B. Paolo VI Omelie 25863

Domenica, 25 agosto 1963: SANTA MESSA AD ALBANO

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Al Signor Cardinale, ai Prelati, al Clero e ai fedeli presenti, a tutto il popolo di Albano il saluto, il ringraziamento e la benedizione del Santo Padre. Egli è grato per le accoglienze ricevute e per quanto la loro presenza e devozione dice e promette al Pastore, attestando fedeltà alla Chiesa e a Nostro Signore Gesù Cristo.


PRESENZA E MISSIONE DI CRISTO

Un primo pensiero, in merito al riuscito incontro, porta ad applicare all’adunanza le parole con cui si apre il tratto del Vangelo di questa decima seconda domenica dopo Pentecoste. Ne è stata or ora fatta lettura: è il racconto del Buon Samaritano. Anzitutto, però, il Santo Padre intende soffermarsi sulle prime parole del brano, là dove il Signore, rivolgendosi agli ascoltatori, svela una felicità nuova: Beati i vostri occhi, che vedono ciò che voi vedete! Oh quanti e quanti altri, che vi hanno preceduto nei secoli, hanno desiderato di vedere questo giorno e questa scena, ma non hanno potuto. Voi lo potete.

Ora tutti noi siamo in grado di assistere all’episodio evangelico, ricevendo la gioia di poter scorgere, nei segni esteriori, nella storia, nella vita dei popoli a cui viene annunciato il Vangelo, la presenza di Cristo, la missione che Egli è venuto a compiere, la realizzazione Messianica, il tempo di Dio.

Il Signore teneva a svegliare l’attenzione dei suoi ascoltatori. Perché mai? Perché sembrava che non tutti riuscissero a vedere e comprendere. Lo stesso Divino Maestro spiega, inoltre, come la visione delle cose divine riflesse nelle cose umane, può essere, per alcuni, motivo di intensa letizia, e proprio nell’avvertire la presenza del Signore; per altri, invece, essa rimane opaca, non dice nulla, lascia gli occhi in penosa cecità e le anime in desolazione per la mancanza del rapporto divino.

Questa mattina - aggiunge immediatamente Sua Santità - tutti possono contemplare su di noi la verità di quella dichiarazione di Gesù nel Vangelo (la Chiesa Cattolica è il proseguimento, la proiezione nel tempo e nello spazio, del Vangelo di Cristo, che passa attraverso l’umanità e attraverso il mondo), e di tale realtà si avverte la irradiazione consolante, animatrice.


GLORIOSA STORIA DI ALBANO

Anche gli occhi del Papa sono, questa mattina, beati per quel che gli si mostra e che Egli vede, sentendo profonda commozione, giacché gli pare di trovarsi come di fronte a visione imponente e misteriosa.

Vede davanti a Sé, anzitutto, una storia.

Albano! Quanti anni ha di vita? Lo ignoriamo; però sappiamo che la sua origine risale alla preistoria. E se vogliamo considerare il corso di questo succedersi di fatti, che è la storia, e vedere dove porta il sentiero in cui si svolge la vita di Albano, rileveremo che esso corre verso Roma, quali che siano stati poi i rapporti concreti fra le due città.

Albano ha una Chiesa cattedrale: questa. Essa è tra le primissime sorte alla luce del sole, dopo che Costantino diede pace e cittadinanza al Cristianesimo. Non è vero forse che tale Basilica va annoverata tra le più antiche? È sorella dell’Arcibasilica Lateranense e pur essa, in origine, era dedicata a S. Giovanni Battista. Dal secolo IX S. Pancrazio fa compagnia al Precursore: si aggiunge, così, la tradizione di un Santo romano, conservata con somma religiosità in Albano.

Se poi si volessero percorrere le varie età vedremmo ancora altre glorie e saldi vincoli congiungere Albano a Roma.

Roma possiede in Albano una delle sue Diocesi Suburbicarie, le comunità, cioè, che rifulgono come ghirlanda intorno alla Sede del Principe degli Apostoli. Due vescovi di Albano sono saliti sulla Cattedra di Pietro: Adriano IV (del secolo XII) e Leone XI (inizio del secolo XVII). Inoltre, tra le glorie di questa diocesi, a tutti è noto S. Bonaventura, uno dei Dottori più grandi della Chiesa, che fu vescovo di Albano.

Ed ecco che la visione della ricchezza storica, della dignità nel tempo, della tradizione amplissima, che i cittadini di Albano rappresentano, suscita nel Santo Padre fervida ammirazione per la loro Sede; e gli dà anche argomento di notare come Dio è passato nella loro vita e nella loro storia, e certamente con un disegno di misericordia, di bontà, di vocazione cristiana.



POPOLO CRISTIANO E CATTOLICO

Dopo l’accenno alla Sede vescovile, ecco il popolo. Si tratta di un popolo cristiano. Perché esso oggi si stringe con tanta devozione intorno al Papa, che non è più il sovrano temporale? Ecco quindi che i vincoli intercorrenti tra quelle anime e il Papa sono religiosi, spirituali; sono quelli stabiliti da Cristo. I cari fedeli di Albano vogliono vedere, nel Visitatore odierno, il loro Padre nella religione e nella fede. E ciò Lo rende felice. Che cosa infatti il Papa può desiderare di meglio, che di vedere il popolo vicino alla sua dimora, comprenderlo, seguirlo; e non per qualche beneficio temporale che Egli non è più in grado di dispensare, ma perché il popolo crede nella Missione del Sommo Pontefice, ascolta la Sua parola; perché ama Nostro Signore Gesù Cristo e intende accogliere, dal suo Rappresentante in terra, il governo spirituale, per cui tutti sono chiamati e guidati alla salvezza eterna?

