Leone Magno - Capitolo V Elenco di varie eresie che si oppongono alla fede nell’incarnazione


LETTERA 124a AI MONACI PALESTINESI

Leone vescovo, a tutti i monaci che si trovano qua e là nella Palestina 1




Capitolo I Ai monaci della Palestina è stata data un’interpretazione distorta di quanto Leone aveva scritto a Flaviano


A me è stata affidata la cura della Chiesa universale e di tutti i suoi figli. Dalla relazione delle cose che molti mi hanno riferito son venuto a conoscere che voi vi siete sentiti offesi, perché o gente inesperta che ha voluto trasporre dal latino in greco (così pare), oppure persone malevole vi hanno fatto credere diversamente da ciò che avevo in realtà scritto e fatto conoscere; forse v’è l’attenuante che non è stato loro possibile tradurre dal latino in greco, in termini comprensibili, anche perché si trattava di questioni assai sottili e difficili a chiarire, quando anche ad uno che ne discuta, risultano termini difficili da spiegare e rendere pur nella propria lingua 1 2. Ci fu per me, tuttavia, un punto di vantaggio, ed è dovuto al fatto che sento che voi - rifiutato quanto la retta fede cattolica respinge - siete ben più amici della verità che non delle cose false. A ragione voi rifiutate di accogliere ciò che, a norma dell’antico insegnamento della sana dottrina, anch’io ricuso di accogliere3. Sta di fatto che la lettera 4 * che scrissi a Flaviano di venerata memoria per sé sarebbe stata sufficientemente chiara, né avrebbe dovuto aver bisogno di tagli o di spiegazioni (sono parecchi gli scritti miei che presentano analogo pensiero:

1  Siamo all’indomani del concilio di Calcedonia (del 451), dopo una serie di disordini scoppiati qua e là nell’impero (cf. lett. 123, ad Eudossia imperatrice, per lo stesso soggetto della 124a), per cui si resero necessari interventi energici sia dell’imperatore che del papa (pur con la moderazione che lo contraddistinsero sempre, anche là dove la parola doveva essere forte, come è anche in questa lett., il cui incipit - senza saluto e con qualche attenuante - fa quasi pensare all’inizio della lett. di san Paolo ai Galati). La lett. è della metà circa di giugno 453.

2         Anche l’incertezza nell’uso dei termini, la loro diversa valenza

in greco rispetto al latino, fu motivo di confusione. Si aggiunga o

ignoranza (come per Eutiche, al dire di papa Leone), o malafede (che

pure vi fu; cf. qui); non ultima la difficoltà dell’argomento: tutto ciò fece il

in essi - del resto - è pur possibile trovare il senso preciso del mio insegnamento). Mi sono trovato nella necessità di esercitare il mio magistero contro degli eretici che hanno messo in confusione non pochi popoli cristiani. Ragion per cui ho ritenuto mio dovere di esporre sia ai clementissimi imperatori, sia alla santa assemblea sinodale, sia alla Chiesa di Costantinopoli 5, quale sia la vera evangelica e apostolica dottrina circa l’incarnazione del Verbo: ho esplicato quanto si deve sapere e sentire circa tale realtà. Non mi sono allontanato neppure in minima parte dagli insegnamenti professati dai santi Padri: la fede vera è una sola, ben distinta; ad essa nulla può essere aggiunto né sottratto. Ed ora, questi Nestorio ed Eutiche, quale per un verso, quale per un altro, per diverse ragioni, ma con eguali empie conclusioni nella sostanza, han tentato di svuotarla. Hanno tentato di immettere nella Chiesa santa di Dio due eresie, fra di loro contrapposte; a ragione ogni buon discepolo della verità si vede nella necessità di condannare sia Nestorio che Eutiche; l’uno e l’altro pazzi fuor d’ogni misura, sacrileghi, per il solo fatto che hanno proposto dottrine false o per un

resto. Il livello culturale dei monaci palestinesi non doveva essere molto alto, se ci furono tali disordini (cf. lett. 126). Peggio ancora fu in Egitto, perché la città di Alessandria, dopo la deposizione di Dioscoro, fu messa a soqquadro dai filoeutichiani. Se ne conclude che i monaci sia della Palestina che dell’Egitto erano più facili all’uso delle mani che non dell’intelligenza. Per i disordini in Palestina e in Egitto (come si ha da parecchi interventi di Leone) cf. Moricca, op. cit., pp. 1074-1083.

