B. Paolo VI Omelie 25123

Solennità del Santo Natale, 25 dicembre 1965: «MISSA IN AURORA» PER I FEDELI DELLA BORGATA ROMANA DI PIETRALATA

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Letto il brano del S. Vangelo, l’Augusto Celebrante propone un pensiero di meditazione ai fedeli che Gli fanno corona.

Perché Egli è venuto in mezzo a loro? Senza dubbio per augurare un felice, buon Natale. La cara espressione in questi giorni è sulle labbra di tutti; e indica una realtà così alta ed importante da esigere numerose e adeguate spiegazioni, in merito a varie domande, proprio a cominciare da quella che affiora per prima: che cosa è il Natale?

I diletti ascoltatori sono bravi, intelligenti ed istruiti - merito certo del loro Parroco e di quanti altri hanno cura delle loro anime -; sanno perciò ben rispondere: il Natale è la memoria della Nascita di Nostro Signore Gesù Cristo. E qui basterebbe interrogare i fanciulli presenti per sentirsi descrivere quel che sappiamo dal Vangelo. La notte santa, Betlemme, gli Angeli della grande novella, infine la grotta, ed ivi: Maria, la Madre Immacolata; S. Giuseppe; il Pargolo Divino deposto nel presepe.


GESÙ FIGLIO DI DIO E FRATELLO NOSTRO

È Gesù, il Figlio di Dio, che viene al mondo nella più squallida, povera, desolata dimora. Il Figlio di Dio, il Re del cielo e della terra, il padrone assoluto dell’universo, si fa simile a noi, nostro fratello nella vita terrena, e sceglie le forme più eloquenti per abbassarsi, ponendosi all’infimo livello, all’ultimo posto. Ora, mentre si svolge questo ineffabile atto di benignità e misericordia, i cieli nella notte silenziosa e stellata si aprono e l’empireo risuona dei canti della moltitudine di cori angelici: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli; e pace in terra agli uomini di buona volontà!».

Meditando con un po’ di intelletto su tale prodigio, soprattutto guardandolo con un po’ di fede, si comprende come veramente ci troviamo di fronte all’avvenimento più insigne di tutta la storia. Poteva forse accadere una cosa di questa più grande? Si tratta di Dio fattosi Uomo, del Re dell’universo, del Creatore degli astri, dei mondi, degli spazi e di questa nostra terra con quanto in essa vive e si trova, il quale assume l’umana natura per vivere, soffrire e morire come uno di noi. Chi non possiede la fede potrebbe quasi vacillare nell’ammettere così alto mistero; ma noi, credenti e cristiani, accettiamo ogni verità, ogni particolare, con indicibile commozione.

Inesprimibile congiungimento tra la Divinità e l’umanità! Dio diventa, dunque, nostro fratello, nostro simile; a Lui possiamo rivolgerci con familiarità, avvicinandolo, seguendolo, parlandogli: proprio come fecero i pastori in veglia nei dintorni di Betlemme, appena ricevuto l’annunzio angelico. Andarono subito, premurosi, alla Grotta per salutare il neonato Salvatore del mondo.

A questo punto Sua Santità paternamente spiega: ma, potrete osservare, noi le sappiamo bene queste cose; e perciò potreste chiedere: perché viene proprio il Papa a ricordarcele? non bastava il nostro Parroco?

Intanto - prosegue l’Augusto Pontefice - è gradita l’occasione per salutare con speciali auguri chi presiede alla parrocchia di S. Michele Arcangelo sulla via Tiburtina, di felicitarsi, proprio dinanzi alla sua gente, con lui e con quanti lo coadiuvano.


L’ANNUNCIO ANGELICO RIPETUTO DAL PAPA

L’augurio va poi ai quattro Vescovi presenti. È mai occorsa, a Pietralata, la presenza simultanea, col Papa, di quattro Vescovi? Sono i Monsignori Cunial, Vicegerente di Roma; gli Ausiliari del Cardinale Vicario Monsignori Pecci e Canestri; c’è poi il Prefetto delle Cerimonie Monsignor Dante, adunati, con gli altri prelati e sacerdoti, per solennizzare il Natale tra i fedeli della popolosa borgata.

