B. Paolo VI Omelie



OMELIE 1963

Paolo VI



Sabato, 29 giugno 1963: DALLA CATTEDRA DEI SS. AMBROGIO E CARLO AL SOGLIO DI PIETRO

29663 Solennità dei SS.mi Apostoli Pietro e Paolo


Sua Santità incomincia con un affettuoso e cordiale pensiero per i Fratelli e figli dilettissimi, convenuti nella Basilica. E dapprima esso è diretto ai Signori Cardinali, che presiedono all’Arciconfraternita ed alle Istituzioni, e che hanno accolto il Papa, con tanta cortesia, sulla soglia del tempio. Di poi ai Vescovi, molto numerosi, e a tutti gli altri ecclesiastici; infine alla moltitudine di fedeli giunti da Milano e da Brescia per un incontro devotissimo presso l’altare di S. Carlo; il modo migliore di offrire al nuovo Sommo Pontefice l’opportunità di salutare tutti, nella forma familiare e cordiale che prescinde, in questo momento, dagli aspetti più solenni e protocollari che il nuovo Supremo Ministero comporta.

SALUTO ALLA CITTÀ NATALE

Saluto - prosegue il Santo Padre in tono affettuosissimo - tutti i fratelli di sangue, di terra, di educazione; quelli dell’umile paese dove sono nato, Concesio, e quelli dell’altra località, che fu tanto larga e lieta per me di riposo e di soste nella stagione estiva, Verolavecchia. E poi Brescia, Brescia!, la città che non soltanto mi ha dato i natali, ma tanta parte della tradizione civile, spirituale, umana, insegnandomi, inoltre, che cosa sia il vivere in questo mondo, e sempre offrendomi un quadro che, credo, regga alle successive esperienze, disposte, lungo i vari anni, dalla Provvidenza Divina.

La saluto, questa cara Brescia, nel suo Presule, nei suoi Magistrati, nei suoi abitanti; e sento di dovere ad essa intensa gratitudine per gli esempi di virile fortezza, sincerità, laboriosità, bontà; una vera armonia fra le virtù umane e le virtù cristiane, tale da essere sempre da me ricordata in esempio e in benedizione.

MILANO E LE SUE «MAGNIFICHE TRADIZIONI»

E poi Milano! Milano con la sua vasta area diocesana, dove vivono circa quattro milioni di anime: di figli, quindi Milano, a cui speravo di consacrare, fino all’ultimo, i giorni della mia vita e alla quale ho cercato di offrire quanto potevo, sempre con la pena nel cuore di dare assai meno di quanto essa meritava e aveva bisogno. Posso però dire con schiettezza, con tutta la misura delle forze del mio cuore: cari Milanesi, io vi ho voluto bene!

(L’adunanza sottolinea con fervide acclamazioni questo ed altri punti del Discorso, pronunciati dal Santo Padre con viva commozione).

Milano, da cui ho molto ricevuto, a cominciare dall’onore di appartenere a così grande, bella, vigorosa, esemplare, laboriosa città, che generosamente mi ha fatto partecipe del tesoro delle sue magnifiche tradizioni. Qui, in questa chiesa, abbiamo qualche segno e parte di così ingente ricchezza, dovuta ai Santi Ambrogio e Carlo.

Era mio chiaro e deciso proposito immergermi nella meditazione e nella reviviscenza di questa grande tradizione di santità, spiritualità, vigore civile ed umano. Spero, ora, che tale intento non mi sarà ostacolato dalle sollecitudini del Supremo Ufficio.


PRODIGIOSA TRASFORMAZIONE

Quanti preziosi ricordi accompagnati da profonda tenerezza! Le parrocchie, che hanno accolto la mia visita pastorale; il Seminario, che mi ha aperto le porte, il cuore, le varie attività; l’Università Cattolica; il caro Capitolo, insieme al quale sovente abbiamo pregato ed onorato il Signore; il Rito Ambrosiano, che io con difficoltà ha cercato di assimilare, cogliendone poi, uno ad uno, i molteplici, originali splendori! Orbene, tutto questo è dono insigne di Milano. È giusto, quindi, che ai Milanesi io dica il mio grazie, secondo il sentimento di riconoscenza che conserverò perenne. Continuerò, anzi, ad alimentare il mio spirito proprio alla sorgente di quella cordiale bontà che mi avete sempre dimostrata.

