Origene su Matteo 404


LA CHIESA TRA MISERICORDIA E GIUDIZIO

405
5. I

Allora gli si avvicino Pietro e gli disse: Signore, quante volte dovro perdonare al mio fratello che pecca contro di me? .

Credere che queste parole Pietro le abbia dette nel senso più semplice, in quanto era disposto a perdonare al fratello che avesse peccato fino a sette volte, ma non all'ottava; e (credere) che il Salvatore insegnasse che ci si debba mettere a contare i peccati del prossimo contro di noi, per perdonare fino a settantasette volte, ma non il torto

1 Mt 18, 21. 2 Gn 4, 23.

(1) Origene cerca nella lettura dei Vangeli una esegesi cristica, conscio che l'amicizia con Gesù illumina sui misteri delle sue parole: è la movenza dell'inizio di Cm Gv, per cui occorre "poggiare il capo sul petto di Gesù" per comprenderne il messaggio (I, IV, 123); se nel caso del tema che sarà a lungo dibattuto in questa sezione, Origene sottolinea la impossibilità umana di parlarne a fondo, dall'altro mostra

Commento a Matteo, Libro XIV, 8 125

ricevuto alla settantottesima, questo mi pare assolutamente banale ed indegno sia del progresso compiuto da Pietro accanto a Gesù, sia della sublime intelligenza divina di Gesù.

Queste parole avranno percio, probabilmente, un senso oscuro simile a quello di queste altre: Ascoltate la mia voce, mogli di Lamech, eccetera . Il loro senso vero, nel quale le avrebbe spiegate lo stesso Gesù (1), uno potrà saperlo se sarà divenuto amico di Gesù si da essere ammaestrato dal suo Spirito: questi illumina la ragione di chi è progredito fino a tal punto, a seconda del suo merito. Quanto a noi, che siamo tanto lontani dalla grandezza di un'amicizia verso Gesù, ci contentiamo di poter dire appena qualcosa, sia pur in breve, sul senso di questo passo.

Orbene, sembra che il numero "sei" stia li ad indicare lavoro e fatica, ed il "sette" riposo . Vedi bene se puoi asserire che colui che ama il mondo , lavora alle opere del mondo e realizza opere materiali, pecca sei volte, mentre

(2) La afesis, il perdono, riguarda le realtà presenti; il brano che commentiamo colloca la problematica all'interno della comunità ecclesiale in costruzione, ma si puo intravedere nello sviluppo insolito delle parole evangeliche lo sguardo origeniano avvezzo ad andare oltre, a considerare la Chiesa nelle sue dimensioni transtemporale e metastorica; la dottrina della remissione e della penitenza, che ha nell'insieme dell'opera origeniana linee portanti nei riguardi del singolo e della comunità viene connotata anche dalla lotta antignostica e dalla prospettiva all'orizzonte della apocatastasi finale, spogliata dai suoi connotati mitici e letta come speranza universale secondo l'ordine divino, che infrange le barriere pur senza confonderle: Gesù è

"propiziatore non solo dei credenti, ma anche di tutto il mondo...

126

per lui il numero sette rappresenta la fine del peccato: Pietro deve aver capito qualcosa del genere, col voler perdonare sette volte al fratello i peccati commessi contro di lui. Dato pero che le decine e le centinaia, calcolate in unità, hanno un comune rapporto numerico con la cifra che si esprime in unità, e dato che (Gesù) sapeva che un numero è suscettibile di ulteriore crescita, per questo motivo - credo - aggiunge alla cifra sette quella di settanta, ed afferma che ci deve essere perdono per fratelli che sono quaggiù ed hanno peccato in cose di quaggiù. Ma se uno oltrepassasse i peccati che si commettono in questo mondo e in questo eone, anche se si trattasse di colpa lieve, non potrebbe a buon diritto aver più il perdono dei peccati. Il perdono infatti si estende alle realtà presenti

(2) e riguarda i peccati commessi su questa terra, sia che la remissione arrivi presto sia che arrivi tardi. Non c'è perdono neppure per il fratello, se ha peccato oltre le settantasette volte. Potresti dire: una persona cosi, che

Sebbene tutta la creazione aspetti la grazia del Redentore, tuttavia ognuno giungerà alla salvezza nell'ordine proprio" (Cm Rm III, VIII, cit., I, 161; cf. von Balthasar, Parola e mistero, 59s.; Rahner, La penitenza,

711s.).

(3) Prima di inoltrarsi negli sviluppi metodologici, Origene indica il proprio della parabola: il perdono assoluto, che risponde alla gratuità di Dio, tale che non consenta al ricordo del male ricevuto, ma lo vinca nella amnesikakia , la dimenticanza delle cattiverie che si traduce in assenza di rancore. Origene è anche al riguardo maestro di vita spirituale: "Se nella mia mente si presenta il volto di chi mi ha fatto torto o offeso, è evidente che si avvicina un pensiero di rancore..." (Evagrio Monaco, Sul discernimento delle passioni e i pensieri 2); "Non accada che l'intelletto, oscurato dalla tenebra del rancore, decada dalla luce della conoscenza e del discernimento e sia privato della inabitazione

Commento a Matteo, Libro XIV, 9 127

pecchi contro Pietro in quanto fratello, o contro lui in quanto Pietro, sul quale le porte degli inferi non prevalgono , per tali peccati è alla cifra del peccato più bassa; ma per peccati ancora più gravi, è nel numero che è senza remissione di peccati.

406 6. I

Per questo vi dico: il regno dei cieli fu reso simile ad un uomo, un re, il quale volle fare i conti con i suoi servi . L'intenzione generale della parabola è quella di insegnarci ad essere indulgenti verso le colpe commesse dalle persone che ci hanno fatto torto, specialmente se dopo il torto commesso, il colpevole supplicasse l'offeso, chiedendogli di perdonargli le colpe passate. La parabola intende altresi darci questo insegnamento e farci capire che dovremo scontare anche le colpe che Dio ci ha già perdonate, di cui abbiamo avuto la remissione, se dopo la remissione non avremo assolto a nostra volta le colpe di quelli che ci hanno offeso, si da non lasciare sussistere in noi il benché minimo ricordo del torto ricevuto (3). Ma è

dello Spirito Santo" (Cassiano, Gli otto pensieri viziosi: entrambi i testi in La Filocalia I, 108.142; altri rilievi in H.J. Vogt, Der Kommentar zum Evangelium nach Matthäus II, Stuttgart 1990, n. 27, 71s.).

(4) Ha inizio il commento della parabola del "servo spietato", che si estenderà fino al paragrafo 13; l'esegesi del brano viene proposta nei suoi momenti emblematici - vista dell'insieme: perinoia; ricerca dei dettagli: katà léxin; spiegazione (diégesis) più elevata e mistica - (cf. Harl, Introd. a Philoc, 136ss.); sottoposto a una "sistematica problematizzazione, perché considerato gravido di significati reconditi in tutte le particolarità", il testo verrà metodologicamente scomposto negli elementi narrativi (cf. Bendinelli, Il Commentario , 180). L'intreccio e il coinvolgimento di altre parabole - dei talenti (
Mt 25,14-30), delle mine (Lc 19,11-27), dei due debitori (Lc 7,41-42), del fattore infedele

128

con tutto il cuore, reso più forte da assenza di rancore (non è virtù da poco) che dovremo perdonare a chi ci ha offeso il male commesso intenzionalmente contro uno di noi.

Ma dopo (aver esposto) l'intenzione generale della parabola, bisogna esaminarla nella sua totalità, a livello più semplice, secondo il senso letterale, in modo che, avanzando diligentemente nella corretta ricerca dei singoli dettagli del testo scritto in precedenza, si tragga profitto dall'indagine approfondita delle affermazioni fatte.

