B. Paolo VI Omelie 23864

Domenica, 23 agosto 1964: INCONTRO CON I FEDELI DI APRILIA

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Un saluto di pace, d’onore e di gaudio è la prima espressione di Sua Santità per i diletti figli di Aprilia. Egli vede con piacere i loro spirituali Pastori, a cominciare dal Cardinale Pizzarda, degnissimo Presule - che dedica tante preziose energie alla vita religiosa del popolo affidato alle sue cure -; al Vescovo suffraganeo; al Parroco con i sacerdoti che lo coadiuvano.

Il Santo Padre vuole ricordare i Religiosi, le Suore, le Associazioni cattoliche. Dà, inoltre, il suo saluto alle autorità civili, che si occupano delle vicende anche materiali della zona.


PATERNA PREFERENZA ALLA CITTÀ NUOVA

Un vero godimento il Santo Padre ha provato testé, allorché chi gli dava il benvenuto a nome degli operai poneva in risalto d’essere l’interprete dei lavoratori sia dei campi sia dei 66 stabilimenti industriali sorti nel territorio di Aprilia. Il Papa ricambia con il più vivo affetto, augurando alle comunità di lavoro concordia, pace, soddisfazione insieme col benessere temporale, aggiungendo ringraziamento ed incoraggiamento per le singole famiglie e l’intera popolazione.

E adesso una confidenza. Fra le molte domande di visite che pervengono al Papa, Egli ha preferito di accontentare Aprilia: non già perché gli altri richiedenti non siano del pari meritevoli, ma perché qui si tratta di una città che ha appena trent’anni. Qui si sta incominciando e fondando; qui ora si pongono i principii che devono ispirare e governare la vita presente e quella del futuro.

Ciò interessa moltissimo il Padre delle anime, poiché mostra, all’evidenza, il grande problema della vita moderna. E cioè: come può la vita nuova, la vita che sorge dalla nostra terra, dalla nostra generazione, e da questo popolo che ha provato le rovine della guerra e le agitazioni successive e possiede l’ansia, la forza, l’istinto di rinnovarsi e di rivivere, come può questa vita nuova, accordarsi, fondarsi, trovarsi in simpatia e in amore con la vita cristiana? È possibile che la vita cristiana fiorisca, si dilati, sia prospera e quasi connaturata con le nuove espressioni urbanistiche, civili, operaie, sociali della vita moderna? Questo è il grande problema: e perciò tutti siamo immensamente interessati a vedere qual è la sorte di questa eredità, che portiamo da secoli: cioè della nostra fede, della nostra professione cristiana. Vogliamo vedere se è una pianta capace di vigoreggiare appunto sul terreno della vita moderna, o se invece sia una pianta che va isterilendosi e morendo proprio per il fenomeno della mentalità odierna.


«SIATE CRISTIANI»

Voi vedete benissimo - prosegue il Santo Padre - come, a proposito della vita cristiana, al confronto di questi fenomeni che avete davanti, cioè il sorgere di nuove comunità cittadine, si ponga dapprima il quesito: essere religiosi è ancora possibile in una città contemporanea? Voi certo notate la esistenza e della vita cristiana e della vita profana. La prima impressione farebbe ritenere cosa assai diversa l’attendere ai propri affari, cercare i beni temporali, superare tutte le angustie della organizzazione politica, sociale, civile, economica, culturale, e, nel medesimo tempo, pensare a Dio, che sembra diventato, si direbbe, un estraneo, quasi inabitabile in mezzo a noi. Comprenderete benissimo, allora, come siano, in un certo senso, spiegabili anche i contrasti, che si manifestano tra la professione pubblica, sociale, vissuta, del nostro Credo, della nostra fede e la vita profana così come si presenta. Sembrano quasi due cose incompatibili, due cose che non si amano più e non possono ulteriormente accordarsi fra loro.

Ebbene, figliuoli miei, vi dico con tutto il cuore e l’affetto paterno che qui mi porta; con tutta la solennità del mio ministero apostolico vi scongiuro, carissimi figli: Siate cristiani! siate cristiani! Conservate la fede dei vostri vecchi e dei vostri morti; conservate la fede di questa terra benedetta che si chiama Italia; conservate la fede per i vostri figli, per il vostro avvenire, per il vostro lavoro; e sappiate che non c’è affatto incompatibilità tra la fede cristiana e la vita moderna.

Sappiate che la fede cristiana, - la quale sembra, talvolta, intersecarsi e fare quasi da remora al progresso e alla libera espansione delle energie profuse nel regno temporale, - non rappresenta, in maniera assoluta, ostacolo di sorta. A pensarci bene, a veder profondamente le cose, comprenderemo piuttosto che, al contrario, essa è un ausilio, un’energia, un fermento, una forza, una luce irradiantesi pure sulla vita profana.