Ora, diletti Fratelli e figli, dobbiamo meditare la grande e pur semplicissima novità sopraggiunta, che lascia un po’ attoniti e stupiti, lieti nel pianto e piangenti nella letizia. C’è stata una trasformazione: il Signore ha voluto collocare un peso ingente sulle mie povere spalle, forse perché erano le più deboli, le più idonee, dunque, a dimostrare che non è Lui a volere qualche cosa da me, ma desidera largheggiare in presenza ed assistenza, agendo nello strumento più debole per attestare l’infinito suo potere e beneplacito, l’inenarrabile sua misericordia.

È accaduto un fatto prodigioso, esaltato dalla odierna Liturgia: Simone trasformato in Pietro. Simone, discepolo cordiale ed ardente, talora volubile, eccitabile, anche debole e fragile, diviene Pietro, secondo il nome che il Signore gli impone, con la grazia speciale a lui largita, e col ministero delle Somme Chiavi del Regno affidatogli. È un mutamento che, per diversi aspetti, lascia sopravvivere Simone. Voglio dire, applicando a me questo tratto evangelico, che quanto di sacro, buono, umano a voi mi stringe, resterà. Perdurerà, cioè, il mio affetto per voi; e i vincoli dal Signore benedetti, i quali a voi mi unirono, non si scioglieranno, pur se resi diversi e sublimati nel nuovo legame intercedente tra me e voi, tra il Papa e i fedeli tutti della Chiesa. Resteranno sempre nella mia preghiera, nel ricordo, nella riconoscenza. Spero, anzi, che, pur innalzati alla forma e all’altezza attuale, non si indeboliranno mai, ma saranno anch’essi sorretti dalle nuove grazie che il Signore vorrà concedere alla mia umile persona e al mio grande Ministero.

In tal modo, - risulta evidente - quei vincoli, da ristretti e particolari, diventano universali.


UNIVERSALI ORIZZONTI DI CARITÀ

Una delle parole da me varie volte ripetute nella sacra predicazione all’arcidiocesi, e che adesso vedo realizzarsi in una maniera ancora più evidente, è quella di S. Agostino: Dilatentur spatia caritatis: si allarghino i confini della carità, dell’amore. Per me, oggi, gli orizzonti dell’amore si sono talmente dilatati che quelle parole ben possono indicare un precetto, per me, nei confronti dell’intero mondo, un programma di sollecitudine generale.

Ebbene vi amerò tanto di più, carissimi Fratelli e figli, quanto più aperto sarà il mio cuore nell’associare a voi tutti gli innumerevoli fratelli vostri ovunque si trovino, perché tutti figli della Chiesa Cattolica. E come una madre non attenua l’amore al figlio quando altri se ne aggiungono, fratelli del primo, così io spero fermamente che sarà della mia carità verso di voi. Continuerò ad amarvi come figli, direi primogeniti, mentre l’intera, immensa famiglia cattolica si unisce a voi e mi obbliga ad allargare il cuore, la preghiera, la visione, i pensieri: e vi considererò sempre vicini in questo diffondersi del mio apostolato e del mio amore.

La medesima cosa, ritengo, dovete fare anche voi. Non sia il vostro cuore chiuso ed esclusivo, quasi campanilistico, ma si comporti, in ogni circostanza, con il sensus ecclesiae. Occorre, cioè, che anche voi amiate chi vi è stato fratello, compagno, condiscepolo, chi è stato il vostro Vescovo, alimentando un amore più vasto, tale da abbracciare la Chiesa, e i buoni rapporti derivanti dalla fede e dalla carità. Dovete, anzi, aiutarmi proprio con siffatta apertura di cuore e consapevolezza della vocazione che il Signore suscita non solo davanti a me, ma pure dinnanzi a voi. Amare, in una parola, chi vi è stato vicino e continuerà ad esserlo, anche se deve, per sopraggiunta disposizione dall’Alto, attendere a cure più estese, da prodigare per tutte le genti.



GESÙ A PIETRO: «ALIUS TE CINGET»

Che cosa sarà, di me, figli amatissimi? Non lo so. Il Signore tiene nascosti ai nostri sguardi i presagi del futuro. Senonché Egli stesso li ha fatti per colui che ha chiamato Pietro. Lo abbiamo letto poco fa nel Vangelo (Nel Rito Ambrosiano è proposto, per la festività del 29 giugno, il tratto del capitolo 21 di S. Giovanni sulla triplice protesta di amore fatta da Pietro al Divino Maestro). Gesù disse al Principe degli Apostoli: «Alius te cinget»: Tu sarai destinato ad essere stretto da impegni, obblighi, situazioni, che ti faranno soffrire e ti porteranno sino alla immolazione della vita.

La predizione che Cristo faceva a Pietro era un presagio di testimonianza e di martirio; un presagio di dolore e di sangue.

