B. Paolo VI Omelie 10665

Giovedì, 10 giugno 1965: XVII CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE D’ITALIA

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Piazza dei Miracoli, Pisa



Signori Cardinali, fra cui il Nostro Cardinale Legato Arcivescovo di Firenze; e voi Venerati Confratelli - e fra tutti il diletto e riverito Arcivescovo di questa vetusta ed illustre Chiesa Pisana -, Autorità ecclesiastiche, civili, accademiche e militari -fra tutte il Signor Presidente del Consiglio dei Ministri d’Italia e quelle che qui rappresentano sia il Governo Italiano, che la Città di Pisa; e voi tutti Fedeli, tanto di Pisa, quanto di Roma e d’Italia qua convenuti per la celebrazione di questo XVII Congresso Eucaristico Nazionale, siate tutti da Noi salutati, tutti da Noi benedetti, con la riconoscenza di sapervi qui adunati per unire il vostro al Nostro omaggio al mistero augusto di Cristo presente nei simboli eucaristici, e con la letizia di potere con voi incontrarci, con voi pregare, con voi vaticinare nuove spirituali fortune, per questa terra privilegiata, ove la storia, l’arte, la cultura si sono per secoli affratellate con la fede ed espresse in monumenti di bellezza e di sapienza incomparabili. Saluto e benedizione, a cui ora non daremo altre parole, per riservare quelle della breve presente Omelia alla considerazione dell’altissimo tema religioso che stiamo celebrando; ma a cui riserviamo la pienezza del Nostro sentimento, traducendo l’uno e l’altro - saluto e benedizione - nella pietà e nella carità del sacro rito liturgico.

Dobbiamo un saluto speciale a tutti i cari Sacerdoti qua intervenuti. Il Congresso riserva a loro, con intenzione particolare, questa giornata; e per condividerla con voi, Confratelli nell’elezione che Cristo ha fatto di noi tutti per la totalità al suo amore e per la dedizione al suo ministero, siamo oggi qua arrivati. Sacerdoti diletti e venerati, a noi prendere coscienza della duplice rappresentanza, che ci è stata attribuita, quella di rappresentanti di Dio agli uomini, e quella di rappresentanti degli uomini a Dio; a noi esultare e tremare d’essere fatti, se non degni, idonei ad operare, stretti da quel duplice incarico, «in persona Christi», agenti per sua virtù del grande mistero eucaristico. Presente Cristo in noi con la sua divina ed umana potestà, si fa presente Cristo nella sua sacramentale realtà, mediante il nostro umile e sublime ministero. Noi siamo gli operatori, i ministri, i distributori dell’Eucaristia; non dimentichiamolo per la santità che dobbiamo a Cristo e a Dio; non dimentichiamolo per la carità che dobbiamo ai fratelli.

Fratelli e Figli carissimi!

Siamo venuti a questo Congresso per fare Nostra la testimonianza, ch’esso ha fatto programma suo: Dio è con noi! Perché Cristo è con noi! Perché i segni sacrosanti dell’Eucaristia non sono soltanto simboli e figure di Cristo, o modi indicativi d’una sua affezione, o di una sua azione nei riguardi dei commensali alla sua cena, ma contengono Lui, Cristo, vivo e vero, lo indicano presente quale Egli è vivente nella gloria eterna, ma qui rappresentato nell’atto del suo sacrificio, a dimostrare che il Sacramento eucaristico rispecchia in modo incruento l’immolazione cruenta di Cristo sulla croce, e rende partecipi del beneficio della redenzione chi del Corpo e del Sangue di Cristo, rivestito di quei segni di pane e di vino, degnamente si nutre. Così è. Così è.

Oh! Noi sappiamo che enunciando una tale realtà, enunciamo un mistero. Anzi Noi avvertiamo che affermando la verità, quale la Chiesa cattolica professa circa l’Eucaristia, enunciamo altresì un nodo, estremamente complesso ed estremamente meraviglioso, di altre verità essenzialmente collegate col mistero eucaristico, e parimente misteriose, ma insieme parimente fondate sulla realtà: basti ricordare il sacerdozio dapprima, con i suoi prodigiosi poteri, di attualizzare, per divina virtù, l’arcana presenza di Cristo nell’Eucaristia; e il rapporto essenziale ch’essa possiede col Corpo mistico di Cristo (cfr. S. Th.
III 73,3), cioè con la Chiesa, la quale ha nell’Eucaristia il segno, per noi ora supremo, della sua unità, ed il principio più efficace, Cristo stesso in atto di estrema carità, della sua composizione e della sua santificazione. Senza dire che questa presenza reale e nascosta, giacente in segni altrettanto vacui della loro natura reale - pane e vino - quanto pieni del significato spirituale specifico dell’Eucaristia - l’alimento spirituale per l’uomo viandante verso l’eterna vita -, reca con sé tali implicazioni di profondità teologiche - pensate all’analogia fra la parola e la sua identica e moltiplicata risonanza in quanti la ascoltano -, di riferimenti evangelici - pensate ai discorsi di Cristo a Cafarnao e all’ultima cena -, di derivazioni liturgiche - la Messa per prima -, di applicazioni cultuali - pensate al silenzioso e meraviglioso mistero degli innumerevoli tabernacoli, che costellano di luci, visibili solo agli angeli, ai santi ed ai credenti, la faccia della terra -, di fecondità spirituali - pensate alla pienezza liturgica delle assemblee di fedeli intorno all’altare, e alle conversazioni personali che le singole anime, nutrite di Cristo o estasiate nella fede e nella carità, adorando e pregando, trattengono col divino Presente, - reca con sé, diciamo, tali implicazioni religiose, spirituali, morali, e rituali da costituire il cuore della Chiesa. Gesù che parla: «Ibi sum in medio»: Sono Io al centro (Mt 18,20).

