B. Paolo VI Omelie 1534

Domenica, 15 marzo 1964: SANTA MESSA NELLA PARROCCHIA DI NOSTRA SIGNORA DE LA SALETTE

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La visita alla chiesa parrocchiale di Nostra Signora de La Salette dà particolare letizia al Sommo Pontefice. Egli già conosce questa zona, fino ad alcuni anni or sono ancora campagna, mentre oggi si presenta come parte attiva e rigogliosa della città, quasi un nucleo urbano a sé stante. Era già venuto qui, in qualche pausa del suo lavoro alla Segreteria di Stato; e in una cappella privata aveva, in qualche circostanza, svolto il sacro ministero.


L’INSOSTITUIBILE MISSIONE DELLA CHIESA

Ora può rilevare il grande sviluppo spirituale che precipuamente devesi al generoso e meritorio concorso dei Missionari di Nostra Signora «de La Salette». Ad essi la gratitudine più viva, con particolare encomio, del Padre delle anime.

Espressione dell’animo riconoscente è altresì il saluto che l’Augusto Pontefice rivolge al Signor Cardinale e ai Presuli presenti, al Parroco ed ai suoi cooperatori, a tutte le fiorenti opere parrocchiali, alla Azione Cattolica ed ai vari sodalizi che, in nobile gara, promuovono la gloria di Dio e l’efficienza della vita cristiana.

Quale significato ha la visita del Papa? La conferma della sua benevolenza, e, in questo tempo prezioso di Quaresima, il rinnovato messaggio di salvezza e di grazia: l’alta finalità per cui la Chiesa esiste e lavora. Unire le anime a Cristo; far sorgere e rinvigorire il rapporto tra Dio e gli uomini, cioè la religione; stimolare ogni esistenza a dirigersi al suo centro naturale e benedetto, Cristo Gesù: ecco l’intento del Padre di tutte le anime.

Ora. Egli vuole dimostrare come tutto ciò sia necessario, indispensabile, esortando a superare qualsiasi torpore nocivo allo studio di così fondamentali problemi. Sono disposti sui gradini dell’altare, in buon numero, i fanciulli del piccolo clero della parrocchia. Con essi il Santo Padre intesse un amabilissimo dialogo su alcune nozioni principali del catechismo; e le risposte gli offrono opportuni argomenti a istruzione e profitto dell’intera adunanza.

Così alla domanda: Chi è Gesù Cristo?, un ragazzo risponde: È il Figlio di Dio fatto Uomo, venuto in terra per salvarci. Per salvarci! - commenta Sua Santità -; se manca Gesù nella nostra vita, non possiamo conseguire il nostro ultimo fine. Abbiamo bisogno di Lui. Vero è che, purtroppo, tanti vivono lontani: ma questa è la grande tristezza. In realtà, se la nostra vita non è interpretata e condotta secondo la legge del Vangelo, non risponde al disegno di Dio: rimane sterile, si dissolve. Quando invece Gesù è in mezzo agli uomini, ogni esistenza acquista il proprio significato e valore, e muove nella giusta direzione. Gesù ha detto: «Io sono la via, la verità e la vita; . . . senza di me non potete far nulla». Abbiamo dunque bisogno di Gesù; perciò la Chiesa lavora, fatica, si prodiga tanto, volendo a ciascuno indicare i sentieri delle virtù, della rettitudine, della pace con Dio.

Ribadita questa primaria nozione, affiora un’altra domanda: Come si fa a trovare il Signore? Pronta è la risposta: per mezzo della Chiesa.


LA MADRE E MAESTRA

Chi è convinto d’aver bisogno di Cristo, di dover vivere con Lui, si pone subito in condizione di trovare il mezzo per arrivare al Figlio di Dio. Questo mezzo è la Chiesa: vera nostra madre, che ci rigenera alla vita della grazia e costituisce anche il cammino, lo strumento, il metodo per arrivare a Gesù. È anzi pure il termine, giacché quando siamo nella Chiesa, siamo con Cristo. Se dunque sono necessarie la presenza, la dottrina, la grazia di Cristo perché raggiungiamo i nostri destini, diventa pure necessaria, subordinatamente, anche la Chiesa. Ecco perciò sorgere le nostre parrocchie, con le attività che esse racchiudono e dispiegano.

Potremmo forse arrivare alla nostra vera mèta con un tragitto diverso? Non di rado si sente dire: io ho il Vangelo, la Sacra Scrittura; faccio da me. Sì, il Vangelo, la Sacra Scrittura costituiscono un tesoro divino ed è sommo bene conoscerlo, studiarlo. Ma sappiamo noi usarlo in maniera tale da assicurarci la vita di Cristo? Lo stesso tesoro può rimanere un mezzo incompleto. È proprio la Chiesa a dirci tante altre cose appunto per conoscere bene la parola di Dio, e proprio per viverla e farne norma di ogni nostro atto e pensiero.

Dunque la Chiesa insegna, e precisamente ci infonde la scienza di Dio, la religione; ci spiega il Catechismo. La Chiesa quindi, oltre ad essere la madre è anche la maestra. Tutti ricordano come il venerato Pontefice Giovanni XXIII inizia una delle sue grandi Encicliche appunto con le parole: «Mater et Magistra», riferite alla Santa Chiesa.


