Lumen gentium IT 13

L'unico popolo di Dio è universale

13 Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l'intenzione della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi (cfr. Jn 11,52). A questo scopo Dio mandò il Figlio suo, al quale conferì il dominio di tutte le cose (cfr. He 1,2), perché fosse maestro, re e sacerdote di tutti, capo del nuovo e universale popolo dei figli di Dio. Per questo infine Dio mandò lo Spirito del Figlio suo, Signore e vivificatore, il quale per tutta la Chiesa e per tutti e singoli i credenti è principio di associazione e di unità, nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (cfr. Ac 2,42).

In tutte quindi le nazioni della terra è radicato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo regno non terreno ma celeste. E infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri nello Spirito Santo, e così « chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra » [23]. Siccome dunque il regno di Cristo non è di questo mondo (cfr. Jn 18,36), la Chiesa, cioè il popolo di Dio, introducendo questo regno nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che esse hanno di buono e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva. Essa si ricorda infatti di dover far opera di raccolta con quel Re, al quale sono state date in eredità le genti (cfr. Ps 2,8), e nella cui città queste portano i loro doni e offerte (cfr. Ps 71,10 Is 60,4-7). Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l'umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell'unità dello Spirito di lui [24].

In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, in modo che il tutto e le singole parti si accrescono per uno scambio mutuo universale e per uno sforzo comune verso la pienezza nell'unità. Ne consegue che il popolo di Dio non solo si raccoglie da diversi popoli, ma nel suo stesso interno si compone di funzioni diverse. Poiché fra i suoi membri c'è diversità sia per ufficio, essendo alcuni impegnati nel sacro ministero per il bene dei loro fratelli, sia per la condizione e modo di vita, dato che molti nello stato religioso, tendendo alla santità per una via più stretta, sono un esempio stimolante per i loro fratelli. Così pure esistono legittimamente in seno alla comunione della Chiesa, le Chiese particolari, con proprie tradizioni, rimanendo però integro il primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità [25], tutela le varietà legittime e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non pregiudichi l'unità, ma piuttosto la serva. E infine ne derivano, tra le diverse parti della Chiesa, vincoli di intima comunione circa i tesori spirituali, gli operai apostolici e le risorse materiali. I membri del popolo di Dio sono chiamati infatti a condividere i beni e anche alle singole Chiese si applicano le parole dell'Apostolo: « Da bravi amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno di voi metta a servizio degli altri il dono che ha ricevuto» (1P 4,10).

Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale; a questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini senza eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza.

[23] S. GIOV. CRISOSTOMO, In Io., Hom. 65, 1: PG 59, 361.
[24] Cf. S. IRENEO, Adv. Haer. III, 16, 6; III, 22, 1-3: PG 7, 925C-926A e 955C-958A; HARVEY 2, 87s. e 120-123; SAGNARD, ed. Sources Chr., pp. 290-292 e 372ss.
[25] Cf. S. IGNAZIO M., Ad Rom., Praef.: ed. FUNK I, 252.


I fedeli cattolici

14 Il santo Concilio si rivolge quindi prima di tutto ai fedeli cattolici. Esso, basandosi sulla sacra Scrittura e sulla tradizione, insegna che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Solo il Cristo, infatti, presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza; ora egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Jn 3,5), ha nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta. Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare. Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa quelli che, avendo lo Spirito di Cristo, accettano integralmente la sua organizzazione e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti, e che inoltre, grazie ai legami costituiti dalla professione di fede, dai sacramenti, dal governo ecclesiastico e dalla comunione, sono uniti, nell'assemblea visibile della Chiesa, con il Cristo che la dirige mediante il sommo Pontefice e i vescovi. Non si salva, però, anche se incorporato alla Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa col «corpo», ma non col «cuore» [26]. Si ricordino bene tutti i figli della Chiesa che la loro privilegiata condizione non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveranno, ma anzi saranno più severamente giudicati [27].

I catecumeni che per impulso dello Spirito Santo desiderano ed espressamente vogliono essere incorporati alla Chiesa, vengono ad essa congiunti da questo stesso desiderio, e la madre Chiesa li avvolge come già suoi con il proprio amore e con le proprie cure.