Un popolo cristiano! Un popolo cattolico! Molti eventi si sono succeduti. Forse un tempo - giorni lontani ormai - questo vincolo spirituale era meno evidente e meno coltivato di oggi, quando può celebrarsi una festa, intesa a riassumere secoli di fedeltà e a prometterne altri. Forse, nel passato, vi fu in qualcuno perfino un sentimento di avversione o diffidenza verso quel che il Papa rappresenta in mezzo ad una popolazione. Sembra ora - e così sia! - che ogni pregiudizio sia ormai superato e travolto, come attesta la manifestazione filiale dal Papa accolta - Sua Santità tiene a ripeterlo - con immensa gioia e gratitudine.


ALTE BENEMERENZE DEL CARDINALE PIZZARDO

Vedo inoltre - prosegue familiarmente il Santo Padre - vicino a me, un Vescovo, il vostro Vescovo, il Cardinale Giuseppe Pizzarda. Basterebbe questo titolo di «vostro Vescovo» perché Io mi ponessi al suo fianco con ogni venerazione, con intenso affetto, augurio e premurosa benedizione. Voi sapete - altrimenti credo essere mio dovere oggi ricordarlo - che Io, per titoli specialissimi, devo questo omaggio al Cardinale Pizzardo.

È stato lui, personalmente, a deviare il cammino della mia vita, rivolto verso la mia diocesi di origine; è stato lui a dirmi: Resti qui, resti a Roma; contribuendo così a mutare il destino dei miei poveri anni terreni e influendo sull’attuarsi dell’incontro che stiamo adesso celebrando. Prendo questa occasione per rinnovare a Sua Eminenza il Cardinale Pizzarda gli atti della mia più profonda stima, sempre sentitissima; della mia gratitudine per gli esempi che mi sono venuti dalla sua alacrità, ed esperienza, dal suo interessamento. Oggi a tali sentimenti un altro se ne aggiunge, quello della gioia, immeritata, ma tanto gradita, sapendo di avere nel Vescovo di Albano, vostro Presule, e vanto del Sacro Collegio, un collaboratore di chiara esperienza, di generoso zelo, di tanta ricchezza morale e spirituale. Non altro mi resta allora, e proprio per esternare la letizia del cuore, che rendere grazie al Signore e chiedergli di voler impreziosire e ricolmare delle sue benedizioni la longeva professione di servizio alla Chiesa che il Cardinale Pizzarda ha dato nei sessant’anni del suo sacerdozio.

Mi unisco a voi nel celebrare fin d’ora la fausta data giubilare (19 settembre prossimo) e plaudo a voi che avete indovinato ciò che al Cardinale può essere più caro: il pensare, cioè, alla continuazione della vita nella Chiesa, aiutando e sostenendo nuove vocazioni sante, una primavera di sacerdoti ardenti, e la loro adeguata formazione. Il Cardinale Pizzarda infatti, così premuroso nel curare il completo tirocinio ecclesiastico dei giovani da Dio prescelti, quale Prefetto della Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi, viene ad offrire, in tale campo, un dono magnifico alla sua diocesi.

Sorretto da così intenso gaudio spirituale, il Santo Padre passa ora a chiedere agli intervenuti, per quale motivo essi, questa mattina, sono accorsi presso di Lui, con tanta compiacenza e letizia nel cuore. Egli li ha visti, già al suo arrivo, in atteggiamento di vera esultanza; li ha sentiti acclamare. Perché tutto ciò? Forse perché il Papa viene finalmente ad Albano, dopo cento anni dacché non metteva piede in questa cattedrale? Il motivo sarebbe ottimo, per segnare una data storica. Ma il Papa crede di intuire che v’è, nell’animo degli ascoltatori, una vibrazione ancor più intensa, che accresce, in essi ed in Lui, eccezionale felicità.

UNITI SEMPRE ALLA CHIESA

Essi si stringono intorno al Papa perché sentono di appartenere alla Chiesa; sanno di non poter essere estranei al passaggio del Capo visibile della Chiesa; conoscono - e lo ha accennato poc’anzi - i legami che li uniscono al Papa e vogliono mostrarli e gloriarsene. Tutto ciò è stupendo. Un tempo questi legami sembravano essere catene pesanti e moleste; oppure erano allentati e quasi non si avvertivano più. Stamane, invece, si mostrano saldi, splendenti, tali da dare una vivacità e lietissima speranza, vera apertura di anime ad ogni grazia superna.

Sua Santità benedice queste disposizioni, questa gioia, e vorrebbe davvero alitare in ogni cuore per renderla fiammante e perpetua. Che davvero la sua venuta tra i fedeli di Albano ridesti la loro coscienza cristiana e li persuada che, in mezzo ai tempi nuovi da noi vissuti e che possono portare a tante crisi morali e religiose, perché mutano i nostri costumi, la nostra mentalità, sviluppano tante esperienze ed impegnano in tante maniere diverse le nostre occupazioni; in una parola, di fronte a così vasta trasformazione sociale, essa non minacci e tanto meno spenga l’afflato cristiano, ma susciti, invece, libera espansione per nuova, magnifica testimonianza a Cristo.

