Leone Magno - Capitolo IX La lettera chiude con l’invito del papa ai monaci a tornare alla fede vera e che è il vanto della Chiesa


LETTERA 165 DI PAPA LEONE ALL’IMPERATORE LEONE \21

a

Capitolo I Dice di inviare all’imperatore quanto aveva già promesso di mandargli per iscritto contro l’eresia di Eutiche


Venerabile imperatore, conosco assai bene che tu sei particolarmente attento nelle questioni che riguardano la fede. Ricordo d’averti promesso, come riesce di fare alla mia pochezza, una riflessione sulla fede stessa. Ora mi riesce di adempiere alla promessa, favorito dall’aiuto divino. Penso che ciò che ti scrivo potrà tornare utile quanto mai alla tua pietà che so essere tanto zelante 2. Conosco bene, d’altra parte, che tu - nelle dottrine umane - non hai bisogno di suggerimenti, mentre pure conosco anche che, per un dono dello Spirito Santo, ti sei nutrito con abbondanza di dottrina celeste; ritengo, ciò nonostante, essere mio compito e rendere manifesto quanto sai, ed annunciare ciò che tu credi, così che quel fuoco che il Signore è venuto ad accendere sulla terra 3 in forza di un’assidua meditazione si rafforzi perché meglio splenda, e si infiammi tanto che brilli con chiarezza. L’eresia di Eutiche infatti ha cercato ogni mezzo per sollevare grandi tenebre in tutto l’Oriente e per stornare gli occhi di gente semplice da quella luce che - come si

1  La lettera è in parallelo con la 2&>, ed è altrettanto nota; la distingue l’antologia di testi allegati da papa Leone.
2  È una captatio benevolentiae nei confronti del nuovo imperatore, e ve n’era forse bisogno; cf. Moricca, op. cit., pp. 19821085; alle pp. 1085 ss. notizie sulla lett. 165.
3    Cf. Lc. 12, 49.

legge nell’evangelo - brilla nelle tenebre, anche se le tenebre han fatto di tutto per non accoglierla 4. E dal momento che codesta eresia è ricaduta entro la sua stessa cecità, ora si è fatta più virulenta nei suoi discepoli, perché venuta meno nel suo autore.

Capitolo II Le eresie di Nestorio e di Eutiche. Codesto non fa altro che porsi sulle orme di Apollinare, di Valentino e dei manichei



A distanza di non molt’anni la fede cattolica, che è la vera, l’unica e alla quale nulla può essere aggiunto e nulla tolto, è stata presa di mira da due nemici: il primo è Nestorio, il secondo Eutiche. Codesti eresiarchi han voluto portare nel cuore della Chiesa due errori che si contrappongono l’uno all’altro. È giusto che qualsiasi predicatore della verità condanni l’uno e l’altro, poiché fu cosa insana e sacrilega quello che i due, pur in modi contrapposti, hanno avuto la pretesa di proporre.

Questo il motivo per cui si deve condannare l’errore di Nestorio. Costui ritiene che la beata Vergine Maria non sia madre di Dio, ma la pensa genitrice soltanto di un uomo; così che l’eretico duplica le persone: una sarebbe la persona umana, un’altra quella divina; e non ci sarebbe un solo Cristo nel Verbo di Dio e nella carne, ma distintamente e divisi, uno il Figlio di Dio, un altro il figlio dell’uomo. Mentre noi confessiamo che, pur rimanendo quella essenza immutabile del Verbo, per la quale egli, con il Padre e con lo Spirito Santo è senza tempo e coeterno, allo stesso tempo il Verbo si è fatto carne 4 5 nelle verginali viscere della Vergine, così che - per un sacramento che non può essere espresso concettualmente - con un’unica concezione, con un unico parto, si debba dire secondo la verità delle due nature

4     Gv. 1,5.

5  Cf. Gv. 1, 14 Verbum caro sit factum). Per la frequenza, cf. lett. precedenti.

che quella stessa Vergine è e schiava del Signore e, insieme, madre sua. Troviamo conferma di ciò nell’episodio raccontato da san Luca, quando fa dire ad Elisabetta: E donde tale dono per me, che la madre del mio Signore venga a me?6.