Inoltre, com'è probabile, vi è una spiegazione elevata, ardua da svolgersi e più mistica, nella quale ci si potrebbe porre quesiti su ogni elemento della parabola (4), in analogia alle parabole interpretate dagli evangelisti. Ad esempio: chi è il re e chi i servitori? Quando ha inizio la resa dei conti ? Chi è il debitore di molti talenti, chi sono la moglie ed i figli, e quali sono le cose riferite, oltre queste, che il re diede ordine di vendere per saldare il debito in base ai suoi averi ? Cosa vuol dire l'"uscire" di colui a cui sono stati condonati i molti talenti? E chi è quel servo che egli trova, in debito non con il padrone, ma con lui che ha

21 Mt 16, 19.

(Lc 16,1-8) - allargherà la trattazione del perdono a tutti i discepoli

"nella prospettiva di ricevere la misericordiosa ed escatologica accoglienza di Dio" (S. Grasso, La parabola del re buono e del servo spietato [Mt 18, 21-35]. Analisi narratologica, in RivBiblIt XLVI [1998],

19-41).

9 Cf. Mt 18, 25. 10 Cf. Mt 18, 28. 11 Mt 18, 30. 12 Cf. Mt 18, 31. 13 Cf. Mt 18, 34. 14 Cf. Mt 18, 34. 15 Cf. Gal 1,

11.

(5) Il discorso teorico sembra come sostare nella ricerca di una intima illuminazione per l'esegesi, dalla quale resta distinto: non a caso si trova solo nell'originale greco e non nella Vetus interpretatio; la teorizzazione riprende i punti evangelici nel complesso delle

Commento a Matteo, Libro XIV, 9-10 129

ricevuto il condono? Che cosa indica il numero di cento denari ed il fatto che lo strozzava, dicendo: Rendimi quel che devi ? Qual è il carcere, nel quale ando e lo fece gettare lui a cui erano stati condonati tutti i talenti? Chi sono i compagni che furono rattristati e andarono a riferire al signore tutto l'accaduto ? Chi sono gli aguzzini a cui fu consegnato colui che aveva gettato in carcere il suo compagno , e come gli fu possibile, una volta consegnato agli aguzzini, restituire tutto il debito, in modo da non dover più nulla ?

Ma è probabile che un ricercatore più attento possa aggiungere altri elementi alla considerazione, elementi superiori, credo, alla spiegazione e all'interpretazione che è secondo l'uomo , per i quali occorre lo Spirito di Cristo che ha detto queste cose, in maniera da intenderle cosi come le disse il Cristo (5). Come infatti nessun uomo puo conoscere i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui, e nessuno puo conoscere i segreti di Dio se non lo Spirito di Dio , cosi nessuno puo conoscere (dopo Dio) gli insegnamenti che Cristo ha detto in proverbi e parabole , se non lo Spirito di Cristo. Chi ne

3 Cf. Gn 1, 3-31. 4 Cf. Gn 2, 2. 5 1 Gv 2, 15.

corrispondenze scritturistiche e in riferimento alla conoscenza piena che l'evangelista poteva avere delle realtà operate e dette da Gesù stesso (cf. Bastit-Kalinowska, Origène exégète, 181-189): in questo al di là del testo , il Cristo è il principio interiore "che comunica l'intelligenza spirituale della Scrittura, vale a dire la conoscenza del suo contenuto più reale... Ma, d'altra parte, il Cristo è anche l'oggetto di questa intelligenza spirituale, perché nella Scrittura non si parla che di Lui"

(Daniélou, Origene, 198).

16 1 Cor 2, 11. 17 Cf. Mt 13, 34-35; Mc 4, 33-34. 18 Cf. 1

Cor 12, 8. 19 Mt 18, 23ss.

130

è partecipe, non solo in quanto è Spirito di Cristo, ma Spirito di Cristo come Sapienza e Logos, potrà ben contemplare cio che gli si viene rivelando in questo passo. Riguardo poi alla spiegazione più sublime non vogliamo certo far promesse, ma nemmeno abbandonare la speranza (6) di cogliere le realtà indicate nella parabola, con l'aiuto di Cristo, che è Sapienza di Dio. Avvenga o no che ci vengano dettate cose simili su questo passo, ci suggerisca Dio, in Cristo, di fare cio che gli è gradito, purché ci sia largita a tal fine la parola di sapienza data da Dio per mezzo dello Spirito e la parola di conoscenza

concessa secondo lo Spirito .

407
7. IR--

6 Mt 16, 18. 7 Mt 18, 23.

(6) Non vogliamo abbandonare la speranza : "Il riconoscere che la conoscenza di queste cose eccede le nostre forze, mi pare indice di esperienza non irrilevante... Dunque non abbandoniamoci per disperazione al silenzio, che certo non edifica la Chiesa di Dio" (Om Es I, 1; IV, 5, 40.87); "Nel dedicarti (alla) lettura dei testi sacri con fede... bussa a quanto in essi è racchiuso... indaga con rettitudine... (Per comprendere) è indispensabile soprattutto la preghiera" (Origene, Lettera a Gregorio il Taumaturgo 4, in Gregorio il Taumaturgo, Discorso a Origene, 102s.; il testo, cui si accenna di frequente in Origene, è

8). Il brano di Cm Mt XIV, 6 che stiamo esaminando è esemplare della

"mistica dell'esegesi" origeniana: che unisce riserve, coscienza della debolezza delle forze umane a una ricerca inesauribile di sapienza, che deve e puo placarsi nell'attesa "della interpretazione da parte del Verbo rivelatore e della Sapienza nascosta in mistero" (Philoc 1, 29, 214; cf. Harl, Introd. a Philoc, 147s.).

20 Mt 5, 3. 21 Cf. Rm 6, 12. 22 Cf. 1 Cor 15, 49. 23 Ef 1,

21. 24 Cf. Rm 8, 3.

(7) Il Cristo è Autobasileia, il Regno in sé; Cm Mt si sofferma sul

Commento a Matteo, Libro XIV, 10-11 131

Il regno di Dio - dice - è stato assimilato, eccetera . Se fu assimilato ad un re che ha tali qualità ed ha compiuto tali cose, di chi deve trattarsi se non del Figlio di Dio? Lui è infatti il re dei cieli: e come è lui la Sapienza-in- sé, la Giustizia-in-sé e la Verità-in-sé, cosi sarà anche lui il Regno-in-sé; regno non già di una realtà di quaggiù, né di una parte delle cose di lassù, bensi di tutte le realtà di

lassù chiamate "cieli".

Se ti poni la domanda in che senso a loro appartiene il regno dei cieli , puoi rispondere che a loro appartiene il Cristo, in quanto è il Regno-in-sé (7), che regna secondo ciascuno dei suoi aspetti su colui che non si trova ancora sotto il dominio del peccato, dato che il peccato regna nel corpo mortale di coloro che vi si sono sottomessi. E dicendo che regna secondo ciascuno dei suoi aspetti, intendo dire questo: in quanto è giustizia, in quanto è sapienza, in quanto è verità e tutte le altre virtù, regna su colui che, portando l'immagine dell'uomo celeste , è divenuto "cielo", e regna su ogni potenza, sia su quelle

senso di questa regalità misteriosa: "Sono (le Scritture) il regno dei cieli, oppure lo stesso Cristo, re dei secoli, è il regno dei cieli paragonato a un tesoro nascosto nel campo" (Cm Mt X, 5; cf. XII, 14, I vol., 87.304); Gesù, il Regno, le Scritture sono solidali e i rapporti sono da vedere in chiave cristologica. Le epinoiai hanno rapporto con il ruolo salvatore e mediatore del Cristo (cf. Crouzel, Origene, 258) e ne imprimono il sigillo regale sulla realtà umana; la meditazione cristiana lo aveva già profilato: "(Dio) prima ci convinse dell'impotenza della nostra natura... ora ci mostra il Salvatore capace di salvare anche l'impossibile... Ha voluto che ci fidiamo della sua bontà e lo consideriamo... sostentatore, padre, maestro, consigliere, medico, mente, luce, onore, gloria, forza, vita" (A Diogneto IX, 6, in I Padri apostolici [A. Quacquarelli], Roma 1986, 360s.; cf. Cm Mt XIV, 1, n.

[7]; e note di Vogt, Der Kommentar I, 145s.233-236).

