Leone Magno - Capitolo IV Più motivi impediscono al papa di partecipare all’assise sinodale: la consuetudine, la situazione contingente, l’amore dei Romani.

Capitolo IV Più motivi impediscono al papa di partecipare all’assise sinodale: la consuetudine, la situazione contingente, l’amore dei Romani.

L’eresia insorgente adesso mette in discussione il simbolo apostolico



Da parte sua l’augustissimo e piisimo imperatore, desiderando che quanto è stato messo a soqquadro venisse nel più breve tempo possibile rimesso in ordine, ha ritenuto necessario indire una convocazione di un concilio ecumenico da celebrarsi ad Efeso; ma lo ha fatto entro tempi troppo ristretti, dato che ha fissato l’inizio dell’assise dei vescovi per il primo di agosto. Ma il tempo che rimane a disposizione s’è fatto corto, ormai. Le lettere scritte da sua maestà ci sono pervenute in data 15 maggio. Dalla convocazione dei vescovi, tenuto conto del tempo richiesto perché essi si preparino, che mettano insieme quanto è necessario delle loro cose, che partano, al sinodo c’è troppo poco tempo. Ma Teodosio insiste29. Come si può condurre bene la faccenda? L’imperatore inoltre riteneva fosse mio dovere che mi recassi al sinodo di persona, anche se si dovrebbe ricercare un caso simile nella storia del passato (e dubito che ci sia). Si tenga poi presente che ora io sono nella più assoluta impossibilità di venire ad Efeso. La ragione è la seguente: la situazione, a Roma, è quanto mai preoccupante; un popolo così numeroso - in tali frangenti - non può essere abbandonato a se stesso; finirebbe per perdere la speranza di uscire da tale stato di incertezza, così che si abbandonerebbe ai disordini; se - per giunta - avesse la persuasione (vera o no che essa sia) che io abbandoni la città con il pretesto di prendere parte alla discussione di una causa di natura ecclesiastica; e finisse per pensare che lascio la mia patria e la sede apostolica senza ragioni sufficienti, data la posta in gioco qua, a Roma 30. Perciò voi sapete che, se mi trattengo in patria, lo faccio per una necessità generale, così che penso possa avere la vostra comprensione se non mi sottraggo alle pressanti suppliche dei miei concittadini. Voi fate conto di vedermi nei fratelli che io mando, come delegati in mia vece, al concilio 31. Immaginate che io sia là con tutti gli altri vescovi. Ai delegati ho dato indicazioni sul da farsi. Mi sono comportato conseguentemente ai fatti accaduti e all’importanza della questione trattata. Ho affidato alle persone scelte a rappresentarmi il compito di agire come sarà necessario. Perché la posta in gioco non è certo irrilevante; non si tratta di qualche aspetto marginale della nostra fede; no! Si tratta nientemeno del punto capitale della fede! Non è che si debbano cercare lumi che chiarifichino punti oscuri. Tale stolta eresia, tale insipiente errore mette in causa ciò che nessuno, mai - uomo o donna che fosse -, ha ignorato nella Chiesa, per volontà del Signore! Basta la sintetica professione di fede del simbolo apostolico, breve sì, ma completo, che consta di 12 massime, tante quanti sono gli apostoli, professione di fede così protetta dalla volontà celeste, che basta essa da sola a tagliare la testa a ogni insorgente eresia. Bastava che Eutiche avesse voluto aderire, con cuore semplice e spoglio da sofisticazioni, a tutto quanto è detto nel simbolo, non avrebbe sbagliato allontanandosi dai dettati del venerando concilio ecumenico di Nicea. Un’altra cosa avrebbe anche compreso: che non i santi Padri del concilio, che nessuno, per nessuno motivo, dovrà avere l’ardire di ergersi contro la fede apostolica, la quale è e resta la sola vera, checché uno possa pensare o dire. Pertanto, in virtù della vostra pietà, secondo il già conosciuto modo di intervenire in situazioni di questa entità, fate di tutto perché ogni animo respinga con orrore la orrenda bestemmia che un insipiente stolto ha avuto l’ardire di sollevare contro quello che è il sacramento più venerabile della salvezza degli uomini 32. Che se poi quel tale, che è caduto in una tentazione così grave, rinsavirà, così che respinga il proprio errore mediante un’attestazione scritta della fede, non gli venga negata la comunione che lo reinserisca nella Chiesa. Sappi che ciò che ti scrivo è quanto ho pure scritto in questi termini al santo vescovo Flaviano: se l’eretico rinnega l’errore, non venga lasciato ai margini della comunità cristiana 33.