LA COMUNITÀ E FAMIGLIA CRISTIANA

E ancora: la Chiesa si limita forse ad insegnare il Catechismo, o compie qualche altra cosa? Anche qui la risposta è evidente. La Chiesa ci offre i sette Sacramenti: sorgenti della grazia santificante. Queste fonti sono qui, nella casa di Dio, dove appunto si distribuisce la grazia attraverso i segni sensibili che il Signore ha stabilito per assicurarci l’incontro con Lui. E non è tutto. La Chiesa promuove altro ministero. Che cosa rappresentano le campane, il campanile presso l’edificio sacro? L’invito per tutti a venire, a riunirsi presso l’altare e ad attingervi la carità di Cristo, l’amore fraterno. La Chiesa è dunque una comunità, una famiglia: vuole porre insieme le persone anche se di provenienza diversa e di vario ceto sociale. Non importano le differenze: purché siano anime; con esse la Chiesa forma la sua società, la sua comunità. E perché tale insieme sia ben cementato e diretto, ecco le varie associazioni, i diversi gruppi a seconda delle età, delle categorie, delle aspirazioni, con lo scopo di distribuire incombenze e responsabilità, sì che tutto possa procedere organicamente, ordinatamente.


PER LA PROSPERITÀ DI ROMA CATTOLICA

Infine: quanto è stato ricordato in rapida rassegna e cioè: la conoscenza di Gesù, la Chiesa, l’istruzione religiosa, i Sacramenti, la vita parrocchiale, a cosa mira? Al cuore stesso di ognuno di noi. L’individuo, la persona, sono il termine della vasta attività, poiché tutte le anime sono chiamate alla superna vocazione di essere avvivate, santificate da Nostro Signore Gesù Cristo. Da ciò consegue una fervida raccomandazione, che il Santo Padre desidera lasciare come ricordo dell’incontro, a comune letizia. Ciascuno voglia bene alla parrocchia; cerchi non soltanto di frequentarla, ma di servirla, di renderla viva, popolata, soddisfatta nelle sue così alte esigenze. Nessuno rimanga inerte. Ognuno, secondo le proprie possibilità, dinanzi alla instancabile operosità del parroco e degli altri sacerdoti, dia ai Ministri del Signore il conforto della obbedienza e della fedeltà e concorra anche alle esigenze esterne, oltreché a quelle spirituali della parrocchia.

Come atto di paterno apprezzamento e di viva gratitudine, il Papa dà la sua Benedizione ai singoli fedeli, quasi chiamandoli ad uno ad uno, per nome, con pensiero speciale ai piccoli, agli anziani, ai sofferenti, ai lontani; a tutti augurando di poter conseguire sentito affetto per la parrocchia, profonda devozione alla Chiesa, salda fedeltà al Redentore Divino, in una parola, l’amore a Dio, fonte di ogni prosperità e aiuto: nostro premio e gaudio, dopo il pellegrinaggio terreno, nella Chiesa che tutti ci attende, quella trionfante.

Viene annunziato che tra la moltitudine è il nuovo Sindaco di Roma. Non è - dice il Santo Padre - una coincidenza profana; è circostanza che si deve nobilitare e portare all’altezza del momento religioso. È qui presente il signor Sindaco, il primo Magistrato di questa Città, di Roma. A lui i fedeli presentano l’omaggio, la promessa di seguire l’opera sua, e, come buoni cittadini, l’assicurazione di assecondarlo nella sua non lieve responsabilità. Sopra di lui invocano i più ampi ausilii celesti, perché il Signore, anche nell’ordine temporale, nell’ordine amministrativo, voglia benedire l’intera santa e grande città di Roma, cristiana e cattolica.



Domenica, 15 marzo 1964: SANTA MESSA PER I TRANVIERI DI ROMA ED I CALZATURIERI DI VIGEVANO

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Anzitutto il saluto del Pastore Supremo ai gruppi venuti per assistere alla Santa Messa celebrata dal Papa. Due sono particolarmente numerosi.

I tranvieri dell’A.T.A.C. hanno inviato cospicua rappresentanza, insieme con molte famiglie. Ad essi, da parte del Padre, uno speciale augurio, che si estende anche agli assenti, molti dei quali trattenuti dal necessario servizio.


SALUTO A BENEMERITE CATEGORIE

È a tutti nota l’opera di questi lavoratori: essa richiede soprattutto puntualità, perfezione, gentilezza. Sua Santità pensa di aver ulteriore occasione per incontrarli, ma intanto formula ogni migliore voto per i dirigenti, per le singole categorie degli addetti all’importante servizio; per quanti si occupano di loro nell’ambito materiale e spirituale, segnatamente quelli che attendono a una formazione religiosa sempre più profonda ed attiva, a cominciare dalle ACLI, l’ONARMO, l’ODA, i Cappellani del Lavoro.

Del pari Sua Santità saluta i lavoratori dei Calzaturifici di Vigevano, appartenenti a varie ditte ed aziende, i quali con i loro doni filiali hanno fatto doppiamente felice il Santo Padre sia per lo slancio degli offerenti, sia perché Gli si dà modo di alleviare non poche necessità.