Non diversa è la nota di eresia che conviene ad Eutiche, il quale, dopo aver prelibato un po’ in tutte le eresie del passato 7, ha finito per fare proprio uno degli errori più grossolani di Apollinare 8, che così suona: nel Signore nostro Gesù Cristo non c’è la verità della carne, né l’anima razionale; per Apollinare Gesù ha un’unica natura, come se il Verbo, nella sua divinità, avesse assorbito tutto ciò che è proprio dell’uomo; con la conclusione abnorme cui perviene che le azioni umane del Cristo apparterrebbero alla divinità, che non può - in quanto tale - ricevere ciò che appartiene alla realtà della carne; e così, l’essere concepito, il nascere, venire allattato, crescere, essere appeso alla croce, morire, venire sepolto e risorgere, salire al cielo, essere posto alla destra del Padre, là da dove tornerà per giudicare i vivi e i morti, come anche l’essere assiso alla destra del Padre 9, sarebbero tutte proprietà che apparterrebbero unicamente alla divinità che - come detto - sono tutte proprietà che non possono essere senza il supporto della carne, dato che la natura dell’Unigenito è la stessa natura del Padre, ed è anche la stessa che lo Spirito Santo ha, perché essa è, nello stesso tempo, impassibile e immutabile: la Trinità sempiterna è unità indivisa ed è eguaglianza, ché le tre persone hanno in comune la stessa sostanza. Perciò, se un qualsiasi eretico della scuola di Eutiche si discosta dall’errore pernicioso di Apollinare, non per ciò può convincersi che la divinità sia passibile e mortale. E tuttavia, se avrà l’ardire di sostenere che la natura del Verbo incarnato, ossia del

6     Lc. 1,43; già presente nella 124a; ivi, nota 9.

7     Ciò aveva detto anche dei priscillianisti; cf. lett. 15.

8  Per Apollinare di Laodicea, cf. lett. precedenti e Introduzione, note 4.23.25.33.

9     Argomentazione frequente in Leone.

Verbo e della carne, sia unica, manifestamente cade entro l’eresia di Valentino e dei manichei 10. Per giunta pensa che il mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo11, abbia operato soltanto in maniera apparente in tutto ciò che egli ha fatto; tale eretico poi, eutichiano, ritiene che in Cristo non ci sarebbe un corpo reale, ma una parvenza di corpo, un’apparenza di fantasma, con le caratteristiche apparenti di corpo, quale potevano pensare fosse quelli che lo scorgevano.



Capitolo III Tutti gli errori delle eresie sopra elencate sono stati condannati al concilio di Efeso (431)

Da sempre la Chiesa cattolica ha condannato le mentite asserzioni degli eretici; già da gran tempo le sacrileghe affermazioni di tali perverse dottrine sono state condannate dai detti concordi dei santi padri, senza possibilità di appello, e ciò è noto nel mondo intero. Non v’è dubbio che noi predichiamo e difendiamo quella stessa fede che il santo sinodo di Efeso ha confermato con la formula seguente:

Crediamo in un solo Dio Padre onnipotente, creatore delle realtà visibili e invisibili.

Crediamo in un solo Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio,

unigenito, nato dal Padre, ossia dalla sostanza del Padre;

(che è) Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, nato non creato,

della stessa ed unica sostanza del Padre (è ciò che i

10  Valentino è uno gnostico della metà circa del sec. II; cf. testi di patristica. Anche i manichei sono stati stigmatizzati da papa Leone; cf. lett. 7.8, discorso 16; cf. Moricca, op. cit., pp. 1034 ss. con altri rimandi.

11     Il consueto riferimento a 1 Tim. 2, 5.

Greci dicono omooùsion, stessa sostanza);

per mezzo di lui tutte le cose sono state create, sia

quanto si trova nel cielo, sia quanto è sulla terra.

Ed egli, per noi è la nostra salvezza, è disceso (dal cielo),

si è incarnato, si è fatto uomo; il terzo giorno è risorto.

È asceso al cielo; tornerà per giudicare i vivi e i morti.

Credo nello Spirito Santo.

In tale professione di fede è chiarissimamente contenuto ciò che anche noi confessiamo e crediamo circa l’incarnazione del Signore12, il quale - per rinnovare la salvezza del genere umano - non dal cielo portò una carne vera, partecipe della nostra fragilità, ma la assunse nel ventre della Vergine.

Capitolo IV La riconciliazione degli uomini avviene nella carne; diversamente il Cristo non adempie né al compito di mediatore, né a quello di redentore


Essi, gli eretici, sono talmente accecati, sono infinitamente distanti dalla verità, al punto di non riconoscere al Verbo di Dio, nel fatto dell’incarnazione, che egli ha assunto la realtà della nostra carne. A questo punto ci dicano su quale fondamento essi fondino il nome di cristiano; dicano in che modo possano andare d’accordo con la verità evangelica, se dal parto della

12  Il riferimento al concilio di Efeso (del 431) è costante sia dal punto di vista dogmatico (questo soprattutto), sia da quello disciplinare, specialmente a proposito del contestato canone 28 di Calcedonia; cf. lett., passim.(dalla 100 in poi, per le ambizioni di Anatolio). Per la formula di fede, cf. Denzinger, cit., n. 9.

Il papa riporta, del simbolo, quasi solo quanto riguarda, in questa sede, il Signore Gesù.

beata Vergine ne è venuta la carne senza la divinità, oppure se la divinità è venuta a noi senza la carne. Non si può certo smentire l’evangelo che asserisce che il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare tra di noi 13. E non si può certo andare contro l’apostolo Paolo che così proclama: Dio riconciliava il mondo a sé in Cristo14.