3  Gli ultimi due capp. della lett. hanno un tono ben diverso; qui Leone vuole, forse, cattivarsi la simpatia dei monaci palestinesi; cf. note preced.

4  La lett. 28a.

5  Sono le lett. dell’ottobre del 449, subito dopo che Leone ebbe notizia di ciò che era successo ad Efeso (al latrocinium); lett. 43ss.

Si rese necessario un altro intervento del papa dopo i disordini nati all’indomani del concilio di Calcedonia, perché i monofisiti avevano visto condannato nel concilio san Cirillo di Alessandria (per i costantinopolitani, cf. lett. 50 e 59). 6

6  Papa Leone è convinto di ciò che dice; se chiama in causa anche Nestorio non è per barattare - in qualche modo - la condanna

verso o per l’altro6.

Capitolo II Si devono condannare sia Nestorio che Eutiche; il primo perché fa del Cristo due persone; il secondo perché mescolando le due nature le confonde insieme

Prima di tutto si deve anatematizzare Nestorio, il quale pensa che la beata Vergine Maria sia madre soltanto di un uomo, così che Nestorio finisce per duplicare le persone: una seconda la carne, l’altra secondo la divinità; così che ritiene che il Cristo non sia uno solo nel Verbo di Dio e nella carne, ma due - divisi, separati -; uno lo pensa Figlio di Dio, un altro figlio dell’uomo. Al contrario: mentre continua ad esistere quella immutabile essenza del Verbo di Dio, per la quale, insieme con il Padre e lo Spirito Santo, è senza tempo e coeterno, così nelle viscere della Vergine il Verbo si è fatto carne 7, al punto che con un unico atto di concepimento e con un unico atto generativo quella stessa Vergine - nell’unione delle due sostanze (divina ed umana) - potè diventare nello stesso tempo e serva del Signore e madre del Signore 8. Fu ciò che comprese

di Eutiche. È quanto giustifica nel cap. che segue. Di Nestorio non siamo in grado di conoscere direttamente il pensiero, dalla sua opera (perduta), che discendeva dalla «scuola di Antiochia» (cf. Introduzione, PP 6 pp. 6 e 11 ss.). Di lui (condannato) si sa quel tanto che ne dicono gli avversari, come qui Leone, o Cirillo di Alessandria, o - infine - il concilio di Efeso. Nella sua causa deve aver giocato qualche ruolo anche la contrapposizione Alessandria (Teofilo, Cirillo, Discorso) / Costantinopoli (Giovanni Crisostomo..., Nestorio; canone 28 di Calcedonia, ecc.). Circa la natura della vera fede, si può vedere, in generale, il Commonitorium di Vincenzo di Lerino (f 435/450), in particolare la celebre definizione di fede secondo il principio della tradizione (II, 5). Vincenzo di L. era vicino a Cassiano, al quale si era rivolto Leone ancor diacono.

7     Cf. Gv. 1, 14 e Lc. 1, 28.

8     Dice il latino: uno conceptu unoque partu eadem virgo,

anche santa Elisabetta - l’attestazione si deve all’evangelista Luca -, per cui così si espresse: Donde a me questo dono, che la madre del mio Signore venga a me? 9.

Non diversa è la nota di condanna che deve pesare su di Eutiche, il quale, dopo essere passato attraverso l’esperienza di ogni errore dei proto-eretici, finì per fare propria l’eresia di Apollinare 10. Questa la sostanza del suo errore: negata la verità della carne umana del Signore e la sua anima razionale, finisce per concludere che la totalità della persona del Signore nostro Gesù Cristo è composta di una sola natura, quasi che la divinità del Verbo abbia trasposto in lui sia il corpo (la carne) che l’anima razionale dello stesso 11. E tutto il resto, ossia l’essere concepito e nascere, l’essere nutrito e crescere, venire crocifisso e morire, venire sepolto e risorgere, salire al cielo (e sedere) alla destra del Padre, di là da dove tornerà per giudicare vivi e morti, infine essere partecipe della stessa gloria, tutto ciò - secondo Eutiche - farebbe parte di quell’unica essenza la quale senza la verità della carne non potrebbe accogliere nessuna di tali realtà 12. Ecco perché: la natura del Figlio unigenito è la natura stessa del Padre, è la natura anche dello Spirito