Non so che sarà di me - conclude con accento di profonda umiltà il Santo Padre. - Ma una cosa vi dico: in quel giorno - e potrebbe essere ogni giorno del mio calendario - in cui può darsi che io mi trovi stanco ed oppresso, al punto da sentirmi come l’antico Simone, debole e vacillante, capace di insufficienze, penserò che voi mi sarete vicini con la vostra preghiera, con la vostra carità, con il vostro amore. Penserò che voi mi volete non già Simone, ma Pietro; e cioè pronto non soltanto a rinsaldare la fede e l’adesione incorruttibile a Nostro Signore Gesù Cristo in me stesso, ma a confermarla e rafforzarla in voi, e in tutti i fratelli. Ecco, rifulgente, la cooperazione di tutte le nostre aspirazioni alla infallibile parola del Divino Maestro: Ego rogavi pro te, (Petre), ut non defìciat fides tua: et tu . . . confirma fratres tuos.

Adesso offrirò il Divin Sacrificio appunto per voi, in paterna dilezione, in segno di quella carità che sopravvive, si trasforma e si sublima. E voi fatemi un dono il più prezioso e gradito: quello del vostro intenso affetto e della vostra continua, ardente preghiera.



Giovedì, 15 agosto 1963: SANTA MESSA NELLA CHIESA PARROCCHIALE DI CASTEL GANDOLFO

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Solennità dell'Assunta


Il Santo Padre dichiara anzitutto di aver voluto concedere, a Se stesso e ai dilettissimi figli presenti, l’incontro, per salutarli come comunità aderente alla parrocchia, società religiosa e spirituale che fa capo alla chiesa di Castel Gandolfo. Anzitutto, quindi, intende rivolgere il saluto a colui che a tale chiesa presiede, il Signor Parroco, ringraziarlo delle cure pastorali che egli ha per le anime a lui affidate, incoraggiare il suo santo ministero.


PATERNO SALUTO AL CLERO, ALLE AUTORITÀ CIVILI , AL POPOLO

Del pari Sua Santità vuole salutare quanti appartengono alla medesima collettività parrocchiale. Essi, infatti, appartengono ad una assemblea comune sì, ma tanto bella e significativa, il cui onorevole, alto patrimonio è la medesima fede e preghiera, sono gli stessi Sacramenti: il che è quanto dire la vita del Cristo. Notando, poi, come l’intera parrocchia di Castel Gandolfo sia smaltata di tante e fiorenti comunità religiose, a queste un saluto ed una benedizione speciali. Inoltre l’Augusto Pontefice vuole benedire ed incoraggiare coloro che sono i più stretti collaboratori alla vita parrocchiale: gli iscritti alle associazioni, alle opere, alle attività religiose, i quali rendono l’intera parrocchia una famiglia di efficace preghiera e di fervore cristiano.

E come non rivolgere, in quella sede, in quel momento, un cordiale pensiero alle Autorità Civili? Il Santo Padre le ringrazia della loro deferente accoglienza e della cornice di ordine, di rispetto, con cui circondano la sua dimora e il suo soggiorno.

Altro paterno speciale ricordo e saluto il Santo Padre rivolge a chi amministra e presiede le Ville Pontificie ed a quanti ne sono i collaboratori e i dipendenti: a tutti va l’espressione di singolare riconoscenza, di incoraggiamento, ed una benedizione diretta appunto a coloro che più direttamente lavorano, e con nobile titolo, per il felice andamento dei vari servizi della dimora estiva papale di Castel Gandolfo.

C’è, infine, tutto un folto complesso di villeggianti, cioè di ospiti occasionali o intermittenti, nella presente stagione affluiti a Castel Gandolfo. Pure ad essi il saluto del Padre e l’invito a compenetrarsi sempre più dei peculiari obblighi derivanti dal soggiornare là dove anche il Papa trascorre le sue cosiddette vacanze. Vogliano essi sintonizzare la loro vita e i loro sentimenti con tale unica congiuntura. In una parola: tutti possono agevolmente intuire non esservi nulla di più gradito al Santo Padre che di vedersi circondato da una popolazione esemplare, sinceramente cattolica, la quale non si appaga di guardare al Papa con curiosità e di acclamarlo, ma intende condividerne i sentimenti, raccogliere le sue intenzioni, dimostrare concretamente come si possa essere figliuoli devoti e fedeli.

Al saluto ed alla benedizione si aggiunge la promessa del Santo Padre di costanti preghiere per ognuno e per tutti insieme.