Lettera scritta il 13 di giugno dell’anno 449, quand’erano consoli i chiarissimi Asturio e Protógene.

29  Perché tanta fretta nell’imperatore? Forse perché così avrebbe condotto la faccenda come a lui piaceva; a giudicare dal poi, vien fatto proprio di pensare che tale fosse l’animo di Teodosio II; cf. Moricca, op. cit., 1046: i presenti ad Efeso erano quasi tutti dalla parte dell’eretico.
30  Si è nei tempi calamitosi per l’Occidente: i Vandali, scesi dalla Gallia alla Spagna assieme agli Alani, erano passati in Africa sotto la guida di Genserico; armata una flotta compivano delle scorrerie sul Mediterraneo (dopo il 429; il 430 è l’anno della morte di sant’Agostino, ad Ippona). La Gallia era successivamente travagliata dalle scorrerie di Visigoti, Burgundi, Franchi, da rivolte di contadini/briganti. Per non parlare della Britannia. Alla vigilia del concilio di Calcedonia (451) è la volta degli Unni, che, guidati da Attila, erano ormai padroni dal Caucaso al Danubio, ed entravano nell’impero. Attila era stato duramente sconfitto da Ezio, generale di Valentiniano III; ma l’anno successivo Attila espugnava Aquileia (452). Si comprende perché Leone non se la sentisse di lasciare Roma. L’espressione usata: viderer patriam et sedem apostolicam velle deserere ha fatto pensare che Leone fosse nato a Roma (e non a Volterra, come pure taluni pensano); cf. Introduzione, inizio.
Per tutte le vicende, viste dalla parte di papa Leone, cf. Moricca, op. cit., pp. 1061.1079.1088.
31     Cf. alla conclusione della lett. 28 il nome dei delegati.
32 Ritorna su ciò che denuncia l’assalto contra singulare sacramentum salutis humanae; è la quarta o la quinta volta che denuncia l’aggressione al nucleo centrale della nostra fede; cf. note 14.23.24; alla lett. 30, nota 11.
33 Anche tale preoccupazione - il ritorno dell’errante - è espressa più volte dal papa.



LETTERA 33a PER LA CELEBRAZIONE DEL II SINODO DI EFESO

Leone, al santo sinodo raccolto in Efeso 1


Capitolo I La fede nell’incarnazione del Signore trova conferma nella confessione di Pietro

La fede religiosa del mitissimo imperatore2 concorre in modo precipuo a tributargli lode, se riesce a far sì che nessun errore di sorta possa allignare entro gli ambiti della Chiesa cattolica. Il principe ha ritenuto fosse suo doveroso ossequio nei confronti della volontà divina che così ha disposto, mettere a disposizione della sede apostolica il servizio della su autorità regale, quasi volesse sentirsi ripetere dal beato Pietro quella lode che questi si meritò allorché confessò la sua fede, quando il Signore andava interrogando: Chi dicono gli uomini che io sia, io, il figlio dell’uomo? 3. I discepoli riferirono di una svariata serie di risposte. Però, quando volle sapere quale fosse il loro esatto parere, il principe degli apostoli, Pietro, emise una professione completa di fede, pur contenuta nel giro di poche parole. Rispose Pietro per tutti: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo 4. Il che stava a significare: tu che sei veramente figlio dell’uomo, tu sei pure Figlio di Dio. Dirò di più: tu sei vero Dio, tu sei vero uomo; tu sei una sola persona, fatte salve le due nature. Che se Eutiche avesse capito ciò e lo avesse creduto per davvero, non avrebbe mai e poi mai fuorviato dalla strada della retta fede. Perciò la risposta del Signore: Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, poiché a rivelarti tale realtà non è stata né la carne né il sangue, ma il Padre mio che è nei cieli. Perciò io ti dico che tu sei Pietro, e su tale pietra edificherò la mia Chiesa: nulla potranno le forze degli ìnferi contro di essa 5. È infinitamente lontano dall’appartenere a questa costruzione ecclesiale chi non riesce a comprendere il significato della confessione di Pietro e si oppone all’evangelo di Cristo; dimostrando con ciò di non avere mai avuto preoccupazione alcuna di conoscere la verità; invano è apparso degno di onore, dal momento che non ha saputo ornare della saggezza del cuore i bianchi capelli della sua canizie6.