Così è. Ripetiamo: Noi sappiamo di enunciare un mistero. Ma così è. Questa è la Nostra testimonianza, che coincide con quella di questo Congresso, e vi apporta la piena conferma, che il Nostro magistero apostolico Ci autorizza a professare, anzi a ciò qui Ci obbliga: così è. Cristo realmente presente nel sacramento eucaristico. Diciamo questo per godere con voi, figli fedeli, che dell’Eucaristia fate vostro spirituale alimento, e per confortare la vostra pietà a quel culto autentico, nutrito di Vangelo e di dottrina teologica, al quale la recente Costituzione conciliare sulla sacra Liturgia, ci esorta e ci appiana la via. Diciamo questo anche per dissipare alcune incertezze sorte in questi ultimi anni dal tentativo di dare interpretazioni elusive alla dottrina tradizionale e autorevole della Chiesa in oggetto di tanta importanza. Diciamo poi questo per invitare voi tutti, uomini del nostro secolo, a fissare la vostra attenzione su questo antico e sempre nuovo messaggio, che la Chiesa tuttora ripete: Cristo, vivo, e celato nel segno sacramentale che a noi lo offre, è realmente presente. Non è parola vana, non è suggestione superstiziosa, o fantasia mistica; è la verità, non meno reale, sebbene collocata su piano diverso, di quelle che noi tutti, educati dalla cultura moderna, andiamo esplorando, conquistando e affermando circa le cose che ci circondano, e che, conosciute, dànno il senso delle verità sicure, positive, e, per di più, utili; le verità scientifiche.

Uomini, fratelli e figli del nostro tempo: Noi pensiamo di comprendere la vostra perplessità e anche la contrarietà, ch’è in alcuni di voi, all’annuncio del mistero eucaristico, che la Chiesa continua a proclamare, e che Noi stessi, profittando di occasione tanto propizia e solenne, qui confermiamo. Come può essere, come può essere - Ci pare sentire qualcuno di voi mormorare - una tal cosa, che ci porta fuori d’ogni esperienza consueta, d’ogni abituale cognizione del mondo fisico, d’ogni possibilità di controllo sensibile? L’educazione mentale del nostro tempo abitua il pensiero a certezze concrete e non superiori alla sua capacità conoscitiva; l’arte del dubbio poi e della critica negativa, la comodità mentale dell’agnosticismo e dello scetticismo, la facilità alla negazione, sia speculativa che pratica nei confronti della religione, e forse una segreta pigrizia, che in fondo agli animi di tanti uomini, un giorno non privi di retta informazione religiosa e di qualche felice esperienza di chi sia Cristo e di ciò che valga la sua parola, paralizza ad un dato momento un atto di onesta e coraggiosa riflessione, tutte queste forme caratteristiche della mentalità .e della cultura moderna arrestano talora l’uomo profano davanti all’annuncio che qui ripetiamo: Cristo è con noi; e rimettono sulle sue labbra i commenti negativi degli uditori del grande discorso eucaristico di Cristo a Cafarnao: «Questo discorso è duro; chi mai lo può ascoltare?» (Jn 6,60).

Ebbene, uomini del nostro tempo, che siete poi tutti voi pure, Noi crediamo, figli della Chiesa e fratelli Nostri, perché battezzati e perciò candidati all’ineffabile comunione con Cristo vivo, Noi non possiamo ora illustrarvi le ragioni, che rendono accettabile la grande verità eucaristica, ma preferiamo limitarci a dire a voi ciò che a Noi stessi diciamo: è un mistero; è cioè una verità d’altro ordine che non quello della logica comune, e della conoscenza derivata dall’esperienza sensibile; ma è una verità, garantita dalla parola del Maestro, Gesù Cristo, una parola che tende a mettere in funzione nel nostro spirito un particolare modo di apprendere e di aderire a verità superiore alla sua normale intelligenza; un particolare modo di accettare e di vivere una Parola, che da sé si giustifica e con sé porta una segreta attrattiva rassicurante, anche quando è sostenuta da tanti plausibili argomenti; un particolare modo di impegnare il nostro essere per accogliere una Verità, che si afferma equivalere alla Vita; quel particolare modo che si chiama, - voi lo indovinate -, si chiama la fede.

L’Eucaristia è mysterium fidei, mistero di fede. Luce vivissima, luce dolcissima, luce certissima per chi crede; rito opaco per chi non crede. Oh! com’è decisivo il tema eucaristico portato a questo punto discriminante! Chi lo accoglie, sceglie. Sceglie con la vigorosa conclusione di Pietro: «Signore, a chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna!» (Jn 6,68).