Per tornare alla domanda sorta spontanea dagli ascoltatori, la risposta è ovvia, ed è formulata, a sua volta, con altro interrogativo. Chi, dopo 1963 anni, rinnova al mondo l’annuncio sublime che Dio si è fatto Uomo? Chi, sulla terra, tiene viva questa memoria, con tutto quanto ne consegue? È la Chiesa. Sono i Sacerdoti. Ora, tra i Sacerdoti, uno ve n’è, il primo, che si chiama il Papa: e non è forse suo ufficio e gaudio il ripetere al mondo che il Signore è nato, è disceso dal Cielo propter nos homines et propter nostram salutem? Nessuna meraviglia, quindi: ogni elemento è superlativamente regolare nella circostanza che il Papa annunci il Natale.

Ci ha pensato lunedì sera, allorché, avvalendosi dei più sviluppati mezzi della tecnica, ha rivolto il Radiomessaggio Natalizio ai popoli, esortando tutti a fissare lo sguardo e il cuore in Gesù, il Cristo, il Messia, ed a vivere secondo i dettami della sua legge di amore e di pace. L’ha ripetuto nella Santa Notte, celebrando la prima delle tre Messe dinanzi ai rappresentanti delle varie Nazioni, il Corpo Diplomatico, invitando le loro persone ed i Governi rappresentati a distinguersi quali assertori e propagatori della pace di Cristo. Il medesimo annuncio è replicato in questa seconda Santa Messa.

E qui incalza altra domanda: ma come mai proprio tra noi, a Pietralata, è venuto il Papa?

Sì proprio tra voi - prosegue con paterna bontà il Sommo Pontefice -. Ha fatto conoscere a Monsignor Cunial, al Cardinale Vicario il desiderio di recarsi dove sono dei cittadini di Roma a cui avrebbe potuto far piacere la presenza del Papa, perché hanno maggior bisogno, sono più sensibili e perché forse colà rare sono le visite di persone singolari e di autorità.


GRADITISSIMA VISITA

Hanno risposto: Potrebbe andare a Pietralata. Ma certo che ci vado - è stata l’immediata decisione -; ed eccomi qui. Sono appunto venuto perché mi hanno detto che a Pietralata non andrebbe forse nessuno di questi che stanno nelle vie del mondo, che sono in vista. Sono a Pietralata perché mi sembra che con voi il Natale sia molto bello e molto vero.

Infatti, per chi il Signore è disceso dal cielo? Intanto - è stato or ora ricordato - Egli è venuto per mettersi al livello della gente povera, di quelli che richiedono conforto e aiuto; è il fratello di chi è più solo e bisognoso. Non è giunto per i privilegiati, ma per preferire quelli che hanno meno fortuna quaggiù. Ed allora ecco che il Successore di Pietro vuol ripetere, finché gli è possibile, il gesto di Gesù, e trascorrere un’ora con tanto diletti figliuoli, per dichiarare ad essi: è Natale, il Signore vi vuole bene, Cristo è venuto per voi, Egli vi è fratello, comprende le vostre cose, le necessità, gli stenti, le vostre -possiamo dirlo? - mancanze, o diciamo, più universalmente ancora: i nostri peccati, poiché siamo tutti peccatori e bisognosi di essere salvati.

Il Signore comprende noi anche sotto questo aspetto, il più umiliante e che vorremmo nascondere: quello delle nostre miserie spirituali, delle nostre debolezze, dei nostri peccati. Il Signore è venuto soprattutto per salvarci da questi pericoli; e perciò il Natale - l’avete sentito enunciare - è la festa della pace, della pace di noi con Dio. Il Natale è buono se siamo in pace con Dio. E per essere in pace con Dio, è d’uopo togliere dalle nostre anime il peccato, cioè quanto ci separa dal Signore, le nostre cattiverie, i non buoni sentimenti, ogni riprovevole azione. E il Signore, se vede in noi un po’ di volenterosità, ci viene incontro e ci dice: coraggio, ti perdono io, sono venuto io ad assumermi il peso di tutte le tue mancanze, di tutti i tuoi debiti, penserò io ad espiare e a chiedere perdono al Padre celeste; io pregherò per te, io soffrirò per te, io ti salverò.


SUBLIME DIGNITÀ DEL CRISTIANO

L’Uomo-Dio che Bambino ci è mostrato a Betlemme, lo vedremo più oltre, verso le solennità Pasquali, confitto in Croce, immolato per noi, a redimerci dai nostri peccati.

Per i meriti infiniti del Salvatore siamo, così, in pace con Dio, e possiamo volgere, a fronte alta, lo sguardo verso il Cielo; possiamo sentirci brava gente, onesti, galantuomini, puri, rigenerati. Siamo cristiani!