1 Breve lettera , quasi riassuntiva dei contenuti dogmatici contenuti in quella inviata a Flaviano (la 28a). Ai delegati del papa non riuscì di leggerla (cf. Moricca, op. cit., p. 1053). Come poi andasse quello che avrebbe dovuto essere un concilio chiarificatore circa l'essere vero di Cristo, risulta da più fonti; in particolare dagli atti del concilio di Calcedonia, che trasmettono la narrazione di quelle tumultuose e drammatiche vicende: è quello che - poi - Leone definirà latrocinium (lett. 95, 2). Racconto più particolareggiato, vedi in Moricca, op. cit., pp. 1053-1058.
2 Tutt'altro che mitissimo (clementissimus, dice Leone). Raccolse, in pratica, tutta la parte favorevole ad Eutiche, come Dioscoro, cui l'imperatore Teodosio II affidò la presidenza, come Barsuma (forse il più responsabile dei maltrattamenti riservati a Flaviano: cf. Moricca, op. cit., p. 1056), come Eudossia imperatrice, come Crisafio, ciambellano di corte, ed altri, tutti dalla parte di Eutiche; Moricca, ivi, p. 1046.


3  Mt. 16, 13.
4  Mt. 16, 16.
5  Mt. 16, 17-18.
6  Eutiche aveva all’incirca 70 anni.


Capitolo II Il concilio è fatto per porre termine all’errore e per riportare gli erranti alla verità


Ma poiché nemmeno di gente siffatta ci si deve disinteressare, e poiché è apparso opportuno al piissimo, religiosissimo e cristianissimo imperatore di convocare un sinodo di vescovi, con il fine di annullare, con un giudizio il più ampio e completo possibile l’errore, ho pensato bene di inviare come miei rappresentanti i fratelli che qui nomino: il vescovo Giuliano, il presbìtero Renato e il diletto figlio diacono Ilario; insieme ad essi viene anche, in qualità di scribano, Dulcizio: è uomo di fede provata. Essi prenderanno parte in mia vece al santo vostro convenire, fratelli; insieme a voi stabiliranno nel Signore quanto piace, con una decisione che sia unanime. Primo compito è quello che si discuta sul conto di chi ha sollevato tale tempesta, di modo che - respinto, come fosse una peste, l’errore - si tratti di ricondurre alla verità colui che tanto imprudentemente ha sbagliato. Ciò egli però deve fare a chiare note: abbracciando cordialmente la verità della fede, condannando senza ambagi e in modo palese, a voce e per iscritto, il significato eretico delle sue distorte affermazioni 7. In un opuscolo che mi ha inviato 8 egli aveva promesso di seguire il mio parere per filo e per segno. Dopo aver ricevuto tale opuscolo dal nostro fratello, il vescovo Flaviano, chiariti meglio i termini della questione, gli ho risposto secondo che a me è parso doveroso, ossia secondo quello che era il mio parere. Così, sconfitto l’errore che era sorto, per tutto il mondo ci sarà una sola fede, un’unica confessione: ciò ridonderà a lode e gloria di Dio. Si realizzerà pertanto l’auspicio dell’apostolo Paolo: Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, in terra e sottoterra; ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre 9.

Scritta il 13 giugno dell’anno 449, quand’erano consoli gli illustri Asturio e Protógene.



LETTERA 59a INDIRIZZATA AL CLERO ED AL POPOLO DELLA CITTÀ DI COSTANTINOPOLI

Leone, vescovo di Roma, a tutti coloro che si trovano IN POSTI DI RESPONSABILITÀ, E A TUTTO IL POPOLO DI Costantinopoli 1

7  Prima di riaccogliere chi ha sbagliato, occorre sia ben chiara la verità; la confessione del proprio errore è segno di conversione. E finora Eutiche non aveva dato segno di cambiare mente ed animo.