Il secondo gruppo è accompagnato dal venerato Vescovo, del quale Sua Santità ben conosce l’attività e lo zelo pastorale. Ha potuto scorrere una recente relazione che indica l’ottimo lavoro compiuto in Vigevano e in tutta la zona circostante, sì che il nome di quella città non è soltanto oggetto di lode, da quanti, in Italia e all’estero, apprezzano lo specifico suo prodotto industriale, ma anche per le varie iniziative di carattere religioso ivi fiorenti.

Ed ora - continua Sua Santità - un invito a tutti perché aprano la mente e il cuore a breve commento sul Vangelo del giorno. L’odierna sacra liturgia, con la partecipazione del popolo ai Divini Misteri che il Sacerdote compie e rende effettivi sull’altare, ci chiama alla meditazione della Passione del Signore: il dramma grandioso che avrà l’epilogo il Venerdì Santo con la memoria della Morte di Gesù e, quindi, nella Domenica successiva, con il fulgore della Resurrezione.


IL MISTERO DELLA PASSIONE DEL SIGNORE

Come ci introduce la Chiesa nel doveroso ricordo dei vari atti della Redenzione, nostra salvezza? Si direbbe, con una domanda semplice e naturalissima: come mai è stato possibile arrivare alla crocifissione di Gesù? e proprio da parte del suo popolo che l’aspettava da migliaia di anni?

Siamo avvolti e compenetrati di stupore. I conterranei di Gesù, invece di riconoscerlo, lo accusano, lo calunniano, si fanno promotori di una tragedia, ch’è la più grande tra quelle succedutesi nella storia del mondo. L’inizio è descritto nel brano del Vangelo di S. Giovanni testé letto. Vi si narra di uno scontro avvenuto tra Gesù e alcuni alti dirigenti del suo popolo, i quali interpretavano in senso negativo la sua predicazione e persino i suoi miracoli. Capovolgendo anzi ciò che era chiaro ed evidente, arrivarono ad accusarlo di operare non per virtù di Dio ma del demonio. Di qui l’inesplicabile dramma che si presenta come un mistero quant’altri mai oscuro e profondo, nel quale però il Cristo domina, risplende, vince con forza straordinaria, usando anche un linguaggio veemente, ben diverso da quello consueto della sua predicazione alle turbe imploranti ed acclamanti.

ESAME COSCIENZIOSO DEL NOSTRO TEMPO

Ora il Figlio di Dio, il benefattore dell’umanità, l’operatore di innumerevoli prodigi, viene accusato nella maniera più orribile. E tuttavia non è di questo dramma che il Santo Padre vuole parlare. Egli, cioè, non intende soffermarsi sugli aspetti storici ed apologetici di quell’incontro. Vuole, invece, prospettare a tutti un’altra domanda: riguarda anche noi questa tragedia? ci interessa? ha riflessi nel nostro tempo?

Sì, questo dramma comprende anche noi, poiché è il dramma universale del Salvatore del mondo; ed ha per protagonista il Maestro dell’umanità. Tutti possono infatti agevolmente rilevare che il grande dramma oggi si prolunga e, in un certo senso, si rinnova, Cristo, infatti, anche oggi è avversato; tanta gente gli è nemica, lo bestemmia, lo vorrebbe sopprimere, anche in un Paese come il nostro, chiamato alla sublime missione di custodire le migliori tradizioni e all’onore di avere nel suo territorio il Successore di Pietro.

Vi sono quelli che negano e intendono combattere, crocifiggere il Signore. Gesù è spesso considerato come un estraneo. L’accanimento della ostilità usa modi e sistemi i più disparati, specialmente per cancellare il suo nome dalla vita sociale, oltre che da quella personale e domestica. Molti lavorano a questo scopo, insistono, si agitano. Questo è il laicismo nel suo senso deteriore; i suoi adepti si affannano a cancellare il nome di Dio dalle attività umane. Orbene, in questa lotta inimmaginabile, tanto è triste e sconcertante, Gesù stesso, a sua volta, risponde con un interrogativo che esige una risposta, la sola possibile. Si legge nel Vangelo odierno: Gesù disse ai suoi denigratori: chi di voi mi può accusare di aver recato qualche male all’umanità? In altri termini, quali sono le vere accuse contro Cristo e il Cristianesimo?


COME RAGGIUNGERE CRISTO

Esaminiamo come rivolte a noi tali richieste. Incombe a noi il dovere di considerare e meditare la figura di Cristo, la sua bontà, il suo amore, la sua sapienza: tutte qualità. al grado infinito poiché Egli è Dio. Le colpe invece ricadono sopra di noi. Il processo che si vuol intentare a Cristo diviene il processo dell’umanità. Si ritorce sopra di noi l’accusa, poiché le ragioni di ogni iniquità si trovano non in Lui, bensì nel cuore dell’uomo. Anche coloro che scientificamente, e cioè attraverso una letteratura di studi e di indagini, hanno cercato di soffocare la divinità, la realtà, l’innocenza di Cristo, si sona trovati sempre costretti ad ammettere dei riconoscimenti che, se potessero essere raccolti, formerebbero la più grande apologia del Cristo. Tutti quegli autori hanno finito per dichiarare che Gesù era il più mite, il più saggio, il più giusto; e che il suo nome non si dimenticherà mai nel mondo . . . Ciò dicono i negatori del Signore : il che significa, dunque, che se abbiamo riluttanze o ribellioni contro il Signore, dobbiamo ricercarne la causa nel nostro essere, non nella vita di Cristo.