Potreste chiedere: allora la vita cristiana compie i miracoli di risolvere tutte le nostre questioni? No: la vita cristiana non cambia, di per sé, le cose temporali. Le vostre questioni rimarranno, esse non saranno automaticamente risolte dal fatto che andate in chiesa, innalzate a Dio le preghiere o vi professate cristiani. Rimarranno, ma la vita cristiana, proprio come luce che si accende sopra il panorama della nostra quotidiana vicenda, darà il senso giusto alle cose di questo mondo, darà il valore alle vostre fatiche, alle vostre speranze, al vostro dolore, al vostro amore; alla esistenza umana.


UN SOLE CHE NON PUÒ SPEGNERSI

La vita cristiana è davvero come un sole che risplende su l’insieme dei nostri giorni. Figliuoli miei, se questo sole finisse per spegnersi, che cosa si perderebbe? Alcuni dicono: niente. E invece sì perderebbe proprio il senso della vita. Perché lavorare, perché amare gli altri, perché essere buoni, essere onesti, perché soffrire; perché vivere, perché morire, se non c’è una speranza al di sopra di questa nostra povera vita pellegrinante quaggiù? È la vita cristiana - giova ripeterlo - a dare il senso, il valore, la dignità, la libertà, la gioia, l’amore al nostro passaggio sulla terra. Per questo l’invito paterno vuole essere possente come un grido, che dovrebbe rimanere a memoria dell’odierno incontro: Siate cristiani; siate cristiani!

Quando noi ricordiamo tale verità, il primo pensiero è che la voce del sacerdote, di chi annuncia il Vangelo, ci richiama a grandi doveri, ad osservanze difficili, a comandamenti che sono, alcune volte, proibitivi e possono sembrare pesanti.

Bisogna subito chiedersi con generosità di intenti: che significa, per prima cosa, essere cristiani? Vuol dire accorgersi ed essere convinti che siamo amati da Dio; che c’è lassù Chi ci vuol bene; una Provvidenza esiste sopra di noi; l’amore del Padre ci guarda, e una tenerezza infinita ci ammanta. E ancora: questo Amore si è fatto fratello nostro, è diventato il Cristo, è Gesù che ha camminato per le nostre strade, ha sofferto le nostre angustie, ha parlato la nostra lingua, ha mangiato il nostro pane; si è accomunato con noi, è venuto persino accanto a noi per guarirci, per istruirci e dichiarare a ciascuno: voglio sempre stare con te, quale principio di energia interiore: io sono il tuo pane, il tuo maestro, la tua forza, la tua guida.


RICONOSCERE LA PREDILEZIONE DIVINA

Qui è l’essenza del professarsi cristiani: adeguarsi a questa vocazione divina. Non siamo, dunque, ciechi, né miopi, né dimentichi, o peggio, traditori! Accorgiamoci di essere prediletti dal Signore! Se così sarà, vedremo che la vita cristiana si manifesta quale maestoso, intramontabile sole rifulgente per noi; ed anche i comandamenti, i quali sono la esigenza logica e conseguente alla professione cristiana, divengono facili. In una parola vivere da cristiani si compendia in unica frase: Amare il Signore e riconoscere che siamo amati da Lui. Se ognuno si uniforma a così alta verità, una grande serena letizia congiunta a forte energia germoglia nell’anima; quindi, il compiere qualche cosa di serio, e anche di arduo per la nostra fede non è più un peso, non è più un castigo: è una gioia. Tale la proverà il soldato nel militare per la sua bandiera, la madre nel sacrificarsi per il suo bambino, il cittadino nel servire il proprio paese. Or dunque è un gaudio per il cristiano adempiere la legge di Dio, perché è una legge di amore, di bontà, salvezza, speranza.


Alla domanda, tutt’altro che impossibile, in cosa consista questa vita cristiana, la risposta è semplice, e nota. Si condensa in un breve esame: Pregate? Andate alla Messa, la domenica? Sapete aprire - incalza il Santo Padre - queste benedette labbra, che specialmente in molti uomini sono quasi sempre suggellate e non sanno più enunciare un grido, una voce, un gemito, un’invocazione, e sono restie a rivolgere una parola a quel Dio benedetto, che tanto ci ha amati e per redimerci ha dato la sua vita? Si apra ogni anima: soffrite durante la settimana?, siete stanchi alla domenica? Confidatelo al Signore. Non è difficile trovare qualche sillaba che riveli la propria anima, anche se non si conoscono le preghiere in latino, le orazioni lunghe. Basterà dire: Signore, tu mi sei Padre, e fratello; Signore, tu mi devi essere ospite; devi essere il mio conforto. Signore, aiutami: io ti do la mia vita . . . Non è arduo esprimersi così. Ebbene - questa l’esortazione del Padre - sappiate pregare specialmente un’ora alla settimana, durante l’assistenza alla Messa festiva.


