B. Paolo VI Omelie 24113

Domenica, 24 novembre 1963: INCONTRO CON LA FAMIGLIA DELLA VENERABILE FABBRICA DEL DUOMO

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All'intera adunanza di figli dilettissimi si volge, anzitutto, il fervido ringraziamento del Padre delle anime; ed Egli tiene subito a nominare l’Arcivescovo S. E. Monsignor Colombo, Monsignor Schiavini, S. E. il Presidente della Venerabile Fabbrica del Duomo, con quanti lo circondano e lo coadiuvano.

PATERNA EFFUSA GRATITUDINE

Il grazie di Sua Santità è poi diretto ai componenti la Cappella Musicale del Duomo, con tutti i bravi e cari ragazzi, venuti a far ascoltare le loro melodie nientemeno che nella Cappella Sistina; come pure è ripetuto per tutta la famiglia della Fabbrica, a quanti nel Duomo furono a Lui vicini - sino allo scorso giugno - per la celebrazione dei sacri riti; nonché ai venerati sacerdoti Milanesi residenti in Roma e che, oggi, con il Papa condividono il gaudio del riuscitissimo incontro. Esso era desiderato: ora, nel suo avverarsi, è intensamente gradito al punto da far sorgere l’illusione che nulla sia accaduto di nuovo in questi mesi; che cioè l’Arcivescovo di ieri sia tuttora in mezzo a coloro che sono figli suoi a un titolo speciale. La realtà è ben diversa: tuttavia non impedisce che, come i fedeli di Milano sono costanti nel loro affetto, così del pari lo è il Santo Padre, stando Egli spiritualmente sempre con loro, lieto che a reggere le sorti della Arcidiocesi e del Duomo ci sia chi degnamente Gli è succeduto.

Sua Santità ringrazia anche del bellissimo dono offertogli: la pregevole statua, opera d’uno dei fratelli Mantegazza, scultori eminenti del secolo xv, raffigurante l’Arcangelo S. Raffaele. È stata già disposta in una delle sale dell’appartamento pontificio, ove affluiscono i visitatori. In tal modo i pellegrini, che giungono nella casa del Padre, potranno rallegrarsi di rivedere l’immagine di chi li ha accompagnati nel viaggio, - secondo l’augurio già del venerando Tobia: Sit Deus in itinere Vestro et Angelus eius comitetur vobiscum; - e in seguito vorrà continuare la sua protezione. Bellissimo, dunque, e piissimo richiamo per i pellegrini che si dirigono al Papa, e cioè ad una mèta tanto auspicata e, nell’attesa d’ogni cuore, oltremodo ricca di soprannaturali speranze e benedizioni.

CELESTIALE REALTÀ DELL'IMPONENTE CASA DI DIO

Infine il ringraziamento paterno viene espresso per ciò che l’odierna cospicua accolta rappresenta: il Duomo della Diocesi; il Duomo di Milano!

Incomparabile è il grandioso edificio per tutti gli aspetti che rappresenta. Anzitutto per la meditazione che esso promuove ed alimenta in Chi, per vari anni, ha trascorso tante ore in così imponente casa di Dio. Il Santo Padre sente di poter indulgere a confidenze personali, e dichiarare come questa visione costituiva sempre, per Lui, un invito alla preghiera e ora una fonte di commossi ricordi. Dal primo giorno in cui vi giunse quale Pastore della estesa arcidiocesi, varcando la soglia del Duomo si sentì unito da impegno di ineffabile rapporto spirituale non solo con il monumento, pur così illustre, ma, precipuamente, con quanto esso indica e ravvisa: la grande famiglia di anime; l’intera veneranda comunità dei Santi Ambrogio e Carlo. Da ciò deriva che il sentimento paterno va ancor oltre lo stesso ricordo e si sofferma dinanzi alla sublime realtà che il Duomo vuol significare nei secoli.

Esso manifesta la fede di un popolo; il suo atto religioso più completo, impegnativo, splendente, totale. Vedere espressa questa vivida luce in un monumento di tanta grandezza e bellezza, di tanta complessità (non è mai finito, lo afferma il detto popolare); oggetto quindi di innumerevoli sollecitudini, giacché nel volerlo di continuo abbellire e conservare degnamente, si rende sempre più solenne il suo inno al Cielo, ecco un argomento di perenne meditazione. Questa non potrà essere mai interrotta.

Il Duomo, infatti, è connesso alla Chiesa: e Colui che è oggi al vertice, al centro della Chiesa cattolica e romana, riceve uno stimolo santo ad elevarsi ognor più di fronte ai disegni del Signore, a ripetere la propria riconoscenza, ad assicurare che, guardando col ricordo, la fantasia, l’immagine, il caro e stupendo Duomo di Milano, Egli non è affatto distolto da quanto ora deve unicamente pensare ed amare: l’intera santa Chiesa di Dio.