A logica conseguenza di tutto ciò, s’impone ad ognuno un esame di coscienza. Perché non siamo cristiani? perché anzi non sentiamo l’entusiasmo, la gioia, la fortuna di essere cristiani? Spesso, al contrario, intristiamo in assurde riserve; chi di indifferenza, chi di paura, altri anche di inimicizia e furore.

Ora il Santo Padre, deplorate così amare ignominie e miserie purtroppo presenti nel mondo, propone ai diletti uditori, i quali, grazie a Dio, non fanno parte delle categorie di negatori o di accusatori, a formulare per sé un esame positivo e cioè a chiedersi in quale maniera si può essere e diportarsi da veri cristiani. Come cioè distinguersi da coloro che vorrebbero ancora crocifiggere il Signore; ed agire invece, saldamente, nelle schiere dei reali e generosi fedeli. In una parola, come tornare a scoprire, a riconoscere il Cristo. I figli del nostro tempo hanno più che mai bisogno e necessità di porsi dinanzi al Salvatore, di approfondire il Vangelo, di fissare lo sguardo sul volto di Gesù e leggere, nel mistero infinito della psicologia divina ed umana di Lui, quale sia la sublimità di un dovere, la bellezza di un’adesione. Abbia ognuno l’intelligenza, la capacità di rispondere con profondo convincimento alla domanda fondamentale: chi è Gesù Cristo?


UN INCONTRO DECISIVO, STUPENDO

Se la risposta sarà quella giusta ed esatta, non solo si compirà un primario dovere religioso, ma si troverà la soluzione vera dei problemi umani, poiché Cristo è al centro dei destini del mondo. Se sapremo chi Egli è, sapremo che cosa siamo noi e conosceremo profondamente il senso della nostra vita.

Chi sia il Signore è detto in altro brano del Vangelo, presentatoci sabato scorso: «Io sono la luce del mondo». Seguendo questo fulgore si potrà agevolmente superare qualsiasi stato d’animo di indifferenza o di ostilità; tutti potranno godere di inestinguibile fiducia ed agire come figli di Dio. Arrida a tutti la certezza che Egli ci salva. Convinti di ciò, poiché è la grande verità, dovremmo aver sete dell’insegnamento del Divino Maestro, aprire il cuore alle irrompenti energie della grazia, che ci renderanno per sempre buoni, puri, innocenti. Anche nell’ambito delle materiali attività, stando con Cristo saremo veramente uomini, troveremo cioè una soluzione al problema più grave dell’umanità contemporanea, che spesso ci mostra i segni di cupa angoscia e di mortale disperazione. Gesù dona la vita, l’amore, la speranza: Egli mette ordine in ciascuno di noi; ci largisce la possibilità di vivere bene, di conservare in pienezza il concetto vero dell’esistenza.

È questa, in una parola, la raccomandazione del Papa. Nessuno rimanga assente, lontano da Cristo. L’incontro con Lui è una cosa grande, decisiva, stupenda; è dono così alto e provvido da far piangere e cantare di riconoscenza e di gioia. E per incontrarsi bene con Cristo occorre avere l’anima rinnovata, aperta, come quella del bambino, che sa di poter trovare nei genitori tutto quanto è necessario a superare la propria debolezza ed inesperienza. A Gesù diremo la nostra fede assoluta e il nostro sconfinato amore.

Cristo deve essere celebrato da noi per quello ch’Egli è: la via, la verità, la vita.



Giovedì, 19 marzo 1964: PELLEGRINAGGIO DELLA F.I.A.T.

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Festività di S. Giuseppe



Figli carissimi!

Noi siamo lieti che la vostra venuta a Roma, il vostro pellegrinaggio verso il Vicario di Cristo, coincida con la celebrazione di questa festa, la quale mette in luce, proprio come se San Giuseppe risplendesse sopra questa sacra assemblea, voi stessi! Come Ci è caro riconoscervi, a questa luce, quello che siete! Non è parola profana la Nostra quella che ora sente il bisogno di chiamarvi per nome: gente della F.I.A.T.: dirigenti e dipendenti di questo famoso complesso industriale, il primo d’Italia per numero di componenti, per grandiosità di sviluppo, per modernità d’impianti, per celebrità di nome, ed anche per rappresentatività di fenomeni economici e sociali, di cui tutti lo sanno fecondo.

