamente servi di tutti »(35).

2. Unità e diversificazione dei compiti ministeriali

7 Le funzioni del ministero ordinato, prese nel loro insieme, costituiscono, in ragione del loro unico fondamento(36), una indivisibile unità. Una e unica, in effetti, come in Cristo(37), è la radice dell'azione salvifica, significata e realizzata dal ministro nello svolgimento delle funzioni di insegnare, santificare e reggere gli altri fedeli. Questa unità qualifica essenzialmente l'esercizio delle funzioni del sacro ministero, che sono sempre esercizio, sotto diverse prospettive, del ruolo di Cristo, Capo della Chiesa.

Se, dunque, l'esercizio da parte del ministro ordinato del munus docendi, sanctificandi et regendicostituisce la sostanza del ministero pastorale, le diverse funzioni dei ministri sacri, formando una indivisibile unità, non possono essere capite separatamente le une dalle altre, anzi devono essere considerate nella loro mutua corrispondenza e complementarietà. Solo per alcune di esse, e in certa misura, possono cooperare con i pastori altri fedeli non ordinati, se sono chiamati a svolgere detta collaborazione dalla legittima Autorità e nei debiti modi. « Infatti Gesù Cristo, nel suo corpo che è la Chiesa, continuamente dispensa i doni dei servizi, grazie ai quali, per sua virtù, noi ci prestiamo aiuto vicendevolmente in ordine alla salvezza »(38). « L'esercizio di questi compiti non fa del fedele laico un pastore: in realtà non è il compito a costituire il ministero, bensì l'ordinazione sacramentale. Solo il Sacramento dell'Ordine attribuisce al ministero ordinato dei Vescovi e dei presbiteri una peculiare partecipazione all'ufficio di Cristo Capo e Pastore e al suo sacerdozio eterno. Il compito esercitato in veste di supplenza, invece, deriva la sua legittimazione, immediatamente e formalmente, dalla deputazione ufficiale data dai pastori, e nella sua concreta attuazione è diretto dall'autorità ecclesiastica »(39).

Occorre riaffermare questa dottrina perché alcune prassi miranti a supplire alle carenze numeriche di ministri ordinati nel seno della comunità, in taluni casi, hanno potuto far leva su una concezione di sacerdozio comune dei fedeli che ne confonde l'indole e il significato specifico, favorendo, tra l'altro, la diminuzione dei candidati al sacerdozio ed oscurando la specificità del seminario come luogo tipico per la formazione del ministro ordinato. Si tratta di fenomeni intimamente connessi, sulla cui interdipendenza si dovrà opportunamente riflettere per trarre sapienti conclusioni operative.

3. Insostituibilità del ministero ordinato

8 Una comunità di fedeli, per essere chiamata Chiesa e per esserlo veramente, non può derivare la sua guida da criteri organizzativi di natura associativa o politica. Ogni Chiesa particolare deve a Cristo la sua guida, perché è Lui fondamentalmente ad aver concesso alla stessa Chiesa il ministero apostolico, per cui nessuna comunità ha il potere di darla a se stessa(40) o di stabilirla per mezzo di una delega. L'esercizio del munus di magistero e di governo richiede, in effetti, la canonica o giuridica determinazione da parte dell'autorità gerarchica(41).

Il sacerdozio ministeriale, dunque, è necessario all'esistenza stessa della comunità come Chiesa: « Non si deve pensare al sacerdozio ordinato (...) come se fosse posteriore alla comunità ecclesiale quasi che questa possa essere concepita come già costituita senza tale sacerdozio ».(42) Infatti, se nella comunità viene a mancare il sacerdote, essa si trova priva dell'esercizio e della funzione sacramentale di Cristo Capo e Pastore, essenziale per la vita stessa della comunità ecclesiale.

Il sacerdozio ministeriale è pertanto assolutamente insostituibile. Se ne deduce immediatamente la necessità di una pastorale vocazionale che sia zelante, bene ordinata e continua per dare alla Chiesa i necessari ministri, come pure la necessità di riservare una accurata formazione a quanti, nei seminari, si preparano a ricevere il presbiterato. Ogni altra soluzione per far fronte ai problemi derivanti dalla carenza di sacri ministri non può che risultare precaria.