132

angeliche che sulle altre potenze, che non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro e sono chiamate sante e degne di tale regno. Orbene, quando questo regno dei cieli venne in una carne simile a quella del peccato, in vista del peccato, per condannare il peccato ; quando colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo tratto da peccato in favore di noi che portavamo il nostro corpo di peccato , fu allora che si rese simile ad un uomo, un re, inteso come Gesù (8): il Regno si uni a lui che ci teneva di più (se si deve avere l'audacia di dir cosi) ad unirsi e diventare una sola cosa, in tutto, con il Primogenito di tutta la creazione , dato che colui che aderisce al Signore forma con lui un solo spirito .

Di questo stesso regno dei cieli inteso nel senso del Salvatore ed a lui unito, è stato detto prima che volle fare i conti con i suoi servi . <Non li ha ancora fatti>, sta per farli con loro affinché si veda in che modo ciascuno fece uso delle autentiche monete d'argento del padrone di casa e delle monete "razionali" (9).

Ma cio che la parabola vuol dire in questi tratti lo capiremo più precisamente se applicheremo la nostra mente a quel che avviene con i servi che amministrano denaro del padrone e dai quali si esige il rendiconto . In realtà ciascuno di loro, ricevendo in varia misura il denaro del padrone, o lo utilizza a dovere, si da incrementare il capitale del padrone, oppure lo consuma sregolatamente per fini indebiti, dissipando senza giudizio e senza rispetto i beni affidati alle sue mani. Ora, ci sono di quelli che, pur avendo saggiamente amministrato tali e tanti beni, hanno

Commento a Matteo, Libro XIV, 11-12 133

pero perduto altri beni, e quando se ne dà ragione al padrone che fa i conti con loro, allora si stabilisce quanto deficit ha prodotto ciascuno, si calcola quanto guadagno ha apportato e, a seconda della sua abilità nell'amministrazione, riceve onore o castigo, oppure in certi casi gli si condona, in certi altri gli si toglie (cio che deve).

Orbene, in base a queste affermazioni, dobbiamo considerare in primo luogo le monete "razionali"e quelle autentiche, di argento, appartenenti al padrone. C'è chi ne riceve di più, chi di meno. A seconda delle loro rispettive capacità (10), ad uno sono dati cinque talenti , in quanto capace di amministrarne tanti, ad un altro due, non avendo la stessa capacità del precedente; ad un altro infine un solo talento, essendo inferiore anche al secondo .

Ma sono solo queste le differenze, oppure sono limitate ad alcune persone designate nel seguito del vangelo? Ce ne sono altre, oltre a queste? Anche in altre parabole

Cor 6, 17. 29 Mt 18, 23.

(8) Nel testo che esaminiamo vibra l'audacia di altre pagine origeniane: "Io ritengo che l'appellativo di re si riferisca alla natura principale del primogenito di ogni creatura... quello di figlio di re va riferito invece all' uomo assunto dalla natura divina" (Cm Gv I, XXVIII,

171s.); "E degno di Dio cio ch'è stato predetto dai profeti, che cioè un certo splendore ed una immagine (
Sg 7,26 Eb Sg 1,3) della natura divina sarebbe giunta a dimorare nella umana esistenza insieme all'anima santa di Gesù rivestentesi di umane spoglie" (C Cel VII, 17,

596); "(L'anima di Cristo)... con la carne che ha assunto è chiamata Figlio di Dio... Se una massa di ferro sta sempre sul fuoco... diventa tutta fuoco... In questa anima (=di Cristo) ha preso dimora in modo sostanziale proprio il fuoco divino" (Princ II, 6, 3.6, 287.291s.): in simili testi Origene cerca di esprimere il mistero della comunione divino- umana manifestatasi per l'Incarnazione (cf. Fédou, La Sagesse, 125-

163).

134

riscontriamo delle differenze: ci sono due debitori, di cui l'uno deve cinquecento, l'altro cinquanta denari , o perché l'amministrazione è stata loro affidata e l'hanno gestita male

(inferiori per capacità a colui cui era stato affidato un talento), o <perché hanno preso a prestito con interesse> (11); che costoro abbiano ricevuto, non lo sappiamo; che debbano tanto, ci pare sia la parabola stessa a farcelo capire.

Inoltre si trovano dieci servi, cui vengono affidate dieci mine, una per ciascuno . E, certo, se uno consideri la varietà dell'anima umana, le sue capacità e incapacità naturali verso più o meno virtù, verso tali o tali altre virtù, capirà forse come mai ciascuna anima sia giunta < in questo mondo> con alcune monete del padrone, monete emergenti con l'uso completo della ragione, e con il suo diligente esercizio a seguito del pieno raggiungimento di essa, esercizio che si esplica in azioni doverose, oppure col diligente uso orientato ad altre azioni, le quali o sono giovevoli (come gli affari), oppure sono per alcuni versi utili, e per altri inutili (com'è il caso degli insegnamenti: né del tutto veritieri, né completamente falsi).

408
8. L

(cf. Bendinelli, Il Commentario, 185). Gli sviluppi allegorici possono essere traslati e spiegati: "Quando sotto... una realtà sensibile

(Origene) cerca un fatto spirituale, non si tratta affatto di sostituire... "al senso naturale un'accomodazione arbitraria". Si tratta... di scoprire il

Commento a Matteo, Libro XIV, 12 135

Ti chiederai, nel contesto, se tutti gli esseri umani si possano considerare servi di questo padrone, oppure se alcuni siano quei servi che egli ha da sempre conosciuto e predestinato , e altri siano non servi, ma cosiddetti

"banchieri" in rapporti d'affari con i servi. Cosi pure ti chiederai se, al di fuori dei servi, ci sia altra gente, da cui il padrone si ripromette di ritirare il suo con interesse , gente non solo estranea alla religione, ma presente altresi tra alcuni dei credenti. Servi, pero, sono soltanto gli amministratori della Parola (12).

Nel fare i conti con i servi, il padrone esige anche da coloro che hanno preso prestiti dai suoi servi, si tratti delle cento misure di grano, dei cento barili d'olio , o di qualunque altra cosa ricevuta da quanti non fanno parte della cerchia domestica. Stando alla parabola infatti, non si trova un collega dell'amministratore disonesto , a dover le cento misure di grano ed i cento barili d'olio, come risulta evidente dalle parole: Quanto devi al mio padrone? . < Non disse: al nostro padrone>.

Ora, per me devi intendere che ogni azione buona e conveniente somiglia ad un guadagno con aumento, ed

(10) A seconda delle capacità: le anime, uguali nella essenza - l'Alessandrino impugna la tesi valentiniana delle tre specie umane -, differiscono nella virtù ; alcune sono di maggior valore e capacità di altre; i doni divini si manifesteranno con il raggiungimento pieno della ragione, e anche allora non varranno direttamente attitudini o inettitudini, virtù in grado maggiore o minore, per avviare all'ultimo rendiconto, ma sarà la mediazione esistenziale nell'esercizio di esse

- nel compimento del proprio dovere, negli studi, nel lavoro - a dire la

136

ogni azione cattiva ad un deficit. E come c'è un guadagno di più, un altro di meno di monete d'argento, e come variamente si realizza il guadagno di più o di meno (monete d'argento), allo stesso modo per le azioni buone avviene una specie di bilancio relativo ai maggiori e ai minori guadagni da parte di Colui che solo sa vagliarne l'entità

(simili realtà Egli le considera dal punto di vista delle disposizioni interiori, della parola, dell'azione, e dalle nostre libere decisioni che concorrono con realtà che non dipendono dalla nostra libertà) e sa valutare quale opera rappresenti un guadagno grande, quale uno meno grande, e quale un guadagno minimo; e cosi nel caso contrario, nel fare i conti coi servi, si trova quale peccato sia un deficit grave, quale uno più grave, e quale (se si deve dire cosi) sia un deficit da ultimo spicciolo o ultimo centesimo . Ebbene, colui che chiamiamo Regno dei cieli (simile ad un uomo, un re) chiede ragione di tutta quanta la nostra vita

(13), dal momento che tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa

risposta al dono preveniente di Dio, che puo concedere "la capacità" prima che se ne diventi "degni" (Cm Gv VI, XXXVI, 342s.; sul passo, i legami con dottrine stoiche, il rapporto con Clemente Alessandrino, cf. A. Orbe, Parabolas evangélicas en san Ireneo, II, Madrid 1972,

35ss.).