LA CARITÀ DEL PROSSIMO NEL CUORE

V’è, poi, da ricordare e raccomandare la grande legge del cristiano; essa deve essere possentemente riaffermata in una adunanza come questa, insieme col Papa, sulla quale domina la nota della comunità cittadina. Si tratta, anche qui, di semplici domande alle quali ognuno dovrà rispondere: Vi volete bene? siete fratelli? cittadini di una stessa patria, d’una medesima terra, di comune idioma? Avete la carità del prossimo nel vostro cuore? Sapete tradurre in argomenti, in espressioni sociali, questa vostra carità cristiana; intendete cioè, aiutarvi, conoscervi, sostenervi; promuovere tutte le associazioni ed opere che fanno del bene non solo a noi stessi, ma anche agli altri? Avete questo senso del nostro prossimo; del nostro amico, collega, socio, di tutte queste parentele sociali? le vivete cristianamente?

È quanto deve attuarsi. Se voi amate Dio, se amate il prossimo, la vita cristiana ha la sua attuazione sintetica, ma completa. E io spero, - aggiunge Sua Santità con impeto di tenerezza - io spero, figliuoli miei, che voi mediterete su queste semplicissime parole e ricorderete che il Papa, venendo tra voi, vi ha detto: siate cristiani amando Dio, in Lui sperando; e, cercando di fare il bene, di amare il prossimo. Vorrei che quanti dirigono le scuole, le officine, coloro che presiedono alle famiglie cristiane, quelli anche che sovraintendono agli interessi temporali d’una comunità come questa, possedessero appieno questo ideale cristiano della vita. Sono nato per fare del bene, per servire i miei fratelli; sono nato per attuare qualche cosa del Vangelo nella mia vita; sono nato non per essere egoista e godermela quaggiù, prescindendo da ogni impegno e servizio per gli altri, ma vivo per essere fratello, per essere testimone di quanto ha dichiarato Gesù nel Vangelo: in questo vi riconosceranno per miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri.


INEFFABILE CERTEZZA DI VITTORIA

Io mi auguro, - tale l’accento conclusivo della Esortazione - quasi a conforto e a compenso di questa sosta fra voi, che ci sia chi vorrà comprendere, e passare da uno stato di tiepidezza e di indifferenza a uno stato di coscienza, di fervore. Infine, il discorso vorrebbe terminare col rivolgersi alla generazione nuova, a voi giovani,. ragazzi, speranze del domani. Volete voi essere cristiani? Tutti? Alla entusiastica risposta degli interpellati il Santo Padre fa seguire queste parole: Ecco, questa è la cosa che mi riempie il cuore di commozione e di gioia. Garantisco che se farete qualche sforzo per mantenere questa vostra promessa non avvertirete il peso della croce sulle vostre spalle, ma sentirete la gioia, il vanto, la forza, la certezza di avere Cristo nel cuore.

Precisamente con questo augurio e fiducia, diventata reciproca, comune, io tutti vi saluto e adesso, nella santa Messa, vi raccomando al Signore, e vi benedico.






Martedì, 8 settembre 1964: FESTA DELLA NATIVITÀ DI MARIA

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Dilette Figlie in Cristo!

È motivo per Noi di grande consolazione spirituale celebrare la festa della Natività di Maria Santissima con voi tutte buone e care Religiose!

Spesso celebrando le nostre sacre solennità Ci angustia il pensiero circa la comprensione, circa la partecipazione dei fedeli che assistono al rito, avendo ragione di dubitare se essi comprendano, se essi siano uniti alla preghiera della Chiesa, se essi godano pienamente il senso dei misteri ricordati, delle orazioni proferite, del valore spirituale e morale di quanto il culto dovrebbe presentare alle nostre anime. Questo pensiero, questo dubbio qui non sussiste! Noi siamo sicuri che voi tutte siete con Noi per dare pienezza di significato e di fervore a questa santa Messa in onore di Maria nascente; e ciò per tre evidenti ragioni, che insieme concorrono a rendere solenne e memorabile la presente cerimonia.

Prima ragione: essa ci. obbliga a ricordare l’apparizione della Madonna nel mondo come l’arrivo dell’aurora che precede la luce della salvezza, Cristo Gesù, come l’aprirsi sulla terra, tutta coperta dal fango del peccato, del più bel fiore che sia mai sbocciato nel devastato giardino dell’umanità, la nascita cioè della creatura umana più pura, più innocente, più perfetta, più degna della definizione che Dio stesso, creandolo, aveva dato dell’uomo: immagine di Dio, bellezza cioè suprema, profonda, così ideale nel suo essere e nella sua forma, e così reale nella sua vivente espressione da lasciarci intuire come tale primigenia creatura era destinata, da un lato, al colloquio, all’amore del suo Creatore in una ineffabile effusione della beatissima e beatificante Divinità e in un’abbandonata risposta di poesia e di gioia (com’è appunto il «Magnificat» della Madonna), e d’altro lato destinata al dominio regale della terra.