8  Si riferisce alla lett. 21a dell’epistolario leoniano; cf. schema; vedi anche in Moricca, op. cit., p. 1044.

9    Fil. 2, 10-11.

Capitolo I Il papa si rallegra con i costantinopolitani per il fatto che sono strettamente solidali con il loro vescovo Flaviano, opponendosi energicamente all’errore

Quanto è successo nel recente conciliabolo di Efeso ci rattrista non poco (e doveva essere un concilio di vescovi!); la ragione del nostro dolore - a tutti è noto ciò che là è successo: le conseguenze parlano da sé - è perché lì non c’è stata né giusta moderazione, né si è avuto riguardo a quanto la fede vera richiede. Pure in tanta mestizia, una cosa ci conforta: la vostra religiosa pietà; da quanto ci è stato riferito, si sa che si è acclamato tra il popolo santo (l’eco è giunta sino a noi); così abbiamo sentito qual è il vostro pensiero. Si ha da testimonianza sicura che il giusto affetto vive e si consolida presso i figli meritevoli di un buon padre; voi non permettete affatto che soffra detrimento, in nessuno modo, la sana dottrina della fede cattolica. Lo Spirito Santo vi ha ampiamente illuminato circa gli errori di coloro che si possono assimilare tranquillamente ai manichei, i quali negano che il Figlio unigenito di Dio abbia assunto la realtà di uomo, in ogni sua parte, uguale alla nostra

1  Il contesto della lettera appare immediatamente dalle prime battute. La lettera viene scritta poco dopo parecchie altre, stilate non appena Leone apprende dal diacono Ilario l’infelice esito del conciliabolo di Efeso; il papa scrive immediatamente all’imperatore Teodosio II, a Pulcheria (la sorella dell’imperatore: cf. lett. 30, specie nota 9, e lett. 31), al vescovo di Tessalonica, Anastasio, a Giuliano vescovo di Cos, nonché a Flaviano di Costantinopoli, che Leone non sa ancora che è morto; cf. Moricca, op. cit., p. 1057. Si tratta delle lett. 43-45.47-51, scritte per lo più il 13 ottobre del 449 (la 46 è di Giuliano, vescovo di Cos alla medesima Pulcheria; la 52a è di Teodoreto di Ciro al papa). La lett. 59a è del marzo del 450.

natura in tutto e per tutto; per giunta, dicono che le sue azioni corporee si possono assimilare a quelle di un fantasma che ha solo le movenze del reale. È un’empietà che non merita il minimo assenso: lo abbiamo

chiaramente detto mediante lo scritto a voi diretto per mezzo del nostro figlio Epifanio e Dionisio notaio della santa Chiesa di Roma 2. La lettera aveva un significato ben preciso: aveva il valore di confermare quella fede che voi domandavate vi venisse illustrata; lo abbiamo voluto fare di nostra spontanea volontà, quasi ad anticipare il vostro desiderio. Voglio che non dubitiate affatto che ogni nostra sollecitudine è per voi, e che facciamo tutto quello che ci è possibile, perché - con l’aiuto della misericordia di Dio - riusciamo a cancellare gli scandali che son sorti a causa di uomini ignoranti e insipienti. Né alcuno (che si è lasciato irretire dall’errore) osi far appello alla sua autorità presbiteriale, se si è lasciato coinvolgere da un’empietà così evidente. Se a malapena si può capire l’ignoranza tra dei laici, quanto più deplorevole essa è tra coloro che hanno il compito di fare da guida: sono inescusabili e imperdonabili! E ciò tanto più quando si arrogano la pretesa di difendere le idee di opinioni perverse; per di più poi perché riescono a coinvolgere coloro che sono fragili nella fede e ciò avviene o per errore o perché quei tali godono stima presso di loro.

2     Si riferisce alla lett. che porta il n. di 50.


Capitolo II La verità della carne del Cristo è percepibile pure nel mistero dell’Eucaristia


Gente siffatta deve essere disprezzata dalle sante membra del corpo di Cristo, né la libertà dei cattolici può soffrire che le si imponga il giogo degli infedeli 3. Si deve pensare che sono fuori del dono della grazia divina e privi del sacramento della salvezza umana coloro che dicono che in Cristo non c’è la connaturalità della carne dell’uomo. Sono in patente contraddizione con l’evangelo; sono in opposizione al simbolo. E nemmeno avvertono che cadono entro un precipizio a causa della loro cecità, perché essa non trova assolutamente conferma nella passione del Signore, né nella verità della sua risurrezione: l’una e l’altra sono svuotate di senso, se nel Signore non si ammette che c’è la stessa carne che ci appartiene. In che razza di tenebre di ignoranza si sono ficcati! In quale sonnolenza, in quale torpore, fino ad oggi, essi giacciono!3 4.