I GIOVANI E I NUOVI TEMPI

Il Santo Padre ritiene che, pur incombendo sulla generazione presente la minaccia di perdere la fede e il senso religioso, essa è, per altro verso, chiamata dalla Provvidenza a dimostrare, in forma nuova, più completa, più cosciente e intelligente, più meritoria e gaudiosa, la nostra fede in Cristo Signore, la nostra fedeltà alla Chiesa Cattolica, la nostra capacità di dare testimonianza, anche nelle opere esteriori, di ciò che è e può il Cristianesimo, salute del mondo.

E allora sicuramente, dal ricordo dell’odierno incontro sorge la promessa di offrire alla vita cristiana novella fioritura. Il Santo Padre esorta tutti, ma particolarmente i giovani, a consolidare adesione nuova, entusiastica alla vita cristiana; ad ascoltare le voci dei tempi. Se in esse si avverte il gemito di chi è giacente lungo la strada, in attesa del Buon Samaritano; se cioè, dalle miserie che contristano il mondo, nasce nei fedeli il desiderio di servire Cristo nella sua carità, tutti, anziani e giovani, siano generosi nel dare la propria risposta, nell’offrire ogni energia della vita. Tutti infatti dobbiamo sentirci invitati a riconfermare a Dio la nostra corrispondenza più assidua, la prece più fervorosa, una esistenza cristiana più concretamente documentata dai costumi, e dalla pratica di ogni virtù.

Su queste esortazioni e su questi voti augurali discendono, accompagnate da speciali preghiere, le benedizioni più effuse del Padre delle anime.


Domenica, 1° settembre 1963: SANTA MESSA A FRASCATI

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Il primo saluto del Santo Padre è per il Signor Cardinale Cicognani, Vescovo del titolo della Chiesa Suburbicaria di Frascati, Suo degnissimo e veneratissimo Segretario di Stato. Quindi al Presule e ai sacerdoti del clero di Frascati; al Signor Sindaco, e a tutte le autorità civili presenti; ai fedeli che vede tanto numerosi e ferventi attorno al Papa venuto fra loro. Tutti siano salutati e benedetti.

GLORIE ANTICHE E NUOVE DI FRASCATI

Ognuno sa quali sono i motivi della visita. Precipuo è quello di rendere onore ad un Santo, che Frascati può ascrivere fra i suoi cittadini onorari: San Vincenzo Pallotti. In questi giorni quei diletti figli circondano di profonda venerazione, e cercano di rievocare la memoria della vita, degli esempi, dell’opera di lui; soprattutto col porre in risalto la sua santità, e, inoltre, riaffermando i propositi di imitare i suoi esempi, di lavorare a che la grande lezione da San Vincenzo Pallotti offerta al mondo odierno, anche qui, anzi specialmente qui, dove egli celebrò la prima Messa e dove scrisse e consegnò al futuro le regole della sua Istituzione, abbia, quale eredità, una nuova e bella fioritura di egregie iniziative. Questo è lo scopo del pio pellegrinaggio di Paolo VI, Che si associa, con tanta compiacenza e venerazione, al solenne atto di culto e partecipa anche agli intenti dei Suoi figli con profonda letizia e col desiderio di avvalorarli della Sua esortazione e della Sua benedizione.

Né, d’altronde, può esservi distrazione; sembra, anzi, che faccia parte proprio dell’avvenimento il rilievo, fatto dal Papa, entrando a Frascati, del fascino di questa Città. Non si può venire a Frascati indifferenti o senza l’avvertenza, si direbbe, di una sinfonia di voci che chi sa ascoltare deve qui intendere ed apprezzare. Incominciano i forestieri a rendere celeberrima questa città. In quante parti del mondo si sente riprodotto questo nome, appunto perché ha una sua notorietà, un suo incanto particolare. I visitatori provenienti da altre nazioni dichiarano, infatti: diamo anche noi il nome di Frascati a un ambiente che qualche cosa rievoca della bellezza di quella città. Così si trova Frascati a Varsavia, in America, in Irlanda e altrove. Segno di un vero potere di impressione che altre città non hanno. Chi ha buon orecchio per intendere, ascolta qui echi lontani, lontanissimi, tanti e tanti da alimentare sia il mondo romantico che le memorie classiche. Inoltre chi ha l’udito storico più affinato, sentirà, con aperto interesse, le voci del Tuscolo e quelle delle vicende medioevali, così drammatiche, talvolta oscure e spesso molto importanti. Sentirà poi nitida la voce dell’età moderna, dei secoli succeduti al Rinascimento, quelli che hanno dato a Frascati il volto che ancora conserva, con le chiese, le ville e le insigni memorie dei suoi personaggi. Non è senza significato il fatto che, dopo Roma, nessuna città ha dato tanti Papi alla Chiesa quanti ne ha dato Frascati. Ciò attesta una vitalità spirituale, politica, sociale, una cultura di altissima risonanza ed estensione, tali da concorrere alle vicende di interi secoli.