Fratelli e Figli carissimi! è forse questo il momento per tutti propizio di rinnovare la scelta, che Cristo pone davanti a noi, non solo per questo dogma saliente relativo al mistero eucaristico, ma per l’intero suo messaggio evangelico, quale la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, e dopo lunga vigilia di meditazione, ci propone; in una parola, per la fede cattolica. Nell’ora solenne del Concilio ecumenico, mentre matura sul quadrante della storia l’inizio d’una nuova giornata per la vita del mondo, la nostra fede gioca una funzione di grande importanza. È da tutti saputo quale bisogno d’una verità trascendente e profondamente atta ad illuminare il cammino dell’umanità sia variamente, ma acutamente e largamente sentito: la fede cattolica, ancora una volta, presenta al mondo la sua offerta impressionante.

Notate: è offerta libera a uomini liberi, e, a bene riflettere, liberatrice; l’ha detto il Signore: la verità, la sua verità vi farà liberi (Jn 8,32); è offerta gratuita e disinteressata, come quella che da un Amore infinito attinge il suo principio ed il suo fine; è offerta che non umilia la mente dell’uomo, sì bene la solleva a superiori visioni; è offerta che non disturba l’esercizio suo proprio del pensiero umano, né intralcia nella sua naturale e onesta fatica il lavoro, né arresta l’attività temporale nelle sue civili conquiste, mentre piuttosto rischiara e conforta l’uomo che riempie la giornata della vita presente di opere degne; è offerta - chi non lo sa? - che non rallenta lo sviluppo sociale, non aliena l’uomo dalle sue legittime aspirazioni vitali, ma reca con sé l’eterno e lieto messaggio evangelico, di conforto e di speranza per ogni umano dolore, e di stimolo altresì per ogni doverosa giustizia; è offerta, a cui è connessa davanti a Dio la responsabilità circa il destino della vita individuale (ricordate: Chi crederà . . . . sarà salvo; Mc 16,16); e davanti alla storia le sorti della pace nel mondo; offerta grave e grande, perciò. Accolta, sì, impegna la vita a programma sinceramente e tendenzialmente magnanimo, ma sempre cristianamente semplice, buono e pio: la fede è la vita, la fede è salvezza.

Se la Nostra voce può avere forza di espansione e di penetrazione, a voi, Pisani, desideriamo dapprima che giunga; ai vostri cuori. Questa è l’ora della fede; ripeteremo la esortazione apostolica: «Siate forti nella fede» (1P 5,8); nella fede, che ha tessuto la vostra storia e ha fatto la vostra gloria. Sia questo il giorno in cui voi ne riprendete piena e volonterosa coscienza, e ne fate per l’avvenire argomento di fedeltà. E Ci facciamo paternamente arditi, con cuore amico e con animo di estimatori, di far giungere il Nostro invito alla nuova considerazione della fede di Cristo alle soglie, a Noi non ignote e da Noi venerate, della vostra celebre Università, di cui un Nostro lontano Predecessore. Clemente VI (1343) segnò in secoli remoti l’atto di nascita; e a quelle non meno stimate della vostra illustre Scuola Normale Superiore; l’invito è ben degno che spiriti ardenti e pensosi, quali in codesti augusti domicili dello studio e del sapere si accolgono, ne ripensino la gravità, ne riconoscono la bontà.

E poi al Popolo Toscano, che oggi accoglie la Nostra visita, ripetiamo la medesima voce: amate, Figli della Toscana, la fede cristiana di codesta terra privilegiata e benedetta; la fede dei vostri Santi, la fede degli spiriti magni, di cui ieri ed oggi si è celebrata l’immortale memoria, Galileo, Michelangelo e Dante; la fede dei vostri padri: fate che, ancor oggi, schietta e viva sia la vostra, e domani quella dei vostri figli. E vorremmo che l’eco del Nostro grido per la saldezza nella fede di Cristo giungesse anche al di là del Tirreno, alla diletta Sardegna, all’isola laboriosa, con cui Pisa ebbe per secoli commercio spirituale e civile; e poi all’Italia tutta, che oggi trova qui espressione magnifica della sua spirituale unità, auspicio stupendo della sua cristiana prosperità. Questo è il messaggio che il Papa è venuto a recare personalmente al Congresso Eucaristico Nazionale di Pisa gloriosa.




17 giugno 1965: SOLENNITÀ DEL CORPUS DOMINI

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Venerati Fratelli e Fedeli,

che avete partecipato a questo Rito solenne; e voi, cittadini e figli Nostri, che abitate in questo nuovissimo quartiere di Roma!

Voi avete certamente notato che per la prima volta la festa romana del Corpus Domini svolge in questa parte marginale della Città la sua tradizionale pubblica processione; e avrete forse indovinato che la scelta del quartiere voleva indicare una qualche particolare intenzione. Quale intenzione? Un'intenzione molteplice!