INSEGNAMENTI PERENNI DEL TRIONFO DI MARIA

Ed ecco il pensiero saliente, da cui è scaturito l’odierno incontro spirituale. Esso concerne la festa oggi celebrata, una delle più insigni e care del nostro anno liturgico: la festa della gloria di Maria, dell’Assunzione della Madonna in Cielo.

Orbene, la solennità dell’Assunta può definirsi l’epilogo della storia di Maria Santissima. È infatti il coronamento di tutta la sua vita mortale e della missione che la Madonna ha avuto, da Cristo, per compiere il mandato, il disegno divino a Lei assegnato sulla terra. Pertanto questa data proporrebbe una meditazione riassuntiva su tutti i misteri concernenti la Vergine Santa, sull’intera eletta biografia terrena di Lei, con tutto il tesoro di grazie, di privilegi, di culto, che si concentra nella sua persona benedetta e singolarissima. Vien fatto, appunto, di chiedere, in sintesi: chi è Maria? quale fu il compito suo nel mondo? che cosa il Signore ha voluto da Lei? E inoltre: quali imprese ha Maria espletate per essere quella che è: la benedetta tra tutte le donne; ed essere, nella nostra umanità, la figlia più eletta, la più bella, la più gentile, la più privilegiata; e, doni largitile dal Signore, essere così vicina a noi e rivelarsi la sorella, la madre, la rappresentante più reale ed autentica della nostra umanità presso Cristo e presso Dio?


ARMONIE SUBLIMI E PERFETTE NELLA MADRE DI DIO

Ci sarebbe da ammirare, da questa sommità, il panorama completo della dottrina cattolica sulla Madonna. Sarà sufficiente, nondimeno, un solo punto: studiare cioè come i misteri della vita temporale di Maria abbiano relazione con la sua vita di beatitudine celeste, con questo altro grande mistero, unico, della sua assunzione, che anticipa, alla resurrezione e all’associazione a Cristo e alla gloria eterna del Paradiso, non solo la sua anima benedetta ma anche la sua carne immacolata e vergine, che ha avuto il privilegio di dare natura umana al Figlio di Dio e di farne un figlio dell’uomo.

Che relazione possiamo stabilire tra questi misteri della vita temporale della Madonna e la sua gloria? Anche qui la nostra riflessione potrebbe distendersi in lunghe considerazioni; e vedremmo la convenienza, anzi la realtà luminosa per cui Maria - che era immacolata; non aveva cioè in alcun modo esperimentato la tragedia che passa invece su ogni vita umana: il peccato originale - non ha interrotto mai i suoi rapporti con la sorgente della vita che è Dio; e non avendoli interrotti mai appunto per la prerogativa della sua immacolata concezione, esente, come era, da ogni peccato, da ogni infrazione alla vita, la vita eterna le era dovuta subito, in maniera completa.

Parimente va detto della Maternità della Madonna. Avendo Ella infatti dato la vita a Cristo, e Cristo essendo risorto e tornato al Cielo, era evidente, e, si direbbe, logica di cose, per l’amore espresso dal Figlio a tanta Madre, per quella connessione appunto di misteri che uniscono Maria a Gesù, che Ella fosse subito associata in anima e corpo, alla divina gloria eterna, al trionfo del Paradiso.

Si tratta di grandi misteri, che richiamano attento, ineffabile, studio. Immediatamente è dato rilevare come il tessuto teologico della dottrina sulla Madonna è solidamente fondato non sulla devozione, sulla fantasia anche buona e pur legittima dei suoi cultori e dei suoi devoti, ma possiede incrollabile fondamento nella realtà storica, nella rivelazione biblica, che fa di Maria la creatura incomparabile: Madre di Dio e Madre nostra.

E quindi innumerevoli sarebbero le deduzioni derivanti per noi segnatamente circa i rapporti che noi dobbiamo avere con la Madonna, il culto, la devozione, per Lei. Basterà tuttavia cogliere uno spunto, che è certezza consolantissima, poiché ci presenta il prototipo di vera e propria vita religiosa e cristiana. Sorge infatti naturale, per noi, il desiderio di formulare un accostamento in Maria, tra il suo periodo nel tempo quaggiù e il suo splendore nell’eternità. Noteremo che si tratta di un rapporto di estrema coerenza. Perché la Madonna è stata assunta in Cielo? Ma è stato detto poc’anzi: perché innocente; perché Madre di Dio; perché ha sofferto con Cristo; ed è, quindi, la Madre della Chiesa. Non fu il primo saluto dettole dall’Angelo «gratia piena»; e, poco dopo, quello di Elisabetta «benedicta tu inter mulieres»? A così eccelsa persona non poteva dunque mancare quella vividissima gloria. Chi ha avuto una somma tale di grazie come quelle di Maria e ha dato una risposta perfetta, sovrumana, alla vocazione di Dio, mediante offerta ineguagliabile e virtù sublimi, ben meritava d’essere proclamata Regina degli Angeli e dei Santi.