Ciò che doveva in Eva apparire e svanire miseramente, per un disegno d’infinita misericordia (potremmo quasi dire per un proposito di rivincita, come quello dell’artista che, vedendo infranta l’opera sua, vuole rifarla, e rifarla ancora più bella e più rispondente alla sua idea creatrice), Dio fece rivivere in Maria: «ut dignum Filii tui habitaculum effici mereretur, Spiritu Sancta cooperante. praeparasti», come dice l’orazione’ a voi tutte ben nota; ed oggi, giorno dedicato al culto di questo dono, di questo capolavoro di Dio, noi ricordiamo, noi ammiriamo, noi esultiamo: Maria è nata, Maria è nostra, Maria restituisce a noi la figura dell’umanità perfetta, nella sua immacolata concezione umana, stupendamente corrispondente alla misteriosa concezione della mente divina della creatura regina del mondo. E Maria, per nuovo e sommo gaudio, incantevole gaudio delle nostre anime, non ferma a Sé il nostro sguardo se non per spingerlo a guardare più avanti, al miracolo di luce e di santità e di vita, ch’Ella annuncia nascendo e recherà con Sé, Cristo Signore, il Figlio suo Figlio di Dio, dal quale Ella stessa tutto riceve. Questo è il celebre giuoco di grazia, che si chiama Incarnazione, e che oggi ci fa presagire in anticipo, in Maria, lampada portatrice del lume divino, porta per cui il Cielo muoverà i suoi passi verso la terra, madre che offrirà vita umana al Verbo di Dio, l’avvento della nostra salvezza.

Voi sapete, Figlie dilettissime, tutte queste cose; voi le meditate, voi le onorate, voi le imitate; Maria ve ne dà il quadro sublime, nel quale Ella trionfa in umiltà ed in gloria senza pari. Non è questa una ragione che Ci fa lieti di sapervi tutte intimamente associate a questa gioia della Chiesa, a questa glorificazione della Madonna?

Seconda ragione: voi celebrate con Noi questa festa, soave ed intima, come una giornata di famiglia, come un avvenimento domestico, che stringe i cuori in dolci e comuni sentimenti. È la festa della Madre comune e celeste; e Noi comprendiamo come la vostra devozione si accresca per il fatto che voi oggi la celebrate insieme con questo umile Padre comune e terrestre, col Papa. E codesta pia soddisfazione rende lieti anche Noi, che sentiamo la vostra devozione unirsi alla Nostra, la vostra preghiera alla Nostra, la vostra fiducia alla Nostra.

Ci pare, care e buone Religiose, che voi siate queste mattina il Nostro mazzo di fiori, col quale Ci presentiamo a Maria per esprimerle i Nostri auguri - oh, diciamo meglio: i nostri omaggi! - nel giorno del suo genetliaco. Viene alle Nostre labbra una specie di infantile discorso: Vedi, Maria, che cosa Ti offriamo, questi fiori; sono i più bei fiori della Santa Chiesa; sono le anime dell’unico amore, dell’amore al Tuo divino Figliuolo Gesù, sono le anime che hanno veramente creduto alle sue parole, e che hanno lasciato tutto per seguire Lui solo; lo ascoltano, lo imitano, lo servono, lo seguono, con Te, sì, fino alla Croce; e non si lamentano, non hanno paura. non piangono, anzi sono sempre liete, sono buone, Maria, sono sante queste figliuole della Chiesa di Cristo! Noi speriamo che la Madonna Santissima ascolti queste semplici parole, c che si senta onorata dell’offerta, che Noi oggi le facciamo di voi, Religiose. Diciamo di più: di tutte le Religiose della Santa Chiesa; e speriamo che le voglia guardare tutte, Lei la benedetta fra tutte, con quei suoi occhi misericordiosi (illos tuos misericordes oculos . . .); che le voglia rallegrare, le voglia proteggere e benedire; perché sono sue, e sono sue perché sono della Chiesa!

Pare a Noi che questo incontro metta in evidenza particolare cotesto aspetto della vostra vita religiosa. Perché oggi voi siete tanto contente di assistere alla santa Messa del Papa e di venerare con lui la Madonna santissima? e perché il Papa è lui stesso contento d’avervi con sé? Perché voi siete, dicevamo, della Chiesa; voi appartenete, e con vincoli di particolare adesione, al corpo mistico di Cristo, e nella comunità ecclesiastica voi avete un posto speciale: voi siete il gaudio della Chiesa, voi l’onore, voi la bellezza, voi la consolazione, voi l’esempio! Noi possiamo anche aggiungere: voi la forza! Per la vostra pietà, per la vostra umiltà, per la vostra docilità, per il vostro spirito di sacrificio, voi siete le figlie predilette della santa Chiesa. Questo incontro deve ravvivare in voi il «senso della Chiesa». Avviene talvolta che questo «senso della Chiesa» sia meno avvertito e meno coltivato in certe famiglie religiose: per il fatto che esse vivono appartate, e che esse trovano nell’ambito delle loro comunità tutti gli oggetti d’immediato interesse, e poco sanno di quanto accade fuori del recinto delle loro occupazioni, a cui sono totalmente dedicate; avviene talora che la loro vita religiosa abbia orizzonti limitati, non solo per ciò che riguarda la vicenda delle cose di questo mondo, ma anche per ciò che riguarda la vita della Chiesa, i suoi avvenimenti, i suoi pensieri e i suoi insegnamenti, i suoi ardori spirituali, i suoi dolori e le sue fortune.