Quella dapprima di mettere in evidenza, di mettere in onore, fra queste belle case e fra questi monumentali edifici la presenza silenziosa, misteriosa e amorosa del Signore: Habitavit in nobis, abitò fra noi, dice il Vangelo (
Jn 1,14). Questa permanenza, questa coesistenza dura tuttora, moltiplicata nel prodigio sacramentale su quanti altari si celebra il santo sacrificio della Messa, in quanti tabernacoli è conservata l'Eucaristia. Anche qui Egli ha la sua dimora, inquilino, cittadino, come quanti qui hanno la loro abitazione; vostro compagno, vostro collega, vostro ospite, vostro amico, che condivide la vostra vita, tacitamente, nascostamente; ma di null'altro interessato, che della vostra vita spirituale; di null'altro desideroso, che della vostra conversazione, della vostra comunione con Lui. Perché non si dica, ancora come nel Vangelo: "In mezzo a voi sta Uno che non conoscete" (Jn 1,26), questo culto solenne è qui celebrato. Abitanti di questo quartiere! Riconoscete Cristo vivo e presente in mezzo a voi; e pensate come la vita quotidiana, profana, possa essere come magnetizzata, illuminata, confortata, santificata per coloro che con semplicità di fede sanno captare le mistiche irradiazioni del divino Fratello.

Così questa intenzione di disvelare e di onorare la presenza del Pellegrino celeste, che anche qui fa una sua umana e temporale stazione, si integra con un'altra, che voi vorrete gradire; quella di meglio associare spiritualmente questa nuova e magnifica porzione periferica della nuova Roma all'Urbe antica e gloriosa, non solo con i vincoli anagrafici, tecnici e amministrativi dell'urbanistica moderna, ma con quelli altresì della vita religiosa, normale e pontificale, propria del centro della cattolicità. Romani siete, cittadini dell'EUR; ma quali Romani sareste, se non fosse pienamente estesa a questo splendido quartiere la splendida spiritualità della fede cattolica romana?

Ed ecco che l'intenzione promotrice di questa manifestazione religiosa vi dimostra un altro Nostro scopo; il compimento d'un Nostro urgente dovere: quello di offrire a voi una prova tangibile che il Papa di Roma è non meno per voi il vostro Vescovo, di quanto lo sia per ogni altro rione parrocchiale della Città e della Diocesi romana, che vede in Lui - come voi, a vostro conforto e a vostro vanto, vorrete vedere - il successore di San Pietro e il Vicario di Cristo. Il vostro Vescovo anche qua desidera recare il suo messaggio di fede e di carità. Unita all'intenzione cultuale e liturgica, perciò, di tributare a Cristo un atto di omaggio sovrano, la Nostra intenzione si fa pastorale; a voi si rivolge, per concedere a Noi stessi, la consolazione di salutarvi come figli, di convocarvi come fratelli, di benedirvi come fedeli; e per dare a voi l'occasione di conoscerci personalmente, e di considerarci vostro, e al vostro bene direttamente interessato e dedicato.

E nessun'altra migliore circostanza di questa può servire a questo scopo comunitario, perché nessun altro momento della vita religiosa è più propizio a svegliare in una popolazione il senso della sua profonda solidarietà, anzi a infondere il carisma d'una sua reale, se pur mistica, unità, che quello ,della celebrazione del Sacrificio Eucaristico.

Ricordate sempre: l'Eucaristia è il sacramento della comunione cristiana. Vorremmo che tale fosse il ricordo speciale di questa memorabile cerimonia. È il sacramento dell'unione vitale a Cristo, che ha dato la sua vita per noi, e che appunto si è rivestito dei segni del pane e del vino per rappresentare a noi il suo sacrificio, quello del suo corpo e del suo sangue, e per rendere a noi possibile la partecipazione alla virtù redentrice del suo sacrificio medesimo, facendosi nostro spirituale e reale alimento. Unione vitale, personale perciò, intesa a nutrire la religiosità individuale più intima e più profonda; ma sociale altresì, perché intesa al tempo stesso a immettere in ogni umana esistenza, partecipe di tanto Sacramento, un principio di vita identico per tutti; a offrire a ciascuno quello stesso pane, che fa dei commensali una cosa sola, un corpo solo con Cristo (cfr. 1Co 10,17).