Ci sentiamo in obbligo di salutarvi; e vogliamo dirvi la Nostra compiacenza, la Nostra riconoscenza per codesta visita, che tanto Ci onora, che tanto Ci consola, e che tanto Ci fa pensare a sperare. Vogliamo esprimere il Nostro rispettoso saluto a chi vi dirige, a chi ha l’intelligenza, la costanza, il merito nel promuovere e nell’organizzare un così vasto e così utile campo di lavoro; vogliamo dar lode al vostro gruppo Pellegrinaggi, che ha avuto l’idea di codesta iniziativa; e vogliamo, in modo speciale, assicurare della Nostra stima e della Nostra benevolenza tutta l’immensa schiera dei Lavoratori della F.I.A.T.: l’eccellente gruppo dei tecnici, le ottime ed esperte maestranze, i bravi e numerosissimi operai; gli anziani per la loro bravura e la loro fedeltà all’Azienda e al dovere; i giovani, per l’energia e per la fiducia che portano nella loro fatica; gli apprendisti, per le speranze ch’essi hanno nel cuore e ch’essi rappresentano per l’impresa; le famiglie di tutti questi Lavoratori, alle quali va il Nostro affettuoso ricordo ed il Nostro augurio; e tutti quanti qui siete e qui rappresentate; a quanti rettamente tutelano i vostri interessi e giustamente interpretano le vostre aspirazioni; alle associazioni e alle istituzioni che vi offrono assistenza morale e spirituale; a tutta la F.I.A.T., quale da questo punto prospettico idealmente Ci appare, nella sua grande capacità produttiva e nella sua tendenziale comunità di lavoro nella concordia, nella libertà, nella giustizia e nella prosperità. La visione, che voi sollevate davanti al Nostro spirito, Ci darebbe tema per discorrere a lungo di voi e delle vostre questioni; ma, come certo voi comprendete, non è questa la sede, non questo il momento. Vi basti sapere che guardiamo a voi, al grande fenomeno industriale, economico, sociale, morale e religioso, che in voi prende dimensioni tanto grandi e significative, con immenso interesse, con paterna simpatia, con particolare stima, e con vigilante preghiera: voi meritate che il Papa vi conosca, vi osservi, vi accompagni appunto con i suoi voti e con le sue orazioni.

Adesso, dicevamo, siamo qui per celebrare insieme la festa di San Giuseppe; il che Ci solleva, sì, nella sfera spirituale e religiosa, ma non Ci distrae dalla realtà della vostra vita. Perché sempre è così: la religione non è un’evasione dalla vita reale, ma è piuttosto una posizione superiore al suo livello profano e banale, dalla quale posizione possiamo meglio conoscere e guidare la vita stessa e meglio valutarne l’esperienza, i bisogni, i doveri, i destini.

Ed è poi proprio così nel caso presente per il fatto della parentela professionale e sociale, chiamiamola così, che voi avete con San Giuseppe. Potremo dire: era dei vostri.

Riflettiamo un istante.

Celebriamo la festa di San Giuseppe, Patrono della Chiesa Universale. È una festa, che interrompe la meditazione austera e appassionata della Quaresima, tutta assorta nella penetrazione del mistero della Redenzione e nell’applicazione della disciplina spirituale, che la celebrazione d’un tale mistero porta con sé. È una festa che chiama la nostra attenzione ad un altro mistero del Signore, l’incarnazione, e c’invita a ripensarlo nella scena povera, soave, umanissima, la scena evangelica della sacra Famiglia di Nazareth, in cui quest’altro mistero s’è storicamente compiuto. La Madonna Santissima ci appare nell’umilissimo quadro evangelico; accanto a lei è S. Giuseppe, in mezzo a loro Gesù. Il nostro occhio, la nostra devozione si fermano quest’oggi su S. Giuseppe, il Fabbro silenzioso e laborioso, che diede a Gesù non i natali, ma lo stato civile, la categoria sociale, la condizione economica, l’esperienza professionale, l’ambiente familiare, l’educazione umana. Bisognerà osservare bene questo rapporto fra San Giuseppe e Gesù, perché ci può far comprendere molte cose del disegno di Dio, che viene a questo mondo per vivere uomo fra gli uomini, ma nello stesso tempo loro maestro e loro salvatore.

È certo innanzi tutto, è evidente, che S. Giuseppe viene ad assumere una grande importanza, se davvero il Figlio di Dio fatto uomo sceglie proprio lui per rivestire se stesso della sua apparente figliolanza. Gesù era detto «Filius fabri» (
Mt 13,55), il Figlio del fabbro; ed il fabbro era Giuseppe. Gesù, il Cristo, ha voluto assumere la sua qualificazione umana e sociale da questo operaio, da questo lavoratore, ch’era certamente un brav’uomo, tanto che il Vangelo lo chiama «giusto» (Mt 1,19), cioè buono, ottimo, ineccepibile, e che quindi assurge davanti a noi all’altezza del tipo perfetto, del modello d’ogni virtù, del santo. Ma c’è di più: la missione, che San Giuseppe esercita nella scena evangelica, non è solo quella della figura personalmente esemplare e ideale; è una missione che si esercita accanto, anzi sopra Gesù: egli sarà creduto padre di Gesù (Lc 3,23), sarà il suo protettore, il suo difensore. Per questo la Chiesa, che altro non è se non il Corpo mistico di Cristo, ha dichiarato San Giuseppe protettore suo proprio, e come tale oggi lo venera, e come tale lo presenta al nostro culto e alla nostra meditazione. Così oggi s’intitola la festa: dicevamo, di S. Giuseppe, Protettore di Gesù fanciullo, durante la sua vita terrena, e Protettore della Chiesa universale, ora ch’egli guarda dal cielo tutti i cristiani.