Questa non è una posizione ideale per la Religiosa; essa perde la visione grande e completa del disegno divino per la nostra salvezza e per la nostra santificazione. Non è un privilegio il rimanere ai margini della vita della Chiesa e costruire per sé una spiritualità che prescinda dalla circolazione di parola, di grazia e di carità della comunità cattolica dei fratelli in Cristo. Senza togliere alla Religiosa il silenzio, il raccoglimento, la relativa autonomia, lo stile di cui ha bisogno, la forma di vita che le è propria, Noi auguriamo che le sia restituita una partecipazione più diretta e più piena alla vita della Chiesa, alla liturgia specialmente, alla carità sociale, all’apostolato moderno, al servizio dei fratelli. Molto si fa in questo senso; e Noi crediamo con profitto sia della santificazione della Religiosa, sia dell’edificazione dei fedeli. Noi ricordiamo che a Milano, proprio in occasione di questa festività, invitammo ad assistere alla Nostra messa pontificale le care Suore di Maria Bambina, in quel Duomo, ch’è certo una delle più belle e più grandi cattedrali del mondo, e ch’è appunto dedicato alla Natività di Maria: nessuna di quelle Suore sentiva dalla propria devozione l’invito a partecipare al solenne e splendido rito in onore di Maria nascente nella Cattedrale della Città dove esse hanno la loro casa-madre e una magnifica rete di attività caritative; le invitò l’Arcivescovo; e vennero poi in Duomo tutti gli anni all’otto di settembre, in bel numero; e furono felici di sentirsi in quel giorno figlie predilette della Chiesa, come Noi lo fummo nel salutarle durante la Omelia e nel benedirle, come esemplari e degne della Nostra benevolenza. Ricordiamo anche quanto Ci sembrò edificante vedere nelle chiese delle fiorenti comunità missionarie della Rhodesia meridionale e della Nigeria le Suore, delle varie famiglie religiose, assistere, in posti riservati, alle funzioni domenicali, con grande loro onore e con grande consolazione ed ammirazione di tutti i fedeli.

Ebbene, questo incontro, ripetiamo, servirà a riaccendere in voi, come auguriamo in tutta la immensa schiera delle anime religiose femminili, l’amore alla Chiesa e a mettervi sempre più in comunione con lei. Grande pensiero, ricordatelo, è questo, che può aprire la finestra sulla realtà spirituale, a cui avete dedicato la vita; la Chiesa infatti è l’opera di salvezza stabilita da Cristo; grande pensiero, che può confortare e sostenere la modestia e il nascondimento delle vostre occupazioni; la Chiesa è il regno del Signore, chi vi appartiene e chi la serve partecipa alla dignità, alla fortuna di questo regno; grande pensiero, sì, è la Chiesa, che apre alla vostra oblazione le vie per le quali essa può essere sempre più feconda di risultati apostolici, di carità sapiente, di meriti immensi.

Noi crediamo che sia venuto il giorno in cui occorra mettere in più alto onore e in maggiore efficienza la vita religiosa femminile; e che questo possa avvenire perfezionando i vincoli che la uniscono a quella della Chiesa intera. Vi faremo a questo proposito una confidenza : Noi abbiamo dato disposizioni affinché anche alcune Donne qualificate e devote assistano, come Uditrici, a parecchi solenni riti e a parecchie Congregazioni generali della prossima terza Sessione del Concilio ecumenico vaticano secondo; a quelle congregazioni, diciamo, le cui questioni poste in discussione possono particolarmente interessare la vita della Donna; avremo così per la prima volta, forse, presenti in un Concilio ecumenico alcune, poche, - è ovvio - ma significative e quasi simboliche rappresentanze femminili; di voi, Religiose, per prime; e poi delle grandi organizzazioni femminili cattoliche, affinché la Donna sappia quanto la Chiesa la onori nella dignità del suo essere e della sua missione umana e cristiana.

* * *

Mentre godiamo di fare a voi questo annuncio Ci rattrista il pensiero delle tante manifestazioni della vita moderna in cui la Donna appare decaduta dall’altezza spirituale ed etica, che il migliore costume civile e la elevazione alla vocazione cristiana le attribuiscono, al livello dell’insensibilità morale e spesso della licenza pagana; è privata la Donna, mentre le sono aperte le vie delle esperienze più pericolose e morbose, della vera felicità e dell’amore vero, che non possono mai esser disgiunti dal senso sacro della vita.

E Ci fa pena anche il vedere come tante anime femminili, fatte per le cose alte e generose, non sanno più oggi dare alla propria vita un senso pieno e superiore, perché mancano di due coefficienti della pienezza interiore: la preghiera, nella sua espressione completa, personale e sacramentale: e lo spirito di dedizione, di amore cioè che dà e che vivifica. Restano anime povere e tormentate, a cui le distrazioni esteriori recano fallace rimedio.