«Agnosce, o Christiane, dignitatem tuam: et divinae consors factus naturae, noli in veterem vilitatem degeneri conversatione redire». Risonava stanotte questo alto monito di un Padre della Chiesa, un altro Pontefice Romano, S. Leone I: o cristiano, o cristiano, pensa alla tua dignità, pensa che il Signore ti ha riscattato. In virtù del suo Sacrificio, ogni persona è sacra davanti a Dio, giacché ognuno di noi è figlio di Dio, fratello di Gesù Cristo; ciascuno ha dinanzi a sé un destino immenso, infinito, quello di dover raggiungere la visione eterna del Signore, la pienezza della vita.

Questa la promessa del Natale; ed è Natale buono, ripeto, se lo celebriamo in pace con Dio, come certo ciascuno di voi cercherà di fare, proprio per mettere, nel gran giorno, la coscienza in pace, sì da poter esclamare: è veramente, questo, un bel Natale per me!

E allora che cosa succede? Che la pace con Dio, custodita nel cuore, diventa anche la pace con gli altri. Si è buoni quando la coscienza è limpida, quando si ha - secondo un detto molto espressivo - il cuore in pace. Di questo dono siamo mossi a far partecipi anche gli altri. Se quindi tale beneficio davvero si estendesse e diventasse un fenomeno sociale, familiare, e cioè, anzitutto, la pace nelle case, nella famiglia, nella borgata, nella città, nel Paese; e poi la pace tra le classi sociali, la pace nel mondo intero, gli uomini diventerebbero buoni, fratelli; sarebbero solleciti di scambiarsi aiuti e favori gli uni con gli altri e di sostenersi; diventerebbero solidali amici e colleghi tra loro; la terra muterebbe faccia e non sarebbe più così triste e inumana come tante volte, purtroppo, si presenta.

Ma occorre risalire alla sorgente genuina, unica. È Cristo a portare la vera pace nel mondo. Noi la celebriamo qui, oggi. Io - esclama il Santo Padre - ve l’annuncio: e sono qui ad augurarvi appunto il buon Natale. Vorrei, infatti, che in ciascuno di voi, nelle singole .case e famiglie ci fosse un po’ di questa serenità, di questa gioia cristiana, di questa speranza che non sarà solo spirituale, ma diverrà pure temporale, elevando e nobilitando le necessità materiali, le fatiche, i lavori, le quotidiane faccende, le preoccupazioni.

Un’armonia incomparabile, meravigliosa; di tanta e tale perfezione, da mostrarci come sa rendere profittevoli anche le cose inutili, persino quelle dannose e che ci addolorano. C’è fra voi qualcuno che piange, qualcuno ammalato, in angustie? qualcuno che è povero, che non ha nessuno? Ebbene, il Signore, non con argomenti umani, ma per divina virtù, dice a chi è nelle privazioni, soffre e piange: beato te, perché anche la tua sofferenza, la tua povertà, la tua solitudine, la tua pena nel cuore io renderò preziose. Non sei povero, non sei solo, non sei disperato e in lacrime, giacché quanto è dolore umano, sofferenza e privazione il Signore lo impiega per il bene stesso di chi patisce calamità ed incontra ostacoli.


PERENNITÀ DI GRAZIA IL «BUON NATALE»

Riecheggiando le assicurazioni divine, il Papa vuol dire, perciò, una parola di consolazione: Siate calmi, tranquilli, contenti. Badate: veruna lacrima, se è buona, sarà sparsa invano; non c’è dolore, privazione, indigenza che non abbia domani il suo premio. E forse, voi che siete tra quelli che soffrono di più, e che hanno maggiori bisogni, siete i preferiti, coloro ai quali il Signore darà maggiori grazie e più abbondanti ricompense. Verità misteriose, e non di adesso, che forse vedremo bene non tanto lungo il passaggio terreno, quanto nell’aldilà. Ma sono autentiche, splendenti, reali. Il Signore ce le assicura; e quel Gesù che è venuto a porsi vicino a noi, al fianco nostro, per guidarci in questa vita e ci promette così profonde consolazioni, così ubertosi premi, manterrà la parola e retribuirà quelli che avranno sofferto con bontà di cuore, avranno diffuso il bene, saranno stati generosi con gli altri; che avranno vissuto, in una parola, cristianamente.