Quale altra riconciliazione poteva esserci, mediante la quale Dio tornasse a mostrarsi propizio al genere umano, se non quella condizione per la quale il mediatore tra Dio e gli uomini prendesse sopra di sé la causa di tutti gli uomini? 15. E come avrebbe potuto adempiere alla verità del suo essere mediatore, se non chi è eguale al Padre nella sostanza divina, e nostro consorte nella natura per la forma di schiavo assunta? 16. Così che il vincolo di morte contratto da una persona sola che prevaricò, venisse cancellato con la morte di uno solo, l’unico che nulla doveva pagare alla morte. L’effusione del sangue di Cristo in pro degli ingiusti fu tanto ricca per pagare il prezzo, che se tutti i prigionieri insieme avessero creduto nel loro redentore, non sarebbero più rimasti incatenati dalle catene del diavolo, dato che l’Apostolo può dire: Dove abbondò il peccato, là sovrabbondò la grazia 17. E poiché coloro che erano nati sotto il dominio del peccato avevano ricevuto il potere di rinascere alla giustizia, il dono proposto di libertà è diventato più forte che non il debito dovuto alla schiavitù.



Capitolo V Solo mediante il sacrificio di Cristo il mondo poteva venire riconciliato con Dio e giustificati i peccatori \213 14 * * *


13    Gv. 1, 14.

14    2 Cor. 5, 19.

15    Cf. nota 11; inoltre nota 14 alla lett. 124, ecc.

ì6 In forma Dei aequalis est Patri, in forma servi particeps esset et nostri, dice il testo latino.

17 Rom. 5, 20; altro di Rom. 5 è anche nelle linee preced.: Leone lo amplifica; così anche per ciò che chiude il capitolo.

Quale speranza mai di salvezza lasciano sopravvivere a se stessi nella difesa di questo grande sacramento coloro che negano che nel nostro Salvatore si dia la realtà del corpo umano? Dicano pure come pensano di poter venire riconciliati, e con quale sacrificio; dicano pure come si ritengano riconciliati, a prezzo di quale sangue? Afferma l’Apostolo: (Chi è che) ha offerto se stesso a nostro favore donandosi come vittima e offerta a Dio in odore di soavità18? O quale sacrificio mai fu più sacro quanto quello che il vero ed eterno pontefice ha posto sull’altare della croce mediante l’immolazione della sua carne? 19. Benché la morte di molti santi sia apparsa preziosa al cospetto del Signore, tuttavia la morte di qualcuno, che pure fosse innocente, mai poté costituire la redenzione del mondo20.

I giusti le corone le hanno ricevute, non donate; dalla fortezza dimostrata dai fedeli ne sono nati esempi di pazienza, non doni di giustizia. In ciascuno la morte fu per se stesso; mai alcuno pagò con la propria fine il conto che un altro doveva pagare per se stesso. Al contrario - tra i figli degli uomini - ci fu il solo ed unico Signore nostro Gesù Cristo, che era il vero agnello immacolato, nel quale tutti furono crocifissi, nel quale tutti morirono, nel quale tutti vennero sepolti, nel quale tutti anche risuscitarono. Il Signore stesso parlava di loro, quando ebbe a dire: Quando sarò innalzato da terra, attirerò a me ogni cosa 21. La fede vera, che giustifica coloro che sono empi, quella che fa giusti, quella che è stata condotta a rendere partecipi della propria umanità, quella può meritare salvezza in forza di colui che, unico tra gli uomini, si ritrova uomo innocente. Ed è l’unico che, libero, 18 19 20 21 per il dono divino, può menare vanto della sua potenza; lui che è venuto a conflitto con il nemico del genere umano nell’umiltà della nostra carne, mentre può dare la propria vittoria a coloro nella natura dei quali ha riportato il trionfo22 23 24.


18     Ef. 5, 2; già comparsa anche nella 124®; cf. ivi, nota 20.
19  La croce è un altare sacrificale, sul quale «il vero ed eterno sacerdote ha offerto se stesso in sacrificio di soave odore».
20  Anche tale espressione è nella lett. 124; cf. ivi, al cap. IV; e cf. Sal. 115, 5; citaz. ad sensum, come per la lett. 124, nota 22.
21  Gv. 12, 32; cf. indice biblico; ma anche nel testo che precede vi sono più riferimenti indiretti alla Scrittura.