INNO DI GLORIA DELL'ARTE CRISTIANA

Né il Papa tiene soltanto per Sé un motivo di così alta e corroborante riflessione. Egli desidera che anche i figli suoi lo abbiano e ne traggano profitto. Siffatto invito potrebbe apparire superfluo, tanto è condiviso da tutti: ma le cose grandi non sono mai superflue, le cose misteriose non sono mai abbastanza meditate, le cose belle non stancano mai; e perciò il Padre sa che l’esortazione sarà oltremodo gradita.

Pensate il vostro Duomo, - Egli esclama - amate il vostro Duomo! Voi qui presenti già ve ne occupate: chi nel campo amministrativo, chi dall’aspetto artistico, tecnico; chi per il decoro disciplinare e canonico. Ebbene tutto ciò non è sufficiente. Occorre interessarsi al Duomo con il titolo più alto, quello religioso, spirituale; bisogna considerarlo come una sorgente - e sarà inesausta - di pensieri santi, a cominciare dalla considerazione che sembra la più invitante e la più attuale: quella concernente l’arte, l’arte cristiana.

Essa prende delle pietre e le trasforma in parole vive; raccoglie la materia e la cangia in inno trionfale: vi imprime una lirica, un canto, un fulgore incomparabili. Tale procedimento dell’arte cristiana di saper esprimere le cose invisibili con mezzi ordinari, di saper trarre eccelsa lode da elementi immobili e muti, di giungere a raffigurare il poema della Comunione dei Santi, come appunto, avviene nel Duomo di Milano, è cosa stupenda. È quindi grande onore e deve essere in ognuno ansia continua il percorrere un così avvincente itinerario, l’intraprendere una ascesa, che la stessa elevazione gotica dell’architettura sembra voler indicare mediante la sorprendente levitazione della grave materia, divenuta quasi eterea e volante per salire ben oltre le colonne, le cuspidi, i fastigi.

Il cristianesimo promuove e dona questo fermento; è l’Incarnazione del Figlio di Dio che permane, nei secoli, ad istruirci così. Sotto i raggi di questo sole infinito, le cose visibili ci parlano delle invisibili: le cose materiali diventano sacramentali; il mondo presente è vero preludio della età futura di beatitudine.

Ed ecco che non soltanto questo ineffabile procedimento dell’arte così nobilitata ci colpisce; sentiamo vibrare un’altra sinfonia ancora dall’amato e incomparabile monumento.

Chi l’ha costruito, chi l’ha reso sempre più mirabile? È forse un’opera anonima? No, affatto.


MANIFESTAZIONE VIVA DELLA FEDE D'UN POPOLO

È il popolo che l’ha ideato; è questa comunità, questa società, la città di Milano, a decidere d’essere presente, in una maniera geniale, alla imperitura celebrazione dei Misteri della fede. Anzi è proprio la fede di un popolo a manifestarsi nel suo Duomo, in esso sintetizzando la vita, le aspirazioni, l’essenza della sua storia. Come è bello questo rapporto appunto fra una società e ciò che diviene e permane segno, simbolo impareggiabile, il maggior suo vanto la gloria!

Milano è inscindibile dalla sua Cattedrale. Il suo Duomo definisce, qualifica la città, ne perenna le imprese più nobili. Pertanto, a cominciare dai sacerdoti, incessante deve essere lo studio dei rapporti fra il tempio e la comunità. Le navate e le volte devono sempre echeggiare le preghiere ed i canti: il maestoso edificio deve segnare, in ogni momento, il fervore della vita cristiana.

Il Santo Padre ama ricordare quanto ebbe a dire, - all’indomani del Suo ingresso in Milano come Arcivescovo, visitando appunto il Museo del Duomo, - ad alcuni illustri personaggi dell’arte e della cultura che lo accompagnavano ed a lui ponevano in risalto l’insieme dei celebrati capolavori della Fabbrica. È bene - disse allora - sottolineare e promuovere la celebrazione artistica del monumento; ma occorre assurgere più in alto. Voi ora mi presentate questa lampada, il Duomo, in quanto vuol essere ed è uno strumento di culto. Orbene io ringrazio Iddio che sicuramente mi darà la virtù di accendere e sostenere la fiamma di questa lampada. Non dunque mai una lampada spenta, non un monumento, sia pure insigne, non un freddo museo, non una sterile espressione d’arte, una memoria estetica, storica, tradizionale; ma sì un canto, una voce: la vostra voce, cantori del Duomo di Milano; la vostra, sacerdoti che officiate questa mirabile Cattedrale. Tutte le cose che ivi si riferiscono alla preghiera, alla presenza di Dio, al colloquio permanente, ineffabile con Lui, per celebrare i Misteri della Incarnazione e della Redenzione del Salvatore nostro, e propagano la verità cristiana sotto la guida di chi è rivestito dei poteri di dispensare i doni superni, il Vescovo, il suo clero con il popolo credente ed orante, costituiscono la salda ricchezza, l’espressione inestimabile di tutta la comunità ecclesiale.