RISPOSTA SOVRUMANA AD INCLITA VOCAZIONE

Tutto ciò dice a noi - ed ecco l’insegnamento pratico - un grande dovere: quello di pensare di più al rapporto tra la nostra vita presente e quella futura.

Ci pensiamo? - chiede a tutti il Santo Padre.

O non siamo, invece, anche noi immersi nelle realtà temporali, che ci fanno indugiare su queste, mentre ben altre considerazioni ci attendono, che le stesse realtà temporali dovrebbero pur suggerire? Il dovere, cioè, di passare in mezzo al mondo, guardando alla mèta, al fine ultimo, tenendo presente la stazione a cui siamo diretti; lo scopo della nostra vita mortale, la quale altro non è se non esperimento - lo sappiamo - prova, vigilia, preparazione alla vita eterna. Ci pensiamo? O non restiamo troppo spesso dimentichi di questo nostro superiore destino, arrivando financo ad omettere di tracciare un rapporto fra i giorni presenti e la vita futura?

Dobbiamo, invece, ricercare sempre, assiduamente, cioè che rende il pellegrinaggio nel tempo degno d’essere coronato dal gaudio indefettibile: e troveremo che sarà il buon comportamento, la rispondenza ai voleri di Dio, la purezza, e quel modo splendente di agire, quello stile armonioso, in cui appunto consiste la vita cristiana.




SALDA FIDUCIA DI CRISTIANI E DI FIGLI

Ed ecco che allora la Madonna ci appare, oggi come non mai, con la sua luce dall’alto, Maestra di vita cristiana. Ci dice: vivete bene anche voi; e sappiate che lo stesso destino a me anticipato, nell’ora in cui il mio cammino temporale si è chiuso, lo sarà, a suo tempo, per voi. Il grande articolo della nostra fede, testé cantato nel Credo . . . «et vitam venturi saeculi . . .», cioè la vita eterna, è pure il nostro traguardo definitivo. Ci dobbiamo pensare, tanto più essendo come sommersi nelle cure della esistenza terrena, resa, dal progresso moderno, in vari modi affascinante ed obbligante.

Procuriamo di avere l’anima molto, molto al di sopra di questa scena temporale, di maniera che, pur compiendovi bene tutti i doveri e traendone tutte le fortune che il Signore anche nel piano delle situazioni terrene ha inserito, possiamo avere costantemente lo spirito libero, capace di raggiungere il suo vero fine. Così, l’intera nostra attività si trasforma in preghiera, anelito di grazia, desiderio, attesa di Dio.

Oggi questa nostra invocazione ed aspirazione alla vita eterna sembra prendere le ali ad attingere vette mirabili, nel pensare che nostra Madre, la Madre celeste, è lassù; ci vede e ci attende con il suo sguardo tenerissimo: «. . . illos tuos misericordes oculos ad nos converte». Proprio gli occhi suoi dolcissimi. ci contemplano amorevolmente, con materno affetto ci incoraggiano. Infondono una fiducia, che veramente deve essere e sarà di cristiani e di figli.



Domenica, 18 agosto 1963 - VISITA AL SANTUARIO DELLA BADIA DI SANTA MARIA DI GROTTAFERRATA

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Anzitutto il Santo Padre dà il cordiale saluto all’Archimandrita e alla secolare Abbazia da lui presieduta; ai singoli Religiosi; alle Autorità; ai fedeli e cittadini di Grottaferrata, che hanno voluto tributare un filiale omaggio al Papa, in occasione della sua visita. Abbiano tutti la Benedizione del Padre delle anime e l’espressione sentita della sua gratitudine.

La visita odierna, - prosegue Sua Santità - che doveva essere quasi ignorata e silenziosa, giacché mossa soltanto da un atto di devozione, ha invece assunto una certa pubblicità per l’affetto dimostrato dalle popolazioni al passaggio del Papa, e nelle accoglienze festose a Lui tributate. Di qui il moto spontaneo di riconoscenza, da parte sua, ed anche di profonda letizia nel trovarsi a contatto con tanti cuori aperti, non già verso l’umile sua persona, bensì verso il suo altissimo ufficio: quello di Vicario di Gesù Cristo, Capo visibile della Chiesa, Vescovo di Roma e, in questi giorni, di residente temporaneo in un castello vicino.