32 Cf. Mt 25, 15. 33 Cf. Lc 7, 41. 34 Cf. Lc 19, 13.

(11) L'interesse del periodo <> è ricostruzione del testo molto corrotto suggerita dal Klostermann: il debito puo risultare o da cattiva amministrazione o da somma ricevuta in prestito, gravata da interesse e non ancora restituita.

35 Rm 8, 29. 36 Cf. Mt 25, 27. 37 Cf. Lc 16, 6.7. 38 Lc

16, 8. 39 Lc 16, 5.7.

(12) Servi: gli amministratori della Parola ! Poiché il re è il Figlio di Dio, i personaggi sono chiamati da lui e davanti a lui nella risposta della loro libertà alle vie divine; l'intreccio segue le tematiche del

Commento a Matteo, Libro XIV, 12 137

delle opere compiute finché era nel corpo sia in bene che in male ; ed allora, nel fare i conti, sarà presentata al loro rendiconto ogni parola oziosa detta dagli uomini, ed anche un solo bicchiere d'acqua fresca dato da bere ad uno perché mio discepolo .
409
9. I

Questo avverrà quando si verificherà cio che sta scritto in Daniele: i libri furono aperti e la corte si sedette . Ci sarà infatti una specie di rassegna di tutte le parole dette, di tutte le azioni compiute e di tutte le cose pensate, e per potenza divina tutto cio che a noi è nascosto sarà portato alla luce e quanto è celato sarà rivelato (14), affinché se si troverà uno che non avrà procurato di accordarsi col suo avversario , per mano del magistrato, del giudice e dell'esecutore andrà in prigione, finché non avrà pagato fino all'ultimo spicciolo ; se invece ci sarà uno che avrà procurato di accordarsi con lui e non avrà

"testimonia la convinzione che Origene aveva dell'unità del genere umano e della dignità di ogni uomo... (I membri dell'umanità) uniti nella loro origine, lo erano ancora nel loro destino,... caduta,... riscatto..., lo sarebbero infine nella loro risurrezione e nel ristabilimento escatologico della Gerusalemme celeste" (J. Chênevert, L'?glise dans le Commentaire d'Origène sur le Cantique des Cantiques, Bruxelles-Paris-Montréal 1969, 122).

40 Cf. Lc 12, 59. 41 Mt 5, 26. 42 2 Cor 5, 10. 43 Mt 12,

36. 44 Mt 10, 42.

(13) Il Regno chiede ragione della nostra vita: "Entrerà nel Regno chi avrà la qualità dell'anima accordata allo stato che esso suppone, stato che non si acquista con la parola, ma con l'azione"

(Cm Mt Fr 148, su
Mt 7, 21, in Die Matthäuserklärung 3, Fragmente

138

alcun debito con nessuno , avrà decuplicato o quintuplicato la mina , o avrà raddoppiato i cinque talenti,

o da due talenti ne avrà prodotti quattro , otterrà in sorte la debita ricompensa, entrando nella gioia del Signore , sarà costituito su tutti i suoi averi , oppure si sentirà dire: Ricevi il potere su dieci città , o: Ricevi il potere su cinque città .

Ma non dobbiamo pensare che questo sia detto nel senso che occorra molto tempo per fare i conti per tutta la durata della vita presente, si da immaginare che, facendo il re i conti ad uno ad uno con tanti servi, all'operazione occorra altrettanto tempo, fino a che giungano a termine le realtà dall'inizio del mondo fino alla consumazione dell'eone, non già di uno, ma di molti eoni. Le cose in realtà non stanno cosi. Infatti, volendo ravvivare nelle memorie di tutti noi gli eventi avvenuti nell'intero corso del tempo (al fine che ciascuno possa prendere coscienza del bene o del male compiuto), Dio realizzerà cio in un solo istante, con ineffabile potenza (15). Noi, quando vogliamo richiamare qualcosa alla memoria, abbiamo bisogno di lungo tempo per ripercorrere interamente le cose che

(14) "Quando (la mente o la coscienza) vedrà spiegata davanti agli occhi quasi la storia dei suoi delitti, allora sarà agitata e punta dai

Commento a Matteo, Libro XIV, 12-13 139

andiamo dicendo, che portano al ricordo cio che vogliamo evocare; non è cosi che farà Dio, volendo farci ricordare di cio che abbiamo fatto nel corso di questa vita, affinché col prendere coscienza delle azioni compiute, possiamo capire le cose per cui siamo puniti o premiati. Ma se uno non crede alla celerità della potenza di Dio per queste realtà, costui non ha ancora capito che Dio, creatore di tutte le cose, non ebbe bisogno di tempi nel realizzare una creazione cosi grande del cielo, della terra e di quanto c'è in essi (16). Anche se sembra che l'abbia fatto in sei giorni, occorre intelligenza per capire in che senso sia detta l'espressione "in sei giorni"in vista di questa frase: Questa è l'origine del cielo e della terra, eccetera . Si deve dunque aver l'ardire ed affermare che il momento del giudizio che aspettiamo non avrà bisogno di durata, ma come è detto della risurrezione che avverrà in un istante, in un batter d'occhi , cosi (penso) sarà del giudizio.

82-84); quello che veramente implica la parusia "è la manifestazione di Cristo e della sua divinità a tutti gli uomini, buoni e cattivi, che risulterà dalla rivelazione del loro vero carattere. Il Salvatore... si farà conoscere dappertutto; gli uomini si presenteranno dinanzi al suo trono... si vedranno cosi come sono" (J.N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini, Bologna 1992, 574; cf. Bendinelli, L'escatologia origeniana , 7-

27; G. Filoramo, L'escatologia e la retribuzione negli scritti dei Padri, in

DSBP 16, Roma 1997, 243-252).

56 Cf. Gn 2, 4.

(15) Il brano è di grande efficacia nella contrapposizione del

"ricordo improvviso e miracoloso che Dio susciterà in noi nel giorno del

140

#410
10. I

Dopo questo, dobbiamo parlare del testo: Avendo egli incominciato a fare i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di molti talenti . Ecco il senso che a mio parere ha questa frase: il momento in cui inizia il giudizio è quello che incomincia dalla casa di Dio . Il quale ordina

(come è scritto in Ezechiele) agli <angeli> incaricati di infliggere le pene: Cominciate dai miei santi , e questo avverrà come in un batter d'occhio . Ma il tempo del rendiconto prende inizio ("inizio" va inteso come modo di pensare (17); non perdiamo di vista cio che abbiamo detto in precedenza) da coloro che devono di più; ecco perché non sta scritto: "avendo egli fatto i conti", ma avendo egli

"incominciato" a fare i conti, gli fu presentato (all'inizio del suo fare i conti) uno che gli era debitore di molti talenti . Egli ne aveva perduti migliaia e migliaia, e pur essendogli consegnate somme ingenti ed affidati beni numerosi, nessun guadagno ha apportato al padrone, bensi tante perdite, si da essere debitore di molti talenti; e puo darsi che proprio per questo motivo dovesse molti talenti, per

(16) "Quale persona assennata crederà che ci siano stati un primo secondo e terzo giorno, di sera e di mattina, senza sole, luna e astri? e il primo giorno anche senza cielo?" (Princ IV, 3, 1, 513s.).

"L'ordito narrativo del racconto protologico della Genesi appare a noi moderni... di un'efficacia espressiva insuperabile: invece esso lasciava perplessi e critici gli intellettuali greci per l'antropomorfismo della rappresentazione di Dio e per le incongruenze della narrazione...

Commento a Matteo, Libro XIV, 13 141

aver molte volte seguito la donna seduta sul talento di piombo, chiamata Empietà .