«AMATE IL VOSTRO DUOMO: AMATE LA CHIESA»

Sorge, adunque, una conseguenza quanto mai benefica, salutare, perfetta. La meditazione sul Duomo diventa programma di illuminata operosità. Bisogna viverlo, il Duomo; e cioè occorre rimanere cristiani esemplari, religiosi, pii; capaci non di varcare la soglia con la superficiale curiosità dello sguardo distratto, pur rimanendo ammirati dell’impressionante numero e leggiadria di statue e colonne, ma entrare come cittadini vivi nella reggia a cui tutti sono ammessi, sentendo che il preclaro monumento è a disposizione vostra, a ognuno di voi appartiene.

In tal modo la preghiera diverrà eletta, confortatrice, efficiente, e alimenterà le migliori virtù.

Questo deve dire a tutti il Duomo di Milano. In altri termini - così il Santo Padre conclude la preziosa esortazione - amate, o carissimi, il vostro Duomo; e amate la Chiesa. Se questi due amori coincidono e restano palpitanti ed operanti ogniqualvolta vi occupate del vostro Duomo e lo frequentate, io penso che Milano sarà veramente quella che vuole essere: sempre cristiana, sempre cattolica; buona, laboriosa, capace di diffondere, non solo intorno alla sua area diocesana, ma pur nell’intera Lombardia, nell’Italia, nel mondo, il santo Nome di Cristo e la luce della fulgente stella, che domina, celeste Regina, il centro religioso della metropoli sua: la Madonnina del Duomo di Milano.



Domenica, 8 dicembre 1963: SOLENNITÀ DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

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Ai Santi Dodici Apostoli

Il Santo Padre inizia la paterna Esortazione col chiedersi: quali i motivi della Sua presenza nella storica e monumentale Basilica? Può subito rispondere che una delle ragioni è quella di salutare affettuosamente l’Em.mo Cardinale Tappouni, Patriarca di Antiochia dei Siri, titolare della Basilica, che è legata all’Oriente con tanti vincoli a cominciare dalla memoria del Cardinale Bessarione - le cui spoglie riposano in questo tempio - Padre insigne al Concilio Ecumenici di Firenze nel secolo XV.

L’Augusto Pontefice è lieto inoltre di incontrare e salutare il Cardinale Pro Vicario di Roma, il Cardinale Arciprete della Basilica Vaticana e, con essi, tutti gli altri ecclesiastici. Uno speciale affettuoso pensiero Egli rivolge alla Famiglia Religiosa dei Frati Minori Conventuali, che officiano la Basilica, a cominciare dal Ministro Generale, a quanti gli fanno corona o hanno qui dappresso dimora, pregando e svolgendo apostolato nello spirito di S. Francesco.

Infine la benedizione augurale del Vicario di Gesù Cristo è diretta all’intero popolo romano, di cui una folta rappresentanza Egli prevedeva oggi in questa chiesa, tanto gloriosamente innestata nella topografia, nella storia, nel cuore dell’Urbe.

Ma, soprattutto, il precipuo motivo della visita - che ogni altro avvalora ed innalza - è quello di presentare omaggio alla Vergine SS.ma al termine della tradizionale fervorosa novena, la quale richiama eccezionale numero di partecipanti in preparazione alla bellissima festa di domani: l’Immacolata Concezione.

È stato infatti preciso intento di Sua Santità rendere questo, benché semplice e familiare, pubblico atto di culto alla Madre di Dio, all’indomani della seconda Sessione del Concilio, durante la quale molto si è parlato della Madonna, con desiderio generale ardente di poter esprimere quello che tutti i Padri hanno nel cuore: un grande atto filiale, cioè, un singolare, sentitissimo omaggio alla celeste Regina. Ora, quasi in acconto di quanto avverrà - e si spera nella prossima Sessione - il Papa vuole, insieme con quanti Lo circondano, riaffermare illimitata devozione e fervida speranza a Maria. Tanto più - e tutti sicuramente abbiamo nel cuore questi pensieri - che la festa sì cara ed alta della Immacolata Concezione ci presenta Maria SS.ma in una luce, una prerogativa che non finiremmo mai di meditare e contemplare. Si rimane abbagliati dall’aspetto con cui la santa Liturgia, vale a dire la dottrina, la fede nostra, ci presenta il mistero della Immacolata Concezione: una soprannaturale, sublime bellezza che ci rende avidi di raggiungere meta così eccelsa.