[26] CF. S. AGOSTINO, Bapt c. Donat. V, 28, 39: PL 43, 197: "E del tutto chiaro che quando si dice: dentro e fuori la Chiesa, si allude al cuore, non al corpo". Cf. ib. III, 19, 26: col. 152; V, 18, 24: col. 189; In Io., Tr. 61, 2: PL 35, 1800, et al. spesso.
[27] Lc 12,48: “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto”. Cf. Mt 5,19-20 Mt 7,21-22 Mt 25,41-46 Jc 2,14.


I cristiani non cattolici e la Chiesa

15 La Chiesa sa di essere per più ragioni congiunta con coloro che, essendo battezzati, sono insigniti del nome cristiano, ma non professano integralmente la fede o non conservano l'unità di comunione sotto il successore di Pietro [28]. Ci sono infatti molti che hanno in onore la sacra Scrittura come norma di fede e di vita, manifestano un sincero zelo religioso, credono amorosamente in Dio Padre onnipotente e in Cristo, figlio di Dio e salvatore [29], sono segnati dal battesimo, col quale vengono congiunti con Cristo, anzi riconoscono e accettano nelle proprie Chiese o comunità ecclesiali anche altri sacramenti. Molti fra loro hanno anche l'episcopato, celebrano la sacra eucaristia e coltivano la devozione alla vergine Madre di Dio [30]. A questo si aggiunge la comunione di preghiere e di altri benefici spirituali; anzi, una certa vera unione nello Spirito Santo, poiché anche in loro egli opera con la sua virtù santificante per mezzo di doni e grazie e ha dato ad alcuni la forza di giungere fino allo spargimento del sangue. Così lo Spirito suscita in tutti i discepoli di Cristo desiderio e attività, affinché tutti, nel modo da Cristo stabilito, pacificamente si uniscano in un solo gregge sotto un solo Pastore [31]. E per ottenere questo la madre Chiesa non cessa di pregare, sperare e operare, esortando i figli a purificarsi e rinnovarsi perché l'immagine di Cristo risplenda più chiara sul volto della Chiesa.

[28] Cf. LEONE XIII, Lett. Apost. Praeclara gratulationis, 20 giugno 1894: ASS 26 (1893-94), p. 707.
[29] Cf. LEONE XIII, Encicl. Satis cognitum, 29 giugno 1896: ASS 28 (1895-96), p. 738; Encicl. Caritatis studium, 25 lug. 1898: ASS 31 (1898-1899), p. 11. PIO XII, Messaggio radiof. Nellalba, 24 dic. 1941: AAS 34 (1942), p. 21.
[30] Cf. PIO XI, Encicl. Rerum Orientalium, 8 sett. 1928: AAS 20 (1928), p. 287. PIO XII, Encicl. Orientalis Ecclesiae, 9 apr. 1944: AAS 36 (1944), p. 137.
[31] Cf. Istr. della S. S. C. del S. Uffizio, 20 dic. 1949: AAS 42 (1950), p. 142.


I non cristiani e la Chiesa

16 Infine, quanto a quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, anch'essi in vari modi sono ordinati al popolo di Dio [32]. In primo luogo quel popolo al quale furono-dati i testamenti e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne (cfr. Rm 9,4-5), popolo molto amato in ragione della elezione, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (cfr. Rm 11,28-29). Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare i musulmani, i quali, professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso che giudicherà gli uomini nel giorno finale. Dio non e neppure lontano dagli altri che cercano il Dio ignoto nelle ombre e sotto le immagini, poiché egli dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa (cfr Ac 1,7 Ac 1,25-26), e come Salvatore vuole che tutti gli uomini si salvino (cfr. 1Tm 2,4). Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna [33]. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo [34] e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita. Ma molto spesso gli uomini, ingannati dal maligno, hanno errato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto che il Creatore (cfr. Rm 1,21 Rm 1,25), oppure, vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale. Perciò la Chiesa per promuovere la gloria di Dio e la salute di tutti costoro, memore del comando del Signore che dice: « Predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15), mette ogni cura nell'incoraggiare e sostenere le missioni.

[32] Cf. S. TOMMASO, Summa Theol. III 8,3, ad I.
[33] Cf. Lett. della S. S. C. del S. Uffizio all’Arciv. di Boston: DS 3869-3872 [Collantes 7.043-45]
[34] Cf. EUSEBIO DI CES., Praeparatio Evangelica, I, 1: PG 21, 28AB.