Capitolo VI Le proprietà delle due nature del Cristo si rendono palesi dalle due differenti qualità delle azioni\i\223


Benché dunque nell’unico Signore Gesù Cristo, vero figlio di Dio e vero figlio dell’uomo, sia unica la persona del Verbo e della carne, la quale ha le operazioni in comune in modo inseparabile e indiviso, tuttavia secondo la natura delle attività delle due nature, con la chiara luce della fede si deve osservare a quale altezza sia stata elevata l’umiltà della carne, e a quali profondità si sia piegata la divinità; e - inoltre - si deve guardare con attenzione come la carne non operi senza il concorso del Verbo, e che cosa significhi che il Verbo nulla mandi ad effetto senza il concorso della carne. La Vergine non avrebbe infatti concepito senza la potenza del Verbo, né ella avrebbe generato - senza la realtà della carne - l’infante Gesù, né egli sarebbe stato avvolto di fasce e posto nel presepio24. Se non ci fosse stata la potenza del Verbo, i magi non avrebbero potuto adorare il neonato bambino, che veniva indicato dalla luce della stella; se non ci fosse stata la realtà della carne, non sarebbe stato comandato a Giuseppe di trasferire il fanciullo in Egitto, così da sottrarlo alla persecuzione di Erode25. Se non ci

22  È un pensiero che sviluppa ripetutamente nei discorsi (oltre che nelle lett.); cf. quelli per il Natale (ad es. il I); cf. il cap. IV della lett. 28.

23  Il cap. VI sottolinea il valore delle operazioni teandriche; cf. la formulazione di Calcedonia: Denzinger, cit., n. 148 e alla nota 24 della lett. 124.

24  Cf. Lc. 2, 7; anche nella lett. 124, in analogo contesto (cf. ivi, note 24 e 26); così per quanto segue.

fosse stata la potenza del Verbo, non avrebbe detto il Padre dal cielo: Questi è il Figlio mio diletto, nel quale ho posto le mie compiacenze26. Senza la verità della carne neanche Giovanni avrebbe indicato il messia, con le parole: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo 27. Senza la potenza del Verbo non ci sarebbe stata la redintegrazione dei deboli e la risurrezione dei morti; né - d’altronde - senza la realtà della carne si sarebbe reso necessario il cibo al Cristo affamato, né il sonno quand’era stanco. Ancora: senza la potenza del Verbo il Signore non si sarebbe dichiarato eguale al Padre, né, senza la verità della carne, lo stesso Signore avrebbe detto che il Padre era più grande di sé 28. Poiché la fede cattolica tiene ben saldi due principi e li difende con energia: essa - secondo la professione di fede del beato apostolo Pietro - confessa un solo Cristo, Figlio del Dio vivo 29, e lo confessa e Verbo e uomo. E quantunque, da quell’inizio, quando nel seno della Vergine il Verbo si è fatto carne 30, non ci sia stata alcuna divisione, assolutamente, tra le due nature e per tutto il tempo in cui il Signore crebbe quanto al corpo, tutte e quante le azioni appartennero all’unica persona, sempre, quelle attività che sono state compiute inseparabilmente, non per ciò le confondiamo in alcun modo, ma le diciamo avvenute secondo la natura propria o della divinità o dell’umanità.



Capitolo VII La realtà del corpo del Cristo viene comprovata pure dalla verità della morte, della sepoltura e della risurrezione del Signore \225 26 27 28 29 30


25    Cf. Mt. 2, 1ss; Mt. 2, 13ss.

26    Mt. 3, 17 e parall.; cf. Mt. 17, 5 (e cf. Sal. Ps 2,7 Is 42,1).

27    Gv. 1,29.

28    Cf. Gv. 14, 28.

29    Cf. Mt. 16, 16.

30    Gv. 1, 14.

Questi tali della mente accecata, che non sono nient’altro che degli ipocriti, dicano questi tali, ora, dal momento che si rifiutano di accogliere la luce della verità, in quale forma il Signore della gloria31, il Cristo, sia stato appeso alla croce di legno, perché sia rimasto nel sepolcro; perché - rovesciato il sasso che chiudeva la tomba - quale carne sia risorta il terzo giorno, e in chi - dato che alcuni dei discepoli non credevano in lui -, dopo la sua risurrezione, abbiano creduto, dopo che li aveva rimproverati per la loro incredulità, confutando l’esitazione a credere di coloro che erano incerti, allorché disse: Toccate, osservate ben bene; uno spirito non ha carne ed ossa, come vedete, invece, che ho io 32. E, all’apostolo Tommaso: Metti la tua mano nel mio costato; osserva le mie mani e i miei piedi; non voler essere incredulo, ma abbi fede 33.

Basta questa manifestazione del Signore nel suo vero corpo per annientare tutta la falsità di tutti codesti eretici. Benché tutta la Chiesa, che sarebbe stata illuminata dagli insegnamenti del Cristo, non dubitasse mai di dover credere ciò che gli apostoli avevano assunto come missione di annunciare al mondo. E se in una così sfolgorante luce della verità l’ostinazione eretica non è stata capace di abbandonare le tenebre che l’avvolgevano, ci mostrino, gli eretici, donde sia loro promessa la speranza della vita eterna, alla quale non si può arrivare se non per mezzo dell’unico mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo 34. Il beato apostolo Pietro ha detto: Non c’è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è necessario che noi siamo salvati35: non si dà riscatto della schiavitù umana, se non nel sangue di colui che diede se stesso in redenzione per 31 32 33 34