Qui è l’essenza dell’intera esortazione paterna. Siate cristiani - così il Papa conclude -; avrete il Natale buono, e buona sarà la vostra esistenza. E adesso, affinché questi santi pensieri e realtà che ci circondano e quasi ci pervadono l’essere divengano davvero operanti nei singoli cuori, io ritorno all’altare, e celebrerò la Messa per voi, appunto perché il Natale quest’anno, a Pietralata, sia profondamente da tutti accolto e sentito nel suo profondo insegnamento; sia il buon Natale che il Papa è venuto ad augurare a figliuoli amati e benedetti.




Solennità del Santo Natale, 25 dicembre 1965: SANTA MESSA NELLA BASILICA VATICANA

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Dopo il Vangelo della terza Messa Natalizia, il Santo Padre ha rivolto alla folta assistenza la Sua animatrice parola.

Un istante, venerati Fratelli e figli carissimi, un istante di riflessione, Egli annuncia. La festa del Natale è talmente ricca di luci, di sentimenti, pensieri, motivi di riflessione e di studio, che non possiamo, in questa terza celebrazione del Divin Sacrificio, non sostare un momento, avidi come siamo di raccogliere i tesori che la Chiesa, la Liturgia, la rievocazione dei Misteri del Signore offrono alle nostre anime.

Di solito il Natale è considerato da noi nel suo aspetto umano. Basta soffermarsi al racconto evangelico per subirne quasi un fascino letterario, tanto è esso bello, incantevole, avvincente. Si può così ricostruire il prodigioso avvenimento con tutta la sua attrattiva umana, la sua poesia, i canti, i quadri semplici e meravigliosi, così veri, così parlanti, che la nostra devozione ne ha fatto il Presepio: la figurazione del Natale costruita nelle nostre case e famiglie, allo scopo appunto di rievocare ciò che avvenne a Betlemme. Si tratta, nondimeno, della scena umana, sensibile del Natale; ma non è la sola.

Dietro di essa ce n’è un’altra, immensamente profonda, misteriosa, ricca, che deve attrarre non i nostri occhi umani, ma i nostri spiriti, le nostre menti. È qui l’aspetto più vero e più dovizioso del Natale, quello che ci è presentato, in maniera speciale, in questa terza Messa, e che potremmo definire la teologia del Natale, con i divini splendori che esso racchiude.


IL FULGENTE MISTERO DELL'INCARNAZIONE

Che cosa c’è dietro la scena esteriore del Presepio? C’è l’Incarnazione, la discesa di Dio sulla terra. Qui è la sublime realtà: basta il semplice annunzio per accendere ed alimentare una nostra meditazione senza fine.

Primo commento vuol essere una parola, semplice e pur essa ricca, così da suscitare nelle anime una fervente contemplazione gioiosa. Che cosa è il Natale? È l’incarnazione, è la venuta di Dio sulla terra. Cioè: noi vediamo Iddio che entra nella scena del mondo. E come e perché? Chiunque abbia una qualche cognizione della realtà che ci circonda, dell’universo, resta sicuramente ammirato della sua grandezza incommensurabile, della arcana sapienza da cui è diretto. Le leggi che si riflettono in questo universo sono così varie, intrecciate, infallibili da offrirci sì un’immagine del Creatore, ma un’immagine che ci lascia pieni di sbigottimento e quasi di timore. Appaiono così inesorabili queste leggi dell’universo, così insensibili, così fatali da lasciarci qualche volta incapaci di saper porre al vertice, su di esse, un Dio personale, un Dio che sente, che parla, che conosce noi, invitati a colloquio proprio con gli ammirevoli ordinamenti che regolano il creato.

Ma c’è un punto, nel complesso della grande realtà, che noi possiamo conoscere: e questo punto risplende oggi in modo preminente: è il Natale. In esso Dio si rivela nella sua infinita carità; rivela se stesso. In quale forma, in quale maniera? forse della potenza, della grandezza, della bellezza? No; il Signore si è rivelato in amore, in bontà. «Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret». Il cuore dell’Onnipotente si apre! Dietro la scena del Presepio c’è l’infinita tenerezza del Creatore che ama. In una parola: c’è la Bontà infinita. Iddio, amandoci, vuole intessere un colloquio con gli uomini, stabilire con noi rapporti di familiarità. Vuole che lo invochiamo come Padre nostro; diventa per noi fratello e vuole essere nostro ospite. È la Santissima Trinità a dare i suoi raggi a coloro che hanno occhi per scorgere e capacità di comprendere, ed ammirare, così, il mistero aperto di Dio.