La natura umana si è mai espressa in una forma completamente perfetta?

Da Adamo in poi l’umanità non ha più avuto questa fortuna, salvo che in Nostro Signore Gesù Cristo e nella Madre sua Santissima. È questa nostra Sorella, questa eletta Figlia della stirpe di David, a rivelare il disegno originario di Dio sul genere umano, quando ci creò a sua immagine e somiglianza. Il ritratto, dunque, di Dio. Poterlo ammirare in Maria, finalmente ricostituito, finalmente riprodotto nella genuina e nativa bellezza e perfezione: ecco una realtà che ci incanta e rapisce, placando, si direbbe, l’accesa e inappagata nostalgia di bellezza che gli uomini portano nel cuore. Essi infatti ritengono, con moltiplicati sforzi - la vita moderna è tesa verso questo scopo - di poter raggiungere l’ideale allorché della bellezza dànno qualche forma, qualche espressione, senza però mai riuscire a portarla alle sue profonde, vere caratteristiche, che sono quelle non della forma, ma dell’essere.

Maria è perfetta nel suo essere; è immacolata nella sua intima natura, dal primo istante della sua vita. Noi staremmo perciò ad ammirare di continuo un tale prodigioso riflesso della bellezza divina, fino a sentirci, ovviamente, pur tanto dissimili, arcanamente consolati.

Dissimili, perché Maria è l’unica, la privilegiata, e nessuno potrà mai non solo eguagliarla, ma neppure avvicinarla. Consolati, nondimeno, perché Maria è la Madre nostra; perché Ella ci ripresenta ciò che abbiamo tutti in fondo al cuore: l’immagine autentica dell’umanità, l’immagine dell’umanità innocente, santa. Ce ne svela i principii, poiché Maria è in assoluto rapporto con Dio mediante la Grazia; perché il suo essere è tutto armonia, candore, semplicità; è tutto trasparenza, gentilezza, perfezione; è tutto bellezza.

Che cosa diremo, allora, alla Madonna, in questo sguardo che diamo, rapiti e consolati, al mistero di innocenza e di santità? Diremo intanto ciò che abbiamo poco fa proferito: Tota pulchra est, Maria . . .!

Finalmente l’immagine della bellezza si leva sopra l’umanità senza mentire, senza turbare. Le creature tutte la rimirano ed esclamano: Sei veramente, sei realmente la bellezza: Tota pulchra es!

In secondo luogo, dopo aver considerato questo ineffabile dono di Dio in Maria, ci convinceremo che esso non è un sogno fallace, non è un tentativo vòlto ad aumentare ancora in noi acuta nostalgia e doloroso rammarico. Ci rianima, invece; e proclama che la perfezione è possibile; che a noi pure è accordato di ricostituire, - se non certo nella medesima completezza e uguale splendore, ma con le stesse energie, che sono quelle della Grazia, dei divini carismi, dello Spirito Santo - quel pensiero che Iddio ha avuto sopra di noi creandoci, per cui anche noi possiamo ,diventare buoni, virtuosi, santi, se viviamo il mistero della Grazia, il grande mistero di Maria.

Ognuno voglia - conclude con paterno cuore l’Augusto Pontefice - prefiggersi un tale programma di vita, quasi purificando nel proprio essere ciò che di torbido e di manchevole la vita - immersa nell’esperienza del mondo - ha prodotto attraverso le contaminazioni del secolo, e divenire, così, degni tutti di essere veramente quali per vocazione desideriamo: figli devoti e fedeli della Madonna Santissima.

Alla Basilica Liberiana

Nel rivolgere amabile saluto ai Cardinali, ai Prelati e ai numerosi fedeli che Lo ascoltano, il Santo Padre esprime viva letizia perché, nel solenne momento, è a tutti possibile offrire pieno, sincero, il sentimento personale di devozione alla Santissima Vergine. È felicemente abituale, continuo, il nostro omaggio alla Madonna: in quest’ora esso si illumina appieno e la sua luce pervade le nostre anime, presentandoci Maria con la sua prerogativa più bella, ideale, sublime: Immacolata sin dal primo istante, nella perfetta rispondenza della sua vita umana al pensiero divino che l’ha così voluta e creata.

Dobbiamo consentire alle nostre anime di inebriarsi in questa visione, sì che il nostro affetto acquisti una tenerezza ed un entusiasmo, tali da rinvigorire sempre ,più la nostra preghiera, la nostra devozione Mariana.