Ecco allora che la terza ragione del Nostro gaudio spirituale originato da questo incontro viene a consolarci; ed è quella di osservare nel vostro numero e nel vostro fervore che vi sono ancor oggi anime pure e forti che hanno sete di perfezione e che non hanno né paura, né vergogna a indossare l’abito religioso, l’abito della consacrazione totale della propria vita al Signore.

Veramente anche a questo riguardo Noi dovremmo fare una duplice non lieta osservazione; e cioè che le vocazioni religiose, anche femminili, sono in diminuzione; e che la Chiesa ed anche la società profana hanno un crescente bisogno di tali vocazioni. È questo uno dei problemi del nostro tempo, per la cui soluzione occorrerà operare e pregare.


Ma fermiamoci ora alla prova della vitalità religiosa che la vostra presenza Ci offre. Noi ringraziamo la Madonna di questa consolazione, che Ci lascia intravedere la sua provvida e materna assistenza alla Chiesa; che Ci offre l’esempio d’una sempre rifiorente generosità cristiana, che Ci fa pensare a tutto il tesoro di opere buone, a cui la vostra vita è consacrata.

Noi preghiamo la Madonna per voi: che ci dia la certezza per la bontà della scelta da voi fatta; essa è la migliore, essa è la più difficile e la più facile insieme, essa è la più vicina a quella di Maria Santissima, perché, come la sua, è tutta governata da un semplice e totale abbandono alla divina volontà: «Fiat mihi secundum Verbum tuum!». Noi la pregheremo perché vi faccia forti: oggi la vita religiosa esige fortezza; ieri forse era il rifugio di tante anime deboli e timide; oggi è l’officina delle anime forti, costanti ed eroiche. Noi la pregheremo infine perché la Madonna vi faccia liete e felici; la vita religiosa, per povera e austera che sia, non può essere autentica che nella gioia interiore! È quella che Noi vi auguriamo a ricordo di questo incontro a tutte chiedendo orazioni per il Concilio e per la Chiesa intera, a tutte dando la Nostra Benedizione.



Domenica, 20 settembre 1964: XVIII DOMENICA DOPO LA PENTECOSTE

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Il brano del Vangelo di San Matteo, che si legge nella XVIII domenica dopo la Pentecoste, offre al Santo Padre alto argomento per la sua Omelia.

Si tratta di uno dei moltissimi episodi della vita del Signore, che ci preparano ad essere fervidamente uniti a Lui ed a ben celebrare i Divini Misteri.

Ogni pagina del Vangelo ha un suo punto focale, drammatico, intorno al quale circolano e la scena dell’episodio ricordato e il racconto fedele.

Per la prodigiosa ed istantanea guarigione del paralitico, l’apostolo San Matteo è più sobrio degli altri sinottici, San Marco e San Luca. Questi aggiungono più ampi particolari, tra cui quello dell’avvenuta apertura del tetto nell’ambiente ove si trovava Gesù, per calarvi l’infermo col suo lettuccio, data l’enorme folla che faceva ressa all’entrata.

Evidente è la speranza dei pietosi accompagnatori: essi vogliono quasi obbligare Gesù ad occuparsi dell’inatteso ospite e ad iniziare un dialogo con lui.



LA DUPLICE GUARIGIONE DEL PARALITICO

Qui subito ci troviamo ad un vertice di meraviglia e di grazia. Il Signore, con una parola molto dolce, bella, rigeneratrice, si rivolge al paralitico dicendo: «Confide, fili . . .»: Abbi fiducia, figliuolo. E poi? Ecco: «Remittuntur tibi peccata tua»: ti sono perdonati i tuoi peccati. Stupore di tutti i presenti. Non per questo essi avevano portato l’infermo, bensì perché fosse liberato dalla sua immobilità. Non si aspettavano che Gesù parlasse dei peccati di quel poveretto: i peccati erano, dunque, un impedimento alla guarigione?

Gesù legge nel cuore di quanti lo circondano: la sua prima sollecitudine è di togliere la malattia morale e lo dichiara. Da ciò, dopo la prima sorpresa, altri commenti e critiche, anzi la rampogna amara e veemente. Chi è costui che annulla i peccati? Solo Dio può rimetterli; Dio soltanto può regolare i conti tra Lui e le creature. Come mai, dunque, l’arbitrio, anzi, l’atto temerario, addirittura una bestemmia? Allora Gesù, visti i loro pensieri, aggiunge: «Perché pensate male nei vostri cuori? cos’è più facile dire: ti sono perdonati i tuoi peccati, o dire: lèvati su, e cammina?». Nel medesimo istante compie anche il miracolo fisico, dicendo al paralitico: «Sorgi, prendi il tuo letto e torna alla tua casa».

Il punto di maggiore interesse, in questo episodio, è che Gesù, davanti a un povero immobilizzato ed infelice, scopre una infelicità anche maggiore, una miseria anche più acuta. Vuole, anzitutto, occuparsi della salute morale di lui; e, buono ed onnipotente in sommo grado, compie il miracolo della guarigione spirituale prima di quella fisica.

Ha fatto Egli stesso testé il confronto: Quale delle due guarigioni è la più facile? dell’anima o del corpo?: e conclude dimostrando essere molto più importante il benessere dello spirito che non quello fisico.