Ma, a questo punto, considera che ogni peccato gravissimo che si commette è una perdita di talenti appartenenti al padrone di casa. Tali sono i peccati che commettono fornicatori, adulteri, sodomiti, effeminati, idolatri , assassini. Non un lieve peccato, dunque, ma tutti peccati grandi e gravi deve aver commesso quello presentato al re, debitore di molti talenti . E se tu ricercassi costui in mezzo agli uomini, scopriresti che egli è l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e si innalza sopra ogni essere, (detto) dio o oggetto di culto . Ma se lo cerchi non tra gli uomini, chi altri potrebbe essere costui, se non il diavolo (18)? E lui che ha prodotto un deficit di altrettanti talenti, quanti sono gli esseri umani che lo hanno accolto. E lui che opera il peccato! Grande cosa infatti è un uomo, e cosa preziosa un uomo misericordioso , preziosa quanto il costo di un talento (19), sia esso di oro (come la lampada d'oro fatta

(Rispetto al pagano Celso, Origene) è sorretto dalla fede che ogni incongruenza sia voluta da Dio per facilitare il passaggio allo spirito"

(Prinzivalli, Omelia I: La creazione, in "Mosè ci viene letto nella Chiesa", 50s.). E insieme c'è il mistero della risurrezione del Corpo del Cristo: "Allora le molte membra saranno un unico corpo... Ma spetta soltanto a Dio distinguere... da una parte la testa e dall'altra i piedi e le altre membra, quelle più deboli, più umili, meno decorose e più decorose: egli comporrà insieme il corpo" (Cm Gv XX, XXVII, 434s.).

(17) Modo di pensare/epinoia: sottolineiamo il passaggio, perché fa uso di epinoia nel senso etimologico di "punto di vista" dello spirito umano, con una indicazione dell'aspetto artificiale che questo comporta; il termine puo anche significare uno sforzo umano di afferrare la realtà, e un cogliere, separandoli, aspetti reali di un essere che di fatto non esiste se non unito: cosi accade per gli attributi divini, cosi per le denominazioni del Cristo, uno per la sostanza, molteplice per le epinoiai (cf. Crouzel, Origène et la connaissance, 389-391; Wolinski, Le recours aux ejpivnoiai, 465s.).

142

con un talento ) o di argento, o di qualunque altro tipo di materiale si possa prendere in senso intelligibile, i cui simboli sono descritti nei Discorsi dei giorni, quando Davide si arricchi di molti talenti; la loro cifra viene anche indicata: tanti talenti d'oro e tanti d'argento e di altro tipo di metallo menzionato, col quale si edifico il tempio di Dio .

411 11. I

Pur non avendo i talenti che doveva restituire (li aveva infatti perduti), aveva pero la moglie, i figli e le altre cose di cui è scritto: tutto quanto possedeva . Non solo puo darsi che avesse la fortuna, vendendosi con le sue cose, che il suo compratore avesse saldato tutto il debito con il prezzo di lui e delle sue proprietà; ma è anche possibile che, non più schiavo del re, finisse col diventarlo del suo compratore. E vuole ottenere appunto di non

essere venduto con i suoi beni e rimanere nella casa del re. Per questo, gettatosi a terra, lo adora (sa che il re è Dio) (20) e gli dice: Abbi pazienza con me e ti restituiro ogni cosa . Era (probabilmente) un uomo intraprendente e vedeva che con seconde attività avrebbe coperto tutto l'ammanco risultato precedentemente dalla perdita dei molti talenti. E questo re, davvero buono, ebbe pietà del debitore di molti talenti, e lo lascio andare , condonandogli di più di quanto avesse richiesto la preghiera. Il debitore aveva promesso di restituire tutti i debiti al padrone se avesse avuto pazienza con lui , ma il signore si impietosi di lui (non perché volesse recuperare col suo essere longanime) e non solo lo perdono, ma lo lascio del tutto libero e gli condono tutto il debito . Ma questo servo cattivo, che pure aveva implorato longanimità dal padrone per i molti talenti, si comporto senza pietà. Trovato infatti un altro servo come lui, che gli doveva cento denari, afferratolo lo soffocava e diceva: paga quel che devi. Non mostro un eccesso di cattiveria, se per cento denari afferro quel servo come lui, soffocandolo e privandolo anche della libertà del suo respiro? Proprio lui, che per tanti talenti non era stato né

(18) E significativo che il passaggio dal debitore-uomo alla potenza che è al massimo debitrice - il diavolo - sia enunciato sulla falsariga dello sperpero dei talenti, opportunamente evocato nel contesto di una elencazione di peccati che ha al suo centro quella idolatria cui sospinge la pleonexia , la insaziabile brama di avere di più, come afferma Col 3, 5-6, parlando del "dare la morte alla parte (di noi) che appartiene alla terra"; "essere idolatra vuol dire erigere un oggetto o un valore creato e metterlo al posto di Dio ... tributare a quel valore creato un'adorazione che spetta solo a Dio" (cf. S. Schirone - R. Scognamiglio, Ricchi per ogni generosità. Economia e uso dei beni nel Nuovo Testamento, Roma 1998, 248-253; Monaci Castagno, Origene,

178-188). La prospettiva escatologica intreccia, senza confonderli, i rapporti con Dio e con il prossimo, in un riferimento teocentrico che porta a considerare i legami stessi fra gli uomini con riguardo alla

144

afferrato né soffocato, ma nonostante l'ordine precedente di venderlo insieme a moglie, figli e quanto aveva , in seguito, essendosi il signore impietosito di lui (dopo che l'ebbe adorato) era stato lasciato andare libero e assolto di tutto il debito !

E cosa davvero ardua dire, in base alla intenzione di Gesù, chi sia il compagno incontrato, in debito di appena cento denari non già col suo padrone, bensi col suo compagno, a sua volta debitore di molti talenti, e dire chi siano quei servi loro compagni, che nel vedere l'uno che soffocava e l'altro soffocato, assai rattristati andarono a riferire apertamente tutto l'accaduto al loro signore .

Quale dunque sia il vero senso di questi fatti, riconosco che nessuno potrebbe spiegarlo, se Gesù, che in privato, ai suoi discepoli spiega ogni cosa, non prende dimora nella loro mente, dischiude tutti i tesori oscuri, nascosti e invisibili delle parabole ed offre certezza, con chiare indicazioni, a chi vuole illuminare con la luce della

(19) Il diavolo è per eccellenza lo sperperatore di talenti preziosi: gli uomini (Princ III, 2, 406ss.). Con questa ipotesi ardita, Origene ha spinto la sua indagine a molti elementi elencati all'inizio della "parabola del servo spietato"; ora prenderà le distanze dagli interrogativi formulati, sciogliendo alcuni elementi ed omettendone altri: il silenzio puo essere il segno di una discussione di scuola della quale non è opportuno consegnare a una edizione futura tutti gli elementi e insieme puo esprimere l'invito - fatto ai più diligenti e amanti della sapienza -

(Princ, Prefazione 3, 121) di una ricerca personale di fronte alla inesauribilità del testo evangelico (cf. Bendinelli, Il Commentario,

78.145s.186s.; Bastit-Kalinowska, Origène exégète , 295).

(20) Origene fa notare l'atteggiamento di adorazione del servo: Sa che il re è Dio. La lettura odierna in chiave narratologica coglie a sua volta i gesti e le parole del grande debitore che vuole continuare a restare nella casa del re e la decisione regale a suo riguardo, che non pone condizioni o limiti al condono: la pietà del Signore "manifesta

Commento a Matteo, Libro XIV, 14 145

conoscenza di questa parabola, per fargli capire al tempo stesso chi sia il servo condotto dal re, debitore di molti talenti, eccetera , e chi sia l'altro, debitore di cento denari , con tutto il resto, sia che quello riferito in precedenza possa essere o l'uomo iniquo , o il diavolo, o nessuno dei due, bensi qualcun altro, o essere umano o uno tra gli esseri sottomessi al diavolo.