UNA PROVA TERRIFICANTE

Tuttavia non per questo il Papa oggi si è recato a Frascati. Prima però di diffondersi sulla ragione essenziale, Egli è lieto di ricordare come gradita Gli sia l’armonia di tutte queste voci; anche perché, a un certo punto, si arriva a memorie recenti, e il concento si trasforma, purtroppo, in fragore di guerra. Sua Santità ha tuttora davanti agli occhi la scena delle immense fiamme che salivano da questo suolo a seguito di terribile bombardamento, che Egli poté osservare dalla terrazza del suo appartamento nella Città del Vaticano. Ricorda le angosciate esclamazioni con le persone vicine: guarda, guarda Frascati che va a fuoco! Guarda come è polverizzata a causa della spietata rovina che le piomba dal cielo. E ricorda poi quanto seguì: il deserto a Frascati, l’abbandono; la fuga degli atterriti superstiti; ed episodi, che fanno veramente onore al Vescovo Ausiliare qui allora residente, alla cui eroica condotta dobbiamo rendere omaggio: Mons. Biagio Budelacci. Con poche persone egli vagava tra le rovine per assistere e curare i feriti; cercare e trasportare i cadaveri. Lavoro difficilissimo, perché oltremodo esiguo il numero degli abitanti rimasti. Povera Frascati! Sembrava la fine. Questa immagine di guerra deve pur rimanere non per rendere triste la memoria e il pensiero dedicati alla città, ma per rievocare anche le sue gravi ore tragiche che devono rendere più saggi, migliori e ancor più fedeli i suoi abitanti.

COSPICUE FIORITURE PASTORALI

Oggi la città è tutta un fiore. Le sue ville si sono ricomposte, e si annoverano tra le più splendide del mondo. Le sue istituzioni rendono il suolo di Frascati altamente ricco di vita spirituale, che fa scorrere verso Roma, e da Roma riceve, correnti spirituali magnifiche: case religiose, collegi, istituzioni varie, che hanno sempre reso Frascati una città fedele alla Roma cattolica. Al Signor Cardinale Cicognani il Santo Padre esprime compiacimento perché la risorta e restaurata città riceve, ora, tanto impulso dal cuore generoso del Porporato, assistito dallo zelante operaio del Vangelo, il nuovo Vescovo Monsignor Liverzani. Il Papa è lieto di vedere che la città non è solo rinata materialmente nella imponenza edilizia, ma attinge con ampiezza alle sue tradizioni culturali, spirituali e cattoliche. Ne è segno, e quasi presagio, la presenza del Santo, al cui pensiero, alla cui venerazione l’animo si volge per sigillare, in questo nostro atto di culto, il proposito che l’opera sua continuerà, feconda quale limpida sorgente di nuova vita religiosa e cristiana. È infatti nelle intenzioni di Sua Eminenza e del Vescovo di fondare qui una stazione della Società dell’Apostolato Cattolico, che deve a San Vincenzo Pallotti la sua origine. Il che vuol dire non soltanto onorare il Paliotti nelle sue veneratissime Spoglie, ma avere il Pallotti vivo nel suo spirito e con le energie che egli ha saputo suscitare nella Chiesa di Dio.

È ormai acquisita, - e Sua Santità vuol rendere onore anch’Egli alla conclusione della biografia tanto interessante e così edificante del Santo - la certezza che San Vincenzo Pallotti è stato un precursore. Ha anticipato, quasi di un secolo, la scoperta - è far torto, forse, alla tradizione cristiana dire questa parola, ma bisogna essere realisti e usarla - la scoperta che anche nel mondo dei laici, sino ad allora passivo, dormiente, timido e inabile ad esprimersi, c’è una grande capacità di bene. Il Santo, percotendo quasi questa coscienza del laicato, ha fatto scaturire energie nuove; gli ha dato la nozione delle sue possibilità appunto di bene, ha arricchito la comunità cristiana di una quantità di vocazioni non solo all’accettazione passiva e tranquilla della fede, ma alla professione attiva e militante di essa.


L'OPERA PRECORRITRICE DEL PALLOTTI

È stato, per usare una parola del grande Pontefice Pio XI, il «precursore dell’Azione Cattolica», e cioè di quella forma di vita cristiana che associa il laico volontario all’opera di evangelizzazione, edificazione, santificazione, affidata quale mandato specifico da esercitare, alla Gerarchia ecclesiastica. Ha costruito così quel ponte fra il Clero e il laicato, che è una delle vie più percorse dalla spiritualità moderna, e che danno maggiore speranza alla Chiesa di Dio. Realtà, questa, atta a dimostrare la perenne, la sempre primaverile, l’eterna vivacità della Chiesa. Tuttavia essa non è così compresa, così sviluppata, così onorata dallo stesso laicato cattolico, da non richiedere di essere incoraggiata ancor oggi e di essere ancora oggi sviluppata. Da Vincenzo Pallotti ci viene, adunque, una lezione estremamente attuale: quella cioè di onorare la vocazione, come oggi si usa dire, dell’età adulta del laicato.