Da qui scaturiscono alcune domande su uno degli aspetti più interessanti del Vangelo.

Che cosa Gesù vede negli uomini? Gesù è entrato nel mondo e conversa con noi, genere umano. Ebbene, come ci giudica? Il suo occhio che cosa scorge in noi? Esaminandoci, rileveremo come davanti a Gesù non vi sia alcun segreto. Per Lui tutto è trasparente. Anzi, se vorremo capire qualche cosa di bello nel Vangelo, dovremo sempre pensare che le scene svolgentisi intorno a Gesù hanno per Lui una limpidezza cristallina, singolare, inimitabile, Gesù vede tutto. San Giovanni, in uno dei primi capitoli del suo Vangelo, afferma precisamente che il Salvatore sciebat quid esset in homine. Gesù sa ciò che v’è nell’uomo. Durante la sua vita terrena gli uomini sono davanti a Lui in trasparenza. Gesù li trapassa col suo sguardo e conosce appieno che cosa sono, che cosa fanno, che cosa pensano: «Deus intuetur cor»: Iddio discerne il cuore.


LO SGUARDO DI DIO NEL CUORE UMANO

La permanente ricerca, così accentuata nell’uomo moderno, per intuire il segreto dell’uomo, per sapere tutto di lui, in Gesù è dote infallibile, divina. Egli conosce la realtà umana in tutto il suo complesso e nelle singole note più profonde ed arcane. Egli spalanca tutte le porte segrete dei nostri nascondigli interiori; i nostri pensieri gli sono manifesti: nulla, nulla può essere a Lui occultato. Apparire, quindi, dinanzi a Lui ed essere considerati in ogni particolare è un fatto istantaneo, giacché Egli tutto osserva e giudica in noi.

Ed allora possiamo chiederci: Ma, dunque, che cosa Egli vede? I valori positivi e i difetti dell’uomo. Nei bambini Gesù vede una innocenza angelica e se ne compiace, perché essi sono i cittadini autentici del Regno celeste. Nei piccoli il Figlio di Dio rileva la natura armoniosa che la sua mano creatrice ha impresso in queste creature innocenti. Gode perciò immensamente della loro compagnia, vivacità ed incanto; in una parola, della bellezza di Dio riflessa sul volto umano.

E ancora: che cosa nota, per esempio, nella Samaritana? Anche quella povera creatura resta sgomenta. Oh sì! - esclama - questo Profeta ha letto nel mio spirito: sa chi sono io! Ed eccola andare gridando ai suoi conterranei: è venuto un grande Profeta; ha detto ogni cosa della mia vita senza conoscermi! Che cosa, inoltre, il Divino Maestro vedrà nella implorante Maddalena che tutti vorrebbero schiacciare, col disprezzo e con l’accusa pubblica spietata? La povera umanità da redimere e salvare. Deus dilexit mundum! Iddio osserva le profondità del cuore umano, che, anche sotto la superficie del peccato e del disordine, possiede ancora una ricchezza meravigliosa di amore; Gesù col suo sguardo la trae fuori, la fa straripare dall’anima oppressa. A Gesù, dunque, nulla sfugge di quanto è negli uomini, della loro totale realtà, in cui sono il bene e il male.


INCOERENZE E DISTORSIONI NEL PENSIERO UMANO

La seconda domanda è la seguente: E gli uomini, con la loro educazione moderna, che cosa scorgono? Sono anche qui degli incoerenti. Innanzitutto, voi non troverete più nel linguaggio della gente perbene di oggi, nei libri, nelle cose che parlano degli uomini, la tremenda parola che, invece, è tanto frequente nel mondo religioso, nel nostro, segnatamente in quello vicino a Dio: la parola peccato. Gli uomini, nei giudizi odierni, non sono più ritenuti peccatori. Vengono catalogati come sani, malati, bravi, buoni, forti, deboli, ricchi, poveri, sapienti, ignoranti; ma la parola peccato non si incontra mai. E non torna perché, distaccato l’intelletto umano dalla sapienza divina, si è perduto il concetto del peccato. Una delle parole più penetranti e gravi del Sommo Pontefice Pio XII di v. m., risulta questa: «il mondo moderno ha perduto il senso del peccato»; che cosa sia, cioè, la rottura dei rapporti con Dio, causata appunto dal peccato. Il mondo non intende più soffermarsi su tali rapporti. E allora la filosofia contemporanea dell’uomo parte da un ottimismo aprioristico. Che dice ad es. la pedagogia? L’uomo è buono; sarà la società a renderlo cattivo; ma, di per sé, lasciate che si sviluppi con spontaneità e in ambiente favorevole, sarà, di sua natura, probo e virtuoso. Viene adottata così quale norma, una indulgenza molto liberale, molto facile, che spiana le vie a ogni sorta di esperienze e di capricci, giacché, ammettendo nell’uomo tutti i diritti, bisogna lasciare che egli li esplichi nelle singole sue facoltà. Il male, dunque, non esiste. Questo famoso peccato originale - che è la prima verità sull’uomo - non è più ammesso e descritto nella diagnosi che il mondo oggi vuole tracciare di sé.