secundum unionem utriusque substantiae, et ancilla Domini esset et mater

9  Lc. 1,43.

10  Apollinare di Laodicea (310-390 ): cf. Introduzione, nota 4. Apollinare era stato uno dei grandi amici di Atanasio. Egli era preoccupato di salvare la verità della salvezza. Ma, poiché l’uomo aveva peccato causa la ragione, Apollinare pensava che il Verbo non avesse assunto la totalità dell’uomo, perché il Verbo non avrebbe dovuto assumere ciò mediante il quale l’uomo aveva peccato (cioè mediante l’intelligenza, il nous ), se si voleva che il Verbo redimesse l’uomo; di qui la formula di Cirillo di Alessandria, formula che Cirillo pensava di sant’Atanasio, e che era, invece, di Apollinare di L.: una sola natura del Verbo incarnata. Ecco perché Leone parla di una negazione in Apollinare (ed Eutiche): negata humanae carnis atque animae veritate. Per Apollinare e la sua soteriologia, cf. Simonetti, La crisi..., cit., pp. 368-370.

11  Cf. nota precedente.

12     Negata una verità, si finisce per compromettere tutto il mistero

Santo: natura impassibile, natura nello stesso tempo immutabile, unità indivisa della Trinità eterna, eguale nella consostanzialità. Per cui se codesto eretico si discosta dall’errore perverso di Apollinare, non finisca anche per asserire che la divinità si rende passibile, e che dica che essa si fa mortale 13. Vero è che, se osa dire che il Verbo, parlo del Verbo fatto carne, ossia il Verbo e la carne, siano un’unica natura, non v’è dubbio che casca entro l’eresia perniciosa già dei manichei e di Marcione. E così, per tirare le sue conclusioni dissennate, il mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo14 avrebbe operato così, solo apparentemente; non avrebbe avuto, in realtà, un vero corpo, ma una specie di corpo apparente, così come sarebbe potuto apparire un fantasma a coloro che lo avessero scorto.

Capitolo III Non è cristiano chi dice che in Cristo non v’è la nostra natura umana



Ma che razza di empia bugia è la loro, perché la fede cattolica di un tempo venga, ora, vilipesa, e che i loro sacrileghi farneticamenti già sono condannati dall’unanime universale consenso dei Padri! Codesti eretici sono accecati al punto che si sono allontanati dalla luce della verità, così che negano che il Verbo di Dio abbia assunto, dal momento dell’incarnazione, una natura umana, ossia proprio la nostra natura. C’è da chiedersi in base a che essi usurpino il nome di cristiano, e come

di Cristo, dalla concezione verginale alla sua sessione gloriosa alla destra del Padre.

13  Eutiche peggio ancora del suo maestro Apollinare; finirebbe per concludere che la divinità è passibile, non diversamente dai cosiddetti patripassiani; cf. lett. 59, nota 12. Già il credo di Aquileia prendeva posizione contro i patripassiani, il Padre è invisibile e impassibile (= impatibile). Cf. lett. 15, per i priscillianisti.

14 Cf. 1 Tim. 2, 5. 15
15    Gv. 1, 14.

possano andare d’accordo con la verità espressa nell’evangelo, se affermano che mediante il parto della beata Vergine si sia avuta la carne senza la divinità, o la divinità senza la carne. Come è possibile concordare con l’affermazione fondamentale dell’evangelo che asserisce che il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare tra di noi 15, sarebbe d’altronde assolutamente impossibile asserire che Dio era nel Cristo, mentre riconciliava a sé il mondo 16. Quale riconciliazione è possibile, mediante la quale Dio possa venire riconciliato con il genere umano, se non con il fatto che il mediatore di ogni realtà creata prendesse sopra di sé la causa degli uomini? Come avrebbe potuto il Cristo adempiere al compito vero di mediatore, se non con il fatto che colui che eguale al Padre nella sostanza divina, nella nostra natura, fosse anche partecipe della natura 17 di servo? La conseguenza è che mediante un solo uomo nuovo si rinnovò tutto ciò che era vecchio. Ancora: il vincolo della morte contratto per la prevaricazione di uno solo veniva annullato mediante la morte di uno solo che alla morte nulla doveva come debito di morte 18. Lo spargimento del sangue di un giusto per i peccatori fu talmente forte a favore dell’uomo, tanto alto il prezzo versato che, se tutti gli uomini schiavi del peccato si fossero affidati al loro redentore, non li avrebbe ulteriormente tenuti schiavi nessuna tirannica potestà. È quanto si trova detto dall’Apostolo: Dove abbondò il peccato, là sovrabbondò la grazia 19. A coloro che erano nati sotto il dominio del peccato, poiché è stata loro offerta la possibilità d’esserne liberati, diventando così creature nuove, il dono di libertà s’è fatto più potente che non il peso della schiavitù. 16 17 18