E infatti iniziativa della sapienza di Dio (21) esporre quel che è stato profetizzato in qualsivoglia modo e scritto dallo Spirito divino riguardo alle singole qualità e agli atti compiuti a seconda di queste (sia tra potenze invisibili che tra esseri umani). Ma siccome non abbiamo ancora ricevuto una mente idonea, capace di impregnarsi del pensiero di Cristo , di penetrare cosi grandi realtà, e con

veramente la sua capacità di concedere oltre il richiesto"; peraltro il servo appena graziato esce dalla presenza del re e non sa agire con il conservo - e il suo piccolo debito - secondo la misericordia appena ricevuta: il cambiamento di luogo fra le due scene, descritte come temporalmente susseguentisi, denota un'uscita ben più sostanziale dallo spazio della misericordia personalmente sperimentata. Si puo rilevare che gli esiti della esegesi origeniana e l'analisi narratologica attuale confluiscono nella rilettura drammatica di questa grazia concessa o negata (cf. Grasso, La parabola del re buono, 22-28).

85 1 Cor 2, 16. 86 1 Cor 2, 10. 87 Mt 18, 23.

(21) In base alla intenzione di Gesù, fondersi con il "pensiero di Cristo", insieme allo Spirito : le annotazioni sono quelle più consuete per Origene, mosse da una coscienza esegetica che non si arresta a soluzioni date ma fa appello e si propaga alle cerchie dei destinatari ecclesiali sulla base dell'unica Sapienza che si puo rivelare alle singole ricerche analitiche, anche le più minute, in ordine al testo evangelico;

"Io credo che ogni lettera - gramma - mirabile scritta negli oracoli di Dio compie la sua opera... per chiunque sa usare della potenza - dy´ namis - delle lettere" (Philoc 10, 1, 368s.) e proprio per questo: "(I misteri) sono tali che non tanto hanno bisogno dell'eloquenza dell'ingegno umano, quanto piuttosto richiedono l'ispirazione della

146

lo Spirito scrutare ogni cosa, anche le profondità di Dio , crediamo che sul senso di questo passo ci possiamo fare appena una vaga idea (22): il servo malvagio, di cui parla la parabola qui presentato per il debito di parecchi talenti, si riferisce ad un solo essere.

412 12. IR

Varrebbe la pena prendere in considerazione in quale momento il re, un uomo (nella parabola) volle fare i conti con i propri servi , ed a quale preciso istante siano da attribuire queste realtà di cui stiamo parlando. Se, infatti, quel momento al quale si riferiscono viene dopo, o è quello della fine del mondo (corrispondente al momento del giudizio atteso), come si possono ancora sostenere le affermazioni fatte a proposito del (servo) che doveva cento denari e veniva soffocato dal servo cui erano stati condonati i molti talenti? Se invece (quel momento è)

grazia divina" (Om Gdc V, 1, 104; cf. Crouzel, Origène et la connaissance, 119-124).

(22) Una vaga idea , in greco fantasia : il termine designa una esegesi personale, una dinamica interpretativa orientata verso quella spiegazione più sublime di cui parlava al paragrafo 6 l'inizio della interpretazione della parabola; Origene ritorna ancora sulla ipotesi avanzata in precedenza: nel servo malvagio balena la figura della potenza demoniaca.

88 Mc 4, 34. 89 Gv 21, 25. 90 2 Cor 3, 3.

(23) Il cuore puro puo contenere la spiegazione dello Spirito, ne è capace, in senso etimologico, perché l'intelligenza delle Scritture è al medesimo tempo conversione al dono di cui esse sono portatrici (cf. Crouzel, Origène et la connaissance, 393; von Balthasar, Spirito e fuoco in Origene: Il mondo, Cristo e la Chiesa, 172.174; de Lubac, Storia, 357-363; abbiamo accennato al testo nella Introduzione al I vol.

Commento a Matteo, Libro XIV, 14-15 147

anteriore al giudizio, come si potrà mostrare che il re fa i conti col suo servo già prima che esso giunga? Ma cosi bisogna pensare generalmente di qualsiasi parabola, la cui interpretazione non è stata riportata dagli evangelisti, che Gesù spiegava ogni cosa ai propri discepoli in disparte , e i redattori dei vangeli tennero nascosta la chiara spiegazione delle parabole per questa ragione, perché le cose significate da esse superavano la natura delle parole, e ciascuna spiegazione e chiarificazione di tali parabole era tale che neppure il mondo avrebbe potuto contenere i libri scritti riguardo a queste parabole. Ma si potrebbe anche trovare un cuore idoneo e capace, per la sua purezza (23),

91 Mt 18, 23. 92 Mt 25, 14.

(24) Abbiamo riportato questo testo nella Introduzione al I vol. di Cm Mt, 39. Proprio perché la ricerca è inesauribile ed affidata alla preghiera e all'illuminazione dello Spirito, le note della discussione di scuola dovranno essere a lungo vagliate prima di essere consegnate allo scritto, in vista di un pubblico ecclesiale vasto; fra una esegesi di scuola e una esegesi nella Chiesa non c'è per Origene tensione ma complementarità, è possibile una continuità nelle attese e negli

dell'intelligenza letterale della spiegazione delle parabole, in modo che venga scritta in essa nello Spirito di Dio vivente .

Qualcuno obbietterà: potremo commettere un'empietà se (a motivo del carattere segreto e misterioso di alcune realtà) intendiamo che questo testo indichi cose superiori al senso letterale, e poi ci proviamo a spiegarlo, anche se, per ipotesi, ci sembrasse di averne esattamente conosciuto l'intenzione.

All'obbiezione è da rispondere: coloro che hanno ricevuto la capacità di capire esattamente cio, sanno che cosa fare; quanto a noi, riconosciamo di essere ben lungi dal potere giungere al senso profondo di questi testi, anche se, in certa misura, otteniamo una conoscenza globale più modesta del senso di questo passo; asseriremo che, alcune di quelle cose che, a mezzo di molta indagine e ricerca ci sembra di scoprire, sia per grazia di Dio sia per virtù del nostro intelletto, non osiamo consegnarle allo scritto; mentre altre le proporremo in qualche misura, per esercitazione nostra e dei nostri lettori. E cio sia detto a nostra giustificazione, a motivo della profondità della parabola (24).

Al quesito poi in quale momento il re, l'uomo della parabola, volle fare i conti con i suoi servi, risponderemo che probabilmente cio avviene intorno al momento annunciato per il giudizio.

Questo lo dimostra una parabola verso la fine del presente vangelo ed una parabola del vangelo di Luca. Per non dilungarci nell'esporne il testo - chi vuole potrà da

interrogativi dell'uomo che da ricercatore sa farsi discepolo (cf. Bastit- Kalinowska, Conception, 676-681; Bendinelli, Il Commentario,

18.32.75-78; sulla prospettiva - che attribuiamo ante litteram all'Alessandrino - di una "esegesi alla Sorbona" che sappia colloquiare con l'"esegesi nella Chiesa", cf. Refoulé-Dreyfus, Quale esegesi oggi

Commento a Matteo, Libro XIV, 16 149

sé prendere il testo dalla stessa Scrittura - basterà dire che la parabola del vangelo di Matteo è quella che afferma che un uomo, partendo per un viaggio, chiamo i suoi servi e consegno loro i suoi beni ; ad uno diede cinque talenti, ad un altro due, ad un altro ancora un solo talento . In seguito, quelli hanno lavorato per i beni loro affidati . E dopo molto tempo viene il padrone di quei servi ; nello stesso testo è scritto: e regola i conti con loro . <Osserva dunque che cosa dice: e regola i conti con loro>; confronta cio con il testo: e avendo cominciato a fare i conti , e nota che defini "partenza" del padrone (25) quella durata di tempo in cui dimorando nel corpo, siamo in esilio lontano dal Signore , mentre ne definisce "venuta" quando, dopo molto tempo, viene il padrone di quei servi, il momento della fine del mondo nel giudizio. Infatti dopo molto tempo viene il padrone di quei servi e regola i conti con loro , e avviene cio che segue.

La parabola lucana presenta più chiaramente un uomo di nobile stirpe che parti per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare . Al momento di partire, chiamo dieci servi e consegno loro dieci mine dicendo: Impiegatele fino a quando venga . Ma questo uomo di

nella Chiesa?, cit.: cf. Cm Mt XIII, 11, n. [4]).