INFINITA EFFUSIONE DELLA DIVINA BONTÀ

La bontà di Dio! Dio è buono! Questo è il messaggio del Natale; questo il tema di riflessione che il Papa dà ai fedeli. Ricordino essi di continuo la bontà di Dio; e che in Gesù Cristo ciascuno di noi è stato pensato, ciascuno di noi è amato. Cristo è il centro da cui irraggiano le ricchezze della benignità del Signore; e un raggio, se noi lo vogliamo cogliere, si rifrange da Cristo sopra di noi.

Ognuno di noi deve sentire, oggi, quanto è amato da Dio. La bontà di Dio si interessa di ogni creatura umana; e suscita, di rimando, un atto di gioia, letizia, un canto di gratitudine. E perciò inesauribile è l’inno: gloria a Dio per la sua eccelsa bontà, per la sua infinita misericordia!

Ora - questa una prima, ineffabile deduzione - quando noi pensiamo di essere amati, non sentiamo che si modifica tutta la nostra psicologia? Un bambino, se avverte che i suoi genitori lo amano, progredisce nella docilità affettuosa; e quando uno, nel corso della vita, sente, è conscio che uno gli vuol bene, rettifica su questa traccia il cammino della propria esistenza.

Analoga trasformazione si riscontra nell’ambito spirituale. Se avvertiamo di essere amati da Dio, troviamo il giusto orientamento della nostra vita. Come è facile allora che il nostro culto si trasformi in ardente pietà, e la nostra religione attesti operosa carità; abbia bisogno di espandersi; e il dovere sacro non sia più quasi un giogo quotidiano imposto alle nostre anime, ma un respiro, un desiderio di effusioni, l’anelito di giungere al colloquio supremo con Dio, che, attraverso Gesù Cristo, interroga, parla, dichiara di amarci!


L'ECCELSO GAUDIO D'ESSERE AMATI DA DIO

Avviati su così luminoso sentiero, è pure facile migliorare il nostro costume. L’Epistola letta nella prima delle precedenti Messe Natalizie ci indica, derivandolo dalla Incarnazione, il programma del . nostro pellegrinaggio: Sobrie, et iuste, et pie vivaamus, expectantes beatam spem, et adventum gloriae magni Dei et Salvatoris Nostri Iesu Christi.

Ecco come si deve vivere da cristiani, se abbiamo capito di essere amati dal Signore. E inoltre: noi che siamo così poveri, egoisti, e temiamo ci sfugga il tesoro della vita e ci venga dagli altri rapito, quando ci sentiamo amati da Dio, diventiamo generosi, e la prodigalità del poco che abbiamo diventa quasi istintiva. In una parola, siamo capaci di amare gli altri, di fare il bene ed essere dispensatori di carità, poiché abbiamo intuito il segreto di Dio, che è Carità. Sicché avendo ricevuto noi questo suo grande, infinito dono, saremo, a nostra volta, ministri di carità e di bene per gli altri.

Questo il Natale - conclude il Santo Padre -, questa la meditazione che ci proponiamo tutti, nella beatitudine e nella gioia di conoscere la ricchezza della bontà di Dio e di saperci amati da Lui.




OMELIE 1964



Domenica, 26 gennaio 1964: SANTA MESSA NELLA BASILICA VATICANA

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Figli carissimi,

Noi siamo lieti che il primo incontro con le schiere dei Lavoratori Romani avvenga in questa forma confidenziale e religiosa, in questa Basilica, sacra quant’altre mai alla preghiera ed ai grandi pensieri, e in un’occasione - il ricordo del passato Natale -, che semplifica e determina il tema di questo nostro incontro, lasciando ora da parte, di proposito, senza negarle, senza dimenticarle, tante questioni importanti, che riguardano voi, riguardano Noi, riguardano la società e il mondo del lavoro. Occupiamoci ora soltanto di questo incontro.