Se poi - come è ovvio - aspiriamo a cogliere qualche particolare di questa mirabile visione della Madonna, penseremo che il Signore l’ha resa così eletta in virtù del Cristo Signor nostro. Oggi la Chiesa inizia la sua prece con le parole: «Deus, qui per Immaculatam Virginis Conceptionem dignum Filio tuo habitaculum praeparasti . . .». L’Immacolata Concezione non è che una essenziale premessa alla Maternità Divina: vale a dire il presupposto adeguato alla venuta del Cristo sulla terra. In tal modo il Figlio di Dio si riservò, nella immensa palude che è la povera umanità, una zolla innocente, un’aiuola fiorita, fragrante su cui posarsi: la Madonna SS.ma.

Tutto ciò ricorda che la nostra devozione a Maria deve condurci a Cristo; e se davvero amiamo la Madonna, dobbiamo trovare, nel culto che a Lei tributiamo, un più intenso desiderio del Signore, un più alacre zelo nella fede e nella rispondenza a Lui.

La Madonna ci conduce a Cristo. Ad Jesum per Mariam.

Non dobbiamo quindi, dinanzi a tanta Madre, limitarci a un semplice atto di contemplazione, rimanendo meravigliati e sorpresi della sua eccezionale bellezza, quasi che ciò non costituisse alcuna relazione con noi. C’è, invece: e vasta, meravigliosa!

La Madonna assurge sopra di noi, in questo fulgore di luce, innocenza, virtù, bellezza, in così ineffabile congiungimento con la vita divina, per esserci modello, essendo proposta alla nostra imitazione. Se noi ci limitassimo ad innalzare voci di giubilo e preghiere a Maria, senza volere che la nostra vita ne venisse migliorata e modificata, la nostra devozione non sarebbe completa. È, invece, una devozione che deve agire nella maniera di vivere, di pensare: deve rendere puri, buoni: deve trasfondere innocenza, e consolidare la certezza che la virtù è possibile. Finché gli uomini non avevano la Madonna, avrebbero potuto essere disperati, poiché giammai essi, da soli, sarebbero riusciti a raggiungere la virtù, a seguire il bene. La Madonna, invece, gratia piena, cioè ricca della misericordia, ricolma della azione di Dio sopra di noi, ci dimostra come anche per noi c’è speranza, anche per noi c’è possibilità, e, se vogliamo, possiamo. Il grave pessimismo che attrista la coscienza del mondo, appunto perché ha sminuito la fede e ha perduto la visione tonificante e confortante della Madonna, non deve allignare in noi. Dobbiamo sempre credere alla possibilità di essere buoni, di migliorare, di diventare immuni, anche camminando in questo mondo così inquinato dal vizio e dalla corruzione, da colpe e cadute. È possibile essere puri, virtuosi, fedeli; è possibile, in una parola, imitare la Madonna.

In tale profondo, assoluto convincimento, la devozione a Maria, mentre ci unisce a Cristo, fa sì che la Madonna resti, materna, accanto a noi. Ecco una certezza ineffabilmente ristoratrice. Essa dimostra che l’atto di venerare Maria SS.ma non è una esaltazione estranea alla nostra vita, sia di fede sia di costume, ma ci rende davvero migliori, più vicini al Redentore, a Lui più fedeli.

E così sia - conclude il Santo Padre. - E così sia, figli carissimi, per la vostra schietta gioia, per la vostra completa consolazione, per la vostra incrollabile fiducia, per la materna benedizione con cui Maria Santissima Immacolata vi accompagnerà sicuramente nella vita.



III Domenica d'Avvento, 15 dicembre 1963: INCONTRO CON L'UNIONE DEI GIURISTI CATTOLICI

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L'incontro presso l’altare del Signore ha un suo preciso significato, oltre ad indicare pure una vera e propria Udienza. Il Santo Padre non può associarsi ai lavori cui attendono, in questi giorni, quei diletti figli: ma sono essi ad unirsi a Lui, alla sua preghiera. Ora il Papa ritiene che il momento religioso trascorso insieme, intrecciando antichi e comuni concetti,. e allineando gli animi con identici sentimenti nella grande cornice di questo luogo quant’altri mai sacro e tremendo, potrà essere giovevole anche ai vari scopi, cominciando da quello spirituale che il Convegno dei Giuristi Cattolici si propone, e al quale naturalmente il Santo Padre porge saluto ed augurio, con ogni miglior voto per il suo felice esito.

Tale voto è diretto non solo alle adunanze romane, ma all’intera attività dei Giuristi, sia all’interno della loro Unione, sia nelle varie mansioni professionali, a cui ognuno è dedicato.