« Il dovere di dare incremento alle vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità cristiana, che è tenuta ad assolvere questo compito anzitutto con una vita perfettamente cristiana ».(43) Tutti i fedeli sono corresponsabili nel contribuire ad incoraggiare le risposte positive alla vocazione sacerdotale, con una sempre più fedele sequela di Gesù Cristo, superando l'indifferenza dell'ambiente, soprattutto nelle società fortemente segnate dal materialismo.

4. La collaborazione di fedeli non ordinati al ministero pastorale

9 Nei documenti conciliari, tra i vari aspetti della partecipazione dei fedeli non insigniti del carattere dell'Ordine alla missione della Chiesa, viene considerata la loro diretta collaborazione con i compiti specifici dei pastori.(44) Infatti, « quando la necessità o l'utilità della Chiesa lo esige, i pastori possono affidare ai fedeli non ordinati, secondo le norme stabilite dal diritto universale, alcuni compiti che sono connessi con il loro proprio ministero di pastori ma che non esigono il carattere dell'Ordine ».(45) Tale collaborazione è stata successivamente regolata dalla legislazione postconciliare e, in modo particolare, dal nuovo Codice di Diritto Canonico.

Questo, dopo essersi riferito agli obblighi e diritti di tutti i fedeli(46), nel titolo successivo, dedicato agli obblighi e diritti dei fedeli laici, tratta non solo di quelli specifici della loro condizione secolare(47), ma anche di altri compiti o funzioni a loro non pertinenti in modo esclusivo. Di questi, alcuni spettano a qualsiasi fedele sia ordinato che non ordinato(48), altri invece si collocano sulla linea di diretto servizio al sacro ministero dei fedeli ordinati.49 Rispetto a questi ultimi compiti o funzioni, i fedeli non ordinati non detengono un diritto ad esercitarli, ma sono « abili ad essere assunti dai sacri Pastori in quegli uffici ecclesiastici e in quegli incarichi che sono in grado di esercitare secondo le disposizioni del diritto »(50), oppure « in mancanza di ministri (...) possono supplire alcuni dei loro uffici (...) secondo le disposizioni del diritto »(51).

Affinché una tale collaborazione sia armonicamente inserita nella pastorale ministeriale, è necessario che, ad evitare deviazioni pastorali ed abusi disciplinari, i principi dottrinali siano chiari e che, conseguentemente, con coerente determinazione, si promuova in tutta la Chiesa un'attenta e leale applicazione delle disposizioni vigenti, non allargando, abusivamente, i termini di eccezionalità ai casi che non possono essere giudicati come « eccezionali ».

Qualora, in qualche luogo, si verifichino abusi e prassi trasgressive, i Pastori mettano in atto i mezzi necessari ed opportuni per impedire tempestivamente la loro diffusione e per evitare che venga danneggiata la corretta comprensione della natura stessa della Chiesa. In particolare, vorranno applicare quelle norme disciplinari già stabilite, le quali insegnano a conoscere e rispettare fattivamente la distinzione e la complementarietà di funzioni che sono vitali per la comunione ecclesiale. Dove poi tali prassi trasgressive sono già diffuse, diventa assolutamente indilazionabile che intervenga responsabilmente l'autorità che deve farlo, rendendosi così vera artefice di comunione, la quale può essere costituita esclusivamente attorno alla verità. Comunione, verità, giustizia, pace e carità sono termini interdipendenti(52).

Alla luce dei principi ora ricordati, si indicano qui appresso gli opportuni rimedi per far fronte agli abusi segnalati ai nostri Dicasteri. Le disposizioni che seguono sono desunte dalla normativa della Chiesa.


DISPOSIZIONI PRATICHE

Articolo 1 Necessità di una terminologia appropriata

10 Il Santo Padre, nel discorso rivolto ai partecipanti al Simposio sulla « Collaborazione dei fedeli laici al ministero presbiterale », ha sottolineato la necessità di chiarire e distinguere le varie accezioni che il termine « ministero » ha assunto nel linguaggio teologico e canonico (53).