Sarebbe interessante esaminare come Vincenzo Pallotti abbia avuto innanzitutto ciò che posseggono i Santi: una avvertenza, che diventa in loro dolorosa e quasi drammatica, in un primo tempo; la percezione del male, dei bisogni, delle mancanze, della diffusa infedeltà alla misericordia ed alla grazia di Dio. Molti cristiani continuano ad essere dei passivi, dei dimentichi, per non dire persino disertori, alcune volte, della grande chiamata, che Iddio, col cristianesimo, ha largito al mondo. Egli ha chiamato tutti ad essere figli, ad essere dei seguaci di Cristo, ad essere dei professanti la sua fede e degli esercitanti la sua carità. Questa umanità, che ha raccolto la grande vocazione cristiana, non poche volte, purtroppo, si dimentica, cade nel torpore, o ritorna alle sue abitudini temporali e s’infossa negli interessi immediati della vita esteriore. Questi li ritiene prevalenti, positivi, capaci di saziare i desideri umani, e superiori al grande invito emanante dal Cielo con la Rivelazione evangelica. In tal modo la società cristiana diventa spesso inerte e insensibile; chi invece diventa quasi il manometro rivelatore di queste onde divine calate sul mondo, sono le anime grandi, sono i Santi. Uno di questi Santi, il Pallotti, ha percepito, innanzitutto, il vuoto, il vacuo morale e spirituale del suo tempo. Siamo nel periodo successivo alla rivoluzione francese con tutti i disastri e le idee disordinate e caotiche e nello stesso tempo frementi e ancora fiduciose, che quella rivoluzione aveva posto negli uomini del secolo antecedente. C’era grande bisogno di mettere ordine e, si direbbe, di staticizzarlo, di renderlo saldo come deve essere. Nel contempo si notava il fermento di qualche cosa di nuovo; c’erano delle idee vive, delle coincidenze fra i grandi principi della rivoluzione, che null’altro aveva fatto se non appropriarsi di alcuni concetti cristiani: fratellanza, libertà, uguaglianza, progresso, desiderio di sollevare le classi umili. Adunque, tutto questo era cristiano, ma ora aveva assunto un’insegna anticristiana, laica, irreligiosa; tendente a snaturare quel tratto del patrimonio evangelico, inteso a valorizzare la vita umana in un senso più alto e più nobile.

Ed ecco allora il Santo avvertire, da un lato, il vuoto, cioè il bisogno in ciò che tutt’intorno si manifesta e, dall’altro, ascoltare questa voce discesa dal Cielo con l’appello limpidissimo: Guarda, è necessario ricomporre una società cristiana; bisogna risvegliarla; guarda che siamo responsabili! Parola tremenda, dinamica, inquietante, energetica; e chi la capisce non può più restare insonne e indifferente; sente che siffatta parola cambia non poco del programma, forse meschino e forse borghese, della propria esistenza. Siamo responsabili del nostro tempo, della vita dei nostri fratelli; e siamo responsabili di fronte alla nostra coscienza cristiana. Siamo responsabili di fronte a Cristo, dinanzi alla Chiesa e alla storia; al cospetto di Dio. Parola, dunque, atta a rimettere un dinamismo particolare nelle anime di chi la comprende.


IMPRESCINDIBILE RESPONSABILITÀ

Questa parola è familiare ai Santi. Essi, anzi, l’accettano e la pongono nel giusto valore poiché, talvolta, i termini responsabilità, miseria, risveglio, potrebbero ingenerare, in molti, un senso di scetticismo e di pessimismo e, quasi, di disperazione, alla quale tanto spesso anche i moderni si rassegnano. Non udiamo forse spesso il tedioso lamento: Ma che volete farci; il mondo è sempre stato così; non è possibile; la cognizione vera della natura umana dice che è impastata di debolezza, di miserie; perché insistere nel lottare, nel battersi a vuoto a voler essere gli idealizzatori di grandi conquiste, quando la povera argilla umana non è capace di reggersi in piedi?!


PODEROSA ANTIVEGGENZA DEI SANTI

I Santi no; i Santi si ribellano a questa visione pessimistica, alle conclusioni che autorizzano tutte le pigrizie e tutte le rinunce. Il Santo vede: ed ecco la scoperta. Vede che è possibile; che c’è qualche cosa di nascosto e può essere tirato fuori da questa psicologia dell’uomo caduto, dell’uomo fragile, dell’uomo abituato alla propria debolezza. Vede che l’uomo è redimibile; è ricomponibile in forma e statura nuova. Vede che, validamente diretto e preparato, può esprimere il santo, l’eroe, il grande, l’uomo vero, colto, buono; l’uomo della società nuova e moderna come noi la idealizziamo. È il pioniere. Il pioniere di Cristo solitamente si dirige a quelli che hanno l’investitura normale di suscitare santità e forze morali nel mondo e cioè al clero; fa a noi Sacerdoti carico dei malanni che stanno circondando l’umano consorzio, il mondo e la Chiesa. Il Santo - e questo è il lato geniale della sua visione spirituale e sociale - sa che il laico stesso può diventare elemento attivo. È uno degli argomenti più ripetuti e più sviluppati da quando l’Azione Cattolica, cioè il vitalismo spirituale comunicato anche ai laici nei nostri giorni, è diventata un insegnamento ordinario nella nostra storia religiosa. Eppure esso non è ancora abbastanza predicato, né soprattutto abbastanza compreso. I laici devono salire a questa coscienza. Essa non è data, è bene saperlo, soltanto dalla necessità di allungare le braccia del Sacerdote che non arriva a tutti gli ambienti e non riesce a sostenere tutte le fatiche. È data da un qualche cosa di più profondo e di più essenziale, dal fatto, cioè, che anche il laico è cristiano. Dall’interno della sua coscienza squilla una voce: Se sono cristiano, devo professare questa mia fortuna e questa mia vocazione. Se sono cristiano non devo essere un elemento negativo, passivo e neutro e forse avversario dell’onda di spirito che il cristianesimo pone nelle anime. Devo essere anch’io immenso e direi quasi trascinato nella circolazione della grazia; e diventare anch’io, laico, capace non foss’altro di aderire, di aiutare, di far eco. Ora, una meraviglia del nostro tempo è questa: mentre nelle età precedenti la Gerarchia aveva avocato a sé, completamente, sia la responsabilità, sia l’esercizio di ogni ministero santificante, evangelizzante, e il laico restava buon fedele, buon ascoltatore; oggi il laico si è risvegliato con la cultura moderna ad una sua vocazione. Ripete, quindi, con entusiasmo: Anche io, anch’io devo fare qualche cosa. Non posso soltanto essere uno strumento passivo e insensibile.