Noi siamo facilmente indotti a considerare questo Sacramento, per il mistero che contiene e che lo circonda, per la riverenza che gli è dovuta e che lo mette al riparo d'ogni profano rumore e d'ogni comune contatto, quasi isolato ed estraneo all'esperienza della vita vissuta e alla circolazione dei rapporti sociali. Che al Sacramento della presenza del Signore fra noi sia dovuto ogni riguardo, ogni riverenza, e non solo esteriore (cfr. 1Co 2,30-31), sta bene; ma sarebbe incompleta la nostra informazione religiosa e sarebbe priva della sua migliore risorsa la nostra coscienza sociale, se dimenticassimo che l'Eucaristia è destinata alla nostra umana conversazione, oltre che alla nostra cristiana santificazione; è istituita perché diventiamo fratelli; è celebrata dal Sacerdote, ministro della comunità cristiana, perché da estranei, dispersi, e indifferenti gli uni agli altri, noi diventiamo uniti, eguali ed amici; è a noi data, perché da massa apatica, egoista, gente fra sé divisa e avversaria, noi diventiamo un popolo, un vero popolo, credente ed amoroso, di un cuore solo e d'un'anima sola (cfr. Ac 4,32). Ripetiamo le sante e celebri esclamazioni: "O sacramentum pietatis! O signum unitatis! O vinculum caritatis!" (S. Aug., In Io. Tract. 26, 13; P.L. 35, 1613). Ora, fratelli e figli carissimi, tutto ciò ha una duplice grandissima importanza: quella di mostrarci come l'Eucaristia sia causa meravigliosa dell'unificazione dei credenti, con Gesù Cristo e fra di loro; lo afferma con la sua consueta incisiva chiarezza l'antico e grande Nostro predecessore, San Leone Magno: "Non . . . aliud agit participatio corporis et sanguinis Christi, quam ut in id quod sumimus transeamus": a non altro tende la nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo, che a trasformarci in ciò che assumiamo" (Sermo 63, 7; P.L. 54, 357). La vera e completa unità dei fedeli componenti la Chiesa è il risultato della loro partecipazione all'Eucaristia. E in secondo luogo questa comunione di fede, di carità, di vita soprannaturale, derivante dal Sacramento che la significa e la produce, può avere un enorme e incomparabilmente benefico riflesso sulla socialità temporale degli uomini. Voi sapete come questo fondamentale problema della socialità umana primeggi fra tutti nel nostro tempo, e domini tutti gli altri con le ideologie, le politiche, le culture, le organizzazioni, con cui gli uomini del nostro tempo lavorano, faticano, sognano e soffrono, per creare la città terrestre, la società nuova e ideale; e sappiamo tutti come in questo molteplice sforzo gli uomini, impegnati nella immane costruzione, spesso riescano, sì, a fare progressi notevoli e degni d'ammirazione e di sostegno, ma trovino in se stessi ad ogni passo ostacoli e contrarietà che diventano divisioni, lotte e guerre, proprio perché mancano di un unico e trascendente principio unificatore dell'umana compagine, e mancano di sufficiente energia morale per dare ad essa la coesione altrettanto libera e cosciente, quanto solida e felice, quale a veri uomini si conviene.

La città terrestre manca di quel supplemento di fede e di amore, che in sé e da sé non può trovare; e che la Città religiosa in essa esistente, la Chiesa, può, senza in nulla offendere la autonomia della Città terrestre, anzi la sua giusta laicità, può, per tacita osmosi di esempio e di virtù spirituale, in non scarsa misura, conferirle.

E sia questo il Nostro voto al termine di questo solenne rito in onore del Sacramento capace di rendere fratelli gli uomini. Voi, cittadini di questo moderno quartiere, avete qui un illustre tipo di città nuova e ideale: non lasciatele mancare l'animazione interiore, che la può rendere veramente unanime, buona e felice; quella che le deriva dalla sorgente della fede cattolica, vissuta nella celebrazione comunitaria della liturgia eucaristica. Non mancate mai a tale festivo convegno, che spiritualmente unifica e sublima la popolazione cittadina, ancor oggi priva di sufficiente interiore cemento coesivo e di perfetto concerto comunitario, tonificante e consolatore; diventate famiglia d'intorno all'altare di Cristo, diventate Popolo di Dio!

E lasceremo questo voto a chi presiede e provvede alla vita religiosa del quartiere, affinché sappia, con spirito di pastorale bontà e di sacerdotale sacrificio, compiere degnamente il ministero che gli è affidato.

Lo lasceremo alle Autorità civili della Città, che sappiamo tanto valenti e tanto dedite allo sviluppo e allo splendore di questo quartiere.

Lo lasceremo ai Cavalieri del Lavoro, grandi operatori del moderno progresso, e pensosi studiosi degli sviluppi sociali, reclamati dalle non ancora perfette condizioni delle classi lavoratrici nel nostro Paese. A questi benemeriti e tipici artefici del benessere civile ed economico, i quali Ci hanno accolto per l'ottimo coronamento di questa cerimonia, vada, con il ringraziamento per tanta loro cortesia, il Nostro augurio di sempre nuove, civili e spirituali ascensioni. Ma a voi specialmente, fedeli della Nostra Roma, e a voi cittadini dell'EUR, lasceremo il Nostro voto, che ora con la Benedizione Eucaristica di tutto cuore intendiamo convalidare.




Domenica, 4 luglio 1965: SULLA PESCA MIRACOLOSA

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La pagina del Santo Vangelo or ora letto ci presenta la pesca miracolosa, nella narrazione di San Luca, con una precisazione e una vivezza di particolari, che la rendono incantevole, evidente, nitidissima.

Il Santo Padre esorta i presenti a ricomporre nel proprio cuore il quadro meraviglioso: Gesù, pressato dalla folla che gli si stringe attorno, trova rifugio su una delle barche tornate da faticoso lavoro: adesso i pescatori stanno lavando e sistemando le reti. Il Signore sceglie la barca di Simone. E qui un primo commento. Il fatto di ascoltare questa pagine del Vangelo sulla tomba gloriosa di quel Simone, di Pietro, muove a meditare profondamente. Gesù elesse Simone figlio di Giona; gli cambiò il nome in Pietro con il disegno di costruire su di lui la più alta istituzione di tutti i tempi: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Un altro giorno lo chiamerà pastore, dandogli il mandato di pascere il mistico gregge; gli darà le chiavi del Regno dei cieli e il potere di sciogliere e legare nel campo dello spirito, per la salvezza delle anime.

Ma nel brano evangelico odierno, prosegue il Santo Padre, Gesù cambia la professione di Pietro e da semplice pescatore - Simone lavorava in società, in cooperativa, si direbbe oggi, con Giovanni e con il fratello di questi, Giacomo, possessori di un’altra barca - lo fa pescatore di uomini, di anime; apre cioè un orizzonte alla vita futura di colui che sarà il suo primo Vicario in terra.