31  Per l’espressione Dominus maiestatis, cf. nota 46 della lett. 28, forse da Sal. 23, rex gloriae.
32     Lc. 24, 39.
33     Gv. 20, 27.
34  Cf. 1 Tim. 2, 5; è talmente ricorrente che si può ritenere una citazione vera e propria.

tutti35 36; il quale - come aggiunge il beato apostolo Paolo - pur essendo in forma divina, non ritenne una rapina la sua eguaglianza con Dio, ma annientò se stesso, prendendo forma di uomo, uomo fra gli uomini. Abbassò se stesso e fu obbediente a Dio sino alla morte, alla morte in croce. Per questo Dio lo ha posto al di sopra di tutto e gli ha dato il nome più grande che esista. Così ora, per onorare il nome di Gesù, ognuno, in cielo, in terra e sotto terra, pieghi le ginocchia, glorifichi Dio Padre, e dichiari: Gesù Cristo è il Signore 37.

35    Atti 4, 12.
36     1 Tim. 2, 6.
37  Fil. 2, 6-11. La citaz. è per intero anche nella lett. ai monaci della Palestina; cap. VI della lett. 124.


Capitolo VIII La glorificazione del Cristo poteva avvenire solo in quanto vero uomo



Uno dunque è il Signore, Gesù Cristo, una la sua persona e sempre la stessa, costituita dalla divinità e dall’umanità; tuttavia la glorificazione di cui parla l’apostolo Paolo, maestro delle genti, mediante la quale Dio esaltò il Cristo Signore, dandogli un nome che è al di sopra di ogni altro nome, si deve ritenere far parte di quella natura che era suscettibile di venire glorificata con un grado di gloria così eccelso 38. Quanto alla natura divina il Figlio era già eguale al Padre; tra il Padre e il Figlio, quanto all’essenza, non vi era differenza alcuna, nessuna diversità nella loro maestà; né, per il mistero dell’incarnazione, qualcosa venne meno al Verbo, che poi il Padre dovesse restituirgli in qualche modo 39. La forma, la natura, poi, di servo, mediante la quale la divinità impassibile portò a compimento il sacramento del suo immenso amore misericordioso, fa parte dell’umiltà propria dell’uomo, che è stata innalzata alla gloria della divina potenza; ma nell’attimo stesso in cui avvenne la concezione verginale ad opera della Vergine la divinità e l’umanità si sono così indissolubilmente rannodate al punto che ciò che è divino non può operare senza ciò che è umano, e viceversa: quanto è proprio dell’uomo non opera senza la divinità 39 40. Di conseguenza: come si afferma che il Signore della maestà 41 è stato crocifisso, allo stesso modo colui il quale è Dio dall’eternità viene detto pure esaltato. Questo perché, sempre rimanendo l’unità della persona - in modo inseparabile -, resta unico e lo stesso, completamente figlio dell’uomo in ragione della carne, e totalmente Figlio di Dio in ragione della strettissima appartenenza alla divinità che ha in comune con il Padre42.

38  L'inizio del cap. fa ricordare 1 Tim. 2, 5 (cf. sopra nota 34), mentre c'è - poi - un riferimento a Fil. 2, 6ss. (cf. sopra, nota 37), mentre nomina san Paolo.
39  La prima parte della proposizione è nota (cf. lett. 124, nota 43), mentre è nuovo il pensiero espresso nella seconda parte. La consueta forma Dei, forma servi, con una sottolineatura assai interessante e pregnante: forma autem servi, per quam impassibilis deitas sacramentum magnae pietatis implevit, ecc., che abbiamo tentato di tradurre qui di seguito.
40  Inseparabiliter, manente unitate personae; cf. la definizione di Calcedonia.
41     Cf. nota 46 della lett. 28, e sopra, nota 31.
42  Cf. note 39.40.41. Il cap. VIII, quasi conclusivo, è particolarmente denso; il cursus latino conciso, efficace, felice.


Dunque: tutto quello che il Cristo ha assunto nel tempo, lo ha avuto in quanto uomo, al quale venissero pure attribuite quelle realtà che ancora non possedeva. Difatti, in ragione della potenza della divinità, quello che aveva in comune con il Padre senza differenza 43, lo aveva anche in quanto Figlio, e quello che egli ricevette dal Padre nella forma di servo, quello stesso donò pure lui nella natura di Dio. Perché, per la forma di Dio, egli e il Padre sono un essere solo44, ma - secondo la forma di servo - Non è venuto per fare la propria volontà, ma la volontà di colui che lo aveva inviato 45. Quanto alla natura divina, Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso 46; ma, secondo la natura di servo, poté dire: Triste è l’anima sua fino alla morte 47. Come asserisce l’Apostolo, lo stesso Gesù è ricco e povero; ricco, stando a quanto afferma l’evangelista: Il Verbo esisteva fin dal principio, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio; esso era presso Dio fin dall’inizio; per mezzo di lui Dio ha creato ogni cosa. Senza di lui non ha creato nulla 48. E ora perché povero? Perché - per noi - il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda fra di noi49. Che cos’è questa chénosi, che cos’è questa povertà, se non l’avere assunto egli la forma di servo? Occultata in qualche modo la maestà propria del Verbo, è stato adempiuto il mistero della redenzione dell’uomo.