16     2 Cor. 5, 19.

17     Leone adopera sempre la parola forma .(in forma Dei; in forma

servi ).

18  C’è - forse - un vago riferimento anticipato, a Rom. 5, 15ss. che cita subito.

Capitolo IV L’autore afferma che vengono purificati dal sangue del Cristo soltanto coloro nella cui natura egli si è reso visibile,


per i quali ha patito, per i quali è morto, riportando il trionfo su tutti gli avversari

Ma quale speranza di salvezza riposta nella difesa che viene da un sacramento tanto grande, possono lasciare sopravvivere coloro che negano che nel corpo del Signore nostro si dia la verità della natura umana? Provino essi a dire in base a quale sacrificio siano stati riconciliati, dicano da quale sangue siano stati redenti! Chi è colui che offrì se stesso per noi quale oblazione ed offerta gradita a Dio in odore di soavità 20? Oppure: quando mai un sacrificio fu più santo di quello che il vero pontefice impose sull’altare della croce per mezzo dell’immolazione della sua vera carne? 21. Benché, alla presenza di Dio, sia apparsa preziosa la morte di molti santi 22, nessuna uccisione di uomo giusto fu in grado mai di divenire propiziazione per il mondo. I giusti ricevettero la corona della vittoria, non la diedero; dagli esempi di fortezza dei fedeli ne sono sorti esempi di pazienza, non doni di giustizia. Ciascuno visse e morì per se stesso; né la morte di uno riuscì a cancellare con la sua vita il conto da pagare dovuto a un altro. Al contrario: tra i figli dell’uomo l’unico e solo Gesù Cristo, il Signore nostro, solo lui ci fu mediante il quale tutti sono stati crocifissi, tutti sono morti, tutti sono stati sepolti, e tutti sono anche risuscitati. È la sua stessa attestazione, quando afferma: Quando sarò innalzato da terra, attirerò a me ogni realtà 23. La vera fede è quella che rende giusti gli empi, che 19 20 21 22

19     Rom. 5, 20.

20  Ef. 5, 2 (cf. Es. Ex 29,18). L’inizio di capitolo fa ripensare a Tertulliano, De carne Christi o il De carnis resurrectione; cf. lett. 30 e 31, alcune note.

21  Tale pensiero ritorna altre volte. Qui poi, in termini liturgici e sacramentali, l’autore adopera mediator (come tante altre volte), pontifex, sacerdos.

22    Cf. Sal. 115, 5.

rende giusti coloro che avvince con i legami che egli ha intrecciato nella sua umanità, acquista salvezza soltanto in colui nel quale l’uomo si ritrova innocente. Può menare vanto della propria potenza per il dono della grazia divina colui che, venuto alle armi contro un nemico potente e superbo, lo ha fatto nell’umiltà della nostra carne, e ha concesso la vittoria, che spettava solo a sé, a coloro nel corpo dei quali ha potuto menare il trionfo.