UN MILLENNIO GLORIOSO

Di fronte a così amabili disposizioni, è agevole per il Santo Padre chiedere a quanti Lo ascoltano di volersi unire al suo animo, alla sua preghiera, per rendere onore, prima d’ogni altra cosa, alla Madonna Santissima. Il convegno avviene nel santuario insigne della Badia di Santa Maria di Grottaferrata: questa la mèta del pellegrinaggio pontificio.

Altre volte, in passato, Egli si è qui soffermato: ma l’odierna presenza richiede anzitutto il pio atto di venerazione alla Vergine Santissima, da mille anni onorata in questo insigne, storico suo tempio.

Ed ecco, intorno a Maria, un insolito, singolare, ma stupendo fenomeno. In atto di perenne ossequio alla Madre di Dio, esiste una comunità monastica di Rito Greco-Bizantino, con una bella schiera di Religiosi Basiliani. Si tratta di una incantevole isola di spiritualità, di perfezione religiosa, le cui note distintive sono il rito professato e l’amplissima tradizione di eventi, di opere e di meriti. È qui il centro, il focolare della intera Congregazione Basiliana d’Italia; e di gran cuore Sua Santità rinnova ai Monaci l’augurale saluto, intendendo pure di estenderlo a tutte le anime pastoralmente assistite nella giurisdizione del Monastero.

Sorge, naturale, una prima considerazione. Il soffermarsi al famoso passato di tanto degna sede; alle persone che, ai giorni nostri, qui hanno coordinamento e impulso per esemplare vita cristiana, induce subito la mente a uno di quei richiami di memorie, che non consistono affatto in squallide o stanche rievocazioni, ma riguardano magnifiche e sempre viridescenti glorie, vitali ed eloquenti episodi. Ne è conferma il millennio che questa comunità spirituale possiede al suo attivo, con i grandi Santi che l’hanno impreziosito, a cominciare dal Fondatore della Badia, S. Nilo.


ININTERROTTA PREDILEZIONE DELLA SANTA SEDE

Per chi conosce, anche sommariamente, le correnti storiche del nostro Mediterraneo, appare mirabile il trasferirsi di preclari araldi della vita monastica dalla Grecia in Italia, dall’Italia meridionale alle porte di Roma; e ciò che poteva sembrare uno scampo da non favorevoli circostanze dell’Oriente, si rivelò, al contrario, evento stabile, coerente, fecondo, ricco di esempi di santità - gli annali di Grottaferrata ne presentano una collana fulgente: dal ricordato S. Nilo a S. Proclo, S. Bartolomeo e tanti altri - e ben presto intrecciato alle attività stesse dei Romani Pontefici, a pagine bellissime della operosità della Chiesa. Le luci furono così provvide nelle epoche anche le più oscure della regione laziale, poi nel medioevo e nei secoli successivi, che l’esempio dei Papi trovò imitatori pure in taluni nobili casati, quali i Colonna, i Farnese, i Barberini, ben felici di associarsi alle imprese di pietà, erudizione, cultura, sempre in auge nel Monastero.

Legittimo è quindi il ripercorrere, sia pure fuggevolmente, un itinerario di alto interesse. Dagli inizi edificanti, di cui s’è fatto cenno, si arriva ai Sommi Pontefici a noi più vicini, segnatamente Leone XIII, Pio XI, Giovanni XXIII, tutti desiderosi di onorare, proteggere, dimostrare stima e favore per quest’isola del rito bizantino-greco, affinché, riaccendendo i suoi più eletti splendori, potesse sempre confermare che la voce di questo cenobio non è forestiera od estranea nella Chiesa, ma tenuta in grande considerazione accanto a quella del rito latino.

Dopo questa premessa, ci si trova di fronte ad altra meraviglia che è dei nostri tempi e, a Dio piacendo, lo sarà ancora più nel futuro: la realtà di questa sopravvivenza, nelle immediate vicinanze di Roma, di una fiorente comunità orientale.

Perché tutto ciò? Perché davvero - e lo accennava poco fa il Rev.mo Archimandrita dando il benvenuto al Santo Padre - i monaci Basiliani sono a Grottaferrata per attestare, in modo continuo, la comunione di spirito della Chiesa Latina con l’intera Chiesa Orientale; così che Roma possa guardare ognor più all’Oriente con occhio fraterno e materno e con la ineffabile letizia di sentire tale comunione dello spirito in perfetta consonanza.