Altro evento mirabile: la Gerarchia stessa chiama, oggi, il laico a collaborare con lei. Non è più esclusiva; non è gelosa - in realtà non lo è mai stata - ma stupendo è il suo appello. Venite con me - essa dice -; cerchiamo di coordinarci; vediamo di suscitare armonie di ideali e di programmi, per distribuire, poi, le attività da compiere. È la Gerarchia stessa a volere il laicato al suo fianco perché l’aiuti. Tutti chiama, a tutti ricorda: È l’ora, dei laici; è l’ora delle anime, le quali hanno compreso che l’essere cristiani costituisce fortuna perché può associare appunto a questo ministero di salvezza, ma può anche costituire un grande peso, rischio, dovere. Si tratta, infatti, di portare, col clero, la Croce del Signore in mezzo alla società e di predicare il Cristo, che sempre ha intorno a sé il dramma della contraddizione: chi lo accetta, chi lo impugna, chi lo vuol crocifiggere; si tratta di portare questo dramma nel nostro mondo moderno.



L'APPELLO ODIERNO DELLA GERARCHIA

Questa, dunque, la vocazione che dobbiamo raccogliere dalla presenza, dall’esempio, dal culto che tributiamo a Vincenzo Pallotti. La voce sua invita tutti i buoni laici ad associarsi a questo superiore attivismo della Chiesa. La Chiesa l’ha reso possibile perfino ai fanciulli, ai bambini. Non parliamo delle donne, degli uomini di studio, degli uomini di lavoro, e anche di quelli che non hanno i mezzi della cultura e della parola. A tutti ha reso possibile offrire un contributo positivo di azione e di testimonianza cristiana.

Perciò il Santo Padre, recandosi tra i fedeli di Frascati nella città tanto sensibile, anche in passato, alla chiamata della Chiesa, e che, nella sua storia recente, documenta questa sua fedeltà; militante, è lieto di ripetere l’invito: Anche voi, fedeli, anche voi, laici, venite ad aiutare l’opera della Chiesa. Venite a confortare questo clero, divenuto scarso e insufficiente per il suo vasto ministero. Venite a consolare questi alunni del Seminario che intendono votarsi all’apostolato cristiano. Venite con la vostra intelligenza dei bisogni sociali che ci circondano, e con la genialità nello scoprire le vie nuove in cui si può far correre il Messaggio di Cristo. Venite soprattutto con questa coscienza che il Papa oggi addita quale esortazione conclusiva della Sua presenza. È ora di operare, bisogna operare oggi, oggi, perché questa è la legge della coscienza cristiana. Quando si è sentito un dovere, non si dice: farò domani. Bisogna agire subito.


AGIRE SUBITO: OGGI STESSO

In secondo luogo questo imperativo del fare oggi e subito è dato dai bisogni, che sono veramente grandi appunto per chi li sa vedere. Non si dice a uno che ha fame: vieni domani o posdomani. Il sostegno cristiano va dato immediatamente a tutti questi movimenti che ci circondano, che potrebbero essere fatali per la vita della nostra storia, del Paese, ed hanno un bisogno immenso di chi diventi per essi apostolo, li disilluda dagli errori che li hanno mossi e tuttora li incantano; un apostolo che sappia dire alle anime buone e generose del nostro popolo: non questa via, ma la via di Cristo. La via, cioè, della nostra civiltà cristiana, della nostra professione cattolica; della ricomposizione di una famiglia che la Chiesa traduce in società cattolica attiva.

Dobbiamo noi ricomporre questo ordine vivo e palpitante. Bisogna operare oggi perché domani potrebbe essere tardi. I tempi sono gravi, e senza che se ne proclami la solennità, possono rivelarsi come decisivi. Guardiamo di non essere trovati pigri, lenti, riottosi figli del Vangelo e della Chiesa. Cerchino tutti di essere i fedeli che portano alla Chiesa l’efficiente concorso di adesione, di parola, di aiuto, e soprattutto di azione. Questa è, invero, la formula che la Chiesa vuole oggi adottare e che il Signore, nel suo Spirito, vuol suggerire per la salvezza del mondo: agire perché Cristo sia ancora e sempre il nostro Maestro e il nostro Salvatore.



Domenica, 8 settembre 1963: SANTA MESSA A GENZANO

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Il primo saluto del Santo Padre, nella gradita visita al popolo di Genzano, è per il Signor Cardinale Pizzardo, Vescovo Suburbicario, il quale ha voluto, anche questa volta, essere presente, vicino al Sommo Pontefice. Con la gratitudine, esprime pure l’assicurazione d’uno speciale ricordo durante la Santa Messa, affinché il Signore remuneri la comune volontà di procurare ogni vero bene alle anime.

UNA VISITA CHE SA DI RITORNO

Quindi Sua Santità ringrazia il Vescovo Suffraganeo, Monsignor Macario, e saluta il Parroco, gli altri sacerdoti ed ecclesiastici che gli stanno accanto, le comunità religiose che fioriscono in gran numero nella zona; le autorità civili che vede dinanzi a Sé; l’intera popolazione di Genzano e le rappresentanze degli altri Comuni limitrofi, accorse a condividere la letizia della cara città.