Capitolo V Le proprietà delle due nature di Cristo prendono luce dalla natura delle sue operazioni


Quantunque perciò nell’unica persona del Signore nostro Gesù Cristo, vero Figlio di Dio e figlio dell’uomo, unica sia la persona del Verbo e dell’uomo, le due nature hanno operazioni 23 24 che sono loro proprie, anche se comuni. Pure le qualità delle loro operazioni si devono intendere e devono essere comprese in base alla luce della fede, osservando a quali altezze sia esaltata l’umiltà della fragilità umana, a quali abissi si sia piegata l’altezza della potenza divina. Inoltre occorre tenere ben presente perché la carne non operi senza il Verbo, e perché non operi il Verbo senza il corpo umano. Infatti la Vergine non avrebbe potuto concepire senza la potenza del Verbo, né avrebbe essa potuto generare25. Senza un vero e proprio corpo un infante non sarebbe giaciuto involto in panni nella mangiatoia26. Senza che vi fosse stata la potenza del Verbo, dei magi non avrebbero adorato il fanciullo reso manifesto mediante una nuova stella 27. Nemmanco senza la verità della carne non sarebbe stato comandato di porre al riparo in Egitto il fanciullo, per sottrarlo alle insidie del re Erode28. Senza la verità della carne non si

23    Gv. 12, 32.

24 In termini teologici le operazioni (o le azioni) del Signore prendono il nome di teandriche; lo ripete all’inizio del cap. VI.

sarebbe udita la voce del Padre che, dal cielo, diceva: Questi è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto 29. Senza che vi fosse la verità della carne Giovanni non avrebbe detto: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che prende su di sé i peccati del mondo 30. Senza la potenza del Verbo non sarebbe avvenuta la reintegrazione di chi è ammalato, né la risurrezione dei morti. Senza la verità della carne non si sarebbe avvertita l’esigenza di cibo per chi era digiuno, neppure si rendeva necessario il sonno a chi era stanco. Infine: senza la potenza del Verbo il Signore non si sarebbe dichiarato eguale al Padre 31, né senza la verità della carne lo stesso Signore avrebbe riconosciuto che il Padre era più grande di sé 32. La fede cattolica accoglie l’una e l’altra realtà, l’una e l’altra essa difende; riconosce e difende quanto fa parte delle prerogative della natura divina e quanto fa parte delle prerogative della natura umana nell’unico Figlio di Dio, che la Chiesa crede e uomo e Verbo divino 33.


Capitolo VI Le due nature, divina e umana, sono supportate dall’unica persona del Verbo, senza che essi si confondano


Benché dall’inizio, da quando nel grembo della Vergine il Verbo si è fatto carne 34, non ci sia stata nessuna divisione tra la natura divina e quella umana, e il

25 Cf. Lc. 1,31.
26 Cf. Lc. 2, 7.
27 Cf. Mt. 2, 1-12.
28 Cf. Mt. 2, 13ss.
29 Mt. 3, 17 e parall.
30 Gv. 1,29 e 36.
31 Cf. Gv. 10, 30.
32 Cf. Gv. 14, 28.

33  Il fatto che papa Leone torni sopra con tanta insistenza sull’essere di Cristo (una persona in due nature, la divina e l’umana) è per la ragione detta, e che è l’essenziale (in fondo è l’unica ragione), ossia che essa costituisca il cardine della fede, dunque il fondamento soteriologico dell’uomo. Si vedano testi nelle preced. lett.

crescere del corpo del Signore in ogni sua parte sia sempre appartenuto all’unica persona fin dall’inizio; quanto però è avvenuto, è avvenuto in modo inseparabile nella sua persona, non per ciò stesso lo confondiamo, ma lo riconosciamo dalla qualità che le due nature hanno, secondo la loro natura appunto. Ciò che è proprio della natura divina non reca però pregiudizio a ciò che è proprio dell’umana, né, viceversa, ciò che è dell’uomo a ciò che è proprio del divino, dal momento che le une e le altre proprietà concorrono a un’unica realtà, così che né le proprietà delle due nature vengano annullate, né senza che, per ciò stesso, si debba parlare di due persone. Ci dicano, ora, codesti fantastici presunti cristiani quale sia la sostanza del Signore che è stata appesa alla croce, quale quella che è giaciuta nel sepolcro e quale, dopo che fu rinserrato il sepolcro, sia quella carne che - il terzo giorno - è risorta; quale sia anche poi il corpo che Gesù ha mostrato alla vista dei suoi discepoli, quando entrò da loro, mentre le porte erano ancora sbarrate 35. Per fugare qualsiasi forma di dubbio nei presenti, sbalorditi, egli si è fatto vedere ben bene; volle essere toccato con le mani, mostrando le ferite ancora aperte dei chiodi, e facendo vedere anche la trafittura recente del colpo di lancia 36. Che se in tanta luce di verità il cuore indurito dall’errore lascia persistere fitte tenebre, facciano vedere codesti eretici da dove possano aspettarsi la speranza di vita eterna, alla quale non è consentito giungere se non attraverso la mediazione di Gesù Cristo, uomo posto a conciliazione tra Dio e gli uomini37. Perché non c’è altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale si possa venire               salva

ti 38. Non c’è redenzione dalla schiavitù del peccato per gli uomini, se non nel sangue del Cristo, il quale ha offerto se stesso in redenzione di tutti gli uomini39. C’è un altro