Carattere missionario della Chiesa

17 Come infatti il Figlio è stato mandato dal Padre, così ha mandato egli stesso gli apostoli (cfr. Jn 20,21) dicendo: «Andate dunque e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto quanto vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo » (Mt 28,18-20). E questo solenne comando di Cristo di annunziare la verità salvifica, la Chiesa l'ha ricevuto dagli apostoli per proseguirne l'adempimento sino all'ultimo confine della terra (cfr. Ac 1,8). Essa fa quindi sue le parole dell'apostolo: « Guai... a me se non predicassi! » (1Co 9,16) e continua a mandare araldi del Vangelo, fino a che le nuove Chiese siano pienamente costituite e continuino a loro volta l'opera di evangelizzazione. È spinta infatti dallo Spirito Santo a cooperare perché sia compiuto il piano di Dio, il quale ha costituito Cristo principio della salvezza per il mondo intero. Predicando il Vangelo, la Chiesa dispone coloro che l'ascoltano a credere e a professare la fede, li dispone al battesimo, li toglie dalla schiavitù dell'errore e li incorpora a Cristo per crescere in lui mediante la carità finché sia raggiunta la pienezza. Procura poi che quanto di buono si trova seminato nel cuore e nella mente degli uomini o nei riti e culture proprie dei popoli, non solo non vada perduto, ma sia purificato, elevato e perfezionato a gloria di Dio, confusione del demonio e felicità dell'uomo. Ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di disseminare, per quanto gli è possibile, la fede [35]. Ma se ognuno può conferire il battesimo ai credenti, è tuttavia ufficio del sacerdote di completare l'edificazione del corpo col sacrificio eucaristico, adempiendo le parole dette da Dio per mezzo del profeta: « Da dove sorge il sole fin dove tramonta, grande è il mio Nome tra le genti e in ogni luogo si offre al mio Nome un sacrificio e un'offerta pura » [36]. Così la Chiesa unisce preghiera e lavoro, affinché il mondo intero in tutto il suo essere sia trasformato in popolo di Dio, corpo mistico di Cristo e tempio dello Spirito Santo, e in Cristo, centro di tutte le cose, sia reso ogni onore e gloria al Creatore e Padre dell'universo.

[35] Cf. BENEDETTO XV, Lett. Apost. Maximum illud: AAS 11 (1919), p. 440, specialmente p. 451ss. PIO XI, Encicl. Rerum Ecclesiae: AAS 18 (1926), pp. 68-69. PIO XII, Encicl. Fidei Donum, 21 apr. 1957: AAS 49 (1957), pp. 236-237.
[36] Cf. Didaché , 14: ed. FUNK I, p. 32. S. GIUSTINO, Dial. 41: PG 6, 564. S. IRENEO, Adv. Haer. IV, 17, 5: PG 7, 1023; HARVEY, 2, p. 199s. CONC. DI TRENTO, Sess. 22, cap. I: Dz 939 (DS 1742) [Collantes 9.174].



CAPITOLO III

COSTITUZIONE GERARCHICA DELLA CHIESA

E IN PARTICOLARE DELL'EPISCOPATO


Proemio

18 Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri infatti che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza. Questo santo Sinodo, sull'esempio del Concilio Vaticano primo, insegna e dichiara che Gesù Cristo, pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli apostoli, come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Jn 20,21), e ha voluto che i loro successori, cioè i vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli. Affinché poi lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell'unità di fede e di comunione [37]. Questa dottrina della istituzione, della perpetuità, del valore e della natura del sacro primato del romano Pontefice e del suo infallibile magistero, il santo Concilio la propone di nuovo a tutti i fedeli come oggetto certo di fede. Di più proseguendo nel disegno incominciato, ha stabilito di enunciare ed esplicitare la dottrina sui vescovi, successori degli apostoli, i quali col successore di Pietro, vicario di Cristo [38] e capo visibile di tutta la Chiesa, reggono la casa del Dio vivente.

[37] Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla Chiesa di Cristo Pastor aeternus: Dz 1821 (DS 3050s.) [Collantes 7.176].
[38] Cf. CONC. DI FIRENZE, Decretum pro Graecis: Dz 694 (DS 1307) [Collantes 7.159] e CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla Chiesa di Cristo Pastor aeternus: Dz 1826 (DS 3059) [Collantes 7.184].