Non hanno compreso, né dagli insegnamenti, né da ciò che è scritto, una verità evidentissima, che nella Chiesa santa di Dio tutti conoscono assai bene - neppure i più piccoli la ignorano - e cioè che la verità del corpo e del sangue di Cristo è uno dei sacramenti che non va assolutamente taciuto, perché si abbia comunione nella fede 5. Ecco la ragione: nel prendere quel pane celeste che si ha nei segni sacramentali (o mistici), è questo il corpo che è distribuito, è questo il corpo che si riceve in alimento dello spirito: e ciò al fine che coloro che ricevono la forza segreta del cibo celeste, diventino a poco a poco carne di colui che si è fatto della nostra carne 6. Per concludere nell’intento di confermare la vostra autentica fede, che si oppone ai tentativi dei nemici di essa per sovvertirla, mi servirò opportunamente e in modo persuasivo delle stesse parole dell’Apostolo, che afferma: Perciò anch’io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, non cesso di rendere grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente, ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose 7.


3     Da vedere, forse, 2 Cor. 6, 14.
4  Non nuovo tale modo di riflettere; è sempre in causa il nodo centrale della salvezza operata dal Signore, vero Dio e vero uomo, pienamente Dio e pienamente uomo. Cf. lett. precedenti. Come dice anche subito dopo, il fondamento della fede è primariamente la Scrittura e la Tradizione.
5  Può darsi che, nel rifiuto di Eutiche, si debba vedere una ascendenza di origine platonica: il corpo è qualcosa di meno elevato, di meno nobile nell’uomo (di conseguenza, anche in Cristo).
6     È sempre soggiacente Gv. 1, 14. Rifiutare la realtà del corpo del Cristo (ora corpo glorificato) significa - in ultima analisi - togliere qualsiasi valore anche alla celebrazione essenziale della Chiesa: il memoriale della passione/risurrezione del Signore rinnovato nell'Eucaristia. Di nuovo insorgerebbero e Ignazio, ed Ireneo, e Tertulliano... Cf. Ilario di P., De Trinitate, VIII, 13-16, non cit. in appendice alla lett. 165, dove c'è un'antologia di testi anche di sant'Ilario.
7  Ef. 1, 15-23. Lunga citaz. che Leone pensa di poter attribuire ai destinatari della lettera: sarebbe un bellissimo elogio, se meritato.



Capitolo III La verità della carne del Cristo trova conferma anche dal fatto che il Cristo è stato costituito al di sopra di ogni realtà creata,

nonché dalle sue operazioni e dalla capacità che ebbe di tollerare le sofferenze dovute al corpo




Dicano, dicano pure gli avversari della carne del Cristo quando il Padre onnipotente o secondo quale natura abbia innalzato egli il Figlio suo al di sopra di ogni realtà, oppure secondo quale sostanza il Padre abbia sottoposto a lui tutto il creato. Lo dicano. La divinità infatti del Verbo è in tutto eguale ed è consostanziale al Padre; Padre e Figlio possiedono la stessa e medesima potenza eterna e incorporea. Difatti il creatore di ogni natura, dal momento che tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato fatto 8, è superiore a tutto ciò che egli ha creato, e non c’è nulla che si sia sottratto anche per un istante a chi l’ha creato: ciò che uno ha da sempre e che gli appartiene in proprio, non può derivargli da altri che dal Padre, né può trattarsi di una realtà diversa di quella che è il Padre. Se dunque costui ha ricevuto un potere, se ha avuto una dignità che si manifesta, se ha avuto un nome che è stato esaltato 9 10, era inferiore a colui che lo ha innalzato creandolo, né poteva avere le ricchezze di quella natura della quale ebbe bisogno di venirne elargito 10. Ma chi la pensava così fece parte della consorteria di Ario, la cui empietà trova ampia conferma in tale perverso modo di intendere, dato che Ario negava che il Verbo di Dio potesse avere una natura umana 11. Così, mentre mostra ripugnanza a ritenere che nella maestà divina ci possa essere anche l’umiltà umana, conclude erroneamente con il dire o che, in Cristo, c’è un’apparente immagine di corpo, oppure che tutte le azioni del Cristo e le sue passioni fisiche appartengono piuttosto alla divinità che alla carne 12. Qualsiasi delle due supposizioni è da insano l’affermarla; e ciò perché non c’è assolutamente la pietà che nasce dalla fede, né la ragione può così percepire ciò che è proprio della realtà sacramentale 13; che è come dire o che la divinità ha sofferto, oppure che la verità abbia detto il falso in qualche elemento.