La rete mistica di Pietro è oggi questa stessa Basilica che accoglie uomini d’ogni continente; intorno a Simone, trasformato in Pietro, il Signore intesse il suo messaggio, e le virtù nuove, per cui l’opera divina non è ristretta soltanto al povero Pietro, il quale alla pesca miracolosa rimane spaventato e si prostra in atto di profonda umiltà, ma - Gesù che consola l’interlocutore, lo dichiara - si propaga al mondo intero.

È il mistero della Chiesa: la salvezza dell’umanità incentrata in quest’uomo e nei successori di lui, deboli che siano, esclusivamente per volere e misericordia di Dio. Perciò le moltitudini confluiscono a questa rete di unione, verità e dottrina.

C’è, quindi, un motivo di esortare gli ascoltatori, ma specialmente le «Giovanissime», che oggi gremiscono la Basilica, a riflettere sulla realtà e definizione della Chiesa. La grande Madre subito dimostra come, nelle vicende umane, domina, sapientissima e divina, la mano del Signore.

Gesù Cristo chiama le anime e, architetto mirabile, costruisce la sua Chiesa. Ognuno di noi, nella mano di Dio che opera così alto prodigio di elevazione del genere umano e fa i nostri giorni terreni vigilia della vita futura, diviene protagonista della nuova storia.

Nessun fatto della vita umana, per quanto insigne e rilevante, può paragonarsi a questo, che indica il mistero della Provvidenza; lo Spirito Santo, disceso ad infiammare i cuori, ad illuminare le menti. Basta meditare, pur se lievemente, una tanto sublime realtà, per avvertire subito la presenza di Cristo nella Chiesa, e il nostro gioioso, necessario dovere. Siamo chiamati, infatti, a corrispondere alla grazia del Signore: e perciò come non amare questa sua Chiesa, come non difenderla, servirla, entusiasmarsi per essa?

In tale corrispondenza di devozione e di amore a Dio, le «Giovanissime» e tutti i fedeli troveranno una eccelsa vocazione: e nessuno, per piccolo ed umile ed insignificante che sia, rimane privo di speciale invito, perché è stato creato appunto per essere nella Chiesa, per farne parte viva e, in essa, dare testimonianza di carità, di verità, nell’unione meravigliosa voluta da Dio. L’interna fiamma susciterà le opere: ciascuno sarà impegnato a dispensare ovunque l’inestimabile dono; ognuno diverrà apostolo di Dio, con l’azione, la parola, il sacrificio.

Pietro, quando vide la pesca miracolosa, chiamò in aiuto Giovanni e Giacomo. Ecco l’esempio: anche le «Giovanissime» - nei compiti loro affidati di ausiliarie, collaboratrici - debbono cercare, debbono chiamare altre anime, affinché si inseriscano nell’armonia provvidenziale, e, ciascuna secondo le proprie possibilità, diano ad essa diffusione e gloria.

Adunque: per tante volenterose anime giovanili il ricordo di questa Messa è evidente. Siamo chiamati tutti a dar lode ed onore a Cristo nella sua Chiesa; è una fortuna e una gioia; il giogo soave del Signore giammai ci sarà di peso. Ascoltiamo fiduciosi e ubbidienti la sua parola ed Egli farà di ogni battezzato, di ogni militante nella Chiesa sua, un pescatore di anime.




Domenica, 29 agosto 1965: VISITA ALLA CITTÀ DI POMEZIA (ITALIA)

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Perché sono venuto? Quali sono i motivi che mi hanno indotto a venire tra voi?

La prima ragione, tanto ovvia, ma che ha un segreto profondo, è questa: perché voi mi avete invitato. Voi mi avete chiamato; ed io penso che questo vostro invito non sia mosso semplicemente dalla curiosità o dalla singolarità di avere il Papa accanto a voi. La filiale richiesta indica che, nell’intimo delle vostre anime, c’è un’attesa, una dolce pretesa, anzi. Esiste una necessità: quella che qualcuno venga a dirvi ciò che altri non può; che venga il Papa a parlarvi di un segreto che altri non sanno svelarvi. Voi sentite nel vostro cuore un bisogno di cui forse non riuscite nemmeno a identificare l’aspirazione dicendo: se viene Lui, se viene il Papa, avremo certamente qualche, consolazione e visione sulla nostra esistenza.

Ebbene, carissimi, questa ragione è valida. Io sono venuto veramente per ascoltarvi, più che per parlarvi. Sono venuto a raccogliere questo anelito ancora informe, forse inespresso nelle vostre coscienze, ma che si dirige non tanto alla mia povera persona e nemmeno ad una potenza che non posseggo, quanto invece al vivo desiderio di conoscervi, di ascoltarvi, di donarvi, completa,- quella simpatia, che altri forse negano o manifestano con limiti e remore. Sono qui perché vi voglio bene, e proprio per ascoltarvi, perché tra voi e me corre una relazione di affetto, diciamo pure dell’amore dei figli verso il Padre. Sono venuto per mettere in essere questo rapporto cordiale che voi avete indovinato e che io vorrei illustrare alle vostre menti. Avete mai sentito una voce non benevola mormorare: la Chiesa può fare ben poco o nulla per noi? Il Papa intende, invece, affermarvi il contrario, e dimostrarvi che proprio la Chiesa è tesa verso di voi, ama conoscervi, assistervi, condividere con voi l’esperienza della vita faticosa e delle speranze di migliori prospettive. Possiamo quindi dichiarare: Siamo con voi, vi siamo vicini, abbiamo offerto e diamo il nostro cuore, la nostra vita, il nostro ministero per servirvi e per dimostrarvi davvero che su questa terra non siete soli, non siete abbandonati, non siete senza chi vi sia padre, amico, fratello. Avete nella Chiesa, avete nei suoi ministri, nel vostro parroco, nel vostro Vescovo, nel Papa chi davvero può largire un’assistenza umana, soprannaturale, insostituibile.