A tutti la benedizione del Padre e, anche, una Sua parola dettata dalla sollecitudine paterna per il vantaggio spirituale di quanti appartengono al Corpo mistico di Cristo.

La visita, che oggi il Sommo Pontefice compie, sa di ritorno. Diranno gli ascoltatori: certo Egli è stato qui talvolta ad ammirare la infiorata e adesso rivede Genzano in altra data e circostanza. Tutto esatto: per chi è stato nella incantevole cittadina, è ovvia la conoscenza delle straordinarie manifestazioni che ivi si attuano nella ricorrenza del Corpus Domini, allorché il Santissimo Sacramento passa trionfalmente sul grande tappeto di fiori lungo la via Livia: il che sta a significare non solo un omaggio esteriore, decorativo, spettacolare, ma quello dei cuori e della salda fedeltà.

Tuttavia non unicamente a così lieti ricordi si sofferma il pensiero del Santo Padre. Va molto più lontano e ancora più in alto. Egli sente d’essere giunto in mezzo al carissimo popolo come Successore di San Pietro e quindi - la sua voce trema nel dirlo, ma il Signore lo aiuterà - come Rappresentante, Vicario di Gesù Cristo sulla terra.

E perché vuole Egli insistere sulla espressione ritorno? Ma perché, prima di Lui, cento e più anni or sono, i Papi passavano per Genzano. E se l’avvenimento si riproduce ora, dopo oltre un secolo, esso può benissimo ricollegarsi agli incontri antichi, che però avevano caratteristiche differenti da quello odierno.



VINCOLI INSCINDIBILI DELLA UNIVERSALE PATERNITÀ

Difatto, sostando in questa come in altre contrade della regione, il Papa di quei tempi avrà sicuramente pensato alle immancabili esigenze d’ordine materiale, che non potevano non richiamare, e giustamente, l’interessamento del Sovrano temporale: scuole, tribunali, comunicazioni, incolumità e protezione dei cittadini da ogni pericolo ecc. Anche allora il mondo procedeva tra novità e progressi. Bisognava quindi provvedere nei vari settori: economico, finanziario, tecnico, materiale.

Oggi, invece, il Papa giunge libero dall’assillo di questo genere di cure. Non che Egli sia insensibile di fronte alle aspettative d’ordine sociale che i giorni nostri indicano e reclamano. Se ne rende benissimo conto e in maniera completa: ma sente di non essere più il responsabile nel campo strettamente amministrativo, di non avere quel genere di preoccupazioni. Di qui la domanda: viene Egli, allora, come un forestiero? come tanti altri, cioè, personaggi o turisti, che qui si soffermano ad ammirare luoghi e panorami, a ricercare memorie: estranei, quindi, alle varie contingenze e senza alcun interesse per le persone che si incontrano? No affatto. Il Papa viene perché tuttora è indissolubilmente legato a queste popolazioni; ed i vincoli sono inscindibili. Egli può ancora dire, lo proclama anzi, pur se non ha responsabilità di ordine temporale: Questi luoghi mi appartengono, questo popolo è mio. Tutti quei diletti figli sono uniti a Lui da vincoli spirituali, che si manifestano con tanto maggiore evidenza appunto perché gli altri legami, di ordine terreno, sono scomparsi.

Voi - spiega con intenso affetto il Santo Padre - siete figli della Chiesa Cattolica; figli di questa terra, dove la Chiesa Cattolica ha il suo centro e la sua irradiazione. Voi siete intimamente, profondamente legati alla Santa Chiesa Cattolica, e perciò la mia presenza fra di voi sa di ritorno. Vengo, mi trovo fra voi, quale Pastore, Maestro, Guida spirituale. Potete dunque intuire quali pensieri sorgano nel mio animo da questa presenza, e come io cerchi di aprire gli occhi dell’anima e leggere nei vostri cuori, di rendermi conto del tenore di vita religiosa da voi osservato . . .



TITOLO DI ONORE E DI GLORIA: «POPOLO FEDELE»

A formulare così promettenti deduzioni hanno concorso le entusiastiche accoglienze riservate al Papa, e la esultanza dimostrata lungo l’intero tragitto da Lui compiuto per giungere al tempio. Ed ora l’ampia e stupenda chiesa è gremita di popolo. Non è gente curiosa, lieta di assistere ad un avvenimento singolare, ma - e il titolo deve essere conservato sempre con gelosia e fierezza - è un popolo fedele, che tuttora si commuove quando vede il suo Capo spirituale, il Rappresentante di Nostro Signore Gesù Cristo; e non resta indifferente dinanzi al complesso dei pensieri, sentimenti, ricordi, e, senz’altro, dei problemi suscitati da quella presenza e dalla realtà che essa offre e sottolinea.

Diffuso potrebbe essere, al riguardo, il discorso. Ma il Santo Padre lo abbrevia, riducendolo a una semplice domanda: Figli e fedeli di Genzano, che cosa pensate della vostra Religione; come la giudicate? Immagino che tutti diranno: è la mia Religione, non avverto alcun problema.

Eppure, ad approfondire il senso della domanda, si potrebbe aggiungere: È veramente vostra? o non sentite che la richiesta, - in apparenza quasi ardita e indiscreta, perché vuole entrare nel profondo dello spirito - suscita una quantità di questioni e proprio inerenti alla vita e alla espressione religiosa?

La Religione. Forse ci sono quelli che dicono: sì, è una bella cosa, ma di altri tempi. È una eredità che conserviamo come si custodisce un vecchio quadro tramandatoci dai padri, ma che per noi non possiede il valore che quelli vi annettevano.