8     Gv. 1,3. Citaz. già apparsa nella lett. 31.
9    Cf. Fil. 2, 6ss.
10  L'autore qui esprime delle considerazioni che possono essere state attinte da Ebr. 1-2.
11  Per l'eresia ariana cf. Simonetti, La crisi ariana..., cit., pp. 46ss.; in sintesi, Trisoglio, op. cit., p. 22: «Il solo Padre (è) ingenerato e senza principio (...), il solo eterno, quindi il solo Dio, a cui si opponeva il Figlio, il quale, essendo generato e quindi con un principio, non era veramente Dio». Ci si potrebbe chiedere se l’arianesimo vero sia quello qui presentato, ossia: se sia vero che l’arianesimo negasse che il Verbo potesse avere (o avesse) natura umana. Qui è certamente, invece, Eutiche.



Il Figlio di Dio, impassibile, in quanto partecipe con il Padre e lo Spirito Santo dell’unica e immutabile essenza della Trinità, il che sta a dire che ciò è eterno, nella pienezza dei tempi, stabilita nei disegni divini 14, promessa sia dalle voci profetiche che dal senso degli eventi accaduti, il Figlio di Dio si è fatto figlio dell’uomo, non per aver cambiato la sua sostanza divina, ma per aver assunto la nostra natura umana. Venne a salvare quanto era andato perduto 15. Venne a noi non per un movimento spaziale, né per un cambio di posto dovuto al corpo, quasi volesse rendersi presente là dove era stato sinora assente, oppure come se dovesse ritornare là dove era o da dove sarebbe venuto; no: venne invece per mezzo di ciò che si percepisce e che ha in comune con coloro che lo possono attestare per averlo visto, ossia è venuto a noi prendendo umana carne e un’anima umana nelle viscere della Vergine madre, così che pur rimanendo nella forma di Dio, potesse anche assumere la forma di servo nella somiglianza della carne di peccato, senza per ciò stesso dover perdere quanto è divino con il mescolarlo con le realtà umane, ma - al contrario - arricchendo le cose umane con le realtà divine 16.


12  È conclusione assurda quella cui perviene Eutiche; ossia «immettere» nella divinità un elemento di passibilità (analogamente ai patripassiani; cf. sabellianesimo, in Trisoglio, op. cit. , pp. PP 30 ss.). Il credo di Aquileia aveva dovuto affermare che il Padre è invisibile e impatibile (impassibile).

13  Il Verbo, in conclusione, è il grande sacramento del Padre, secondo Gv. 1, 18; Gv. 6, 46; 1 Gv. 4, 12; ecc.

14 Cf. Gal. 4, 4 ed Ef. 1, 10, nonché gli inni cristologici che aprono Ef. e Col. Cf. pure Ebr. 1,2 e 1 Cor. 10, 11.

15  Forse pensa a Mt. 18, 11.

Capitolo IV Necessità dell’incarnazione per cancellare la colpa di Adamo. Preannunci profetici dell’incarnazione


La condizione dai progenitori originata per tutti i mortali era tale che, trasmettendosi ad ogni discendente la colpa dei protoparenti, nessuno avrebbe potuto essere esentato dalla pena irrogata per la colpa, salvo che il Verbo si fosse fatto carne e fosse venuto tra di noi 17, ossia assumendo quella stessa natura che ha in comune con l’uomo e il sangue e l’origine 18. A ciò si riferisce l’Apostolo, che dice: Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita. Allo stesso modo, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti19.