Anche le particolarità differenziali di rito, la lingua, la maniera di esercitare il culto di Dio, che, a prima vista, parrebbero indicare soltanto una rarità esotica, dànno invece una nota squillante al maestoso coro, all’armonico concerto dell’unità cattolica, la quale vuole esprimersi non mediante una sola voce, ma con quante voci possono liberamente elevarsi alla gloria del Signore, alla confessione di Cristo, alla presenza dello Spirito Santo nella Santa Chiesa che il Salvatore ha fondata unica e cattolica, aperta cioè a innumerevoli e possibili espressioni, purché qualificate e legittime.

Pertanto, il vedere a Grottaferrata già in realtà, - anche se in nuce, in forma tuttora piuttosto tipica che non in proporzioni estensive - questa perfetta unità, per cui si prega sì in lingua diversa, con rito differente, ma si professa la stessa Fede, l’identica adesione alla Chiesa, il medesimo riconoscimento della Gerarchia, la stessa devozione al Papa, costituisce, per tutti, argomento di immensa gioia e di inesprimibili speranze.


SALUTO AFFETTUOSO ALLE CHIESE D'ORIENTE

Per parte sua, il Santo Padre è così commosso da tale rilievo che, nel Divin Sacrificio in corso di celebrazione, avrà posto preminente la sua lode all’Altissimo, la cui benignità suscita prove così avvincenti di unione. Né si tratta d’un episodio, quasi superstite e stanco, di realtà che fu già nel tempo, bensì, invece, di semi di alte virtù, per cui è possibile antivedere un promettente avvenire. Come sorge quindi spontaneo il voto augurale; sentano tutti i fedeli, e in grado intenso, il vincolo spirituale che ci unisce alle Chiese dell’oriente!

L’Augusto Pontefice pensa, innanzitutto, alle Chiese cattoliche dell’Oriente. Abbiamo una sfavillante collana di riti orientali che, da sempre, sono in comunione perfetta con Roma. Ebbene, fervidissimo parte dal cuore del Papa un saluto per tutte queste Chiese sorelle e figlie; e, con il saluto, la voce sua a proclamare a quelle comunità: gloria, onore a voi; consolazione, conforto e grazia a voi! Iddio vi benedica per avere sostenuto millenni di aspre fatiche e saldissima fedeltà, di persecuzioni sofferte, di adesione precisa e ferma alle più pure tradizioni, nella strenua difesa del patrimonio dottrinale tramandato dai padri! Iddio vi benedica proprio per tale infrangibile costanza!

Sanno i cattolici tutti come, oggi più che mai, la Chiesa di Roma apre le sue braccia alle dilette comunità cattoliche dei riti orientali. È noto che uno degli ultimi atti del veneratissimo Sommo Pontefice Giovanni XXIII - il quale tanto amava i cattolici dell’Oriente, con cui trascorse molti anni, tra i più attivi e laboriosi della sua esistenza - fu quello di associare i Patriarchi delle Chiese di origine apostolica dell’Oriente all’organismo di governo che la Chiesa ha precisamente per l’assistenza e la guida delle Chiese Orientali; di chiamarli, cioè, a far parte della Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale.

Si tratterà, forse, di semplice inizio verso ancor più estesa collaborazione, convivenza, articolazione, che il Diritto Canonico preciserà, ma che, sin da ora, l’alacre attività spirituale dei cattolici deve attuare come una conquista e una promessa di voler essere tutti molto uniti, pur con le diversità delle tradizioni, dei riti, dei costumi e delle manifestazioni esteriori, nella nostra fede comune e nella nostra carità fraterna.


Si arresta forse qui lo sguardo? -, aggiunge Sua Santità. O forse, proprio dalla esistenza di diversi riti e di altre lingue entro la Chiesa, non si è portati a considerare altre Chiese, che derivano dall’unico ceppo, dall’unica origine, Cristo Signore, e pur non sono in comunione perfetta con la Chiesa di Roma? Non ha forse il Papa il mandato di guardare anche a tutte queste altre Chiese di Oriente, che hanno, con noi, lo stesso battesimo, la medesima fede fondamentale, posseggono una gerarchia valida, e Sacramenti efficaci di grazia? Certamente il Successore di Pietro si volge a quei nostri fratelli, poiché, al giorno d’oggi, chiunque può rilevare come quelle Chiese Orientali siano per origine e sostanzialmente a noi vicine, pur se fatti storici e dottrinali ben noti le tengono ancora distinte da noi.