34  Gv. 1, 14; si può vedere dall’indice biblico la frequenza della citaz. Quanto è qui detto ha un parallelo nel discorso 65, sulla passione (14). E si veda la definizione di Calcedonia.

35  Stesso argomento anche altrove; ad es., a metà del cap. II.

insegnamento dell’Apostolo che ribadisce questa realtà; dice; (Il Signore Gesù Cristo), pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua eguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre 40.

Capitolo VII

Al Figlio di Dio si è aggiunta unicamente la forma di servo

Quantunque perciò il Signore Gesù Cristo sia un’unica persona, ed in lui - sempre persona unica e medesima - sia per ciò che riguarda la natura divina sia per ciò che riguarda quella umana, poiché tale stretto connubio saldamente indissolubile non può in alcun modo venire dissociato 41, si deve ritenere fermamente che l’innalzamento con il quale Dio Padre lo innalzò, quando pure gli fece dono di un nome che è al di sopra di ogni altro nome, appartiene a quella forma sola che poteva assumere tale segno di crescita di gloria42.

In quanto Figlio di Dio era in tutto eguale al Padre; tra lui e il Padre non poteva esserci nessuna (distinzione) quanto alla natura, nessuna diversità quanto alla maestà. Neanche, in ragione del mistero dell’incarnazione, il Verbo aveva perduto alcunché, che il Padre potesse

36 Cf. Gv. 20, 19-29.

37 Cf. 1 Tim. 2, 5.

38 Atti 4, 12.

39  1 Tim. 2, 6. Il papa sottolinea ripetutamente il fine salvifico.

40  Fil. 2, 6-11; citazione che qui è data per intero, mentre, altrove, la si ha per parti; cf. indice biblico.

restituirgli41 42 43. Invece la forma di servo, per mezzo della quale la divinità impatibile 44 45 portò a compimento il sacramento dell’immensa misericordia, fa parte dell’umiltà propria dell’uomo, la quale è stata innalzata a così grande gloria della divina potestà, e fin dalla concezione verginale la divinità e l’umanità si sono rannodate con un nodo così stretto, così che le realtà divine non si compissero senza l’uomo, né le realtà umane si realizzassero senza la presenza della divinità

45

Perciò, come si dice che il Signore della maestà fu crocifisso, allo stesso modo si dice che colui che è eguale a Dio in forza dell’eternità, venne esaltato. Non ha importanza in base a quale natura (se divina o umana) il Cristo venga nominato, dal momento che - per il fatto che rimane sempre unica la persona - il Cristo rimane sempre, inseparabilmente, e lo stesso, tutto quanto figlio dell’uomo in ragione dell’incarnazione, e tutto quanto Figlio di Dio in forza dell’unica divinità che ha in comune con il Padre. In conclusione: tutto quello che il Cristo ha ricevuto nel tempo, lo ha avuto in ragione della sua natura umana, alla quale vengono aggiunte quelle realtà che (come tale, come uomo) non aveva. Perché, secondo la onnipotenza che gli spetta in quanto Verbo, quanto possiede il Padre lo possiede pure il Figlio, senza distinzioni 46, e quelle realtà che ha avuto dal Padre, le ha avute per la forma di servo, le stesse il Verbo le ha donate

41     Cf. la definizione di Calcedonia.

42     È l’amplificazione di Fil. 2, 9-11, dato sopra.

43  Adopera ancora e sempre il termine forma (forma Dei, forma servi). Circa l’espressione nulla in essentia discretio, è utile vedere un testo di san Cromazio (sermone VIII, sull’ascensione; CCL IX A, 1974, p. 37): «...nulla diversitas honoris inter Patrem et Filium est, nulla discretio dignitatis, sed sola pietas caritatis ».