Dice anche l’Apostolo: Per mezzo di un uomo è venuta la morte; per mezzo di un solo uomo ci sarà anche la risurrezione dei morti. E come tutti muoiono in Adamo, così tutti saranno vivificati in Cristo20. Questo il senso: certamente tutti quelli che sono nati in Adamo, rinasceranno per virtù di Cristo, in forza della testimonianza della fede, con la giustificazione che viene dalla grazia, dall’appartenenza alla stessa natura. Chi 16 17 18 19 non confessa che la natura umana è stata assunta dall’unigenito Figlio di Dio nel ventre della Vergine di discendenza davidica, deve considerarsi alieno da qualsiasi sacramento della religione cristiana. Se non conosce né lo sposo, il Cristo, né la sposa, la Chiesa, non può prendere parte al convito di nozze21. Perché la carne del Cristo è ciò che nasconde il Verbo: ognuno che lo confessa con fede integra se ne riveste. Chi, invece, se ne vergognerà, rifiutandolo quasi fosse realtà sconveniente, non potrà ricevere dal Verbo ornamento di sorta 22. Anche nel caso che si intrufoli nel banchetto del re, anche se si mescolerà nei banchetti di nozze, però da indegno - dato che si trova presente come convitato indegno -, non potrà pur tuttavia sfuggire alla capacità che il re ha in se stesso di vedere sino in fondo. È il Signore stesso che asserisce quale esito avrà un uomo di tal fatta: verrà tolto dalla sala di nozze; sarà avvinto di catene mani e piedi; lo si getterà fuori, nelle tenebre, dove sarà solo pianto e stridore di denti23.


16  Oltre che le citaz. della nota 13, cf. Gv. 16, 28. In questo senso, interessante un sermone, l’ottavo, di Cromazio, tenuto per l’Ascensione (in questa collana, n. 20, PP 73-78); è una specie di amplificazione del testo scritturistico.
17  La parte centrale della lett. è un testo fortemente impegnato dal punto di vista dogmatico. Qui poi è presente il consueto Gv. 1, 14.
18  Vedi, ad es., Ebr. 2, 11.14, ecc. anche se Leone passa a Rom. 5.
19    Rom. 5, 18-19.
20    1 Cor. 15, 21-22.
21     Cf. l’affermazione iniziale del cap. II.
22    Cf. Lc. 12, 8 e 1 Gv. 4, 15.
23    Cf. Mt. 22, 11-14.



In conclusione: chiunque non confessa che il Cristo ha un corpo umano, sappia che è indegno del mistero dell’incarnazione; sappia che non può avere parte a tale sacramento salvifico. L’attestazione dell’Apostolo non poteva essere più esplicita: Poiché noi siamo membra del suo corpo, carne della sua carne, ed ossa delle sue ossa. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sposa, cosicché i due diventeranno un’unica carne 24. Per essere chiaro, aggiunge il significato dell’espressione: Tale sacramento è grande: io lo dico in rapporto a Cristo e alla Chiesa 25. Fin dall’origine del mondo, dalla sorgente dell’umanità, è stato annunciato a tutti indistintamente che il Cristo sarebbe venuto in un corpo di carne. In essa, dato che è stato affermato: i due saranno in una carne sola26, si deve dire che sono perciò veramente due: Dio e l’uomo, il Cristo e la Chiesa, la 20 21 22 23 quale trae origine dalla carne dello sposo. Ciò avvenne quando dal fianco di Cristo crocifisso uscirono sangue e acqua; e fu allora che la Chiesa ricevette il sacramento della redenzione e della rigenerazione 24 25 26 27 28. La Chiesa è, ora, la condizione nuova dell’umanità, perché nel battesimo depone non la veste di una carne vera, ma si libera dal contagio della vecchiezza ormai destinata a perire, perché l’uomo diventi per davvero il corpo del Cristo, dal momento che il Cristo è, ora, il corpo dell’uomo 28
24  Singolare questa citazione «conflata»; non pare assente 1 Cor. 12, 27, oltre che Ef. 5, 30-31. Cf. inoltre Mt. 19, 5 (da Gen. 2, 24).
25    Ef. 5, 31.
26     Ef. 5, 32.
27  I Padri erano assai meno preoccupati della «scientificità» della citazione che non del suo valore tipologico, spirituale, figurale. La realizzazione del testo di Gen. 2, 24 si ha, secondo Leone, in Gv. 19, 3437; alla figura si sostituisce la verità; cf. note 12 e 13 della lett. 31.
28  Altro concetto (o realtà) denso di significato; si può vedere M. Cuminetti, Eucaristia, liberazione dell’uomo, Cittadella, Assisi 1970, alle pp. 45.47.49.57.64 ecc. (presenza reale; presenza ed assenza del Cristo; Cristo e Chiesa...).