L'istituzione dei dodici

19 Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio (cfr. Mc 3,13-19 Mt 10,1-42); ne fece i suoi apostoli (cfr. Lc 6,13) dando loro la forma di collegio, cioè di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro (cfr. Jn 21,15-17). Li mandò prima ai figli d'Israele e poi a tutte le genti (cfr. Rm 1,16) affinché, partecipi del suo potere, rendessero tutti i popoli suoi discepoli, li santificassero e governassero (cfr. Mt 28,16-20 Mc 16,15 Lc 24,45-48), diffondendo così la Chiesa e, sotto la guida del Signore, ne fossero i ministri e i pastori, tutti i giorni sino alla fine del mondo (cfr. Mt 28,20). In questa missione furono pienamente confermati il giorno di Pentecoste (cfr. Ac 2,1-36) secondo la promessa del Signore: « Riceverete una forza, quella dello Spirito Santo che discenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e sino alle estremità della terra » (Ac 1,8). Gli apostoli, quindi, predicando dovunque il Vangelo (cfr. Mc 16,20), accolto dagli uditori grazie all'azione dello Spirito Santo, radunano la Chiesa universale che il Signore ha fondato su di essi e edificato sul beato Pietro, loro capo, con Gesù Cristo stesso come pietra maestra angolare (cfr. Ap 21,14 Mt 16,18 Ep 2,20) [39].

[39] Cf. Liber Sacramentorum di S. GREGORIO, pref. nelle feste di S. Mattia e di S. Tommaso: PL 78, 51 e 152; cf. Cod. Vat. lat. 3548, f. 18. S. ILARIO, In Ps. 67,10: PL 9, 450; CSEL 22, p. 286. S. GIROLAMO, Adv. Iovin. 1, 26: PL 23, 247A. S. AGOSTINO, In Ps. 86, 4: PL 37, 1103. S. GREGORIO M., Mor. in Iob XXVIII, V: PL 76, 455-456. PRIMASIO, Comm. in Apoc. V: PL 68, 924BC. PASCASIO RADB., In Mt. L. VIII, cap. 16: PL 120, 561C. Cf. LEONE XIII, Lett. Et sane, 17 dic. 1888: ASS 21 (1888), p. 321.


I vescovi, successori degli apostoli

20 La missione divina affidata da Cristo agli apostoli durerà fino alla fine dei secoli (cfr. Mt 28,20), poiché il Vangelo che essi devono predicare è per la Chiesa il principio di tutta la sua vita in ogni tempo. Per questo gli apostoli, in questa società gerarchicamente ordinata, ebbero cura di istituire dei successori.

Infatti, non solo ebbero vari collaboratori nel ministero [40] ma perché la missione loro affidata venisse continuata dopo la loro morte, affidarono, quasi per testamento, ai loro immediati cooperatori l'ufficio di completare e consolidare l'opera da essi incominciata [41] raccomandando loro di attendere a tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo li aveva posti a pascere la Chiesa di Dio (cfr. Ac 20,28). Perciò si scelsero di questi uomini e in seguito diedero disposizione che dopo la loro morte altri uomini subentrassero al loro posto [42]. Fra i vari ministeri che fin dai primi tempi si esercitano nella Chiesa, secondo la testimonianza della tradizione, tiene il primo posto l'ufficio di quelli che costituiti nell'episcopato, per successione che decorre ininterrotta fin dalle origini [43] sono i sacramenti attraverso i quali si trasmette il seme apostolico [44]. Così, come attesta S. Ireneo, per mezzo di coloro che gli apostoli costituirono vescovi e dei loro successori fino a noi, la tradizione apostolica in tutto il mondo è manifestata [45] e custodita [46].

I vescovi dunque hanno ricevuto il ministero della comunità per esercitarlo con i loro collaboratori, sacerdoti e diaconi [47]. Presiedono in luogo di Dio al gregge [48] di cui sono pastori quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa [49]. Come quindi è permanente l'ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori, cosi è permanente l'ufficio degli apostoli di pascere la Chiesa, da esercitarsi in perpetuo dal sacro ordine dei Vescovi [50]. Perciò il sacro Concilio insegna che i vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli [51] quali pastori della Chiesa, e che chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo (cfr. Lc 10,16) [52].