44  Impatibile non esiste in ital.; pure l’impassibilis, tradotto come calco, non dice forse quanto potrebbe significare impatibile (= che non può, che non potrà, nemmeno in futuro, patire); cf. nota 13.

45         È pensiero ricorrente nella liturgia del Natale, parte della quale

si deve proprio a papa Leone M.

per la natura che ha in comune con il Padre. Egli, il Figlio, è, nello stesso tempo, e ricco e povero 47. Ricco, in quanto all’inizio dei tempi il Verbo esisteva, il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Esso era presso Dio fin dagli inizi. Tutto fu fatto per mezzo di lui; e senza di lui nulla fu fatto 48. Ma era anche povero, perché il Verbo si è fatto uomo ed è venuto ad abitare tra di noi49. Quale può essere perciò l’annientamento del Verbo, quale la sua povertà, se non l’avere egli assunto la forma di servo, per mezzo della quale - nascosta come sotto un velo la maestà divina del Verbo - venne completata l’economia salvifica dell’umana redenzione? I legami della schiavitù che ci tenevano avvinti, e che risalivano alle origini della nostra esistenza, non potevano venire spezzati, se non a condizione che ci fosse stato un uomo della nostra stessa schiatta e della nostra stessa natura, il quale non fosse a sua volta incatenato da tali catene, e tale che potesse - con il suo sangue immacolato - cancellare l’editto di morte che avvinceva noi 50, secondo che era preordinato nel piano divino di salvezza, così che esso si è realizzato nella pienezza dei tempi stabiliti 51, così che quella promessa fatta balenare all’umanità in tante maniere, a lungo attesa, finalmente venisse realizzata. E non poteva, tale promessa, essere ambigua, perché continuamente tenuta viva da tante testimonianze nel corso dei secoli.

46  Altra idea ribadita spesso; cf. nota 43. Segue poi il termine forma, ricorrente.
47     Oltre la citaz. che segue, da vedere 2 Cor. 8, 9.
48    Gv. 1, 1-3.
49  Gv. 1, 14. Altro modulo assai frequente; cf. citazioni bibliche; vedi le note 16 e 28 alla lett. 28a, per sant’Agostino.
50     Cf. Col. 2, 14; cf. esegesi biblica.
51    Cf. Gal. 4, 4 ed Ef. 1, 10; cf. nota 14 della lett. 59.


Capitolo VIII Il papa chiede ragione ai monaci della Palestina come mai si siano lasciati prendere da un furore iconoclastico



contro i cristiani che tenevano la fede ortodossa della Scrittura e dei Padri, nonché la voce dei concili52

Sconfitte pertanto così numerose eresie, che hanno finito per staccarsi dal corpo della Chiesa che è unica (e ciò si è ottenuto per i meriti dei vescovi riuniti in assemblea), le membra eretiche hanno da loro stesse meritato di tagliarsi fuori dal Cristo, dal momento che dell’incarnazione del Verbo, che è salvezza unica meritatamente di coloro che credono in modo retto, dell’incarnazione - dico - gli eretici ne hanno fatto sasso d’inciampo e pietra di scandalo 53. A questo punto sono particolarmente addolorato per il fatto che abbiate faticato tanto per vedere dov’era la verità. Dico questo perché non sono certo mancate attestazioni che facessero capire quanto fossero fuori strada e Nestorio, ed Eutiche assieme a Dioscoro, condannati chiarissimamente dalla fede cristiana, poiché è evidente che non può fregiarsi del nome di cristiano chi presti il suo assenso all’empietà o di quello o di costoro. Per questo provo un grande dolore nel sentire che rifiutate di prestare ascolto alla dottrina evangelica e apostolica; e lo fate tra continue agitazioni, al punto che avete messo a soqquadro città intere, sconvolgendo le comunità ecclesiali, e non solo con offese, ma persino con l’uccisione di presbiteri e con l’aggressione dei  vescovi! Così, a causa dell’annebbiamento della ragione e per la ferocità messa in atto vi siete dimenticati e del vostro impegno e della professione di monaci! Dove è andata a finire la regola della vostra mansuetudine e della quiete? dove la longanimità nella pazienza? dove la tranquillità della pace? dove la forza dell’amore? dove il caposaldo dello spirito di tolleranza? Quale persuasione vi ha sottratti all’evangelo di Cristo, o quale persecuzione ve ne ha separato? Oppure, quanto grande deve essere stata