Capitolo V Elenco di varie eresie che si oppongono alla fede nell’incarnazione


Pertanto noi non diciamo che il Cristo è solo Dio, come la pensano gli eretici manichei; né diciamo che è solo un uomo, come vanno sostenendo gli eretici seguaci di Fotino; nemmanco diciamo che è uomo cui però manca qualcosa che è strettamente appartenente alla natura umana, come è l’anima, come è l’intelletto razionale, come è la carne che non derivi da donna, ma originatasi dal Verbo che si sarebbe cambiato e trasformato in carne: codesti sono tre gravissimi errori degli apollinaristi, degli eretici che presentarono tre diverse e distinte parti. Neppure sosteniamo che la Vergine concepì un uomo senza la natura divina, il quale, creato dallo Spirito Santo, poi, sarebbe stato assunto dal Verbo: codesto è l’errore sostenuto da Nestorio: giustamente lo si è condannato, perché andava spargendo tale errore 29 30. Questa è, invece, la nostra professione di fede 3°: confessiamo che il Cristo, il Figlio di Dio, Dio vero, nato da Dio Padre senza inizio di tempo; confessiamo altresì che lo stesso è anche vero uomo, nato uomo da madre nella pienezza dei tempi; la sua umanità, per la quale è inferiore al Padre, non sottrae alcunché alla sua natura divina, per la quale è eguale al Padre. Per questo stesso l’elemento divino e l’elemento umano fanno un solo e unico Cristo, il quale poté dire in tutta verità e secondo Dio: Io e il Padre siamo un solo essere 31; invece, in quanto uomo: Il Padre è più grande di me 32. Questa è la fede, carissimi, vera e indissolubile, essa sola che rende veramente cristiani 33; questa è la fede che - come sappiamo e approviamo - con pio zelo e con amore degno di lode, difendete; a questa fede attenetevi scrupolosamente e affermatela con costanza 34. E dato che, dopo l’aiuto divino, è necessario che vi meritate anche la benevolenza dei prìncipi cattolici, chiedete con umiltà, con sapienza e insistentemente che

29  Forse con una certa approssimazione, qui Leone M. passa in rassegna - rapidamente - alcune delle eresie cristologiche. Per i manichei, cf., di papa Leone, discorso 16, 3-5, e lett. 7a; per Fotino più ampiamente in Simonetti, La crisi..., cit., pp. 202-206 («Fotino... faceva nascere il Figlio di Dio da Maria, nel senso che il logos diventava Figlio soltanto incarnandosi nell’uomo Gesù e prendendo sussistenza in lui»). Fotino era vescovo di Sirmio (Singiduno, Slavonia/Croazia); deposto nel 351, causa l’eresia. Per Apollinare di Laodicea, cf. Introduzione, 2, pp. 11 ss. e Simonetti, La crisi..., cit., pp. 368-370. Per Nestorio, cf. passim, sia Introduzione che nel corpo delle lett. (fin dalla 28a). In tale consorteria di eretici ci sta bene anche Eutiche.
30 Tale professione di fede è relativa, qui, soltanto al Cristo, e «recupera» i motivi che è venuto chiarendo nel corso della lett.
31    Gv. 10, 30. Cf. nota 14.
32    Gv. 14, 28.
33     Chi non tiene tale fede non è cristiano, come ha ripetuto più volte.

la nostra domanda, mediante la quale chiedemmo che si indicesse (subito) un sinodo universale, trovi accoglienza 35 agli orecchi del piissimo imperatore. Con l’aiuto di Dio e mediante la sua misericordia, il sinodo sarà presto convocato, affinché chi è nell’ortodossia trovi conforto, e agli esitanti, se si prestano per essere guariti, venga arrecata la medicina del rimedio.

Scritta verso la metà del mese di marzo dell’anno 450, quand’erano consoli Asturio e Protógene, uomini illustri 36.

34  Cf. nota 7.
35  Cf. Moricca, op. cit., 1057; e cf. nota 1.
36  I codici più antichi non portano la data; la lett., comunque, è del marzo 450: cf. nota 1.


Leone Magno - Capitolo IV Più motivi impediscono al papa di partecipare all’assise sinodale: la consuetudine, la situazione contingente, l’amore dei Romani.