[40] Cf. Ac 6,2-6 Ac 11,30 Ac 13,1 Ac 14,23 Ac 20,17 1Th 5,12-13 Ph 1,1 Col 4,11 e passim.
[41] Cf. Ac 20,25-27 2Tm 4,6s da confr. con 1Tm 5,22 2Tm 2,2 Tt 1,5; S. CLEMENTE ROM., Ad Cor. 44, 3: ed. FUNK I, p. 156.
[42] Cf. S. CLEMENTE ROM., Ad Cor. 44,2: ed. FUNK I, 154s.
[43] Cf. TERTULLIANO, Praescr. Haer. 32: PL 2, 52s; S. IGNAZIO M., passim.
[44] Cf. TERTULLIANO, Praescr. Haer. 32: PL 2, 53.
[45] Cf. S. IRENEO, Adv. Haer. III, 3, 1: PG 7, 848A; HARVEY 2, 8; SAGNARD, p. 100s: “manifestata”.
[46] Cf. S. IRENEO, Adv. Haer. III, 2, 2: PG 7, 847; HARVEY 2, 7; SAGNARD, p. 100: “è custodita”; cf. ib. IV, 26, 2: col. 1053; HARVEY 2, 236, e IV, 33, 8: col. 1077: HARVEY 2, 262.
[47] S. IGNAZIO M., Philad., Praef: ed. FUNK I, p. 264.
[48] S. IGNAZIO M., Philad., 1,1; Magn. 6,1: ed. FUNK I, 264 e 234.
[49] S. CLEMENTE ROM., l.c. [nota 6], 42, 3-4; 44, 3-4; 57, 1-2: ed. FUNK I, 152, 156, 171s; S. IGNAZIO M., Philad. 2; Smyrn. 8; Magn. 3; Trall.7: ed. FUNK I, p. 265s, 282, 232, 246s ecc.; S. GIUSTINO, Apol. I, 65: PG 6,428; S. CIPRIANO, Epist., passim.
[50] Cf. LEONE XIII, Encicl. Satis cognitum, 29 giug. 1896: ASS 28 (1895-96), p. 732.
[51] Cf. CONC. DI TRENTO, Decr. De sacr. Ordinis, cap. 4: Dz 960 (DS 1768) [Collantes 9.293]; CONC. VAT. I, Cost. dogm. I sulla Chiesa di Cristo Pastor aeternus, cap. 3: Dz 1828 (DS 3061) [Collantes 7.186]. PIO XII, Encicl. Mystici Corporis, 29 giug. 1943: AAS 35 (1943), pp. 209 e 212 [DS 3804; Collantes 7.200]. CIS 329 § 1 [nel nuovo Codice can. CIC 375].
[52] Cf. LEONE XIII, Lett. Et sane, 17 dic. 1888: ASS 21 (1888), p. 321s.


Sacramentalità dell'episcopato

21 Nella persona quindi dei vescovi, assistiti dai sacerdoti, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, pontefice sommo. Pur sedendo infatti alla destra di Dio Padre, egli non cessa di essere presente alla comunità dei suoi pontefici [53] in primo luogo, per mezzo dell'eccelso loro ministero, predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede; per mezzo del loro ufficio paterno (cfr. 1Co 4,15) integra nuove membra al suo corpo con la rigenerazione soprannaturale; e infine, con la loro sapienza e prudenza, dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l'eterna beatitudine. Questi pastori, scelti a pascere il gregge del Signore, sono ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio (cfr. 1Co 4,1). Ad essi è stata affidata la testimonianza al Vangelo della grazia di Dio (cfr. Rm 15,16 Ac 20,24) e il glorioso ministero dello Spirito e della giustizia (cfr. 2Co 3,8-9).