52  La conclusione della lettera non è risentita, ma certo preoccupata, anche dal fatto che all’errore sia stato così facile fare breccia nel cuore dei monaci palestinesi, non meno che in quelli dell’Egitto.

l’astuzia di chi vi ha ingannati, così che vi siete dimenticati dell’insegnamento dei profeti e degli apostoli, vi siete totalmente dimenticati del simbolo che dà salvezza, e della confessione da voi tenuta di fronte a tanti testimoni; avete ricevuto il sacramento del battesimo, ed ora vi lasciate abbindolare dagl’inganni del diavolo? Che cosa non sarebbero riusciti a produrre presso di voi i tormenti, che cosa l’essere scarnificati, se per farvi abdicare alla fede autentica sono bastati gli argomenti inconsistenti degli eretici? Avete le persuasione di operare in pro della vostra fede, e - invece - voi vi opponete proprio ad essa! Vi gonfiate dej nome della Chiesa, e intanto andate contro la Chiesa! È questo che avete appreso dagli insegnamenti dei profeti, questo dagli apostoli, questo dagli evangelisti? Voi finite per negare la carne di Cristo, finite per sottrarre al Verbo ciò che è stato proprio caratteristica sua, l’essenza stessa della sua passione e morte; così che concludete con il sostenere che la nostra specifica natura umana non appartiene per nulla a colui che l’ha rifatta nuova, e tutto ciò che ha realizzato la croce del Signore, ciò che ha prodotto il colpo di lancia nel suo cuore, ciò che ha coperto il sasso del suo sepolcro e ciò che esso ha restituito alla vita, voi andate dicendo che è frutto unicamente della potenza divina e non anche della fragilità della natura umana. È proprio in difesa della natura umana (assunta dal Verbo) che così si esprime l’apostolo Paolo: Non mi vergogno dell’evangelo 54; ben sapeva l’Apostolo quale fosse l’obbrobrioso capo di accusa che i nemici rinfacciavano ai cristiani. Il Signore stesso poteva dire: Chi mi avrà riconosciuto davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio55. Non certamente saranno degni di venire riconosciuti dal Padre e dal Figlio per autentici cristiani tutti coloro che si vergognano della carne di Cristo. In fondo, fanno capire che non hanno avuto alcuna virtù dal segno della croce, perché ora arrossiscono di confessare con le labbra 56 il segno che essi hanno ricevuto sulla fronte.

53    Cf. 1 Pt. 2, 8 (da Sal. 117, 22).

Capitolo IX La lettera chiude con l’invito del papa ai monaci a tornare alla fede vera e che è il vanto della Chiesa


Allontanatevi, allontanatevi, figli, dalle suggestioni diaboliche che avevate abbracciato. Niente verrà a violare la verità di Dio, ma - occorre affermare - la Verità non potrà salvarci che nella nostra carne. Lo attesta il profeta: La verità è sorta dalla terra 57; e così la Vergine Maria ha potuto concepire il Verbo, così da fornirgli dalla sua sostanza quella carne che il Verbo doveva strettamente unire a sé, senza che si aggiungesse un’altra persona, e senza che se ne svuotasse la natura (divina), dal momento che colui che era nella forma di Dio, potesse prendere anche la forma di servo, di modo che il Cristo fosse uno e lo stesso nell’una e nell’altra natura58. Così Dio si piegava sugli abissi dell’uomo, e l’uomo si ergeva fino a toccare l’infinito di Dio. Lo asserisce l’Apostolo: Di essi (Israeliti) sono anche i padri, dai quali proviene Cristo secondo la carne; egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen! 59.

54 Rom. 1, 16.

55   Mt. 10, 32.

56 La confessione dev’essere completa, ossia confessare tutto il Cristo.

57    Sal. 84, 12; singolare la conclusione che dal testo deduce il papa.
58 Il ricorrente termine forma (cf. Fil. Ph 2, 6ss.) tre volte; (natura = forma).
59    Rom. 9, 5; citaz. quanto mai pertinente, dato il contesto. La lett.


Leone Magno - Capitolo V Elenco di varie eresie che si oppongono alla fede nell’incarnazione