43 Indifferenter; sopra: inseparabiliter: cf. Calcedonia. Di nuovo forma Dei, forma servi.



Capitolo IX Con il pretesto di rendere onore alla divinità, le si fa gran torto, perché si dice che essa si è nascosta sotto le finte apparenze di un fantasma


Poiché le catene imposte all’umanità fin dal suo inizio non potevano essere spezzate, se non ci fosse stato un uomo che fosse della nostra stessa specie e della nostra natura, tale che non potesse essere avvinto dai legami di peccato, e capace di cancellare l’editto di morte mediante il suo sangue innocente, come era stato già nei disegni divini fin dall’inizio, così è avvenuto nella 44 45 46 47 48 49

44     Cf. Gv. 10, 30, se non si tratta di citaz. diretta; cf. nota 34.
45    Cf. Gv. 5, 30.
46    Gv. 5, 26.
47    Mt. 26, 38 (cf. Sal. Gv. 12, 27).
48    Gv. 1, 1-3.
49  Gv. 1, 14. Per il Verbo forte (qui: povero) e il Verbo debole, cf. sant’Agostino, In Iohannem 15, 6-9; vedi nota 28 della lett. 28.

pienezza dei tempi 50. La promessa annunciata in tante maniere, a lungo attesa fino a che essa si realizzasse, non poteva andare disattesa, tenuto conto del peso delle innumerevoli attestazioni che l’avevano da sempre fatta brillare (nella speranza). È evidente, a questo punto, in quale gravissima forma di empietà siano avviluppati gli eretici, quando - sotto lo specioso pretesto di rendere onore alla divinità - vogliono escludere dalla persona del Cristo la carne umana. Pensano di essere religiosi, se dicono che ciò che salva non è reale, dal momento che sappiamo che - nel corso dei secoli - per la promessa fatta, il mondo è stato riconciliato con Dio in Cristo, ma solo alla condizione che il Verbo si degnasse di diventare umana carne: diversamente nessun uomo avrebbe potuto venire salvato51. Qualsiasi sacramento della nostra fede viene a trovarsi avviluppato entro tenebre inestricabili, se - come sostengono gli eretici - la luce della verità si fosse occultata sotto l’apparente simulazione di un fantasma. Nessun vero cristiano deve mai e poi mai pensare che ci si debba vergognare della realtà della nostra carne che si trova nel corpo di Cristo 52. Questa è la fede di tutti gli apostoli, dei loro discepoli, di tutti i più ragguardevoli maestri della Chiesa, di coloro che sono pervenuti alla corona del martirio oppure giunti fino a confessare la loro fede. Tutti costoro risplendettero della luce di tale fede, mentre elevavano canti in armonia con le massime proclamate, ossia che in Gesù Cristo occorre

50  Cf. Gal. 4, 4; altro riferimento frequente. C’è pure l’allusione a Col. 2, 14, già presente nella lett. 124 ai monaci palestinesi; cf. lett. 124, nota 50.

51  È affermazione capitale: ut nisi Verbum dignaretur caro fieri, nulla posset caro salvari. Ne sarebbe compromessa la redenzione: Omne enim sacramentum fidei christianae magno (...) decoloratur obscuro. Per il testo critico, cf. PL 54, 1169-1170, f. Per il valore, invece, vedi quanto detto alla lett. 30, note 4 e 11; lett. 31, note 14.23.24.32; e nella lett. parall. (la 28a), note 16.44, ecc.
52  Non vergognarsi della carne del Cristo equivale a non vergognarsi dell’evangelo, come ha detto nella lett. 124, citando Rom. 1, 16, perché l’incarnazione del Verbo è la sostanza della salvezza (dell’evangelo, che è annuncio di salvezza).

confessare che v’è un’unica persona che racchiude in sé sia la divinità che l’umanità. Diversamente, ma in base a quale ragione, con quale attestazione delle Scritture, penserà tale empia dottrina eretica di poter trovare aiuto, essa che nega la realtà del corpo di Cristo, dal momento che tale realtà continua a proclamarla la legge, non smettono di annunciarla le profezie, la ribadiscono in tutti i toni gli evangeli, non ha mai smesso di insegnarla lo stesso Gesù Cristo?53. Indaghino essi, indaghino in tutte le Scritture, mediante le quali possano fugare le tenebre che li accecano, e non come riesca loro di oscurare tale luce splendente: troveranno attraverso tutti i secoli una affermazione luminosa di tale verità, così che sarà loro consentito che questo grande e mirabile sacramento lo vedano atteso fin dai tempi più remoti, e lo scorgeranno portato a compimento negli ultimi tempi54. Non c’è pagina della Scrittura che non ridondi di tale annuncio; basterà l’avere addotto alcune attestazioni in armonia con la verità, mediante le quali trovi luce la fede attenta a questa fiaccola splendidissima che brilla per ogni dove, e con la mente illuminata troverà che - mentre confessa che il Figlio di Dio, che è insieme e figlio dell’uomo ed uomo, indefettibilmente - tutt’altro che vergognarsi dell’essere cristiano, ci si deve gloriare della nostra fede con grandissima perseveranza55.