Per compiere cosi grandi uffici, gli apostoli sono stati arricchiti da Cristo con una effusione speciale dello Spirito Santo disceso su loro (cfr. Ac 1,8 Ac 2,4 Jn 20,22-23), ed essi stessi con la imposizione delle mani diedero questo dono spirituale ai loro collaboratori (cfr. 1Tm 4,14 2Tm 1,6-7), dono che è stato trasmesso fino a noi nella consacrazione Episcopale [54]. Il santo Concilio insegna quindi che con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell'ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata sommo sacerdozio, realtà totale del sacro ministero [55]. La consacrazione episcopale conferisce pure, con l'ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare; questi però, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col capo e con le membra del collegio. Dalla tradizione infatti, quale risulta specialmente dai riti liturgici e dall'uso della Chiesa sia d'Oriente che d'Occidente, consta chiaramente che dall'imposizione delle mani e dalle parole della consacrazione è conferita la grazia dello Spirito Santo [56] ed è impresso il sacro carattere [57] in maniera tale che i vescovi, in modo eminente e visibile, tengono il posto dello stesso Cristo maestro, pastore e pontefice, e agiscono in sua vece [58]. È proprio dei vescovi assumere col sacramento dell'ordine nuovi eletti nel corpo episcopale.

[53] Cf. S. LEONE M., Serm. 5, 3: PL 54, 154.
[54] Il CONC. DI TRENTO, Sess. 23, cap. 3, cita le parole di 2Tm 1,6-7 per dimostrare che l’Ordine è un vero sacramento: Dz 959 (DS 1766) [Collantes 9.290].
[55] Nella Trad. Apost. 3, ed. BOTTE, Sources Chr., pp. 27-30, al Vescovo viene attribuito "il primato del sacerdozio". Cf. Sacramentarium Leonianum, ed. C. MOHLBERG, Sacramentarium Veronense, Romae 1955, p. 119: "al ministero del sommo sacerdozio... Compi nei tuoi sacerdoti il culmine del tuo mistero...". IDEM, Liber Sacramentorum Romanae Ecclesiae, Romae 1960, pp. 121-122: "Conferisci loro, Signore, la cattedra episcopale per reggere la tua Chiesa e tutto il popolo". Cf. PL 78, 224.
[56] Cf. Trad. Apost. 2: ed. BOTTE, p. 27.
[57] Cf. il CONC. DI TRENTO, che nella Sess. 23, cap. 4 insegna che il sacramento dell’Ordine imprime un carattere indelebile: Dz 960 (DS 1767) [Collantes 9.291]. Cf. GIOVANNI XXIII, Disc. Iubilate Deo, 8 maggio 1960: AAS 52 (1960), p. 466. PAOLO VI, Omelia nella Bas. Vaticana, 20 ott. 1963: AAS 55 (1963), p. 1014.
[58] S. CIPRIANO, Epist. 63, 14: PL 4, 386; HARTEL, IIIB, p. 713: "Il sacerdote compie veramente le funzioni di Cristo". S. GIOV. CRISOSTOMO, In 2 Tim., Hom. 2, 4: PG 62, 612: Il sacerdote "symbolon" di Cristo. S. AMBROGIO, In Ps. 38, 25-26: PL 14, 1051-52: CSEL 64, 203-204. AMBROSIASTER, In 1 Tim. 5,19: PL 17, 479C e In Eph. 4, 11-12, col. 387C. TEODORO DI MOPS., Hom. Catech. XV, 21 e 24; ed. TONNEAU, pp. 497 e 503. ESICHIO DI GERUS., In Lev., L. 2, 9, 23: PG 93, 894B.


Il collegio dei vescovi e il suo capo

22 Come san Pietro e gli altri apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico collegio apostolico, similmente il romano Pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successori degli apostoli, sono uniti tra loro. Già l'antichissima disciplina, in virtù della quale i vescovi di tutto il mondo vivevano in comunione tra loro e col vescovo di Roma nel vincolo dell'unità, della carità e della pace [59] e parimenti la convocazione dei Concili [60] per decidere in comune di tutte le questioni più importanti [61] mediante una decisione che l'opinione dell'insieme [62] permetteva di equilibrare significano il carattere e la natura collegiale dell'ordine episcopale, che risulta manifestamente confermata dal fatto dei Concili ecumenici tenuti lungo i secoli. La stessa è pure suggerita dall'antico uso di convocare più vescovi per partecipare all elevazione del nuovo eletto al ministero del sommo sacerdozio. Uno è costituito membro del corpo episcopale in virtù della consacrazione sacramentale e mediante la comunione gerarchica col capo del collegio e con le sue membra.