Siamo lieti, innanzitutto, perché veniamo a conoscere le vostre persone, le vostre famiglie, le vostre associazioni, le vostre attività, e un po’ di riflesso anche il campo delle vostre rispettive professioni, nel quale praticamente si svolge la vostra vita. La conoscenza reclama i saluti. Lasciate che, fin da questo primo momento, Noi vi salutiamo; ciascuno e tutti; per quello che voi siete, giovani ed anziani, romani di origine e romani di immigrazione; apprendisti, operai, maestranze, impiegati, funzionari, dirigenti; figli, ovvero padri di famiglia; uomini e donne; tutti diciamo. Nessuno pensi d’essere dimenticato. E lasciate che Noi vi salutiamo per quello che Noi siamo: non vi piace che il Papa vi saluti come vostro Padre nel Signore, come vostro Pastore spirituale, come vostro Amico, come vostro Vescovo, ed anche e specialmente come successore dell’Apostolo di Roma, S. Pietro, e, ancora di più, come rappresentante di quel Gesù, del quale voi avete celebrato il Natale, e del quale, con i vostri presepi, avete ricordato il modo della venuta al mondo; non vi piace? Ebbene, sappiate che questo Nostro saluto vi dice davvero il Nostro cuore, e vorrebbe stabilire fin da questo momento il clima di rispetto, di fiducia, di affezione: nel quale Noi desideriamo che abbiano a svolgersi i Nostri rapporti con i Lavoratori cristiani, e i vostri col Papa; vorrebbe il Nostro saluto assicurarvi del pastorale interesse del Papa per le vostre persone, per le vostre famiglie, e per le questioni morali e sociali, che vi riguardano.

Il Nostro saluto si estende perciò all’ONARMO, all’opera cioè di assistenza religiosa e morale, che vi circonda delle sue cure, e oggi qua vi conduce; così salutiamo le ACLI, a cui molti di voi appartengono, e salutiamo pure i liberi Sindacati, che rappresentano e promuovono i vostri interessi professionali. Vada un saluto particolare ai Sacerdoti, che vi assistono col loro ministero, vada a quanti vi sono amici e benefattori, vada anche ai vostri bravi Dirigenti, e a tutto il mondo del lavoro romano, al quale auguriamo prosperità, concordia, progresso, nella pace e nella speranza cristiana.

Come vedete, questo Nostro saluto vuol essere largo e affettuoso, perché è il primo; ma non solo per questo. Vuol essere largo e affettuoso, perché trae dal Natale la sua ispirazione. Voi venite a darci relazione d’una vostra simpaticissima iniziativa, quella del «Concorso Presepi», alla quale, Noi sappiamo, da alcuni anni partecipano, con crescente interesse, numerose Aziende e migliaia di Famiglie di Lavoratori, e vi prestano attiva collaborazione moltissimi Operai e appartenenti a varie categorie lavoratrici.

Voi avete voluto celebrare il Natale con questa figurazione scenica, che si chiama il Presepio, con questo «specchio del Salvatore», come scrive S. Girolamo (EP 108, 10, P.L. 22, 384); figurazione popolare, ma gentile e geniale, che vuole rievocare l’umile, grande quadro della nascita di Gesù Cristo, e introdurci, per via della rappresentazione sensibile, alla riflessione su lo straordinario avvenimento, alla comprensione del Vangelo, alla meditazione ingenua ed estatica, umanamente amorosa, del mistero dell’Incarnazione e della salvezza, che il Signore ha recato al mondo.

Bellissima cosa, Figliuoli carissimi; bellissima cosa, che si allaccia alle più antiche e genuine tradizioni, sia dell’arte, sia della pietà del popolo italiano; bellissima cosa, che ci fa tutti fanciulli nella ricerca della espressione elementare ed arcadica del racconto evangelico, ma tutti saggi, tutti commossi e comprensivi, davanti ai sommi valori umani e religiosi, che si tentano rappresentare, e tutti singolarmente invitati ad incontri prodigiosi tanto con i massimi Artisti, che hanno profuso tesori di genialità e di bellezza nell’iconografia del Presepio, quanto con i più grandi Santi, che davanti al Presepio hanno pianto, pregato, cantato e gioito.

Bellissima cosa, ripetiamo, il Presepio, anche per un altro aspetto, che voi Lavoratori, più che altri, con la vostra partecipazione al Concorso-Presepi, avete mostrato di comprendere, e di voler penetrare ed esprimere. E cioè, avete capito che il Presepio è, sì, «lo specchio del Salvatore», come dicevamo, ma proprio per questo è anche lo specchio della nostra vita, lo specchio dell’uomo, la cui natura fu assunta dal Verbo di Dio per farsi nostro Fratello e nostro Salvatore. Avete compreso che la nascita di Gesù è storica e reale, ma ha un riferimento universale a tutta l’umanità, e riflette qualche cosa di nostro e di attuale, che i più bravi a comporre oggi un Presepio, in una delle vostre case, in una delle vostre officine, in una delle vostre aziende, sanno cogliere e sanno rappresentare. Può darsi che questo criterio di rappresentazione introduca qualche elemento anacronistico nella descrizione della scena della notte di Betlem, o qualche stile fantastico e ben lontano dalla sempre rispettabile ed encomiabile fedeltà descrittiva e fotografica della scena stessa. Ma l’arte cristiana, in cotesto esercizio popolare di immediata e soggettiva figurazione, ha concesso e concede qualche libertà, quando essa serve ad avvicinare l’incantevole sequenza evangelica alla realtà di pensiero e di vita del mondo nostro, del mondo moderno.