53  Ribadisce, esemplificando, il pensiero, con una duplice serie di attestazioni (apostoli, discepoli, padri della Chiesa, martiri, e soprattutto la Scrittura nel suo insieme).
54  Il latino: magnum hor et mirabile sacramentum ab initio videant (gli eretici) creditum, quod est in fine completum.Dall’annuncio, dunque, alla realizzazione; ossia nella relazione (ratio ) tra l’AT e il NT; cf. alla lett. 28, nota 54 e alla 31a le note 12 e 13. Tutto l’AT è pieno di Cristo: lex gravida Christo; vetus in novo patet, novum in vetere latet: sono noti aforismi agostiniani.
55  Come ha detto sopra: cf. nota 52; ossia riconoscere tutto il Cristo.



Capitolo X La fede cattolica trova una serie innumerevole di testimonianze dalla voce dei Padri. È quanto mai conveniente che intervenga anche l’imperatore a rinsaldare la fede cristiana





Cosicché, se vuoi sapere se la tua pietà vada d’accordo con gli insegnamenti dei venerati nostri Padri, ho ritenuto conveniente aggiungere alcune loro espressioni da unire a quanto ti ho sino qui detto 56. Se ti verrà di esaminarle attentamente, vedrai bene che quanto io insegno è lo stesso che i santi Padri hanno sempre insegnato dovunque; vedrai, d’altra parte, che soltanto gli empi eretici si discostano dall’insegnamento dei Padri.

Gloriosissimo e venerabile imperatore, ho cercato di raccogliere il tutto in sintesi, come meglio mi riusciva; assieme alla fede che hai ricevuto dall’alto, ti affido anche quanto vado assiduamente predicando; vedrai che vanno d’accordo; ravviserai che mai e poi mai io mi discosto dalla dottrina evangelica o dal simbolo della professione di fede dei cattolici 57, poiché - lo insegna il beato apostolo Paolo -: Grande è il sacramento della pietà: Egli si manifestò nella carne,/ fu giustificato nello Spirito,/ apparve agli angeli,/ fu annunziato ai pagani,/ fu creduto nel mondo,/ fu assunto nella gloria 58.

Quale cosa più utile alla tua salvezza di questo insegnamento? che cosa più conforme alla tua autorità? Con il tuo intervento tu devi attendere al bene delle Chiese, difendendo tale fede; in tutti coloro che ti sono sottomessi devi far di tutto per tutelarne i doni; per nessun motivo lascerai che per l’invidia del diavolo e dei suoi satelliti, si infierisca a danno di chicchessia. Così come in questo secolo contingente sei al di sopra di tutti per il regno cui presiedi, possa tu, allo stesso modo, - nel secolo futuro - regnare per sempre con Cristo.

56  Tale antologia non era necessaria per Flaviano (lett. 28), ma lo era per l'imperatore, probabilmente non molto addentro nei problemi attinenti la fede, ed anche per offrire all'imperatore il senso della tradizione, e perché intervenisse là dove c'era bisogno.

57  Preoccupazione costante del papa.
58 1 Tim. 3, 16.

Ho scritto ciò il 17 agosto del 458, quand’erano consoli gli augusti Leone e Maiorano.

156


APPENDICE ALLA LETTERA 165a DI PAPA LEONE ALL’IMPERATORE LEONE

Antologia di testi


158


TESTIMONIANZE IN ORDINE ALLA FEDE RACCOLTE DA PAPA LEONE E INDIRIZZATE ALL’IMPERATORE LEONE ATTINTE DAGLI SCRITTI DEI PADRI 1