Ora fate attenzione.

San Giuseppe era un lavoratore. A lui fu dato di proteggere Cristo. Voi siete lavoratori: vi sentireste di compiere la stessa missione, di proteggere Cristo? Lui lo protesse nelle condizioni, nelle avventure, nelle difficoltà della storia evangelica; voi vi sentireste di proteggerlo nel mondo in cui siete, nel mondo del lavoro, nel mondo industriale, nel mondo delle controversie sociali, nel mondo moderno?

Forse non pensavate che la festa di San Giuseppe potesse avere delle conclusioni così inaspettate e così direttamente rivolte alle vostre scelte personali; né forse aspettavate che fosse il Papa a delegare a voi una funzione che sembra tutta sua, o almeno più sua che vostra, quella di difendere e di curare gli interessi di Cristo nella società contemporanea.

Eppure è così. Carissimi Figli! ascoltateCi bene. Noi pensiamo che il mondo del lavoro abbia bisogno ed abbia diritto d’essere penetrato, d’essere rigenerato dallo spirito cristiano. Questo è un punto fondamentale, che meriterebbe un lungo discorso; ma voi, se siete qua venuti, siete già di ciò persuasi; del resto, un giudizio spassionato e sincero sul processo evolutivo del mondo moderno lo dice e lo conferma: o il mondo sarà pervaso dallo spirito di Cristo, o sarà tormentato dal suo stesso progresso fino alle peggiori conseguenze, di conflitti, di follie, di tirannie, di rovine. Cristo è più che mai, oggi, necessario; primo punto. Secondo punto: chi riporterà, o meglio porterà (tanto è profonda la diversità del mondo del lavoro di oggi da quello di ieri), chi porterà Cristo nel mondo del lavoro? Ecco: Noi siamo convinti, come lo erano i Nostri venerati Predecessori, che nessuno meglio dei lavoratori stessi, può compiere questa grande e salutare missione. Gli aiuti esterni, le condizioni d’ambiente, l’assistenza di maestri, eccetera, sono certamente fattori utili, necessari, anche, sotto certi aspetti; ma il coefficiente indispensabile e decisivo per rendere cristiano, e cioè per salvare il mondo del lavoro, dev’essere il lavoratore stesso. Bisogna rigenerare questo mondo, ancora tanto inquieto, tanto sofferente, tanto bisognoso e tanto degno, dal di dentro, dalle risorse di energie, di idee, di persone, di cui ancora è ricco. Cristo oggi ha bisogno, come già nella sua infanzia evangelica, d’essere portato, protetto, alimentato, promosso in seno alle categorie lavoratrici, da quelli stessi che le compongono; o, per meglio dire, da coloro che in seno alle classi lavoratrici sentono la vocazione e assumono la missione di animare cristianamente le schiere dei colleghi di fatica e di speranza.

Anche questo punto si presterebbe a lunghe dimostrazioni e applicazioni. Crediamo che siete così bravi e intelligenti da saperle fare anche da voi, La vostra esperienza vi è maestra; la vostra aderenza alla parola della Chiesa vi offre lo stimolo e la guida a cotesto grande programma di rigenerazione e di vitalità cristiana.

Quello che preme ora a Noi di farvi notare, per bene celebrare la festa odierna e per fissare un ricordo vivo ed operante nei vostri spiriti, si è la stima che la Chiesa professa nella vostra capacità di difesa e di diffusione dell’ideale cristiano; si è la scoperta del disegno provvidenziale che riposa sopra di voi, e che ammiriamo prodigiosamente compiuto nell’umiltà e nella fedeltà di S. Giuseppe: potere cioè e dovere voi stessi essere i tutori, essere i testimoni, essere gli apostoli di Cristo nella vita sociale e nel mondo del lavoro dei nostri giorni.

Ci accorgiamo di chiedere molto! Sì. È un atto di fiducia, che mostra non facili doveri ed impegna a non lievi fatiche. Ma confidiamo di non chiedere indarno: non è vero, figli carissimi?

Da parte Nostra vi diamo quanto di meglio abbiamo: la Nostra affezione, la Nostra parola e il Nostro ministero. Il Nostro pensiero vi segue con particolare benevolenza, e vi accompagna nelle vostre quotidiane fatiche, con una preghiera fervida, nella quale vogliamo abbracciare anche i vostri cari, specialmente i vostri bambini, e i vostri colleghi provati da qualche afflizione.

E in questo momento inviamo un saluto di grande cordialità e reverenza al venerato Arcivescovo di Torino, il Signor Cardinale Maurilio Fossati, che sappiamo spiritualmente presente a questo incontro di anime, da lui tanto desiderato e patrocinato, anche se le condizioni di salute non gli hanno concesso di prendervi parte. Gli auguriamo ogni consolazione nel suo alto ministero, e l’augurio si fa preghiera, invocandogli i doni del Signore, che lo allietino nella rispondenza dei suoi figli, e nella coscienza dei grandi meriti, acquistati dal suo zelo generoso. Così rivolgiamo un beneaugurante pensiero. al Vescovo Coadiutore, Mons. Stefano Tinivella, e a Mons. Vescovo Ausiliare. Rinnoviamo anche il Nostro deferente saluto e diamo la Nostra Benedizione ai Signori Dirigenti della F.I.A.T. e agli Operai qui presenti.