Ricordiamo, ad esempio, d’aver visto, nell’esposizione d’arte sacra tenuta a Roma durante l’Anno santo, un quadretto, che rappresentava una misera e ansiosa fuga notturna in Egitto, mediante una jeep in pessime condizioni, guidata al volante da S. Giuseppe, mentre al finestrino della vettura interiormente illuminata si affacciava, con un giocattolo in mano, il bambino Gesù, quasi a rappresentare con tragico e umoristico realismo la sorte affannosa di tanti profughi, che gli anni di guerra ci hanno tristemente abituati a vedere fuggire nelle più avventurose e penose condizioni.

Sì, questo è da ricordare e da capire: Cristo non è lontano nei secoli e nei luoghi propri della sua apparizione storica; Cristo è venuto nel mondo per vivere la sorte dell’intera umanità, per assorbire in Sé quanto di umano possiede la stirpe di Adamo, all’infuori, s’intende, della macchia originata dal primo fallo, e venuto per riflettere ed emanare da Sé, sul mondo, quanto di umano e di divino Egli ha destinato a nostro conforto, a nostro esempio, a nostra luce, a nostra salvezza. Cristo è vicino, Cristo è presente, Cristo è nostro, se lo sappiamo capire ed accogliere: il Presepio ce lo ricorda.

Noi ne abbiamo avuto l’interiore, confermata certezza nel Nostro recente pellegrinaggio a Betlem, dove il vostro ricordo Ci è stato cordialmente presente, pensando che tra l’uomo moderno, in cerca di elevazione e di pienezza, tra voi Lavoratori specialmente che dell’uomo moderno siete, sotto molti aspetti, i rappresentanti qualificati, e Gesù Cristo, il Bambino silenzioso, povero e inerme, «il Figlio dell’uomo» posto al centro della storia e della profezia, tra voi, diciamo, e Cristo esiste una simpatia profonda, una parentela naturale, una corrispondenza congeniale, che attende d’essere riscoperta, perché la gioia, l’energia, la speranza, la pace, il vero e perfetto umanesimo, in una parola, abbia a inondare il mondo. Attende d’essere riscoperto il rapporto fra Cristo e l’uomo; fra Gesù e l’atteggiamento di lavoratore, assunto come tipico dalla società contemporanea.

Figli carissimi, anche per questo abbiamo pregato a Betlem; abbiamo pregato perché voi possiate capire chi è Cristo per voi.

La Nostra preghiera, allora come adesso, ha coscienza di lottare contro un’enorme barriera di obbiezioni, di difficoltà, di opposizioni, di negazioni, di apostasie, che separa tuttora il mondo del lavoro da Cristo. Sappiamo come Egli, il viandante che si fa compagno al fianco dell’uomo, sia che questi corra nuove strade veloci, o sia che stenti nella stanchezza il suo arduo cammino, Egli è stato dichiarato da tanti e tante volte estraneo, sconosciuto, inutile, quando addirittura non sia stato accusato di essere l’ostacolo, l’avversario, il nemico, da crocifiggere ancora, oggi come nel venerdì esecrando e santo di allora. «Chi è Cristo? a che cosa mi serve? conosce Lui i miei problemi? come può, Lui, aiutarmi a risolverli? e che relazione esiste fra Lui e questo avvento del mondo nuovo?»: questioni queste, che sono in fondo all’animo di tanti lavoratori, e che spesso vengono alle labbra senza trovare risposta.

No; una risposta comincia ad essere formulata e pronunciata; e proprio da voi, artefici dei vostri Presepi. Costruendo il Presepio, e cercando di collocare nel minuscolo panorama il Bambino misterioso in modo che si veda, in modo che faccia ricordare quella notte meravigliosa, in modo che faccia pensare qualche cosa, che sia messo lì, come simbolo di umanità povera, ma innocente, piccola, ma divina, voi avete intuito che il Natale non è una bella favola, non è un mito grazioso, non è una tradizione folcloristica, ma è il punto focale della storia, è la radice della civiltà, e, al tempo stesso, la spiegazione ed il mistero dei problemi fondamentali della vita; si, anche della vostra vita.