«DIRIGITE VIAM DOMINI»

Raccogliendo perciò i nostri pensieri, - prosegue il Santo Padre - come siamo soliti fare, come anzi dobbiamo, nel momento sacro che stiamo celebrando, incontriamo, in questa terza domenica di Avvento, il grande tema della preparazione. Il predisporsi, cioè a quell’incontro misterioso e sublime, perfetto e fecondo, che è l’incarnazione del Figlio di Dio; il Natale di Gesù. La Chiesa ci prepara ricordando quanto il Vangelo ci narra in prossimità della apparizione pubblica di Cristo, presentandoci il Battista in atto di annunziare il Messia. Prendiamo una parola, una sola tra quelle raccolte da questo misterioso e formidabile personaggio. Che cosa, in realtà, Giovanni diceva e faceva? Voleva predisporre gli spiriti dei suoi contemporanei, prodigandosi come per mettere a fuoco le anime nella imminenza dell’incontro con Cristo, il quale, in procinto di rivelare la sua presenza e la sua missione, stava per impartire all’umanità il suo insegnamento ineffabile e dar vita all’evento grandioso di trovarsi e agire fra gli uomini.

Iddio venuto dal Cielo, incarnato, fatto Uomo dà principio al colloquio. Sono pronti gli uomini? sono preparati? lo amano? hanno maturato le condizioni interiori necessarie per cogliere il suono di quella voce; il senso di quelle parole; l’arcano di quel momento?

L’avviso del Precursore suona appunto così, nel Vangelo di questa mattina; «Dirigite viam Domini»: bisogna che rettifichiate la vita per l’incontro con Dio. Quasi dicesse: badate che Egli può passarvi vicino senza che ve ne accorgiate: e se non disponete bene le vostre anime, e non volgete i vostri passi verso di Lui, l’incontro potrebbe mancare.


IL PIANO GENERALE DI RELIGIOSA ESISTENZA

È sufficiente questa semplice premessa per sentirci invitati a considerare un piano generale della vita religiosa e anche dell’economia evangelica. Si tratta della misericordia, sgorgata dalla infinita generosità del Signore; si tratta della sua Grazia; di un dono suo inestimabile, gratuito, unilaterale. È Dio che si concede a noi, che scende a noi, che scende alla nostra ricerca; vuole salvarci; e pertanto universalizza il suo piano di bontà e di larghezza: «videbit omnis caro salutare Dei».

Ciascuno, in virtù di tale infinito amore, sarà in grado di accogliere questa venuta; tuttavia, anche offerta così, essa ha bisogno che, da parte nostra, vi siano precise doti, insostituibili requisiti, pena, se non ci fossero, il mancato attuarsi dell’incontro. Il fatto religioso - lo abbiamo, nella sua espressione più genuina, completa, urgente davanti alle nostre anime, sui nostri destini, - impone a noi di non cadere nella insensibilità dolorosa: ut videntes non videant, descritta dal Vangelo. Può infatti, capitare la tremenda sventura: taluni che guardano, e non vedono nulla, hanno l’orecchio e non sentono. La Grazia dell’Onnipotente potrebbe dunque passare senza che fosse a me destinata. Come risuona ammonitrice la frase di S. Agostino: «timeo transeuntem Deum»! Io temo che Iddio mi si avvicini senza che io me ne accorga. Che cosa devo fare?

La domanda induce a studiare le analogie esistenti fra la economia del Signore: il campo evangelico, soprannaturale e religioso, e tutti gli altri settori della nostra esperienza. Non esiste alcun fatto, specie di quelli alti, splendenti, difficili, quelli cioè che danno risultati meravigliosi, che non sia preceduto da una serie di esigenze, e di condizioni. Non si può eseguire una buona fotografia senza adottare i molti accorgimenti perché l’effetto voluto sia raggiunto; e nemmeno possiamo aprire gli occhi e vedere, senza che, a quanto asseriscono i fisiologi, dodici o tredici condizioni convergenti si realizzino nell’istante in cui apriamo le palpebre, affinché la luce permetta all’individuo di porsi a contatto con le cose circostanti.


«TIMEO TRANSEUNTEM DEUM»

Del pari avviene nel mondo religioso. È indispensabile tenere gli occhi aperti; l’orecchio teso; l’anima idonea e pronta a cogliere le voci del Signore. Noi vediamo - per usare ancora un’esemplificazione - gli strumenti inventati da non molti anni, registrare le voci dell’etere. Prima passavano senza che alcuno se ne avvedesse; passano tuttora inosservate se mancano quei mezzi. In questo caso la cosa resta per noi come non fosse; la immagine dilegua nello spazio e non si scorge, a meno che uno schermo non sia pronto ad inquadrarla. Così è nel mondo delle anime, nel mondo di Dio. Se l’anima non si pone in condizioni tali da fermare, e ricevere, da essere capace di captare questo flusso della presenza e dell’azione di Dio, potrebbe accaderle d’essere a Lui vicinissima e come da Lui avvolta, senza intuirlo. Si resterebbe come immersi in un cristianesimo vago, che non permetterebbe di sentire vicino il Cristo. «Dominus pope est», dice l’Epistola di oggi: si approssima il Signore; e chi dovrebbe, nella piena esultanza, riceverlo ed acclamarlo, rimane inerte.