93 Cf. Mt 25, 15. 94 Cf. Mt 25, 16-18. 95 Mt 25, 19.

96 Mt 25, 19. 97 Mt 18, 24. 98 2 Cor 5, 6. 99 Mt 25, 15.

100 Lc 19, 12. 101 Lc 19, 13. 102 Lc 19, 14.

(25) L'esegesi sinottica della parabola pone in relazione testi che parlano di un lungo tempo di assenza del Signore, nel quale si esercita la vigilanza e responsabilità dei credenti protesi al ritorno di Lui; in prospettiva ulteriore, sono gli uomini, viventi nel corpo, ad essere esuli lontano dal Signore, e quando essi accolgono - nella fede - le "venute intermedie" del Cristo, egli "è assente secondo il faccia a faccia, ma è presente come in uno specchio e in maniera confusa" (Cm Mt Fr 503, cit., 206, con ripresa di
1Co 13,12); anche il paragrafo che stiamo

150

nobile stirpe era odiato dai propri cittadini e costoro gli mandarono dietro un'ambasceria , non volendo che regnasse sopra di loro. Fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re e fece chiamare a lui i servi a cui aveva affidato il denaro per vedere che cosa avevano trafficato . Avendo visto che cosa ne avevano fatto, tesse l'elogio di colui che da una mina ne aveva prodotte dieci, dicendo: Bene, bravo servitore, poiché sei stato fedele nel poco, e gli conferisce potere su dieci città sottoposte al proprio regno ; ad un altro che ha quintuplicato la mina , non rende lo stesso elogio enunciato per il primo, e non proferisce neppure il nome del potere stabilito per il precedente, ma gli dice appena: Anche tu sarai a capo di cinque città . A colui infine che aveva legato la mina in un fazzoletto disse: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! E disse ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci .

Chi dunque, riferendosi a questa parabola, non dirà

103 Lc 19, 15. 104 Lc 19, 17. 105 Cf. Lc 19, 17. 106 Cf. Lc

19, 19. 107 Lc 19, 19. 108 Lc 19, 22. 109 Lc 19, 24.

110 Lc 19, 12.

(26) Il Cristo/gli amministratori della Parola /i cittadini - Israele, le nazioni -: con l'incarnazione il Cristo è diventato cittadino del mondo! L'Alessandrino è ben consapevole "che il destino stesso del Verbo divino prosegue in certo modo nella durata della storia... Ora questo disegno non si realizza contro la volontà delle creature che possono ora consentire e ora opporsi all'operazione del Logos" (Fédou, La Sagesse, 333s.); rispetto ai cittadini che non accolgono il Regno, appare tutta la responsabilità della comunità cristiana, che raggiunta dal

Commento a Matteo, Libro XIV, 16 151

che l'uomo di nobile stirpe partito per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare è il Cristo, il quale in certo senso si allontana per assumere il regno sul mondo e su quanto è in esso, e quelli che hanno ricevuto le dieci mine sono quelli incaricati di amministrare la Parola loro affidata (26), mentre i cittadini (con l'incarnazione egli è diventato cittadino del mondo) che hanno rifiutato il suo regno, rappresentano forse l'Israele che non ha creduto in lui, ma probabilmente sono anche le nazioni che non hanno creduto in lui?

413
13. C

Questo, comunque, l'ho detto in riferimento al suo ritorno, quando viene col suo regno alla fine del mondo, quando fece chiamare i suoi servi ai quali aveva consegnato il denaro per vedere quanto ciascuno avesse

Verbo, deve testimoniarlo lungo la durata della storia, dal momento che la Chiesa è destinata "in profezia" ad essere la "luce del mondo", anche "di tutto il rimanente genere umano e degli infedeli" (Cm Gv VI, LIX, 376; cf. D. Pacelli, La Chiesa puo dirsi un'Ecuméne? Intorno a un suggerimento di Origene , in Universalità del Cristianesimo [M. Farrugia], Cinisello Balsamo 1996, 167-174; L. Perrone, La via e le vie: il cristianesimo antico di fronte al pluralismo religioso, in Il pluralismo religioso [A. Fabris - M. Gronchi], Cinisello Balsamo 1998, 39-54).

111 Lc 19, 15. 112 Lc 19, 12. 113 Mt 18, 23-24.

(27) Si riferisce alla fine. La lettura dei livelli della parabola intreccia la storia dell'annuncio evangelico alla scadenza transtemporale e metastorica della fine, cosi che la ipotesi degli angeli ministri e dei sudditi come potenze nemiche diviene la punta di attenzione nell'ambito delle realtà spirituali - tà noeta -; la simbologia della Scrittura rivela i misteri, cio che è vero - to alethés -, sotto il velo di immagini, come è abituale per la riflessione origeniana: "Colui che

152

guadagnato ; e l'ho detto altresi perché volevo mostrare, a partire da cio e dalla parabola dei talenti, che l'espressione "volle fare i conti con i propri servi" si riferisce alla fine (27), quando ormai è re e riceve il titolo regale, in vista del quale (stando all'altra parabola) parti per un paese lontano per prendere un regno e poi tornare . Una volta tornato, dunque, e ricevuto il titolo regale, volle fare i conti con i suoi servi e, incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitori di molti talenti . A lui, in quanto re, fu presentato da parte di servitori suoi sudditi: degli angeli, penso.

Tra i sudditi del suo regno, ce ne sarà forse uno cui è affidata una grossa amministrazione che non ha gestito

con la partecipazione al pane sostanziale corrobora il suo cuore, diventa figlio di Dio. Colui invece che comunica col dragone non è altro che l'etiope inteso spiritualmente e coi lacci del dragone tramuta se stesso in serpente" (Pregh XXVII, 12, 129s.; cf. Crouzel, Origène et la connaissance, 31-35.41-43).

114 Ap 21, 2.

(28) Noi cristiani, da Israele e dalle genti, "abbiamo il cuore nella Gerusalemme dell'alto", anzi è la nostra stessa anima, che "prima era Gebus", ad essere "stata cambiata", divenendo "Gerusalemme, visione di pace" (Om Ger V, 13; XIII, 2, 83.163). La simbologia della

"Gerusalemme dell'alto", madre e sposa, unita al Cristo, insieme Chiesa e anima, pur prevalente in ordine al tema della città santa biblica, non fa perdere ad Origene il rapporto con la concretezza storico-salvifica di spazi e tempi della economia divina riguardo ad Israele (cf. Sgherri, Chiesa, 410s.; L. Perrone, Sacramentum Iudeae.

[Gerolamo, Ep. 46]: Gerusalemme e la Terra Santa nel pensiero cristiano dei primi secoli. Continuità e trasformazioni, in Cristianesimo nella storia . Saggi in onore di G. Alberigo [A. Melloni - D. Menozzi - G. Ruggieri - M. Toschi], Bologna 1996, 445-478; A. Quacquarelli, L'uomo e la sua appartenenza alle due città nell'esegesi biblica di Gerolamo, in VetChr 33 [1996], 2, 275-288; M.I. Danieli, Il mistero d'Israele nella lettura origeniana di Rm 9-11 , in "Gerion" 15 [Madrid], 1997, 205-222).

115 Mt 18, 27. 116 Cf. Lc 19, 12. 117 Cf. Mt 18, 27-28.

Commento a Matteo, Libro XIV, 16-17 153

bene, ma ha sperperato i beni a lui affidati, si da risultare in debito di molti talenti che ha perduto. Non avendo forse costui di che restituire, il re dà ordine di venderlo con la moglie, grazie alla cui unione è divenuto padre di alcuni figli.

Ma non è impresa di poco conto vedere chi sono il padre, la madre e i figli sul piano delle realtà spirituali.