Ed ecco l’incoerenza. Mentre il punto di partenza è tanto sicuro, il punto d’arrivo, il giudizio terminale, che il nostro mondo dà sull’uomo, qual è? Qui non facciamo della psicanalisi, ci atteniamo soltanto a una documentazione letteraria: e non erriamo asserendo che il giudizio dato, oggi, dall’uomo di se medesimo, con la propria testimonianza più ricca e persistente, si direbbe anzi, la più monotona, è quello della disperazione: così, guardato di dentro, l’uomo è una cosa orribile. Quante volte coloro che ci si presentano davanti con aspetto simpatico, bonario, ingenuo, nascondono, al contrario, il sepolcro imbiancato più putrido e più deforme!

Guardate se c’è un film ottimista, nella produzione moderna; guardate se nei premi letterari, proprio in questi tempi oltremodo copiosi, c’è un solo libro presentabile, che dichiari essere l’uomo ancora buono, che esistono ancora delle virtù. Dilaga, al contrario, l’analisi del fango, della perversione umana; e, con ciò, la tacita, ma inesorabile sentenza, data come definitiva: l’uomo è inguaribile. È qui la tenebrosa conseguenza. Si arriva a ritenere l’uomo come un essere infelicissimo. Seguendo la direzione di questi occhi che diventano implacabili e anche perspicaci, non si trova se non il male, sempre e disperatamente il male!

SPLENDA L’IMMAGINE DIVINA IN OGNI ANIMA

Anche Gesù vede: e guarda noi, che siamo della povera gente con tanti malanni. Al paralitico che gli si presenta davanti, spiega che vi sono delle paralisi anche più gravi e più stringenti di quella fisica. Tu hai molti peccati: te li rimetto, te li perdono! Gesù è il liberatore assoluto. Egli, dopo aver sollecitato in noi, con questa sua luce, un esame di coscienza, per il quale si avverte la colpa ma pur la redenzione, entra nell’anima come un torrente di letizia, di bontà e di amore. Se lo vuoi, - Egli ci conforta - io ti ridono la integrità, l’innocenza, la grazia di sentirti veramente quello che devi essere, restituito alla tua statura, alla tua bellezza originaria, e come il Signore ti ha creato a immagine e somiglianza sua.

Gesù è il divino artefice dell’ineffabile riscatto: si comprende, allora, come il Vangelo, finché ci sarà un mondo di uomini travagliati dai propri peccati, miserie, infelicità, disperazioni, il Vangelo proprio tra gli uomini susciterà sempre un eco che non potrà mai attenuarsi. Perché? ma perché non solo è parola di verità - e qui gli uomini sono concordi - ma è pure luce di speranza che gli uomini non possono dare a se stessi.

Che faremo noi, per cogliere qualche cosa di utile e salutare dall'odierna pagina evangelica? Cercheremo di lasciarci guardare dal Signore; di presentarci a Lui con sincera umiltà. È l’esame di coscienza, diciamo di più: è l’accostarci a quel sacramento della penitenza, che davvero scruta nel nostro intimo e ristabilisce la verità e la giustizia nelle nostre anime. Ognuno potrà affermare: col gemito del dolore non saprei guarirmi da me; ma se Tu vuoi, o Signore, basta una tua parola.


«CONFIDE, FILI»

Quella parola non ci mancherà mai. La misericordia di Dio è fonte inesauribile che Cristo ha portata nel mondo proprio con il desiderio, l’ansia di cercarci, di inseguirci e ripeterci: amavo te; sono venuto per te, affinché tu capisca chi sei e quanto tu sia paralitico e miserabile. Ma confide, fili: abbi fiducia, o figliuolo, ti sono rimesse queste tue miserie. Anzi: con le miserie morali in gran parte potranno essere sanate anche quelle fisiche. Si pensi che cosa sarebbe la faccia del mondo, se i peccati degli uomini fossero eliminati, se le colpe morali fossero tolte! Non è che siano due cose conseguenti: in altre pagine del Vangelo il Signore dirà che la sventura fisica non è, di per sé, fatalmente collegata a quella morale. Basta ricordare il cieco nato, basta riflettere alle tante sofferenze dei giusti. Sta però il fatto che se fossero guarite le tante miserie morali, la nostra vita sarebbe molto migliore, molto più sana, e più igienica anche; sarebbe assai più felice. L’unità dell’uomo è una realtà: essa comporta delle interferenze fra l’un mondo e l’altro: quello morale e quello materiale; quello interiore e quello esterno.

Perciò oggi andremo da Gesù, offrendo il Divin Sacrificio: anche noi presentandoci dinanzi a Lui come il paralitico. Con tutta umiltà Gli chiederemo che la fiducia nella sua onnipotenza e bontà si rinnovi nell’anima nostra. Ognuno supplicherà: Signore, salvami: Tu solo hai parole di vita eterna.








B. Paolo VI Omelie 23864