Quali sono i problemi fondamentali della vostra vita? oh, quale immensa domanda! ; ma riduciamola ora all’essenziale.

Non cercate voi, figli del lavoro, per tanti secoli schiavi della fatica, vincolati alla terra, alle espressioni più materiali e più dure dell’opera umana e ancor oggi moralmente legati da tanti insufficienti maestri alla considerazione di ciò che è puramente materiale, sensibile, economico, non cercate voi chi dichiari sacra la vita, degna ogni vita, libero cioè l’uomo dalle catene che il primato del materialismo e dell’egoismo economico, volendo o no, ha stretto non solo intorno ai polsi del lavoratore, ma al suo cuore, al suo spirito, al suo destino di creatura di Dio? Non cercate voi, colleghi delle officine, dei campi, della organizzazione tecnica e burocratica della società, non cercate voi un principio, un titolo, una ragione, che renda gli uomini eguali, solidali fra loro, che renda fratelli, non per l’odio contro altri uomini, e non solo per la tutela classista di interessi economici e sociali, quanti vivono in una comunità naturale, quanti cospirano a formare una società umana, quanti sentono la grandezza d’essere un popolo? E non cercate poi, voi, magnifici trasformatori delle cose, che, per così dire, traete pane dalle pietre, che fecondate la terra, che impiegate le sue segrete energie in meravigliosi strumenti, che generate ricchezze capaci di cambiare il volto e il costume della società, non cercate voi, a lavoro compiuto, tante altre conquiste che il lavoro non dà: e come godere saggiamente delle cose utili, da voi adattate ai bisogni e ai piaceri della vita; e come temperare questo godimento, che può degenerare in stolta sazietà; e come arrivare a beni superiori, a quelli dello spirito, alla verità, all’amore; e come essere garantiti che, al termine di questa suprema aspirazione, non troverete, come tanti ciechi guide di ciechi, la noia, la delusione, l’assurdo, la morte?

Immensa domanda, dicevamo. Ma altrettanto immensa risposta, per chi, ripetiamo, sa riscoprire Cristo. Immensa e semplice; e sempre lì, umile, umana, vittoriosa, irraggiante dal Presepio: è Cristo, il Dio fatto uomo, che proclama la dignità della vita, e perciò il suo carattere sacro e supremo; è Lui perciò il liberatore dai confini, dai vincoli che costringono l’uomo nella statura inferiore delle sue espressioni materiali e animali, e l’innalza alla statura di figlio di Dio; è Lui che porta, col dono di Sé, l’amore al mondo, e riannodando i rapporti dell’uomo con Dio, rapporti ineffabili di figli al Padre dei cieli, rende eguali e fratelli fra loro gli uomini; è Lui, che facendosi nostra carne, santifica e benedice le cose della terra e della vita, e ci insegna a scoprirvi sapienza e bellezza, a goderne con temperanza, ad ordinarle alla conquista finale d’un bene trascendente ed eterno.

Se questo capite, se questo credete, voi potrete essere chiamati, nel pieno senso della parola, i bravi operai della parabola che la Chiesa ci fa considerare nel Vangelo di questa domenica di Settuagesima; i bravi operai, diciamo, i quali hanno assecondato l’invito del Signore che chiama in ogni tempo, in ogni ora a lavorare nella sua mistica vigna, ed hanno perciò diritto alla mercede riservata a coloro che avranno fedelmente servito; mercede larghissima, sovrabbondante, al di là di ogni nostro desiderio, la gloria, cioè, del suo regno e la sorte di amarlo e goderlo per tutta l’eternità.

Carissimi Figli!, non crediate che questi orizzonti sublimi siano superiori alla vostra sorte di autentici Lavoratori. Non sono superiori e sproporzionati; sono vostri. Anzi essi riflettono la loro luce su di voi, proprio su di voi, se qualche povertà, se qualche pena, se qualche difficoltà, se qualche contrasto mette in sofferenza la vostra vita, come una vocazione preferenziale; voi lo sapete, e non dovreste mai dimenticarlo; Cristo a voi per primi rivolge il suo messaggio evangelico.

Forse voi lo avete compreso, e proprio componendo e ammirando i vostri Presepi.

Beati voi, se così è. E così sia, sì, per voi, per i vostri colleghi e per le vostre famiglie, per tutto il mondo del lavoro; con la Nostra paterna Benedizione Apostolica.








B. Paolo VI Omelie 25123