§ 1. « Da un certo tempo è invalso l'uso di chiamare ministeri non solo gli officia (uffici) e imunera(funzioni) esercitati dai Pastori in virtù del sacramento dell'Ordine, ma anche quelli esercitati dai fedeli non ordinati, in virtù del sacerdozio battesimale. La questione lessicale diviene ancor più complessa e delicata quando si riconosce a tutti i fedeli la possibilità di esercitare — in veste di supplenti, per deputazione ufficiale elargita dai Pastori — alcune funzioni più proprie dei chierici, le quali, tuttavia, non esigono il carattere dell'Ordine. Bisogna riconoscere che il linguaggio si fa incerto, confuso, e quindi non utile per esprimere la dottrina della fede, tutte le volte che, in qualsiasi maniera, si offusca la differenza « di essenza e non solo di grado » che intercorre tra il sacerdozio battesimale e il sacerdozio ordinato » (54).

§ 2. « Ciò che ha permesso, in alcuni casi l'estensione del termine ministero ai munera propri dei fedeli laici è il fatto che anche questi, nella loro misura, sono partecipazione all'unico sacerdozio di Cristo. Gli officia, loro affidati temporaneamente, sono invece esclusivamente frutto di una deputazione della Chiesa. Solo il costante riferimento all'unico e fontale « ministero di Cristo » (...) permette, in una certa misura, di applicare anche ai fedeli non ordinati, senza ambiguità, il termineministero: senza, cioè, che esso venga percepito e vissuto come indebita aspirazione al ministero ordinato, o come progressiva erosione della sua specificità.

In questo senso originario, il termine ministero (servitium)esprime soltanto l'opera con cui membri della Chiesa prolungano, al suo interno e per il mondo, la missione e il ministero di Cristo. Quando, invece, il termine viene differenziato nel rapporto e nel confronto tra i diversi munera e officia, allora occorre avvertire con chiarezza che solo in forza della sacra Ordinazione esso ottiene quella pienezza e univocità di significato che la tradizione gli ha sempre attribuito »(55).

§ 3. Il fedele non ordinato può assumere la denominazione generica di « ministro straordinario », solo se e quando è chiamato dall'Autorità competente a compiere, unicamente in funzione di supplenza, gli incarichi, di cui al can.
CIC 230, § 3(56), nonché ai cann. CIC 943 e CIC 1112. Naturalmente può essere utilizzato il termine concreto con cui viene canonicamente determinata la funzione affidata, ad es. catechista, accolito, lettore, ecc.

La deputazione temporanea nelle azioni liturgiche, di cui al can. CIC 230, § 2, non conferisce alcuna denominazione speciale al fedele non ordinato (57).

Non è lecito, pertanto, che i fedeli non ordinati assumano, per esempio, la denominazione di « pastore », di « cappellano », di « coordinatore », « moderatore » o altre denominazioni che potrebbero, comunque, confondere il loro ruolo con quello del pastore, che è unicamente il Vescovo e il presbitero (58).

Articolo 2 Il ministero della parola (59)

11 § 1. Il contenuto di tale ministero consiste « nella predicazione pastorale, nella catechesi e in tutta l'istruzione cristiana, nella quale l'omelia liturgica deve avere un posto privilegiato »(60).

L'esercizio originario delle relative funzioni è proprio del Vescovo diocesano, come moderatore, nella sua Chiesa, di tutto il ministero della parola(61), ed è anche proprio dei presbiteri suoi cooperatori(62). Questo ministero spetta anche ai diaconi, in comunione con il Vescovo ed il suo presbiterio(63).

§ 2. I fedeli non ordinati partecipano, secondo la loro indole, alla funzione profetica di Cristo, sono costituiti suoi testimoni e provveduti del senso della fede e della grazia della parola. Tutti sono chiamati a diventare, sempre di più, « araldi efficaci della fede in ciò che si spera (cf
He 11,1) »(64). Oggi, l'opera della catechesi, in particolare, molto dipende dal loro impegno e dalla loro generosità al servizio della Chiesa.

Pertanto, i fedeli e particolarmente i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica possono essere chiamati a collaborare, nei modi legittimi, nell'esercizio del ministero della parola (65).

§ 3. Affinché l'aiuto di cui al § 2 sia efficace, è necessario richiamare alcune condizioni relative alle modalità di essa.