Per cio che attiene dunque alla realtà, Dio ben saprà l'impresa che vuole. Se poi è a noi che l'abbia data o no, lo giudichi chi ne è capace. Ad ogni modo, su questo punto noi proponiamo tale ipotesi: come Gerusalemme di lassù è madre di Paolo e dei suoi simili, cosi ci potrebbe essere anche la madre di altri, in analogia a Gerusalemme madre; ci potrebbe essere, poniamo, Soene (o Memfi) in Egitto, oppure Sidone, o tante altre città menzionate nelle Scritture. Come poi Gerusalemme è sposa adornata per il suo Sposo , cioè Cristo, cosi quelle madri potrebbero essere mogli o spose di alcune potenze toccate loro in sorte (28). E come ci sono figli che hanno Gerusalemme per madre e Cristo per padre, cosi ci potrebbero essere pure figli di Soene, o di Memfi, oppure di Tiro e Sidone e dei principi costituiti su di loro. Potrebbe anche darsi, percio, che costui che viene presentato all'uomo-re, in debito di molti talenti

(nel senso che abbiamo spiegato), abbia moglie e figli, ed il re abbia ordinato in un primo momento di venderli insieme a tutti i suoi averi, e in un secondo momento, preso da compassione, lo lascio andare e gli condono tutto il debito , non perché ignorasse cio che sarebbe avvenuto;

(29) Se non fosse uscito ... Cf. per l'uscita di Giuda dal cenacolo:

"Egli "usci" veramente, (non semplicemente) dalla casa, in cui era stata fatta la cena, ma usci anche completamente da Gesù" (Cm Gv XXXII, XXIV, 791); abbiamo già richiamato in Cm Mt XIV, 11, n. (19), Grasso, La parabola del re buono. Origene fa ulteriormente notare la forza

154

cosi sta scritto che si comporto, per farci sapere quel che è avvenuto. Ognuno dunque di coloro che (come abbiamo spiegato) hanno moglie e figli, renderà conto quando verrà il re a fare i conti, una volta che, ricevuto il titolo regale , ha fatto ritorno. Ed ognuno di costoro ha dei debitori, essendo principe di una Soene, o Memfi, oppure di una Tiro e Sidone, o di una realtà simile.

Questi, pertanto, dopo che fu lasciato andare e gli venne condonato tutto il debito, appena uscito dal re, trovo un altro servo come lui . Lo soffocava (penso) proprio

25, 20.22. 52 Cf. Mt 25, 21.23. 53 Cf. Mt 24, 47. 54 Lc 19,

"narratologica" delle due scene simmetriche, con i comportamenti antitetici dei conservi, la presenza esplicativa (Vetus interpretatio: enarraverunt ) dei colleghi testimoni, l'epiteto conclusivo di malvagio detto dal re a motivo non del denaro sprecato ma del compagno; la cerchia dei destinatari si dilata cosi a tutti i discepoli di Gesù che non devono uscire dalla misericordia del Padre: "lettori impliciti" della parabola sono di fatto i Fratelli nella comunità cristiana.

118 Mt 18, 27. 119 Cf. Mt 18, 29. 120 Mt 18, 31. 121 Mt 18,

32. 122 Mt 18, 34.

(30) Gli eretici: sono gli Gnostici "che si scandalizzano dei testi ove Dio è detto infliggere delle pene" (cf. Daniélou, Origene , 329; Vogt, Der Kommentar II, n. 47, 78); a Origene preme sottolineare la lezione della parabola, fermo restando il carattere medicinale dei castighi:

"Questi metodi terapeutici producono più o meno sofferenze e tormenti a coloro che subiscono il trattamento... Tutta la Scrittura divinamente ispirata è piena di testimonianze su ciascuno di questi casi... Il Dio artefice conosce le disposizioni di ciascuno e, poiché questo compete a lui solo, puo condurre il trattamento con sapienza" (Philoc 27, 4, in Philocalie 21/27 , 280-283); "Tutti gli interventi di Dio che hanno apparenza d'amarezza, giovano alla nostra istruzione e tornano a rimedio. Dio è medico, Dio è padre..." (Om Ez I, 2, 29). Non scompare mai dall'orizzonte origeniano il rinvio a quella "infinita pazienza e longanimità di Dio (che) stancheranno infine l'infedeltà delle anime"

(Daniélou, Origene, 337; cf. la già cit. tesi di Fernandez, Cristo médico,

179ss.204ss.).

1 Mt 19, 1ss.

Commento a Matteo, Libro XIV, 17-18 155

per questo motivo, perché era uscito dal re: se non fosse uscito, non avrebbe soffocato il compagno servo (29).

Osserva inoltre la sottigliezza della Scrittura: il primo gettatosi a terra, lo adorava ; il secondo, pur gettatosi a terra, non lo adorava, ma lo pregava . Il re, impietositosi, lascio andare e condono tutto il debito; il servo invece non volle neanche aver pietà del suo compagno. Il re, prima del condono, aveva dato ordine di vendere lui e le sue cose; quello invece che a sua volta era stato perdonato, lo fece gettare in carcere.

Inoltre fa' ben attenzione: gli altri colleghi non accusavano, né parlarono, ma "spiegarono" . L'epiteto

"malvagio" (il re) non lo disse all'inizio a motivo del denaro, ma lo riservo per dopo, a motivo del suo compagno. Considera anche la modestia del re: non dice "mi hai adorato", ma mi hai pregato ; non diede più ordine di vendere lui e i suoi averi, ma lo diede in mano agli aguzzini , dovendo soffrire più grave castigo a causa della sua malvagità. E chi saranno mai stati questi aguzzini? Certo, quelli stabiliti per il castigo.

Nello stesso tempo, a motivo degli eretici (30) che si avvalgono di questa parabola, bada bene: visto che accusano il Creatore di essere iracondo a motivo delle parole che mettono in luce l'ira di Dio, avrebbero dovuto

17. 55 Lc 19, 20.

(1) Gesù adempie perfettamente la funzione del didaskalos, il maestro in grado di rispondere a tutte le questioni sollevate; ma l'esegesi origeniana trapassa dall'orizzonte scolastico al livello più profondo: "Il discorso figurato della Legge, e quello allusivo dei profeti, sono per natura loro incompiuti, e lasciano spazio al chiarimento definitivo e alla conclusione che si realizzano solo per bocca e per opera di Gesù. A quel punto, pero, né dalla Legge né dai profeti puo più attendersi qualcosa di

156

condannare anche questo re che "sdegnato" consegno il debitore in mano agli aguzzini. A coloro poi che si rifiutano di ammettere che Gesù consegni qualcuno agli aguzzini, occorre ribattere: e allora spiegateci voialtri chi è il re che consegna il servo malvagio agli aguzzini! Ma considerino attentamente anche che è detto: Cosi anche il mio Padre celeste farà a voi . Alla stessa gente ancora si dovrebbe ricordare piuttosto il contenuto della parabola delle dieci mine: che cioè il figlio del Dio buono disse: Quei miei nemici, che non mi volevano... eccetera .

La conclusione della parabola è certo adatta ai più semplici. A tutti noi è insegnato che se, pur avendo ricevuto il perdono dei nostri peccati, non perdoniamo ai nostri fratelli, avremo da soffrire gli stessi castighi di quel servo che fu perdonato, ma non perdono al suo compagno.

- (GV 19,30)" (U. Neri, Origene: Testi ermeneutici, Bologna 1996, 176s.; cf. Bendinelli, Il Commentario, 145). Al centro di questa parte di Cm Mt è la costruzione della comunità cristiana, ma resta sempre aperto ed attuale per l'Alessandrino il mistero d'Israele, il popolo che ha ricevuto la Parola attardandosi sulla lettera e non attingendone il "fine".

2 Cf. 5, 21.27.33.38.43. 3 Mc 14, 29. 4 Cf. 1 Cor 2, 13.

5 Cf. Sap 14, 15.

(2) L'argomentazione origeniana ha un aspetto generale: nelle Scritture c'è una dialettica nascosto-manifesto, interiorità-esteriorità, profezia-evento; occorre passare dall'attesa al Cristo, dalla Legge al Vangelo, dal senso letterale al senso spirituale delle Parole che il primo

Commento a Matteo, Libro XIV, 18-19 157

Origene su Matteo 404