Altri vi sono, e forse più pensosi, moderni, indagatori, i quali dicono : ma a che serve questo sentimento chiamato Religione? Non sarebbe meglio esserne affrancati ed esenti e procedere sul cammino della nostra vita reale, positiva, cioè economica, tecnica, industriale, politica, sociale ecc., senza l’imbarazzo di queste indefinibili preoccupazioni spirituali e religiose? In altri termini, vi è chi ritiene che la Religione non serve più a nulla e forse costituisce una remora ad avanzare, una catena al piede dell’uomo, ansioso di correre sempre più sulle vie del progresso.

Altri infine - e in tal numero il Santo Padre spera siano quanti lo ascoltano -, alla domanda rispondono con prontezza e gioia : comprendo, e sono convinto. Tengo viva nel cuore la fede. La fede è, per me, respiro dell’anima, luce per giudicare il mondo in cui sono, astro sicuro per orientarmi nel cammino della esistenza.


NOSTRA LUCE È LA FEDE

Ebbene il Papa è venuto per confermare in tutti questa persuasione e certezza, Una semplice parola può sostituire ampio discorso. Proviene dalla autorità del Vangelo e non ammette perplessità di sorta. Col Vangelo, il Papa ripete: La nostra fede è verità: reale, completa, unica, Non si può prescindere da essa. Escludere la fede, la religione, è come volersi privare della luce del sole, dell’aria per il respiro, del pane di cui si ha bisogno. La nostra fede - insiste con ardente zelo il Pastore Supremo - è il principio di una nuova vita. Diciamola la parola, che io vorrei stampare nella vostra anima, soprattutto in quella dei giovani, dove questa problematica spirituale può essere più fervorosa ed anche più pericolosa: la nostra fede, carissimi, è necessaria, è necessaria. Senza la fede in Cristo, la nostra vita non ha la sua vera interpretazione, il suo giusto epilogo. Avulsa dalla fede, sembrerebbe avere, a prima vista, più spedita mobilità, un dinamismo forse più agile e irresponsabile: sarebbe, invece, una corsa verso abissi di mistero, verso - il Signore non voglia - destini molto gravi, irreparabili.

La nostra fede è la nostra certezza, è la nostra base; è la nostra luce, il nostro conforto, la nostra speranza; sarà, domani, la nostra felicità.

Forse può darsi - aggiunge Sua Santità - che in taluno queste sue parole sollevino qualche diffidenza o dubbio. Orbene Egli desidera che ognuno le accolga con la stessa semplicità, lealtà e sincerità con cui Egli le espone e le comunica. agli ascoltatori. Vogliano tutti ricordare: ecco, è venuto il Papa, e che cosa ci ha detto? Ci ha esortati ad essere fedeli, a conservare la nostra Religione in un grado di certezza, di operosità interiore, di capacità a tradursi in meritorie imprese; di esprimerla con la preghiera; di attitudine a rieducare i nostri cuori con sentimenti umani e cristiani, a purificare i nostri sentimenti da ogni ombra od inquinamento che il mondo può introdurre nello spirito degli uomini.


AL PRIMO POSTO SEMPRE IL REGNO DI DIO

Il Papa ci ha detto di essere fermi, forti, fedeli. E, se qualcuno fosse contristato da esitazioni o smarrimenti, proprio a questo ripensi. Ricordi la visita del Padre in una bella e cara Parrocchia, attorniato da ingente moltitudine di popolo; riveda le sue braccia protese verso tutti, il suo cuore aperto. È venuto il Papa e ci ha invitati ad essere cristiani, a mantenerci cattolici, ad essere leali e coerenti con le nostre antiche e bellissime tradizioni religiose, morali e spirituali. Ha voluto lasciarci una parola, che sempre rammenteremo, anche se adesso non può essere completamente spiegata o, qua e là, appare incomprensibile: la nostra fede è la vita; è la bellezza, la forza, la luce; è la libertà, il progresso; è tutto quello che l’uomo può desiderare.

E se quanto si legge nel brano del Vangelo odierno, in questa XIV domenica dopo la Pentecoste, potesse indurre a supporre: ma se io scelgo Cristo, se mi attengo alla fede, perdo la terra, trascuro i miei interessi economici, annullo la mia libertà, non ho più la signoria del mondo che il Regno dei Cieli sembra contendere, allora, a tranquillizzare e rasserenare sta la divina parola del Signore. Si tratta di mettere la fede, i valori religiosi e spirituali al primo posto, come quando io accendo una lampada, perché ogni cosa sia illuminata.

Nulla dunque sarà perduto di ciò che è veramente onesto, buono e vitale, poiché la parola del Signore suona così: «Cercate dunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia: e avrete in soprappiù tutte queste cose» (
Mt 6,33). Il che vuol dire: quando noi riconosciamo alla nostra vita religiosa il suo primato e diamo veramente il posto che merita al culto di Dio, all’amore di Cristo, alla fedeltà alla Chiesa, non perderemo ciò di cui ha necessità la nostra vita terrena. Sarà, anzi, molto più facile e bello e godibile anche il possesso dei beni, che il Signore dispensa alla nostra vita temporale, se saremo solleciti, come prima preoccupazione, e come superiore proposito, di curare gli interessi del Regno di Dio, che sono gli interessi della nostra anima e della nostra salvezza. E così sia!










B. Paolo VI Omelie 25863