Ma altre ragioni ancora spiegano la visita. Se io vi dicessi che sono mandato? Sì, io non vengo per sola mia volontà. Non sarei mai venuto qui se non fossi sacerdote, se non fossi Vicario di Cristo: Che vuol dire ciò? Significa che avverto nel mio spirito un invito, un comando, una missione, che dice: Va’, io ti mando... Ecce ego mitto vos. È Gesù a dare l’invito; è quel Cristo, che venne 1965 anni or sono, la cui voce, potenza, presenza, il cui ministero e segreto divino, innestati nella storia umana, dicono ai rappresentanti del Divino Maestro: «Euntes, docete». Portate in mezzo al popolo il cuore ricolmo e l’intelletto ricco della parola appunto di Cristo, del gran tesoro del suo Vangelo, del suo messaggio. Tale messaggio ha la virtù di entrare negli animi oltre ogni resistenza ed opacità. È il dialogo iniziato da Cristo con l’umanità, affidato alle labbra dei suoi ministri perché sia svolto lungo i secoli. Ricorrono così le beatitudini proclamate dal Salvatore, per cui viene esaltata la povertà, la mitezza, la pace, la brama di giustizia: persino il pianto è considerato beatitudine perché verrà consolato. Inoltre, chi soffre avrà facilmente misericordia e godrà delle ricompense eterne. Il Papa è qui, appunto a riproclamare questo annunzio liberatore e redentore da Cristo portato all’umanità.

Ogniqualvolta i fedeli ascolteranno un brano del Vangelo da questo altare, potranno convincersi che si tratta di verità fondamentali per la salvezza, commisurate alle loro necessità ed aspettative; si tratta della parola di Cristo che illumina e salva.

E ancora una domanda: perché il Papa, che potrebbe andare in tante altre località, è venuto proprio tra voi? Vogliate comprendere, figliuoli: voi avete un titolo speciale per questa visita. Qual è? Voi rappresentate, forse senza avvedervene, quanto c’è di più caratteristico nella società moderna. Rappresentate il nostro tempo con i suoi problemi, le sue difficoltà, le sue lotte e’ sofferenze, ma anche con le sue speranze e conquiste, e novità, con le sue vittorie. Siete, dunque, l’espressione caratteristica della società moderna. Ripensate alle vostre origini. Un giorno siete affluiti qua, profughi e immigrati chiedendo lavoro, il benessere. Che cosa fa il mondo odierno se non andare di continuo in cerca di fortuna, di operosità nuove, di successi ? È intento, come non mai: alla ricerca; e voi stessi siete dei ricercatori. Siete sospinti dalla febbre delle novità, sì che, con l’ansia quotidiana, voi manifestate quanto c’è di caratteristico e, nel contempo, anche di più grave e pericoloso, oggi.

Siete una popolazione ch’è nel pieno del suo trasformarsi. Ho salutato poco fa due esponenti di tutti voi, uno dei campi, l’altro delle officine. Orbene, noi tutti sappiamo che il ritmo intercorrente tra questi due poli, l’agricoltura e l’industria, si accelera verso l’industria. Ferve, cioè, la tendenza a spostarsi dalle zone agricole alle città, dal lavoro dei campi alla conoscenza ed all’impiego delle macchine, con tutti i prodotti utilissimi che esse ci procurano.

Non è un mistero per alcuno che tale moto dall’ambiente rurale a quello meccanico ed industriale comporta non solo esteriormente dei sensibili mutamenti, ma investe anche lo spirito. Voi rappresentate una popolazione in crisi, come adesso si dice: perché state trasformando pensieri, mentalità, costumi; state diventando cittadini d’un agglomerato urbano, mentre eravate sino a ieri gli abitanti d’una cascina o fattoria di campagna. Passate dall’aratro alle macchine.

Tutto ciò ha vasta risonanza, e voi lo sapete. La crisi più difficile e drammatica si verifica nel momento acuto, a cui è possibile giungere con questo processo di trasformazione, e cioè il pericolo di perdere i beni dell’anima, i beni della fede, i beni della religione, i beni della speranza cristiana ed eterna, poiché è facile essere attratti ed abbagliati esclusivamente dai vantaggi che vengono offerti dal fenomeno industriale, vale a dire dalle conquiste materiali ed economiche. Allora l’avidità istintiva dell’uomo si attacca ad esse, ritenendole definitive, che escludono, quindi, ogni vita superiore e cristiana sino a far trascurare la religione, la preghiera, il ricorso a Dio. In una parola, ci si accontenta della ricchezza che nasce dalla materia e si dimentica o anche si disprezza la grazia assicurataci dal Cielo.