Il collegio o corpo episcopale non ha però autorità, se non lo si concepisce unito al Pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli. Infatti il romano Pontefice, in forza tutta la Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente. D'altra parte, l'ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch'esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa [63] sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice. Il Signore ha posto solo Simone come pietra e clavigero della Chiesa (cfr.
Mt 16,18-19), e lo ha costituito pastore di tutto il suo gregge (cfr. Jn 21,15 ss); ma l'ufficio di legare e di sciogliere, che è stato dato a Pietro (cfr. Mt 16,19), è noto essere stato pure concesso al collegio degli apostoli, congiunto col suo capo (cfr. Mt 18,18 Mt 28,16-20) [64]. Questo collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e l'universalità del popolo di Dio; in quanto poi è raccolto sotto un solo capo, significa l'unità del gregge di Cristo. In esso i vescovi, rispettando fedelmente il primato e la preminenza del loro capo, esercitano la propria potestà per il bene dei loro fedeli, anzi di tutta la Chiesa, mente lo Spirito Santo costantemente consolida la sua struttura organica e la sua concordia. La suprema potestà che questo collegio possiede su tutta la Chiesa, è esercitata in modo solenne nel Concilio ecumenico. Mai può esserci Concilio ecumenico, che come tale non sia confermato o almeno accettato dal successore di Pietro; ed è prerogativa del romano Pontefice convocare questi Concili, presiederli e confermarli [65]. La stessa potestà collegiale insieme col papa può essere esercitata dai vescovi sparsi per il mondo, purché il capo del collegio li chiami ad agire collegialmente, o almeno approvi o liberamente accetti l'azione congiunta dei vescovi dispersi, così da risultare un vero atto collegiale.

[59] Cf. EUSEBIO, Hist. Eccl., V, 24, 10: GCS II, 1, p. 495; ed. BARDY, Sources Chrét., II, p. 69. DIONIGI, in EUSEBIO, ib. VII, 5, 2: GCS II, 2, p. 638s; BARDY, II, p. 168s.
[60] Sugli antichi Concili cf. EUSEBIO, Hist. Eccl. V, 23-24; GCS II, 1, p. 488ss; BARDY, II, p. 66ss e passim. CONC. DI NICEA, can. 5: COD p. 7
[61] Cf. TERTULLIANO, De Ieiunio, 13: PL 2, 972B; CSEL 20, p. 292, lin. 13-16.
[62] Cf. S. CIPRIANO, Epist. 56, 3: HARTEL IIIB, p. 650; BAYARD, p. 154.
[63] Cf. la relazione ufficiale ZINELLI al CONC. VAT I: MANSI 52, 1109C.
[64] Cf. CONC. VAT I, Schema della Cost. dogm. II De Ecclesia Christi, c. 4: MANSI 53, 310. Cf. la relazione KLEUTGEN sullo Schema riformato: MANSI 53,321B-322B e la dichiarazione ZINELLI: MANSI 52, 1110A. Vedi anche S. LEONE M., Serm. 4,3: PL 54, 151A.
[65] Cf. CIC, can. CIS 222 CIS 227 [nel nuovo Codice can. CIC 338].


Le relazioni all'interno del collegio episcopale

23 L'unità collegiale appare anche nelle mutue relazioni dei singoli vescovi con Chiese particolari e con la Chiesa universale. Il romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli [66]. I singoli vescovi, invece, sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari [67] queste sono formate ad immagine della Chiesa universale, ed è in esse e a partire da esse che esiste la Chiesa cattolica una e unica [68]. Perciò i singoli vescovi rappresentano la propria Chiesa, e tutti insieme col Papa rappresentano la Chiesa universale in un vincolo di pace, di amore e di unità. I singoli vescovi, che sono preposti a Chiese particolari, esercitano il loro pastorale governo sopra la porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata, non sopra le altre Chiese né sopra la Chiesa universale. Ma in quanto membri del collegio episcopale e legittimi successori degli apostoli, per istituzione e precetto di Cristo sono tenuti ad avere per tutta la Chiesa [69] una sollecitudine che, sebbene non sia esercitata con atti di giurisdizione, contribuisce sommamente al bene della Chiesa universale. Tutti i vescovi, infatti, devono promuovere e difendere l'unità della fede e la disciplina comune all'insieme della Chiesa, formare i fedeli all'amore per tutto il corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia (cfr. Mt 5,10), e infine promuovere ogni attività comune alla Chiesa, specialmente nel procurare che la fede cresca e sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità. Del resto è certo che, reggendo bene la propria Chiesa come una porzione della Chiesa universale, contribuiscono essi stessi efficacemente al bene di tutto il corpo mistico, che è pure il corpo delle Chiese [70].