I.    Dal trattato sulla Trinità di sant’Ilario vescovo di Poitiers

Questo è dunque l’unico e fondamentale inconcusso caposaldo, questa la roccia unica per la nostra felicità, questa è la confessione sgorgata dalla viva voce di Pietro, quando disse al Signore: Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivo 2. Tale roccia ha tanto saldo il fondamento della verità, contro tutte quante le questioni e le calunnie che potranno insorgere dagli errori i più perversi. La volontà divina del Padre nel suo progetto salvifico ha già implicito tutto quanto vi concorre: la Vergine, il suo parto verginale, il corpo del Signore, la croce, la morte di croce, la discesa agli inferi: tutto per la nostra salvezza. Il Figlio unigenito del Padre è nato dalla Vergine, per la salvezza del genere umano, ad opera dello Spirito Santo. Egli stesso ha concorso ad operare in tale intervento: con la sua potenza divina egli stesso adombrò il proprio corpo, ponendo i primi inizi del suo corpo, facendone sgorgare la sua carne umana 3; divenuto uomo dalla Vergine, per poter assumere la natura dell’uomo (della carne dell’uomo), di modo che per quest’ammirabile unione del divino con l’umano ci fosse in lui un corpo che risultasse santificato in lui per tutto il genere umano. Volle in questo modo che tutti gli uomini venissero ri-creati per mezzo di ciò che di visibilmente corporeo ha voluto assumere; e - reciprocamente - che tutti quanti avessero parte a quanto di lui è invisibile (perché incorporeo). Il volto perciò invisibile di Dio non ha ricusato e non ha temuto di avere gli stessi inizi dell’uomo; così ha voluto attraversare tutte le nostre esperienze, come la concezione umana, la nascita, i primi gemiti, la culla, in una parola: tutte le nostre miserie, tutte le ha volute percorrere 4. Una così grande accondiscendenza come sarà ripagata da noi? con quale affetto? L’unigenito Figlio di Dio, Dio lui stesso, che ha origini inenarrabili dal Padre, per il seme divino (dello Spirito Santo) seminato entro il ventre della Vergine, cresce a poco a poco assumendo la forma di un piccolo corpo umano.


1  La finalità della lettera 165 guida la scelta delle testimonianze patristiche, ed è dichiarata nel cap. X; le testimonianze vogliono dimostrare come l’errore di Eutiche proceda da ignoranza delle Scritture e della Tradizione. Nel corpo della lettera ha addotto le prove della Scrittura ; qui quelle della Tradizione dei Padri (testimonianze che, naturalmente, non possono prescindere dalla Scrittura). L’intento è quello ripetutamente ribadito, in base alla Scrittura. Il Verbo incarnato è uno ed è sempre lo stesso, eguale al Padre per la natura divina; incarnandosi ha assunto tutta la realtà (= natura) dell’uomo, nella sua interezza (anima e corpo). La persona del Verbo ha unito a sé la natura umana con un nodo indissolubile, senza subire menomazioni. Il Verbo poi, eguale al Padre per la natura divina, gli è inferiore per l’assunta natura umana. Tutto ciò è affermato dalla Scrittura con innumerevoli attestazioni. Ad esse il papa aggiunge quelle che gli paiono più significative tolte dai Padri sia dell’Oriente che dell’Occidente. Il testo da lui offerto è solo il latino, anche per i Padri dell’Oriente.

2    Mt. 16, 16.


3  Allusione a Lc. 1, 35; però - come è detto qui da Ilario - lo Spirito Santo sta ad indicare il Verbo. Oltre che da questo testo ciò è deducibile anche dal cap. 26 (non riportato da Leone); cf. sant’Ilario di P., La Trinità, I classici UTET, n. 18, Torino 1971, p. 140, nota 4.
4  Oltre che risonanza di testi evangelici, il carattere quasi realistico potrebbe far pensare allo stile di Tertulliano; cf. De carne Christi, o il De resurrectione carnis, ecc.


Colui che tutto abbraccia, entro il quale tutto esiste, per mezzo del quale tutto esiste, nasce secondo le leggi della vita dell’uomo. Colui alla cui voce tremano gli arcangeli e gli angeli; colui al cui cenno il cielo, la terra e tutti gli elementi del mondo creato andranno in dissoluzione, fa sentire i suoi vagiti di bimbo appena nato. Colui che è invisibile e non può essere contenuto dagli elementi creati, proprio in questi ora si è reso visibile, tangibile, percepito dal tocco degli uomini, posto in una cuna, avviluppato da fasce. Che se qualcuno pensa che tutto ciò sia indegno di un Dio, proprio per ciò si confesserà tanto più riconoscente a Dio per un beneficio talmente grande, quanto più sa che gli elementi creati di cui si è rivestito sono indegni di lui. Egli non ha avuto bisogno di divenire uomo per mezzo di quelle realtà mediante le quali l’uomo è stato creato. Ma siamo stati noi ad avere avuto bisogno che Dio si facesse uomo in carne umana ed abitasse tra di noi, ossia: che con l’assumere un’unica carne, risanasse tutto l’uomo interiore, di tutta quanta l’umanità. La sua umiliazione significa la nostra esaltazione e il suo abbassamento significa la nostra esaltazione. Ciò per cui Dio si è come rappreso nella nostra carne, significa - per noi - che da carnali che eravamo, ci ha fatti divini 5.

5     Ilario di P., De Trinitate, II, fine cap. 23 e capp. 24-25.




Leone Magno - Capitolo IX La lettera chiude con l’invito del papa ai monaci a tornare alla fede vera e che è il vanto della Chiesa