Questa è la crisi. Se si cede all’incanto di tale prospettiva, si perdono i beni superiori, quelli dell’anima. Sareste contenti di non possedere più la speranza cristiana, sareste davvero paghi di vivere soltanto per questi pochi anni miseri e veloci che trascorriamo sulla terra, sì da diventare soltanto, come le macchine, semplici strumenti di prosperità, senza alcuna linfa spirituale? Non vedete che sareste diseredati di ciò che forma la libertà e la dignità dell’uomo, di quanto sostiene l’uomo nei suoi dolori, di quel che nobilita pur le minime cose, e fa libere le persone umane, anche se sono soggette ad un lavoro industrializzato e quasi militarizzato?

Adunque non dovete - ecco perché sono venuto - orientarvi verso tale decadenza. Sono venuto, figliuoli miei, per dirvi: comprendete appieno la vostra sorte; e sappiate, in questo passaggio dall’operosità antica a quella moderna, dalla fatica dei campi a quella delle officine, dalla vita di ieri a quella di oggi, sappiate conservare la vostra fede cristiana, e sappiate che essa non è contraria al vostro benessere nel tempo. Sappiate che essa racchiude l’origine della vostra reale grandezza morale e spirituale. Sono venuto, in una parola, ad annunciarvi ancora la salda fede dei vostri padri; ad esortarvi a non lasciarla mai. In essa realmente è la sostanza della vita completa e vera, della autentica felicità.

Senza dubbio, per l’accumularsi dei fenomeni del mondo contemporaneo, questo problema si è già affacciato alle vostre anime. La vostra presenza qui dimostra - ed il Papa lo rileva con immenso gaudio - che sentite la giusta soluzione. Ecco che i cittadini di Pomezia possono proclamare: si, noi vogliamo essere uomini moderni, vogliamo certo tendere al benessere economico, ma soprattutto vogliamo conservare a noi ed alle nostre famiglie il tesoro delle immortali certezze, la fede in Cristo, che tutela, in maniera incomparabile, la dignità e la libertà dell’uomo.

Pertanto, a causa di questa evidente risposta, siate benedetti, figliuoli, per la grande consolazione che date al Padre, per la fiducia riaffermata mediante l’adesione totale al Divin Sacrificio che stiamo celebrando. In tal modo questa terra, senza alcun dubbio, resterà cristiana; ci saranno sempre, intorno a Roma, popolazioni buone e credenti, morali e laboriose; e sulla nazione benedetta, la nostra Italia, ognora risplenderà la fede di Pietro che la pone al vertice nobilissimo e le dà una missione unica, quella di ammirare più dappresso, nella persona umilissima ma elevata alla sommità di Vicario di Cristo, il proseguimento della tradizione e della attività cristiana.

Ed ora una raccomandazione. Dinanzi a questa fiorente città con le sue magnifiche case - e benedetti coloro che provvedono tanto egregiamente alle necessità del nostro popolo! -, dinanzi alle armonie ed ai vantaggi delle confortevoli residenze, voi avete adesso edificato anche la città economica, la città agricola e industriale. Pomezia è veramente un centro di lavoro in continuo sviluppo. Ma tutto ciò non basta. Bisogna edificare la città dei cuori. Dovete sentire d’essere veramente una famiglia, una comunità; ritenervi gli artefici d’un avvenire felice della nostra società. Fondate dunque questa vera città non sull’indifferenza, non sull’egoismo. Purtroppo sono frequenti gli isolamenti, le indifferenze. Non devono esserci ove sono cristiani fedeli. Onore alle associazioni, i cui vessilli qui dimostrano presenza e fioritura. Esse rendono amici e congiunti coloro che vi appartengono. Né vogliate indulgere ai contrasti sociali, politici, ideologici che esacerbano gli animi e dividono il consorzio umano in rive opposte, l’una contraria all’altra. Non basate la vostra città sul labile scopo del godimento terreno, del piacere, del vizio. Giammai così.

Su che cosa dunque dovete fondarla? Ce lo dice il brano del Vangelo testé letto, quello del Buon Samaritano: di colui che s’accorge che c’è chi soffre vicino a sé; che avverte come qualcuno durante il proprio itinerario ha bisogno di lui; si accorge degli altri. Che cosa vuol dire accorgersi degli altri e mettersi al loro servizio? Vuol dire amare, vuol dire organizzare la società sull’amore cristiano. E chi può dare la forza di uscire da noi stessi per occuparci degli altri ?

Cristo benedetto, Cristo Signore, figliuoli! Egli soltanto può trasformare l’egoismo, l’odio, l’aspirazione, tante volte inetta e manchevole per indispensabile armonia, in una vera socialità buona, amica, ordinata, felice, perfetta.

Il Cristo sia in mezzo a voi, come questa chiesa è al centro delle vostre case. Sia nei vostri cuori!

Fategli fiducia. Abbiate fiducia in Cristo, e non sarete smentiti nelle vostre speranze.

Che il Cristo sia in mezzo a voi, come oggi lo è il suo Vicario in terra, per edificare, reggere, nobilitare la vostra città sulla felicità e la bontà dell’amore.





B. Paolo VI Omelie 10665