La Benedizione Apostolica suggelli i Nostri voti e sia riflesso della continua assistenza del Cielo su di voi, sul vostro lavoro, sulla vostra dilettissima arcidiocesi.

La Benedizione si estende anche agli altri gruppi, specialmente alle maestranze dello Stabilimento «Tintorie Industriali Colombo» di Brescia, agli Studenti di Ragioneria dell’Istituto Tecnico Commerciale di Busto Arsizio, ed anche alle singole persone di varie nazionalità.




Giovedì Santo, 26 marzo 1964: SACRO RITO «IN COENA DOMINI»

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Abbiamo voluto Noi stessi celebrare questo rito «in coena Domini», perché ne siamo sollecitati dall’invito, dall’impulso della recente Costituzione del Concilio ecumenico su la sacra Liturgia, decisamente rivolta ad avvicinare le strutture gerarchiche e comunitarie della Chiesa quanto più è possibile all’esercizio del culto, alla celebrazione, alla comprensione, al godimento dei sacri misteri espressi, anzi contenuti nella preghiera ufficiale e sacramentale della Chiesa medesima. Se ogni Sacerdote, a capo di una comunità di fedeli, se ogni Vescovo, consapevole d’essere il centro operante e santificante d’una Chiesa, desidera, potendo, celebrare personalmente la Santa Messa del Giovedì Santo, giorno memorabile in cui la Santa Messa fu per la prima volta celebrata e istituita da Cristo stesso affinché lo fosse poi dagli eletti a esercitare il Sacerdozio di Lui, non dovrebbe il Papa, felice d’averne l’opportunità, compiere lui stesso il rito nella ricorrenza dell’annuale memoria, che ne rievoca l’origine, ne medita la tipica istituzione, ne esalta in semplicità ma con ogni possibile interiorità l’ineffabile, santissimo significato, e adora la velata, ma assicurata presenza di Cristo sacrificante se stesso per la nostra salvezza?

Se volessimo suffragare di altri motivi questo Nostro proposito, non avremmo difficoltà a trovarne molti ed eccellenti; due, ad esempio, che possono giovare a rendere più pia e più contenta la Nostra presente celebrazione; Ci è suggerito il primo dal movimento molteplice, che fermenta in tante forme diverse, in seno alla nostra società contemporanea, e la spinge, anche nolente, verso espressioni dapprima uniformi, poi unitarie; il pensiero umano, la cultura, l’azione, la politica, la vita sociale, quella economica anche - di per sé particolare e tendente all’interesse che distingue ed oppone i singoli interessati - sono rivolti ad una convergenza unificatrice; il progresso lo esige e ne dipende, la pace vi si trova e ne ha bisogno.

Ora il mistero, che Noi questa sera celebriamo, è un mistero di unificazione, di unità mistica ed umana; ben lo sappiamo; e sebbene esso si compia in una sfera diversa da quella puramente temporale, non prescinde, non ignora, non trascura la socialità umana nell’atto stesso che la suppone, la coltiva, la conforta, la sublima quando esso, il mistero eucaristico, che chiamiamo anche a buon diritto comunione, ci mette in ineffabile società con Cristo, e Lui mediante in società con Dio e in società con i fratelli con diverso rapporto, a seconda ch’essi siano o no con noi partecipi della mensa che insieme ci raccoglie, della fede che unifica i nostri spiriti, della carità che ci compagina in un sol corpo, il corpo mistico di Cristo.

Il secondo motivo, se pur riguarda, come dicevamo, ogni Sacerdote e ogni Vescovo, riguarda principalmente Noi, la Nostra persona e la Nostra missione che Cristo volle mettere al cuore dell’unità dell’intera Chiesa cattolica e insignire del titolo, coniato da un Padre fin dagli albori della storia ecclesiastica, di «presidente della carità». Sembra a Noi incombere il grande e grave ufficio di ricapitolare qui la storia umana, annodata, come a sua luce e a sua salvezza, al sacrificio di Gesù, sacrificio che qui si riflette e, in modo incruento, si rinnova; qui tocca a Noi di imbandire una mensa, alla quale sono misticamente invitati tutti i Vescovi, tutti i Sacerdoti, tutti i fedeli della terra; qui è la celebrazione della fratellanza di tutti i figli della Chiesa cattolica; qui è la sorgente della socialità cristiana, convocata ai suoi principii costitutivi trascendenti, e sorretta da energie alimentate, non da interessi terreni, che sono sempre di ambiguo funzionamento, non da calcoli politici, sempre di effimera consistenza, non da ambizioni imperialiste o da livellamenti coercitivi, e nemmeno dal sogno nobile e ideale della concordia universale, che l’uomo al più può tentare, ma realizzare e conservare non sa; da energie, diciamo, potenziate da una corrente superiore, divina, dalla corrente, dalla urgenza della carità, che Cristo ci ha ottenuta da Dio, e fa in noi circolare, per aiutarci ad «essere uno», come Lui lo è col Padre.