E allora? Allora si giunge a questo mirabile capitolo della vita spirituale; e deve essere nostro, cioè di gente che pensa, studia, medita, riflette e domanda a se stesso: quali sono queste predisposizioni e condizioni che pongono l’anima in grado di afferrare il messaggio divino?

Il messaggio divino non si comunica automaticamente, non arriva per vie di espressione sensibile. I miei occhi non servono: tutto il mondo esteriore può sì esprimermi un linguaggio superficiale, ma di per sé, all’interno, resta muto, non echeggia la parola divina.


L’ANIMA IN ASCOLTO DEL MESSAGGIO DIVINO

Che fare, dunque, per conseguire una vera disciplina spirituale, atta a conferire anche a noi le sue ricchezze soprannaturali? Dapprima una domanda: il Signore ci parla nel rumore o nel silenzio? Rispondiamo tutti: nel silenzio. E allora perché non facciamo silenzio qualche volta; perché non ascoltiamo, appena si percepisce, un qualche sussurro della voce di Dio vicino a noi? E ancora: parla Egli all’anima agitata o all’anima quieta?

Sappiamo benissimo che per tale ascolto deve esserci un po’ di calma, di tranquillità; occorre un po’ isolarsi da ogni eccitazione o stimolo incombenti; ed essere noi stessi, noi soli, essere dentro di noi. Ecco l’elemento essenziale: dentro di noi! Perciò il punto di convegno non è fuori, ma all’interno. È d’uopo quindi creare nel proprio spirito una cella di raccoglimento perché l’Ospite divino possa incontrarsi con noi.

La vita religiosa non consiste tanto nell’apparato del rito, pur necessario con la sua alta funzione: essa esige una vera e propria integrità. Io devo offrire a Dio il mio cuore, - per usare la parola più semplice ed espressiva - ivi è il punto di convegno; l’appuntamento sarà dentro di me. La coscienza incalza: sono io capace di concentrarmi nel mio intimo? Quando è che sono con me stesso, - «secum vivebat», si dice di S. Benedetto, l’uomo della vita interiore che ha istruito generazioni e generazioni al colloquio con Dio, vivendo con se stesso -, quando è che pure io vivo con me stesso? Si può forse pretendere che Iddio discenda in un’anima ingombra di sentimenti non buoni; se è macchiata e dimentica della sentenza del Maestro: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio»?

Occorre purità, lindezza, candore, ordine morale perché avvenga l’incontro con Dio. Ciò è essenziale. Anzitutto, dunque, questa rettifica del nostro essere. Passando poi dal negativo al positivo, sempre Dio si concederà a noi, purché di Dio nutriamo vivo desiderio.


«VIENI, O SIGNORE GESÙ!»

Lo desideriamo Dio? Abbiamo sete di Lui? Il cuore nostro invoca: dove sei? come ti riveli? vuoi tu parlarmi, o Signore? Quest’ansia dell’anima in cerca di Dio si definisce preghiera. E noi, preghiamo? Se non preghiamo, può il Signore ascoltare chi non Lo invoca? Talvolta è accaduto, ma come evento singolarissimo. Il Signore fa ciò che vuole. Potrebbe folgorarci come sulla via di Damasco, S. Paolo, che non solo non lo cercava, ma intendeva opporsi ai suoi disegni, ai suoi nuovi fedeli. Tuttavia ciò non può pretendersi nell’economia ordinaria della Grazia. È necessario, invece, che l’anima sia vegliante, desiderante; persista nella fiducia e divenga degna di accogliere, ospite atteso, il misterioso Pellegrino che va in cerca di ognuno di noi. Forse Egli è vicino, già alle soglie della nostra anima: tocca a noi compiere l’atto volenteroso ed esclamare: Vieni, o Signore Gesù! Talvolta l’uomo ha paura che il Signore diventi padrone del suo essere; è geloso della libertà, e si ostina a difenderla davanti a Colui che l’ha data e l’ha elargita proprio perché tutti noi imparassimo a restituirla con un atto di amore a Lui.

A molti, purtroppo, sembra assai difficile questo elemento fondamentale della religione. Esso esige tensione e disciplina non sempre accettate di buon grado: ed è forse questo che giustifica o almeno spiega la indifferenza religiosa intorno a noi. Domina, invece, la pigrizia; l’incapacità a compiere atti spirituali preparatori e si limita a guardare soltanto il mondo; si lascia affievolire la fede, e si attenua la pratica religiosa. Se il mondo fosse veramente umano, se possedesse la reale disposizione di pregare, desiderare, figgere il suo sguardo al Cielo, non resterebbe deluso.