La cura di annunziare il Vangelo in ogni parte della terra appartiene al corpo dei pastori, ai quali tutti, in comune, Cristo diede il mandato, imponendo un comune dovere, come già papa Celestino ricordava ai Padri del Concilio Efesino [71]. Quindi i singoli vescovi, per quanto lo permette l'esercizio del particolare loro dovere, sono tenuti a collaborare tra di loro e col successore di Pietro, al quale in modo speciale fu affidato l'altissimo ufficio di propagare il nome cristiano [72]. Con tutte le forze devono fornire alle missioni non solo gli operai della messe, ma anche aiuti spirituali e materiali, sia da sé direttamente, sia suscitando la fervida cooperazione dei fedeli. I vescovi, infine, in universale comunione di carità, offrano volentieri il loro fraterno aiuto alle altre Chiese, specialmente alle più vicine e più povere, seguendo in questo il venerando esempio dell'antica Chiesa.

Per divina Provvidenza è avvenuto che varie Chiese, in vari luoghi stabilite dagli apostoli e dai loro successori, durante i secoli si sono costituite in vari raggruppamenti, organicamente congiunti, i quali, salva restando l'unità della fede e l'unica costituzione divina della Chiesa universale, godono di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un proprio patrimonio teologico e spirituale. Alcune fra esse, soprattutto le antiche Chiese patriarcali, quasi matrici della fede, ne hanno generate altre a modo di figlie, colle quali restano fino ai nostri tempi legate da un più stretto vincolo di carità nella vita sacramentale e nel mutuo rispetto dei diritti e dei doveri [73]. Questa varietà di Chiese locali tendenti all'unità dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa. In modo simile le Conferenze episcopali possono oggi portare un molteplice e fecondo contributo acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente.

[66] Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. Pastor aeternus: Dz 1821 (DS 3050s) [Collantes 7.176].
[67] Cf. S. CIPRIANO, Epist. 66, 8: HARTEL III, 2, p. 733: “Il Vescovo nella Chiesa e la Chiesa nel Vescovo”.
[68] Cf. S. CIPRIANO, Epist 55,24: HARTEL, p. 642, lin. 13: “Un’unica Chiesa in tutto il mondo divisa in molte membra. Epist. 36, 4: HARTEL, p. 575, lin. 20-21.
[69] Cf. PIO XII, Encicl. Fidei Donum, 21 apr. 1957: AAS 49 (1957), p. 237.
[70] Cf. S. ILARIO DI POIT., In Ps. 14,3: PL 9, 206; CSEL 22, p. 86. S. GREGORIO M., Moral. IV, 7, 12: PL 75, 643C. PSEUDO BASILIO, In Is.15, 296: PG 30, 637C.
[71] Cf. S. CELESTINO, Epist. 18, 1-2, al Conc. di Ef.: PL 50, 505AB; SCHWARTZ, Acta Conc. Oec. I, 1, 1, p. 22. Cf. BENEDETTO XV, Lett. Apost. Maximum illud: AAS 11 (1919), p. 440. PIO XI, Encicl. Rerum Ecclesiae, 28 febbr. 1926: AAS 18 (1926), p. 69. PIO XII, Encicl. Fidei Donum, l.c. [nota33].
[72] Cf. LEONE XIII, Encicl. Grande munus, 30 sett. 1880: ASS 13 (1880), p. 145. Cf. CIC, can. CIS 1327 CIS 1350 § 2 [nel nuovo Codice: cf. can. CIC 762].
[73] Sui diritti delle Sedi patriarcali cf. CONC. DI NICEA, can. 6 per Alessandria e Antiochia, e can. 7 per Gerusalemme: Conc. Oec. Decr., p. 8 CONC. LATER. IV, anno 1215, Costit. V: De dignitate Patriarcharum: ibid. p. 212 [DS 811]. CONC. DI FERR.-FIR.: ibid., p. 504 [DS 1307-1308; Collantes 7.159-60].



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