Il CIC, can. CIC 766, stabilisce le condizioni per le quali la competente Autorità può ammettere i fedeli non ordinati a predicare in ecclesia vel oratorio. La stessa espressione utilizzata, admitti possunt,pone in risalto come in nessun caso si tratta di un diritto proprio quale quello specifico dei Vescovi(66) o di una facoltà come quella dei presbiteri o dei diaconi.(67)

Le condizioni a cui è sottoposta tale ammissione — « se in determinate circostanze c'è necessità di ciò », « se, in casi particolari, lo consiglia l'utilità » — evidenziano l'eccezionalità del fatto. Il can. CIC 766, inoltre, precisa che si deve sempre agire iuxta Episcoporum conferentiae praescripta. In questa ultima clausola il canone citato stabilisce la fonte primaria per discernere rettamente riguardo alla necessità o utilità, nei casi concreti, giacché in dette prescrizioni della Conferenza Episcopale, che abbisognano della « recognitio » della Sede Apostolica, devono essere segnalati gli opportuni criteri che possano aiutare il Vescovo diocesano nel prendere le appropriate decisioni pastorali, che gli sono proprie per la natura stessa dell'ufficio episcopale.

§ 4. Nelle circostanze di scarsità di ministri sacri in determinate zone, possono presentarsi situazioni permanenti ed oggettive di necessità o di utilità, tali da suggerire l'ammissione di fedeli non ordinati alla predicazione.

La predicazione nelle chiese e oratori, da parte dei fedeli non ordinati, può essere concessa insupplenza dei ministri sacri o per speciali ragioni di utilità nei casi particolari previsti dalla legislazione universale della Chiesa o dalle Conferenze Episcopali e, pertanto, non può diventare un fatto ordinario, né può essere intesa come autentica promozione del laicato.

§ 5. Soprattutto nella preparazione ai sacramenti, i catechisti curino di indirizzare l'interesse dei catechizzandi al ruolo e alla figura del sacerdote come solo dispensatore dei divini misteri cui si vanno preparando.

Articolo 3 L'omelia

12 § 1. L'omelia, forma eminente di predicazione « qua per anni liturgici cursum ex textu sacro fidei mysteria et normae vitae christianae exponuntur »(68), è parte della stessa liturgia.

Pertanto, l'omelia durante la celebrazione dell'Eucaristia deve essere riservata al ministro sacro, sacerdote o diacono(69). Sono esclusi i fedeli non ordinati, anche se svolgono il compito detto di « assistenti pastorali » o di catechisti, presso qualsiasi tipo di comunità o aggregazione. Non si tratta, infatti, di eventuale maggiore capacità espositiva o preparazione teologica, ma di funzione riservata a colui che è consacrato con il sacramento dell'Ordine sacro, per cui neppure il Vescovo diocesano è autorizzato a dispensare dalla norma del canone(70), dal momento che non si tratta di legge meramente disciplinare, bensì di legge che riguarda le funzioni di insegnamento e di santificazione strettamente collegate tra di loro.

Non si può ammettere, perciò, la prassi, in talune occasioni praticata, per la quale si affida la predicazione omiletica a seminaristi studenti di teologia, non ancora ordinati.(71) L'omelia non può, infatti, essere considerata come un allenamento per il futuro ministero.

Si deve ritenere abrogata dal can.
CIC 767, § 1 qualsiasi norma anteriore che abbia ammesso fedeli non ordinati a pronunciare l'omelia durante la celebrazione della S. Messa.(72)

§ 2. È lecita la proposta di una breve didascalia per favorire la maggior comprensione della liturgia che viene celebrata ed anche, eccezionalmente, qualche eventuale testimonianza, sempre adeguata alle norme liturgiche ed offerta in occasione di liturgie eucaristiche celebrate in particolari giornate (giornata del seminario o del malato, ecc.), se ritenuta oggettivamente conveniente, come illustrativa dell'omelia regolarmente pronunciata dal sacerdote celebrante. Queste didascalie e testimonianze non devono assumere caratteristiche tali da poter essere confuse con l'omelia.

§ 3. La possibilità del « dialogo » nell'omelia(73) può essere, talvolta, prudentemente usata dal ministro celebrante come mezzo espositivo con il quale non si delega ad altri il dovere della predicazione.

§ 4. L'omelia al di fuori della S. Messa può essere pronunciata da fedeli non ordinati in conformità al diritto o alle norme liturgiche e nell'osservanza delle clausole in essi contenute.

§ 5. L'omelia non può essere affidata, in alcun caso, a sacerdoti o diaconi che abbiano perso lo stato clericale o che, comunque, abbiano abbandonato l'esercizio del sacro ministero(74).


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