OGNI STATO DI VITA POSSIBILE INCONTRO CON DIO

Iddio, poi, non si lascia mai superare in generosità. Innumerevoli sono le sue vie e non sono esclusive; su ogni sentiero possiamo incontrare il Divino Viandante che muove verso di noi. Il che significa: non è necessario diventare anacoreti, o formulare un programma di vita sequestrata da tutta la comune profanità o dalle occupazioni temporali per incontrarsi con Cristo.

Le vie del Signore sono molte: il Santo Padre vuol dire di più: sono tutte. Qualsiasi stato di vita, purché sia retto e tale persista, può essere un incontro con Dio. «Dirigite viam vestram». Se noi sappiamo inserire in fase religiosa, divina, la nostra esistenza, ogni vita umana, onesta, buona, comune può diventare un sentiero, una traccia che porta verso il Signore. Come da ogni punto della circonferenza si può tracciare un raggio che perviene al centro, così da ogni periferia della vita umana può dipartirsi un percorso atto a portare a Cristo; centro di ogni vita, di ogni risorsa, attività ed umana esperienza.

E come fare per raggiungere una mèta cotanto luminosa? Ecco. Anche qui potremmo approfondire l’essenza propria dei giuristi e professionisti cattolici. Essa potrebbe riassumersi in due punti. Anzitutto dirigere la vita, cercando di elevarla con la preghiera, la rettitudine, con qualche momento specifico esclusivamente consacrato all’incontro con Dio. È quello che si fa coi Sacramenti, e seguendo il Ciclo liturgico della Chiesa. Ma c’è un altro punto che risulta proprio caratteristico dell’intero Movimento dei Laureati Cattolici e dei Giuristi in particolare. Esso proclama: non solo si deve rendere buona, e santificare la professione, ma questa deve venir considerata essa medesima santificante, perfettiva. Non è necessario uscire dal proprio sentiero per diventare buono, degno del Vangelo, degno di Cristo. Basta rimanervi, insistervi; è sufficiente cioè dedicare ai doveri specifici quell’attenzione e fedeltà che rendono l’uomo probo, onesto, giusto, esemplare; colui che chiamiamo comunemente, - ma si deve dar peso a questa parola -, il bravo uomo, il galantuomo.


L’ADESIONE AL VANGELO PIENEZZA DI GAUDIO

E ancora: se si vuole andare avanti ad approfondire che cosa significhi tale probità e bravura, si noterà, che essa ha una base composita. Mentre il cristiano esercita le mansioni di avvocato, di magistrato, di studioso e considera quindi le proprie cose con la attenzione specifica, professionale sempre dovuta, simultaneamente tiene presenti le ragioni di principio, le ragioni di fine in cui questo settore della propria attività viene inquadrandosi, quasi ripetendo a se stesso: donde muove l’opera che io sto compiendo? che cosa è questo famoso diritto, che cosa è la giustizia e a che tende? E cioè: io ho dinanzi a me i punti trascendenti, l’origine e il fine: ora essi divengono immanenti e servono ad illuminare, sostenere, nobilitare anche l’atto professionale, che si rivela, allora, composito di sentimenti, ma ognora semplice nella sua espressione e nel suo esercizio, ricco di soprannaturalità. In tal modo non si tratta più del consueto procedere profano, sovente banale e volgare, ma di eletta operazione compiuta insieme con il misterioso Ospite che ci assiste, con la Grazia di Dio, con lo Spirito Santo.

Si potrebbe obbiettare: ma tutto ciò, è estremamente complicato; qui si arriva a collocare l’anima in una problematica senza fine; tanti sono i pensieri che assillano; scarso è il tempo; e forse non molti hanno naturale attitudine per così alto programma.

Ebbene, o carissimi - tale il prezioso incoraggiamento paterno - badate che la vita cristiana diventa difficile se la si conduce mediocremente; ancor più ardua se male condotta, se reputata un peso, se non brilla la perfezione da conquistare.

Chi, al contrario, si dona, chi diventa buono e pio, e davvero cerca di entrare nello spirito della vocazione cristiana, non solo la trova agevole, ma provvida, fortificante.

È ancora la Messa odierna a ribadirlo: «Gaudete in Domino semper: iterum dico, gaudete». La vita cristiana va goduta in questa pienezza, in questa letizia, quando la nostra adesione è sincera, cordiale, generosamente attuata; quando ognuno di noi si prostra umilmente davanti a Cristo Signore, in atteggiamento di chi aspetta, di chi è consapevole che l’ospite Divino non mancherà, non mancherà.

Signori ed Amici carissimi, questo il Natale - ecco il voto conclusivo di Sua Santità - che appunto auguro a voi come momento di pienezza, momento di felicità.




B. Paolo VI Omelie 24113