Miei Fratelli e miei Figli, né le parole né il tempo bastano per dire a Noi stessi la pienezza di questo momento: qui è la celebrazione dell’uno e dei molti, qui è la scuola dell’amore superiore degli uni per gli altri, qui è la professione della stima reciproca, qui è l’alleanza della collaborazione vicendevole, qui è l’impegno del servizio gratuito, qui è la ragione della tolleranza sapiente, qui è il precetto del mutuo perdono, qui è la fonte del gaudio per l’altrui fortuna e del dolore per l’altrui sventura, qui è lo stimolo a preferire il dono da dare a quello da ricevere, qui è la sorgente della vera amicizia, qui è l’arte di governare servendo e di obbedire volendo, qui è la formazione ai rapporti sinceri e cortesi fra gli uomini, qui la difesa della personalità rispettata e venerata, qui l’armonia degli spiriti liberi e docili, qui la comunione delle anime, qui la carità.

Leggevamo, in questi giorni, una triste parola d’uno scrittore contemporaneo, profeta del mondo senza amore e dell’egoismo proclamato liberatore: «Io non voglio comunione d’anime...». Il cristianesimo non è così! è agli antipodi. Noi vogliamo invece costruire, auspice Cristo, una comunione d’anime, una comunione la più grande possibile.

Diciamo perciò a noi Sacerdoti, innanzi tutto, la parola sacrosanta del Giovedì Santo: «Amiamoci gli uni gli altri, come Cristo ci ha amati». Vi può essere programma più grande, più semplice, più innovatore della nostra vita ecclesiastica?

Diciamo a voi, Fedeli, che fate cerchio intorno a questo altare, e a voi distribuiti nell’immenso cerchio della santa Chiesa di Dio, un’altra parola, parimente pronunciata da Gesù nel Giovedì Santo: ricordatevi che questo dev’essere il segno distintivo agli occhi del mondo della vostra qualità di discepoli di Cristo, il vicendevole amore. In hoc cognoscent omnes...

Diremo a quanti può giungere l’eco di questa Nostra celebrazione della cena pasquale, nella fede di Cristo e nella sua carità, la parola dell’Apostolo Pietro: Fraternitatem diligite, vi piaccia essere fratelli (
1P 2,17).

È per questo motivo che Noi confermiamo anche qui il proposito a Cristo Signore, di condurre a buon fine il Concilio Ecumenico, come un grande avvenimento di carità nella Chiesa, dando alla collegialità episcopale il significato e il valore che Cristo ha inteso conferire ai suoi apostoli nella comunione e nell’ossequio al primo fra essi, Pietro, e promovendo ogni proposito rivolto a crescere nella Chiesa di Dio la carità, la collaborazione, la fiducia.

È ancora con questo sentimento di carità nel cuore che salutiamo da questa Basilica, caput et Mater omnium Ecclesiarum, tutti i Fratelli cristiani, purtroppo ancora da noi separati, ma intenti a cercare l’unità voluta da Cristo per l’unica sua Chiesa. Mandiamo il Nostro beneaugurante saluto pasquale, il primo forse in occasione tanto sacra quanto questa, alle Chiese Orientali da Noi ora disgiunte, ma a Noi già nella fede tanto congiunte: salute e pace pasquale sia al Patriarca Ecumenico Atenagora, da Noi abbracciato a Gerusalemme nella festa latina dell’Epifania; pace e salute sia agli altri Patriarchi allora da Noi incontrati nella stessa occasione; pace e salute agli altri Gerarchi di quelle vetuste e venerabili Chiese, i quali hanno mandato i loro Rappresentanti al Concilio Ecumenico Vaticano; pace e salute anche a quanti altri Noi aspettiamo fiduciosi di incontrare un giorno nell’amplesso di Cristo.

Salute e pace a tutta la Chiesa Anglicana, mentre con sincera carità e con eguale speranza Ci auguriamo di poterla un giorno vedere ricomposta onoratamente nell’unico ed universale ovile di Cristo.

Salute e pace a tutte le altre comunità cristiane derivate dalla riforma del secolo XVI, che da noi le ha separate. Possa la virtù della Pasqua di Cristo indicare la giusta e forse lunga via per riavvicinarci nella perfetta comunione, mentre già cerchiamo con mutuo rispetto e con vicendevole stima come abbreviare le distanze e come praticare la carità, che speriamo un giorno veramente vittoriosa.

Ed un saluto cordiale mandiamo anche, con memore riconoscenza, ai credenti in Dio, dell’una e dell’altra confessione religiosa non cristiana, i quali accolsero con festante riverenza il Nostro Pellegrinaggio ai Luoghi Santi.

E poi a tutta l’umanità Noi pensiamo in questo momento, a ciò costretti dalla carità di Colui che così ha amato il mondo da dare per esso la sua vita. Il cuore prende le dimensioni del mondo; così prendesse quelle infinite del cuore di Cristo.

E voi, Fratelli e Figli e Fedeli, qui presenti certamente siete con Noi per così celebrare il Giovedì Santo, il giorno della carità consumata e perpetuata di Cristo per la nostra salvezza.





B. Paolo VI Omelie 1534