«FACCIAMO CADERE LE BARRIERE CHE CI SEPARANO»

E che cosa dirà il Papa? È già in atto, nella Chiesa, tutto quanto si può esporre su questo punto. Dapprima un grande saluto di onore a queste vetuste e grandi Chiese Orientali. Il senso di considerazione intende essere davvero espresso con la grande sincerità e la fraterna e semplice larghezza di spirito con cui recentemente, nel mese scorso, un Presule della Chiesa Cattolica, Mons. Charrière, Vescovo di Eosanna, Ginevra e Friburgo, veniva dal Segretariato per l’Unione dei Cristiani inviato a Mosca per beneaugurare al Patriarca Alessio in occasione di fausto giubileo del suo episcopato. Quel gesto rivela appunto gli intenti, nella Gerarchia Cattolica, di rendere omaggio a memorie antichissime; di confermare come non esista alcun preconcetto di emulazione o di prestigio e tanto meno d’orgoglio o d’ambizione; nessun desiderio di perpetuare dissonanze e dissidenze, che, se in taluni momenti del passato sembrarono accentuarsi, oggi appaiono del tutto anacronistiche.

Questi propositi lo stesso Santo Padre è lieto di esprimere dinanzi a un’assemblea tanto fervorosa; e con essa tramuta i suoi auspici in fervida orazione al Signore perché prepari felici realtà e moltiplichi le sue benedizioni.

Inoltre il Sommo Pontefice vuole anche far suo il voto che, con improvvisa e spontanea generosità, sgorgò dal cuore dei suoi Predecessori, specialmente di Giovanni XXIII; e cioè l’intensissimo anelito, per cui la sua voce amerebbe essere possente come la tromba d’un Angelo che dice: venite, e facciamo cadere le barriere che ci separano; spieghiamo i punti di dottrina che non sono comuni, e che sono ancora oggetto di controversie; procuriamo di rendere univoco e solidale il nostro Credo, articolata e compaginata la nostra unione gerarchica. Noi non vogliamo né assorbire, né mortificare tutta questa grande fioritura di Chiese Orientali, ma sì, desideriamo che essa sia reinnestata sull’albero unico dell’unica Chiesa di Cristo.

Tale l’invocazione: e ancora una volta il grido diventa preghiera. Chiediamo instanter al Signore a voler concedere che se non la nostra età - sarebbe troppo bello e felice - almeno le età prossimamente successive vedano ricomposta l’unità di quanti sono autenticamente cristiani e soprattutto l’unità con queste venerabilissime Chiese Orientali.


OVUNQUE LA VOCE DEL CRISTO

La prece è animata da accesa, incrollabile speranza. Sull’altare di Dio è deposta la supplice richiesta di vedere al più presto attuata questa fraternità benedetta, la completa unità cattolica, sì che possa fiorire, sotto i nostri occhi, nel nostro travagliatissimo panorama storico, l’evidenza del miracolo di essere tutti, finalmente, un solo ovile con un solo Pastore.

Che cosa manca per il raggiungimento della splendente mèta? Forse non esiste ovunque, tra i cattolici, una notizia sufficiente, una conoscenza piena della grande tradizione e del patrimonio religioso degli Orientali. E manca forse a questi la cognizione dei nostri sentimenti e della legittimità, con cui si svolse la nostra tradizione, e delle verità che devono essere professate da tutti coloro che credono in Cristo. Comunque possiamo desumere risposta all’interrogativo dal tratto del Vangelo che viene letto oggi, undicesima domenica dopo la Pentecoste, nella liturgia latina e romana. V’è riportata una parola singolare, una di quelle pochissime che il sacro testo ci ha tramandate nel suono originario con cui il Divino Maestro le pronunciò. La parola è questa: Ephphetha, e cioè: apriti! Il Signore volle dare possibilità di intendere e di parlare ad un infelice che era sordo e muto, rappresentante - secondo alti interpreti delle sacre Scritture - dell’intera umanità. Siamo tutti un po’ sordi e muti. Che il Signore apra il nostro intendere e sciolga il nostro eloquio! Ci renda capaci di ascoltare le voci della storia, degli spiriti eletti; ci faccia sempre accogliere in pienezza la voce sua; l’echeggiante Vangelo, che sempre deve essere la nostra legge, la nostra forza, poiché è parola di Dio. E voglia Egli concederci la solida virtù e l’insigne grazia di ben sentire questa parola per quindi poterla ripetere e diffondere sì da acclamare «una voce dicentes»: Santo, Santo, Santo! Onore e gloria all’Eterno Padre, al Divin Figlio, allo Spirito Santo! Proprio questa grazia anticiperà in terra il nostro Paradiso, segnando nella storia umana, soprattutto nella storia della Chiesa, una sorprendente primavera di vita nuova, e di speranza di salvezza e di pace nel mondo.






B. Paolo VI Omelie